La considerazione per la quale il piano sottostante a uno strumento di regolazione della crisi (e specialmente un piano concordatario) – là dove contempli la continuazione dell’attività d’impresa, modificazioni statutarie e operazioni riorganizzative – può impattare profondamente sui diritti dei soci, il cui contributo attivo alla ristrutturazione è spesso essenziale ai fini del buon esito della stessa, sta alimentando un interessante dibattito in merito alla possibilità di ricostruire in via interpretativa (e di definire l’ampiezza di) talune prerogative decisionali/organizzative dei soci nel contesto di una procedura di regolazione della crisi.
A tal proposito, verranno sinteticamente esaminati di seguito gli strumenti e gli argomenti che la dottrina, la giurisprudenza e la prassi hanno individuato al fine di consentire ai soci di essere coinvolti nel procedimento in cui si sviluppa uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, o di incidere altrimenti sulle decisioni ad esso relative.
(A) Informativa preventiva in favore dei soci e loro contributo consultivo
Diversi Autori, sia pure con diverse sfumature, valorizzano la possibilità (e in alcuni casi argomentano la doverosità) per gli amministratori di informare i soci prima della presentazione della domanda di concordato o dell’assunzione della decisione di voler fare accesso alla procedura, al fine di ascoltare le loro opinioni e ricevere dagli stessi un contributo di tipo consultivo rispetto all’indirizzo da dare alla ristrutturazione. L’informativa prevista dall’art. 120 bis, terzo comma, CCII, non è generalmente ritenuta sufficiente a tutelare adeguatamente la posizione dei soci. Essa infatti: (i) opera solo successivamente rispetto all’avvenuta decisione di accedere a uno strumento di regolazione della crisi; (ii) implica una concezione dei soci ex latere creditoris; (iii) ha tendenzialmente la funzione di stimolare l’esercizio da parte dei soci di poteri di “reazione” rispetto alla proposta presentata (o la cui presentazione è stata decisa) dagli amministratori (ad es. del diritto di avanzare proposte concorrenti) e di consentire loro di esercitare il diritto di voto in modo informato, ma non anche quella di favorire il loro intervento in senso “costruttivo” sulla proposta degli amministratori.
In particolare, secondo un primo orientamento gli amministratori potrebbero sempre convocare preventivamente i soci, sulla base di ragioni di opportunità e in base a valutazioni svolte caso per caso. Essi non sarebbero in via generale obbligati a convocarli, salvo che la mancata convocazione non denoti una scelta irragionevole e squilibrata. I soci, a loro volta, potrebbero chiedere di essere convocati a fini informativi, non appena intuiscano l’imminente accesso della società al concordato e purché ciò non risulti in un ritardo nell’attivazione dello strumento di regolazione della crisi prescelto[12].
Secondo un altro orientamento sarebbe legittimo – e secondo alcuni opportuno – l’inserimento nello statuto di una apposita clausola che attribuisca ai soci il diritto di informazione preventiva e quello di esprimersi in funzione consultiva, anche al fine di favorire il dialogo fra soci e amministratori ed evitare possibili contenziosi[13].
Secondo un ulteriore orientamento, sussisterebbe almeno in determinati casi (in quanto desiderabile per diverse ragioni e argomentabile sulla base di elementi sistematici e testuali), un vero e proprio obbligo di coinvolgimento preventivo dei soci con funzione consultiva, idoneo ad impattare sul piano delle motivazioni che devono sorreggere la decisione degli amministratori[14].
La giurisprudenza edita sul tema, pur pronunciandosi con riferimento al concordato di una società per azioni inhouse, sembra invece orientata nel senso che, in qualsiasi società, sia essa in house o non, la decisione di accesso degli amministratori non necessita di «preventivi confronti, pareri o approvazioni di sorta da parte degli altri organi sociali»[15].
