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Saggio

La dialettica soci-amministratori nel concordato preventivo della società: una prospettiva teorico-pratica*

Filippo Viola, Assegnista di ricerca nell’Università di Roma “La Sapienza”

28 Luglio 2025

*Il contributo costituisce l’esito – parziale e parte di un più ampio lavoro in corso di sviluppo destinato alla Rivista – del progetto di ricerca affidato da Diritto della Crisi all’A. vertente sul ruolo dei soci nelle ristrutturazioni dell’impresa, con specifico riferimento ai loro diritti di informazione e di incisione sulle delibere dell’organo amministrativo, funzionale alla predisposizione di modelli di comportamento per regolare i rapporti tra organi della società. Lo scritto è stato aggiornato all’aprile 2025.
Lo scritto è edito in “NUOVI STUDI SUL DIRITTO DELLA CRISI”, Speciale Dirittodellacrisi.it, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, 2025”.
Il lavoro ha ad oggetto lo studio, in una prospettiva teorico-pratica, del rapporto fra soci e amministratori nel concordato preventivo della società. In particolare, dopo aver inquadrato la disciplina recata in materia dal CCII e introdotta in attuazione della direttiva (UE) 2019/1023 nel dibattito in merito alla posizione dei soci nel concordato, lo scritto espone e sottopone ad un vaglio critico le principali soluzioni che la dottrina, la giurisprudenza e la prassi hanno individuato avuto riguardo alle tecniche di coinvolgimento dei soci nel procedimento di gestione della crisi. Alla luce dell'analisi condotta, l'elaborato sviluppa in conclusione alcune considerazioni di sintesi in relazione ai doveri (o ai comportamenti opportuni) degli amministratori rispetto alle scelte da assumere in fase di accesso a uno strumento di regolazione della crisi. 

This paper examines, from both a theoretical and practical perspective, the relationship between shareholders and directors in the context of corporate composition with creditors (concordato preventivo). In particular, the paper places the regulatory framework established on this topic by the Italian Code of Corporate Crisis and Insolvency, enacted in implementation of Directive (EU) 2019/1023, within the debate on the role of shareholders in restructuring procedures and it critically analyses the main approaches developed by legal scholarship, case law, and professional practice regarding the involvement of shareholders in corporate crisis management. Based on this analysis, the study concludes by offering a set of summarizing reflections on the directors’ duties (or proper conduct) with respect to the strategic decisions to be taken when initiating a restructuring process. 
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1 . L’art. 120 bis CCII: la disciplina e il suo inquadramento nel dibattito in merito alla posizione dei soci nel concordato della società
Con riferimento al problema della distribuzione interna delle competenze in merito alla scelta del momento in cui accedere a uno strumento di regolazione della crisi, nonché del contenuto concreto da attribuire al piano ad esso sottostante la nuova disciplina, contenuta nell’art. 120 bis CCII, si caratterizza per un “depotenziamento” complessivo del ruolo dei soci e per il corrispondente rafforzamento dei poteri degli amministratori. 
In particolare:
(a) l’art. 120 bis, primo comma, CCII prevede che la scelta di accedere a uno strumento di regolazione della crisi e quella in ordine alla definizione del contenuto della proposta e dei termini del piano spettano in via esclusiva agli amministratori (e in caso di società in liquidazione ordinaria ai liquidatori, come precisato dal decreto correttivo del CCII approvato dal Consiglio dei Ministri in data 10 giugno 2024 – d’ora in avanti, il “decreto correttivo”)[1]. Questo assetto si discosta da quanto disposto per il concordato preventivo dal previgente art. 161, quarto comma, L. fall., che – in virtù del richiamo all’art. 152 L. fall. sul concordato fallimentare – poneva la regola per la quale nelle società di capitali e cooperative la proposta e le condizioni del concordato venivano deliberate dagli amministratori, salvo diversa disposizione statutaria. Nelle società di persone la competenza era invece attribuita, sempre salvo diversa disposizione statutaria, ai soci rappresentanti la maggioranza assoluta del capitale. In relazione alle società di capitali e cooperative, la soppressione del riferimento alla possibilità di deroga statutaria alla regola di competenza degli amministratori, elemento di per sé non decisivo, viene però generalmente interpretata nel senso di escludere la legittimità di una clausola statuaria attributiva della competenza all’assemblea, e ciò in virtù del richiamo all’“esclusività” della competenza degli amministratori rispetto alla decisione sull’accesso di cui al primo comma dell’art. 120 bis CCII nonché in considerazione del dato storico, dal quale emergerebbe una tendenza alla progressiva sottrazione di potere decisionale all’assemblea nella materia in esame[2]; 
(b) gli amministratori sono tenuti, ai sensi dell’art. 120 bis, terzo comma, CCII[3] a informare i soci dell’«avvenuta decisione di accedere a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza» e di riferire periodicamente sul suo andamento. La norma pone due problemi: (i) essa sembra fare riferimento, quantomeno data la sua formulazione letterale, ad un’informativa in favore dei soci avente ad oggetto non i contenuti del piano, ma esclusivamente l’avvenuta decisione di accedere allo strumento, nonché i progressi e lo svolgimento della procedura, sotto un profilo prettamente procedimentale; tuttavia, se si vuole attribuire un qualche significato sostanziale al diritto di periodica informazione/monitoraggio sullo sviluppo della procedura, anche ai fini dell’esercizio dei poteri la cui attivazione è rimessa ai soci (ad esempio la presentazione di proposte concorrenti e l’esercizio del diritto di voto sulla proposta, quando previsto[4]), dovrebbe ritenersi che l’informativa abbia ad oggetto i dettagli del piano sotteso alla proposta “principale” elaborata dagli amministratori; (ii) essa nulla specifica in ordine alla periodicità dell’informazione e alla natura del suo veicolo: il che potrebbe però spiegarsi con la volontà del legislatore di rimettere tali elementi a scelte degli amministratori, sindacabili sul piano della ragionevolezza e dell’essere o meno le stesse espressione di efficienza della funzione ammnistrativa[5]; 
(c) con il comma quarto dell’art. 120 bis si prevede l’inefficacia della revoca degli amministratori in assenza di giusta causa per il periodo intercorrente fra l’iscrizione nel registro delle imprese della decisione di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza e l’omologazione dell’accordo, precisandosi che non integra giusta causa l’avvenuta presentazione della domanda di accesso in presenza delle condizioni di legge[6]; 
(d) l’art. 120 bis, quinto comma CCII legittima infine i soci che rappresentano almeno il dieci per cento del capitale ad avanzare proposte concorrenti.
La compressione ad opera del CCII dei diritti amministrativi dei soci e il corrispondente rafforzamento della posizione degli amministratori nella fase di accesso al concordato sembrano il frutto di una scelta consapevole del legislatore. In particolare, essa pare riconducibile a tre ordini di ragioni: (a) ragioni tecniche; (b) ragioni di analisi economica del diritto; (c) ragioni legate all’attuazione della direttiva (UE) 2019/1023 (d’ora in avanti, direttiva restructuring). 
(a)   Ragioni tecniche 
L’attribuzione agli amministratori della competenza in via esclusiva in materia di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e il rafforzamento della loro posizione mediante la disciplina della revoca “rafforzata” sarebbe funzionale alla conservazione del valore residuo dell’impresa e alla prevenzione di eventuali danni in grado impattare sull’ammontare della provvista complessivamente disponibile e, per l’effetto, sul livello di soddisfazione di tutti i soggetti coinvolti. La decisione è infatti attribuita all’organo societario: (i) di più rapida convocazione e di più spedito funzionamento, in ragione dell’esigenza di evitare stalli e rallentamenti nella fase inziale; (ii) generalmente dotato, almeno in alcuni tipi societari, delle più raffinate competenze tecniche e di tutte le informazioni rilevanti ai fini dell’assunzione della decisione in esame[7]. L’attribuzione di tale competenza agli amministratori sarebbe inoltre conseguenza del (o comunque coerente con il) dovere degli amministratori di attivarsi senza indugio per l’adozione di uno strumento deputato al superamento della crisi, previsto agli artt. 2086, secondo comma, c.c., e 4, secondo comma, lett. b), CCII[8] 
(b)   Ragioni di analisi economica del diritto 
È diffusamente riconosciuto che la struttura finanziaria della società, per come essa si caratterizza in una situazione di crisi dell’impresa, è idonea ad alterare l’assetto degli incentivi esistenti tra i soggetti coinvolti. Gli amministratori sono infatti spinti ad assumere comportamenti opportunistici (c.d. di moral hazard) nell’interesse e a vantaggio dei soci e, allo stesso tempo, in danno dei creditori. Tale incentivo degli amministratori discenderebbe, quantomeno nelle società con capitale poco frazionato e comunque nelle imprese di minori dimensioni, ove il legame soci-amministratori è più stretto, dalle forti pressioni esercitate dai soci sugli amministratori in favore di strategie gestionali di over-investment, connotate da un alto livello di rischio. Ciò, a sua volta, dipenderebbe, per un verso, dalla regola della responsabilità limitata dei soci per le obbligazioni sociali nei tipi in cui ciò è previsto, e, per altro verso, dalla qualificazione dei soci in termini di residual claimants
Tale considerazione ha favorito la diffusione, sia pure con diverse sfumature, della tesi sul mutamento dei doveri fiduciari degli amministratori di società in crisi, secondo la quale essi, a partire dal momento in cui si manifestano situazioni di pre-insolvenza, diverrebbero obbligati a perseguire una strategia gestoria che tenga in debito conto anche l’interesse dei creditori a non veder pregiudicate ingiustamente le proprie ragioni[9]. Così, interpretando tale tesi in modo rigido, si arriva a ritenere per un verso che gli amministratori dovrebbero tenere in considerazione solo l’interesse dei creditori e per altro verso che ai soci, che hanno perso qualsiasi rischio nell’impresa in quanto il capitale conferito sarebbe stato ormai integralmente bruciato dalle perdite, non dovrebbe essere riconosciuto alcun significativo diritto di voice, in quanto esso sarebbe, in ipotesi, collegato alla persistenza di quel rischio e di un patrimonio netto positivo[10]. 