(B) Contestazione diretta o indiretta del contenuto del piano e delle scelte procedimentali effettuate dagli amministratori
Dato che sono gli amministratori a definire in via esclusiva i contenuti del piano e che i soci tendenzialmente non sono coinvolti in pendenza di procedura con la tecnica “societaria” della delibera assembleare sulle operazioni contemplate nel piano per le quali il passaggio assembleare sarebbe necessario ai sensi delle regole generali, ma con il voto sulla proposta e possibile applicazione del meccanismo della ristrutturazione trasversale, in letteratura si sta diffondendo l’opinione secondo la quale ai soci deve comunque essere consentito contestare le scelte effettuate dagli amministratori ed espresse nel piano ovvero quelle attinenti ai profili procedurali relativi all’accesso alla procedura (come ad esempio la scelta di scindere temporalmente il momento della decisione di accedere da quello della presentazione della domanda pur senza presentare una domanda “in bianco”).
In particolare, secondo un primo orientamento ai soci dovrebbe essere riconosciuto il diritto di opporsi all’omologazione, non solo per far valere il pregiudizio subito rispetto all’alternativa liquidatoria, ma più in generale in tutte le ipotesi di “indebita” (intesa nel senso di manifestamente sproporzionata e irragionevole) compressione dei loro diritti per effetto del piano concordatario[16] ovvero di abusi e manovre opportunistiche degli amministratori, eventualmente collusi con i soci di maggioranza[17].
Un diverso orientamento fa invece leva sulla possibilità per i soci di impugnare ex art. 2388, quarto comma, c.c. la delibera consiliare avente ad oggetto la decisione di accedere al concordato in quanto direttamente lesiva dei loro diritti[18], o – nel caso di preclusione dell’impugnazione ex art. 2377, terzo comma, c.c. – di agire contro gli amministratori per il risarcimento del danno ex art. 2395 c.c., con tuttavia significativi problemi in punto di prova del danno e del nesso di causalità[19].
Si valorizza poi l’istituto della revoca per giusta causa degli amministratori ex art. 120 bis, quarto comma, CCII, ritenendosi, in particolare, che l’assenza delle condizioni di legge tale da giustificare la revoca sia riconducibile al manifesto abuso da parte degli amministratori nella presentazione della domanda o nell’assunzione della decisione di accedere alla procedura concordataria, ovvero a macroscopici e grossolani errori o inadempimenti degli amministratori, tali da determinare, sulla base di elementi razionali ed oggettivi, il deterioramento del rapporto fiduciario che lega questi ultimi ai soci[20].
Anche la giurisprudenza[21] si è occupata della questione della revoca per giusta causa degli amministratori, chiarendo che: (i) in caso di scissione temporale fra l’iniziale decisione sull’accesso e la successiva presentazione della domanda di accesso a uno specifico strumento la presenza delle condizioni di legge – quale circostanza idonea ad escludere l’integrazione della giusta causa ai sensi dell’art. 120 bis, quarto comma, CCII – è riferibile sia al primo che al secondo momento; (ii) l’autorità giudiziaria tenuta ad approvare la delibera di revoca deve non solo e preliminarmente accertare che tale delibera menzioni ragioni diverse dalla decisione di accesso allo strumento, ma anche spingersi ad una disamina nel merito del provvedimento revocatorio, verificando in concreto la sussistenza di una giusta causa, secondo il modello del “controllo intrinseco”; (iii) la giusta causa si fonda non solo su specifici inadempimenti degli amministratori agli obblighi inerenti alla loro carica, ma anche su fatti o circostanze non consistenti in comportamenti degli amministratori che tuttavia siano oggettivamente valutabili come idonei a mettere in dubbio le capacità degli stessi di proseguire correttamente nell’esercizio dell’incarico.
Ulteriore strumento nelle mani dei soci per reagire alla scelta effettuata dagli amministratori in punto di accesso è quello della denunzia al tribunale di gravi irregolarità nella gestione ex art. 2409 c.c.[22], funzionale alla nomina di un amministratore giudiziario. A questo proposito, in dottrina è dibattuta la questione se la denunzia ex art. 2409 c.c. incontri o meno gli stessi limiti della revoca degli amministratori ex art. 120 bis, quarto comma, CCII, cioè se anche in tal caso sia necessaria la presenza di una giusta causa[23].