(c)   Ragioni legate all’attuazione della direttiva (UE) 2019/1023 
L’assegnazione della competenza in via esclusiva agli amministratori dipenderebbe inoltre dalla necessità di recepire nell’ordinamento domestico – e quantomeno con riferimento ai piani di ristrutturazione – il principio del divieto di ostruzionismo dei soci, sancito dagli artt. 12 e 32 della direttiva restructuring e dal considerando n. 57, ai sensi dei quali gli Stati membri devono individuare strumenti idonei ad escludere che ai soci sia consentito di impedire o ostacolare irragionevolmente l’adozione, l’omologazione e l’attuazione di un piano di ristrutturazione[11]. In questa prospettiva, l’idea sottesa alla direttiva restructuring sarebbe quella per la quale i soci incisi dal piano di risanamento potrebbero avere un interesse contrario rispetto all’adozione dello stesso e potrebbero essere quindi incentivati ad assumere atteggiamenti ostruzionistici non sorretti da alcuna giustificazione razionale sul piano economico e potenzialmente in grado di rallentare o addirittura di pregiudicare il conseguimento degli obiettivi della ristrutturazione. 
2 . Le possibili interferenze dei soci rispetto alle decisioni relative a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza: i risultati dell’analisi di dottrina, giurisprudenza e prassi
La considerazione per la quale il piano sottostante a uno strumento di regolazione della crisi (e specialmente un piano concordatario) – là dove contempli la continuazione dell’attività d’impresa, modificazioni statutarie e operazioni riorganizzative – può impattare profondamente sui diritti dei soci, il cui contributo attivo alla ristrutturazione è spesso essenziale ai fini del buon esito della stessa, sta alimentando un interessante dibattito in merito alla possibilità di ricostruire in via interpretativa (e di definire l’ampiezza di) talune prerogative decisionali/organizzative dei soci nel contesto di una procedura di regolazione della crisi. 
A tal proposito, verranno sinteticamente esaminati di seguito gli strumenti e gli argomenti che la dottrina, la giurisprudenza e la prassi hanno individuato al fine di consentire ai soci di essere coinvolti nel procedimento in cui si sviluppa uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, o di incidere altrimenti sulle decisioni ad esso relative. 
(A)  Informativa preventiva in favore dei soci e loro contributo consultivo
Diversi Autori, sia pure con diverse sfumature, valorizzano la possibilità (e in alcuni casi argomentano la doverosità) per gli amministratori di informare i soci prima della presentazione della domanda di concordato o dell’assunzione della decisione di voler fare accesso alla procedura, al fine di ascoltare le loro opinioni e ricevere dagli stessi un contributo di tipo consultivo rispetto all’indirizzo da dare alla ristrutturazione. L’informativa prevista dall’art. 120 bis, terzo comma, CCII, non è generalmente ritenuta sufficiente a tutelare adeguatamente la posizione dei soci. Essa infatti: (i) opera solo successivamente rispetto all’avvenuta decisione di accedere a uno strumento di regolazione della crisi; (ii) implica una concezione dei soci ex latere creditoris; (iii) ha tendenzialmente la funzione di stimolare l’esercizio da parte dei soci di poteri di “reazione” rispetto alla proposta presentata (o la cui presentazione è stata decisa) dagli amministratori (ad es. del diritto di avanzare proposte concorrenti) e di consentire loro di esercitare il diritto di voto in modo informato, ma non anche quella di favorire il loro intervento in senso “costruttivo” sulla proposta degli amministratori. 
In particolare, secondo un primo orientamento gli amministratori potrebbero sempre convocare preventivamente i soci, sulla base di ragioni di opportunità e in base a valutazioni svolte caso per caso. Essi non sarebbero in via generale obbligati a convocarli, salvo che la mancata convocazione non denoti una scelta irragionevole e squilibrata. I soci, a loro volta, potrebbero chiedere di essere convocati a fini informativi, non appena intuiscano l’imminente accesso della società al concordato e purché ciò non risulti in un ritardo nell’attivazione dello strumento di regolazione della crisi prescelto[12]. 
Secondo un altro orientamento sarebbe legittimo – e secondo alcuni opportuno – l’inserimento nello statuto di una apposita clausola che attribuisca ai soci il diritto di informazione preventiva e quello di esprimersi in funzione consultiva, anche al fine di favorire il dialogo fra soci e amministratori ed evitare possibili contenziosi[13]. 
Secondo un ulteriore orientamento, sussisterebbe almeno in determinati casi (in quanto desiderabile per diverse ragioni e argomentabile sulla base di elementi sistematici e testuali), un vero e proprio obbligo di coinvolgimento preventivo dei soci con funzione consultiva, idoneo ad impattare sul piano delle motivazioni che devono sorreggere la decisione degli amministratori[14]. 
La giurisprudenza edita sul tema, pur pronunciandosi con riferimento al concordato di una società per azioni inhouse, sembra invece orientata nel senso che, in qualsiasi società, sia essa in house o non, la decisione di accesso degli amministratori non necessita di «preventivi confronti, pareri o approvazioni di sorta da parte degli altri organi sociali»[15]. 
(B)  Contestazione diretta o indiretta del contenuto del piano e delle scelte procedimentali effettuate dagli amministratori 
Dato che sono gli amministratori a definire in via esclusiva i contenuti del piano e che i soci tendenzialmente non sono coinvolti in pendenza di procedura con la tecnica “societaria” della delibera assembleare sulle operazioni contemplate nel piano per le quali il passaggio assembleare sarebbe necessario ai sensi delle regole generali, ma con il voto sulla proposta e possibile applicazione del meccanismo della ristrutturazione trasversale, in letteratura si sta diffondendo l’opinione secondo la quale ai soci deve comunque essere consentito contestare le scelte effettuate dagli amministratori ed espresse nel piano ovvero quelle attinenti ai profili procedurali relativi all’accesso alla procedura (come ad esempio la scelta di scindere temporalmente il momento della decisione di accedere da quello della presentazione della domanda pur senza presentare una domanda “in bianco”). 
In particolare, secondo un primo orientamento ai soci dovrebbe essere riconosciuto il diritto di opporsi all’omologazione, non solo per far valere il pregiudizio subito rispetto all’alternativa liquidatoria, ma più in generale in tutte le ipotesi di “indebita” (intesa nel senso di manifestamente sproporzionata e irragionevole) compressione dei loro diritti per effetto del piano concordatario[16] ovvero di abusi e manovre opportunistiche degli amministratori, eventualmente collusi con i soci di maggioranza[17]. 
Un diverso orientamento fa invece leva sulla possibilità per i soci di impugnare ex art. 2388, quarto comma, c.c. la delibera consiliare avente ad oggetto la decisione di accedere al concordato in quanto direttamente lesiva dei loro diritti[18], o – nel caso di preclusione dell’impugnazione ex art. 2377, terzo comma, c.c. – di agire contro gli amministratori per il risarcimento del danno ex art. 2395 c.c., con tuttavia significativi problemi in punto di prova del danno e del nesso di causalità[19]. 
Si valorizza poi l’istituto della revoca per giusta causa degli amministratori ex art. 120 bis, quarto comma, CCII, ritenendosi, in particolare, che l’assenza delle condizioni di legge tale da giustificare la revoca sia riconducibile al manifesto abuso da parte degli amministratori nella presentazione della domanda o nell’assunzione della decisione di accedere alla procedura concordataria, ovvero a macroscopici e grossolani errori o inadempimenti degli amministratori, tali da determinare, sulla base di elementi razionali ed oggettivi, il deterioramento del rapporto fiduciario che lega questi ultimi ai soci[20]. 
Anche la giurisprudenza[21] si è occupata della questione della revoca per giusta causa degli amministratori, chiarendo che: (i) in caso di scissione temporale fra l’iniziale decisione sull’accesso e la successiva presentazione della domanda di accesso a uno specifico strumento la presenza delle condizioni di legge – quale circostanza idonea ad escludere l’integrazione della giusta causa ai sensi dell’art. 120 bis, quarto comma, CCII – è riferibile sia al primo che al secondo momento; (ii) l’autorità giudiziaria tenuta ad approvare la delibera di revoca deve non solo e preliminarmente accertare che tale delibera menzioni ragioni diverse dalla decisione di accesso allo strumento, ma anche spingersi ad una disamina nel merito del provvedimento revocatorio, verificando in concreto la sussistenza di una giusta causa, secondo il modello del “controllo intrinseco”; (iii) la giusta causa si fonda non solo su specifici inadempimenti degli amministratori agli obblighi inerenti alla loro carica, ma anche su fatti o circostanze non consistenti in comportamenti degli amministratori che tuttavia siano oggettivamente valutabili come idonei a mettere in dubbio le capacità degli stessi di proseguire correttamente nell’esercizio dell’incarico. 
Ulteriore strumento nelle mani dei soci per reagire alla scelta effettuata dagli amministratori in punto di accesso è quello della denunzia al tribunale di gravi irregolarità nella gestione ex art. 2409 c.c.[22], funzionale alla nomina di un amministratore giudiziario. A questo proposito, in dottrina è dibattuta la questione se la denunzia ex art. 2409 c.c. incontri o meno gli stessi limiti della revoca degli amministratori ex art. 120 bis, quarto comma, CCII, cioè se anche in tal caso sia necessaria la presenza di una giusta causa[23]. 
Inoltre, secondo alcuni, il meccanismo del classamento dei soci previsto dall’art. 120 ter CCII non escluderebbe comunque la necessità di una delibera assembleare avente ad oggetto l’eventuale operazione straordinaria prevista nel piano in tutte le ipotesi in cui non trova applicazione l’art. 120 quinquies CCII, cioè in ipotesi di: (i) proposte concorrenti[24]; (ii) proposte ad esecuzione anticipata rispetto all’omologazione del concordato; (iii) proposte ad esecuzione “ordinaria”, qualora però non si concepisca l’operazione straordinaria come una modifica statutaria in senso stretto[25]. Secondo questo orientamento i soci legittimati avrebbero poi anche il diritto di impugnare la delibera di approvazione dell’operazione secondo le regole ordinarie. 
Infine, per completezza, si segnala la legittimazione dei soci che rappresentano almeno il dieci per cento del capitale ad avanzare proposte concorrenti (art. 120 bis, quinto comma CCII). Si tratta di uno strumento idoneo ad innescare un meccanismo competitivo nella proposizione delle domande concordatarie, che può consentire ai soci di offrire ad un tempo soluzioni più gratificanti per i creditori e in linea con le proprie esigenze. 