Inoltre, secondo alcuni, il meccanismo del classamento dei soci previsto dall’art. 120 ter CCII non escluderebbe comunque la necessità di una delibera assembleare avente ad oggetto l’eventuale operazione straordinaria prevista nel piano in tutte le ipotesi in cui non trova applicazione l’art. 120 quinquies CCII, cioè in ipotesi di: (i) proposte concorrenti[24]; (ii) proposte ad esecuzione anticipata rispetto all’omologazione del concordato; (iii) proposte ad esecuzione “ordinaria”, qualora però non si concepisca l’operazione straordinaria come una modifica statutaria in senso stretto[25]. Secondo questo orientamento i soci legittimati avrebbero poi anche il diritto di impugnare la delibera di approvazione dell’operazione secondo le regole ordinarie.
Infine, per completezza, si segnala la legittimazione dei soci che rappresentano almeno il dieci per cento del capitale ad avanzare proposte concorrenti (art. 120 bis, quinto comma CCII). Si tratta di uno strumento idoneo ad innescare un meccanismo competitivo nella proposizione delle domande concordatarie, che può consentire ai soci di offrire ad un tempo soluzioni più gratificanti per i creditori e in linea con le proprie esigenze.
(C) Coinvolgimento dei soci nella decisione di accesso ai sensi delle regole societarie ordinarie
Rimane poi da verificare se trovino o meno applicazione le ordinarie regole di diritto societario che attribuiscono ai soci poteri decisionali più o meno intensi, a seconda dei casi, i quali potrebbero esprimersi anche in relazione alla decisione di accesso al concordato. Tali poteri dei soci potrebbero infatti non essere compatibili con il principio di competenza esclusiva degli amministratori di cui all’art. 120 bis, primo comma, CCII In particolare, le principali questioni sono:
(a) se nelle società di persone possa trovare integrale applicazione la disciplina sulla amministrazione disgiuntiva, ai sensi della quale in caso di insorgenza di un conflitto fra soci amministratori – nello scenario che qui rileva in merito alla presentazione di una domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi – è rimesso alla maggioranza dei soci (calcolata per quote di interesse) il potere di decidere sull’opposizione proposta e, così, di risolvere il conflitto[26]. Sul tema si registra in letteratura una tesi contraria all’applicabilità della disciplina dell’amministrazione disgiuntiva[27];
(b) se con riferimento alle s.r.l.:
(i) possano prevedersi diritti amministrativi particolari ex art. 2468, terzo comma c.c., che abbiano per effetto quello di attribuire ad uno o più soci il potere, in via stabile, di decidere le sorti dell’impresa in crisi e se si applichi o meno rispetto al piano di ristrutturazione l’art. 2479, secondo comma, n. 5), c.c. che attribuisce all’assemblea dei soci la competenza sulle operazioni che comportano una rilevante modificazione dei loro diritti. A tal proposito si registra un orientamento che ritiene non configurabili diritti particolari di tale contenuto[28] e non applicabile l’art. 2479, secondo comma, n. 5), c.c.[29];
(ii) sia possibile, con riferimento alla decisione di accesso a uno strumento di regolazione della crisi, il ricorso al meccanismo di approvazione dei soci su devoluzione/avocazione estemporanea ex art. 2479, primo comma, seconda parte, c.c. Con riferimento a tale questione l’ammissibilità del ricorso al meccanismo di devoluzione/avocazione di cui all’art. 2479, primo comma, c.c. parrebbe essenzialmente dipendere dal significato e dall’effetto che si voglia attribuire all’approvazione dei soci: difficilmente si potrebbe argomentare la compatibilità di tale meccanismo con l’art. 120 bis, primo comma, c.c. qualora si aderisca alla tesi che ritiene vincolanti per gli amministratori le decisioni assunte dai soci, mentre maggiore spazio per affermare tale compatibilità discenderebbe dall’adesione alla tesi della non vincolatività per gli amministratori della decisione assunta dai soci[30].
(c) se con riferimento alle s.p.a. sia possibile prevedere nello statuto, ai sensi dell’art. 2364, primo comma, n. 5, c.c., l’autorizzazione dei soci rispetto alla decisione degli amministratori di accedere a uno strumento di regolazione della crisi. In dottrina la soluzione prevalente sembra quella della non legittimità di clausole statutarie aventi tale contenuto, che argomentano sul presupposto della vincolatività per gli amministratori della volontà dei soci ex art. 2364, primo comma, n. 5, c.c.[31].