(C)  Coinvolgimento dei soci nella decisione di accesso ai sensi delle regole societarie ordinarie 
Rimane poi da verificare se trovino o meno applicazione le ordinarie regole di diritto societario che attribuiscono ai soci poteri decisionali più o meno intensi, a seconda dei casi, i quali potrebbero esprimersi anche in relazione alla decisione di accesso al concordato. Tali poteri dei soci potrebbero infatti non essere compatibili con il principio di competenza esclusiva degli amministratori di cui all’art. 120 bis, primo comma, CCII In particolare, le principali questioni sono:  
(a) se nelle società di persone possa trovare integrale applicazione la disciplina sulla amministrazione disgiuntiva, ai sensi della quale in caso di insorgenza di un conflitto fra soci amministratori – nello scenario che qui rileva in merito alla presentazione di una domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi – è rimesso alla maggioranza dei soci (calcolata per quote di interesse) il potere di decidere sull’opposizione proposta e, così, di risolvere il conflitto[26]. Sul tema si registra in letteratura una tesi contraria all’applicabilità della disciplina dell’amministrazione disgiuntiva[27]; 
(b) se con riferimento alle s.r.l.: 
(i) possano prevedersi diritti amministrativi particolari ex art. 2468, terzo comma c.c., che abbiano per effetto quello di attribuire ad uno o più soci il potere, in via stabile, di decidere le sorti dell’impresa in crisi e se si applichi o meno rispetto al piano di ristrutturazione l’art. 2479, secondo comma, n. 5), c.c. che attribuisce all’assemblea dei soci la competenza sulle operazioni che comportano una rilevante modificazione dei loro diritti. A tal proposito si registra un orientamento che ritiene non configurabili diritti particolari di tale contenuto[28] e non applicabile l’art. 2479, secondo comma, n. 5), c.c.[29]; 
(ii) sia possibile, con riferimento alla decisione di accesso a uno strumento di regolazione della crisi, il ricorso al meccanismo di approvazione dei soci su devoluzione/avocazione estemporanea ex art. 2479, primo comma, seconda parte, c.c. Con riferimento a tale questione l’ammissibilità del ricorso al meccanismo di devoluzione/avocazione di cui all’art. 2479, primo comma, c.c. parrebbe essenzialmente dipendere dal significato e dall’effetto che si voglia attribuire all’approvazione dei soci: difficilmente si potrebbe argomentare la compatibilità di tale meccanismo con l’art. 120 bis, primo comma, c.c. qualora si aderisca alla tesi che ritiene vincolanti per gli amministratori le decisioni assunte dai soci, mentre maggiore spazio per affermare tale compatibilità discenderebbe dall’adesione alla tesi della non vincolatività per gli amministratori della decisione assunta dai soci[30]. 
(c) se con riferimento alle s.p.a. sia possibile prevedere nello statuto, ai sensi dell’art. 2364, primo comma, n. 5, c.c., l’autorizzazione dei soci rispetto alla decisione degli amministratori di accedere a uno strumento di regolazione della crisi. In dottrina la soluzione prevalente sembra quella della non legittimità di clausole statutarie aventi tale contenuto, che argomentano sul presupposto della vincolatività per gli amministratori della volontà dei soci ex art. 2364, primo comma, n. 5, c.c.[31].
3 . Considerazioni di sintesi e linee di tendenza emergenti: l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza nella prospettiva degli amministratori
L’analisi di dottrina, giurisprudenza e prassi in punto di dialettica soci-amministratori nelle società che fanno ricorso a uno strumento di regolazione della crisi, conduce alle seguenti considerazioni di sintesi in relazione ai doveri (o ai comportamenti opportuni) degli amministratori:  
(a) Quanto alla scansione procedimentale relativa alla fase di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, gli amministratori possono naturalmente scegliere di presentare una domanda “in bianco” ex art. 44 CCII, riservandosi di depositare in un secondo momento la proposta e il piano. A tal proposito, l’art. 120 bis, primo comma CCII, come modificato dal decreto correttivo, precisa che tanto l’iniziale domanda “con riserva” quanto la definizione del contenuto della proposta e del piano sono riservati alla loro competenza esclusiva. 
(b) Sembra inoltre legittimo (sulla base del tenore testuale dell’art. 120 bis, primo comma CCII, nella sua versione modificata dal decreto correttivo) che gli amministratori procedano con una scissione temporale (e documentale) fra il momento in cui essi si determinano ad accedere a una procedura di gestione della crisi (delegando ad esempio il presidente del c.d.a. a depositare, all’uopo, un ricorso per concordato preventivo o per accordo di ristrutturazione dei debiti) e il momento in cui presentano la domanda per l’apertura della procedura in concreto prescelta, corredata di piano e proposta[32]. Soprattutto in ipotesi di piani di risanamento, questa soluzione potrebbe consentire agli amministratori di beneficiare di un intervallo temporale utile per effettuare le opportune o dovute interlocuzioni e consultazioni con i soggetti a vario titolo interessati dalla ristrutturazione, e, su tutti, con la compagine sociale. A tale proposito, al fine di evitare contestazioni di “abuso”[33] da parte degli amministratori si ritiene che (i) la decisione di differire il momento in cui si presenterà la domanda dovrà essere ampiamente motivata e (ii) l’intervallo temporale fra decisione e domanda dovrà essere non irragionevolmente troppo lungo. 
(c) A prescindere dalle ragioni della crisi sembra opportuno che gli amministratori, qualora intendano intraprendere un percorso di risanamento, convochino i soci, eventualmente su richiesta di questi ultimi, prima dell’accesso (o dell’assunzione della decisione di accedere) a uno strumento di regolazione della crisi, al fine di: (i) verificare se essi siano o meno disponibili ad immettere risorse monetarie in società così da evitare l’ingresso in una procedura di regolazione del dissesto; (ii) verificare se essi siano o meno disposti a mettere a disposizione della società beni immateriali funzionali al buon esito delle operazioni di risanamento (ad esempio conoscenze, know-how, informazioni, relazioni commerciali, reputazione personale, ecc.) e favorire l’avvio di negoziazioni fra i soci stessi al fine del raggiungimento di accordi, ad esempio, sulle modalità, l’oggetto e i contenuti del contributo del singolo al successo del piano di ristrutturazione; (iii) stimolare il rilascio da parte dei soci di pareri e raccomandazioni non vincolanti rispetto all’indirizzo da dare alla ristrutturazione. 
(d) Con riferimento al contenuto da dare al piano sotteso a uno strumento di regolazione della crisi con finalità di risanamento, non sembra che – salvo il dovere di garantire a ciascuna parte interessata (ivi inclusi i soci) un trattamento non deteriore rispetto a quanto ricavabile in ipotesi di liquidazione giudiziale – sussistano obblighi a contenuto specifico in capo agli amministratori. Sembra invece opportuno che il piano risulti frutto di una diligente, meditata ed equilibrata composizione di tutti gli interessi in gioco (ivi inclusi quelli dei soci). Ciò si evincerà in concreto soprattutto dalle motivazioni che accompagnano il piano, che dovrebbero illustrare le consultazioni e interlocuzioni avviate, le ragioni per le quali si intende eventualmente discostarsi da pareri non vincolanti ricevuti nonché le ragioni che giustificano la compressione dei diritti dei soci e delle altre parti interessate. 

Note:

[1] 
Si segnala che la versione dell’art. 120 bis CCII precedente rispetto al decreto correttivo approvato dal Consiglio dei Ministri in data 10 giugno 2024 (d’ora in avanti, il “correttivo”) nulla diceva per il caso in cui la società si trovasse in stato di liquidazione, per cui sorgeva l’interrogativo se la competenza dei liquidatori in ordine alla decisione sull’accesso alla procedura e sui contenuti del piano presupponesse una specifica investitura da parte dell’assemblea o fosse implicata dall’originario atto di nomina. (e v. le critiche sul punto di M. Spadaro, Il concordato delle società, in Dirittodellacrisi.it, Numero speciale Settembre 2022. Studi sull’avvio del codice della crisi, 114). Il decreto correttivo è intervenuto in materia, sciogliendo il dubbio in favore della seconda soluzione. Si precisa inoltre che le decisioni degli amministratori in merito alla decisione sull’accesso e sulla determinazione del contenuto del piano devono risultare da verbale redatto da notaio e devono essere iscritte nel registro delle imprese. 
[2] 
V., fra gli altri, O. Cagnasso, Le modificazioni statutarie funzionali al buon esito della ristrutturazione, in Società, 2023, 241; P.M. Sanfilippo, L’accesso delle società agli strumenti di regolazione. Note minime a margine dell’art. 120 bis del codice della crisi, in Dir. fall., 2023, I, 495 s.; R. Sacchi, La governance societaria nella crisi d’impresa, in La crisi d’impresa nel nuovo codice: problemi e prospettive, a cura di F. Barachini, Torino, Giappichelli, 2024, 176; F. Briolini, I conflitti tra amministratori e soci in sede di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Prime riflessioni, in NDS, 2023, 17, nt. 21. In senso dubitativo v. D.U. Santosuosso, Il principio di correttezza nel diritto societario della crisi (abuso o eccesso di potere nel procedimento di ristrutturazione). Doveri degli amministratori e posizione dei soci, in AGE, 2023, 258. 
[3] 
La norma non chiarisce se l’obbligo scatti dopo l’assunzione della decisione ma prima dell’iscrizione nel registro delle imprese oppure direttamente dopo l’iscrizione nel registro delle imprese. 
[4] 
Infatti, un’adeguata informazione parrebbe indispensabile a consentire ai soci di valutare e di elaborare una proposta da porre in competizione con quella degli amministratori. È da ritenere, tuttavia, che i soci abbiano il diritto di chiedere al commissario giudiziale, al pari dei creditori ai sensi degli artt. 165, comma 3, L. fall. e 92, comma 3, CCII, tutte le informazioni utili per la presentazione di proposte concorrenti, tra le quali, allora, anche i dettagli della proposta principale degli amministratori e del relativo piano. In questo senso cfr. A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in Ristrutturazioni aziendali.ilcaso.it, articolo del 22 settembre 2022, 19; S. Ambrosini, Il codice della crisi dopo il D.lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell’impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), in Dir. fall., 2022, I, 837 ss., 843; analogamente v. G. Scognamiglio, F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, in NDS, 2022, 1179, nt. 31. 
[5] 
Cfr. M.S. Spolidoro, I soci dopo l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi, in Riv. Soc., 2022, 1257. 
[6] 
In senso critico nei confronti del tenore letterale del comma quarto dell’art. 120 bis, il quale lascia suppore che la revoca degli amministratori inefficacemente disposta in quanto priva di giusta causa riviva dopo l’omologazione R. Rordorf, I soci di società in crisi, in Società, 2023, 10, p. 1149 s., il quale argomenta che solo per fatti sopravvenuti all’omologazione riprende vigore l’ordinario regime di revocabilità degli amministratori. Contra, nel senso cioè che gli effetti della revoca senza giusta causa rimangono solo sospesi fino all’omologazione, parrebbe, F. Bartolini, sub art. 120 bis, in Commentario al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, diretto da F. Di Marzio, Milano, Giuffrè, 2022, 551. 
[7] 
V., ad esempio, F. Guerrera, L’espansione della regola di competenza esclusiva degli amministratori nel diritto societario della crisi fra dogmatismo del legislatore e criticità operative, in Riv. soc., 2022, 1274; R. Brogi, I soci e gli strumenti di regolazione della crisi, in Fallimento, 2022, 1291. 
[8] 
V. ad esempio, A. Rossi, I soci, cit., 3; O. Cagnasso, L’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società: la posizione degli amministratori, in Dirittodellacrisi.it, articolo del 1° febbraio 2023, 7. 
[9] 
V. in luogo di molti L. Stanghellini, Le crisi di impresa tra diritto ed economia. Le procedure di insolvenza, Bologna, Il Mulino, 2007, 40 ss. 
[10] 
V. F. Guerrera, L’espansione, cit., 1277-1278 che ritiene che l’art. 120 bis CCII implichi una visione della società come asset nelle mani dei creditori. Cfr. anche M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, in Banca borsa tit. cred., 2023, I, 169, secondo il quale il nostro sistema avrebbe integralmente accolto la tesi dello “shift of fiduciary duties”.
[11] 
Cfr. ad esempio O. Cagnasso, L’accesso, cit., 4; F. Guerrera, L’espansione, cit., 1274. V. inoltre la Relazione Illustrativa allo schema di D.Lgs. di attuazione della direttiva, resa nota nel mese di giugno 2022, reperibile in internet al seguente indirizzo: Dirittodellacrisi.it, p. 74, la quale riporta che, ai sensi della nuova disciplina, pur mantenendo i soci un diritto di informativa sull’avvio e sull’andamento della ristrutturazione, essi non hanno la possibilità di ostacolare «anche solo una delle […] fasi [della ristrutturazione]», non potendo anzitutto revocare gli amministratori (se non per giusta causa) né contribuire in alcun modo a definire direttamente i contenuti del piano. 
[12] 
M.S. Spolidoro, I soci dopo l’accesso, cit., 1256 e 1267; nel senso della facoltà ma non dell’obbligo di convocazione F. Briolini, I conflitti tra amministratori e soci in sede di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Prime riflessioni, in NDS, 2023, 19. 
[13] 
V. O. Cagnasso, Le modificazioni, cit., 241 e 247; Id., L’accesso, cit., 10; O. Cagnasso-C.F. Giuliani-G.M. Miceli, L’accesso delle società al concordato preventivo, in Società, 2023, 984; F. Briolini, I conflitti, cit., 19; P.M. Sanfilippo, L’accesso, cit., 508. 
[14] 
F. Viola, Sul problematico coinvolgimento dei soci nella decisione di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Rivista ODC, 2023, 987 s. 
[15] 
Trib. L’Aquila, sez. impr., 18 aprile 2023, in Dirittodellacrisi.it. 
[16] 
L. Panzani-E. La Marca, Impresa vs. soci nella regolazione della crisi. Osservazioni preliminari su alcune principali novità introdotte con l’attuazione della Direttiva Insolvency, in NDS, 2022, 1508; M. Campobasso, La posizione dei soci, cit., 183; D.U. Santosuosso, Il principio di correttezza, cit., p. 265. 
[17] 
R. Sacchi, La governance societaria cit., 186, secondo il quale peraltro in un caso del genere non dovrebbe trovare applicazione la business judgment rule
[18] 
A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, in Ristrutturazioni aziendali.ilcaso.it, articolo dell’11 ottobre 2022, 12-13 e F. Guerrera, L’espansione, cit., p. 1286 ss., che ritiene i soci legittimati all’impugnazione ex. art. 2388, quarto comma c.c. in ipotesi di vizi formali o sostanziali del procedimento deliberativo degli amministratori; nel senso che i vizi rilevanti in relazione alle deliberazioni consiliari di accesso a uno strumento di regolazione della crisi ed aventi ad oggetto modifiche statutarie debbano essere quelli previsti dalla disciplina dell’invalidità delle deliberazioni dell’assemblea v., O. Cagnasso, Le modificazioni, cit., 247 ss. 
[19] 
Si ritiene che l’azione di responsabilità possa essere esercitata: (i) in caso di negligente, irragionevole o dolosa scelta dello strumento di regolazione della crisi (M.S. Spolidoro, I soci dopo l’accesso, cit., 1268); (ii) in caso di vizi di legittimità sostanziale dell’atto di accesso (conflitto di interessi, abuso, errore) (F. Guerrera, L’espansione, cit., 1286 ss.). 
[20] 
All’abuso viene ricondotta la presentazione da parte degli amministratori di una domanda di accesso al concordato: (i) in modo irragionevolmente avventato; (ii) al solo fine di estromettere la minoranza dei soci; (iii) al fine di stabilizzare sé stessi nella carica a fronte del cambiamento del socio di maggioranza; (iv) al solo fine di rendere applicabile la disciplina sulla revoca “aggravata” di cui all’art. 120 bis, CCII; (v) in assenza della preventiva convocazione dei soci ai fini informativi e per ottenere un contributo consultivo; (vi) senza tenere adeguatamente conto di tutti gli interessi rilevanti. Cfr. sul punto, sia pure con diverse sfumature, L. Stanghellini, Il governo della società fra codice civile e codice della crisi, in AGE, 2023, 31; G. D’Attorre, Scelta dello strumento di gestione della crisi e business judgment rule, in AGE, 2023, 163; P.M. Sanfilippo, L’accesso, cit., 511; N. Michieli, Il ruolo dell’assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell’impresa alla luce del D.Lgs. n. 83/2022, in Riv. soc., 2022, 861; F. Viola, Accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza e revoca degli amministratori di società in house, in Dir. fall., 2024, II, 397 ss. 
Fra le condizioni di legge la cui assenza legittimerebbe la revoca degli amministratori si annovera anche: (i) il rispetto da parte degli amministratori dei doveri informativi in favore dei soci di cui all’art. 120 bis, comma 3, CCII (R. Brogi, I soci, cit., 1292; P.M. Sanfilippo, L’accesso, cit., 511); (ii) l’adempimento degli amministratori all’obbligo di tempestiva rilevazione della crisi nonché di “attivazione” di cui agli artt. 3, CCII e 2086, comma 2, c.c. (R. Brogi, I soci, cit., 1292; A. Santoni, Doveri e responsabilità degli amministratori durante le procedure di ristrutturazione, in Dir. fall., 2023, I, 830). 
[21] 
Trib. L’Aquila, sez. impr., 18 aprile 2023, cit. 
[22] 
Sull’esperibilità del rimedio ex art. 2409 c.c. v. G.B. Portale, Il codice italiano della crisi d’impresa e dell’insolvenza: tra fratture e modernizzazione del diritto societario, in Riv. soc., 2022, 1151; G. D’Attorre, Scelta dello strumento, cit., 163. 
[23] 
Nel senso che anche la denunzia ex art. 2409 c.c. incontra gli stessi limiti sostanziali della revoca assembleare F. Guerrera, L’espansione, cit., p. 1282; diversamente, ma in senso dubitativo, P.M. Sanfilippo, L’accesso, cit., 505. 
[24] 
La necessità della persistenza della delibera assembleare in caso di proposte concorrenti viene ricavata principalmente dall’art. 118 CCII: O. Cagnasso, Le modificazioni, cit., 245 e I. Pagni-M. Fabiani, Le operazioni straordinarie nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza tra l’art. 116 egli artt. 120 bis ss. CCII, 1316. 
[25] 
I. Pagni-M. Fabiani, Le operazioni straordinarie, cit., 1316 e 1328. 
[26] 
Lo stesso quesito si pone in relazione alle s.r.l. che abbiano adottato il modello dell’amministrazione disgiuntiva ex art. 2475, terzo comma, c.c. 
[27] 
O. Cagnasso, Le modificazioni, cit., 241 e O. Cagnasso- C.F. Giuliani- G.M. Miceli, L’accesso, cit., 985. 
[28] 
O. Cagnasso, Le modificazioni, cit., 242, F. Viola, I diritti di voice dei soci nel concordato preventivo della società, Tesi di dottorato, Università di Milano, 83 ss. 
[29] 
F. Viola, I diritti di voice dei soci, cit., 83 ss. 
[30] 
F. Viola, I diritti di voice, cit., 85 ss. 
Per la tesi della vincolatività per gli amministratori delle decisioni assunte dai soci v. P. Benazzo, L’organizzazione della nuova s.r.l. fra modelli legali e statutari, in Società, 2003, 1062 ss., 1072 ss.; per la tesi della non vincolatività v. A.M. Leozappa, Il “socio-risparmiatore” nella società a responsabilità limitata: diritti particolari e decisioni ex art. 2479 c.c., in Riv. dir. comm., 2006, I, 281 ss., 288 ss. 
[31] 
O. Cagnasso, Le modificazioni, cit. 241 s; 985; F. Briolini, I conflitti, cit.,18; P.M. Sanfilippo, L’accesso, cit., 497. Ma v. in senso contrario, argomentando sul presupposto della non vincolatività per gli amministratori della volontà dei soci F. Viola, I diritti di voice dei soci nel concordato preventivo della società, Tesi di dottorato, Università di Milano, 83 ss. 
[32] 
La legittimità di questa formula era oggetto di dibattito prima dell’emanazione del decreto correttivo. Secondo un primo orientamento la decisione sull’accesso doveva necessariamente contenere anche gli elementi del piano e della proposta o quantomeno quelli essenziali e caratterizzanti, come la scelta dello specifico strumento di regolazione della crisi che si intendesse attivare, nella misura in cui stabiliva che «l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza è deciso, in via esclusiva, dagli amministratori, unitamente al contenuto della proposta e alle condizioni del piano (corsivo aggiunto)»: F. Bartolini, sub art. 120 bis, cit., p. 550. Secondo un diverso orientamento, tale scissione non era reputata di per sé in contrasto con i principi posti dall’ordinamento, e si riteneva che l’avverbio «unitamente» fosse frutto di un’imprecisione linguistica del legislatore e valesse a significare “così come” o “come pure”: F. Viola, Accesso a uno strumento di regolazione della crisi, cit., 392 e nt. 13. In giurisprudenza v. il caso deciso da Trib. L’aquila, sez. Impr., 18 aprile 2023, cit., nel quale la società aveva proceduto ad una segmentazione della decisione di accesso nei termini qui discussi. 
[33] 
Ad esempio per aver essi assunto la decisione di voler fare accesso a una procedura al solo fine di rendere applicabile la disciplina sulla revoca “aggravata” di cui all’art. 120 bis, quarto comma, CCII.

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