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La cessione d’azienda nella composizione negoziata*

Marco Arato, Ordinario di diritto commerciale nell'Università di Genova

15 Aprile 2024

*Lo scritto riprende i contenuti della relazione tenuta dall’A. al convegno dal titolo Regolazione della crisi e competitività della composizione negoziata - Parma, Teatro Regio, 12 aprile 2024.
L’A. si sofferma ad ampio spettro sul momento cruciale della cessione d’azienda attuata nel perimetro della composizione negoziata. 
Riproduzione riservata
1. Nel corso della composizione negoziata la cessione dell’azienda può avvenire in qualunque momento e può essere effettuata o in applicazione dell’art. 22 lett. (d) CCII oppure nelle forme civilistiche ordinarie previste dall’art. 2556 c.c. con applicazione dell’art. 2560 c.c. che rende responsabile anche l’acquirente per i debiti ante cessione che risultino dalle scritture contabili obbligatorie). Va detto che il trasferimento dell’azienda nelle forme ordinarie rappresenta una ipotesi residuale, attesa la convenienza del disposto dell’art. 22, lett. d), CCII che invece esenta la vendita dall’applicazione dell’art. 2560 c.c. Si tratta sicuramente di un’ipotesi residuale che però non può essere esclusa a priori. Si pensi, ad esempio, a una composizione negoziata che si chiude con una convenzione di moratoria con pagamento integrale dei creditori ad esito della quale l’azienda viene ceduta e i creditori vengono pagati integralmente ad opera del cessionario dell’azienda (in questo caso, se la vendita avviene ad esito della convenzione di moratoria, non dovrebbero trovare applicazione né le norme sulla competitività della vendita e neppure l’obbligo di informativa all’esperto trattandosi di un’operazione straordinaria che si realizza dopo la conclusione della composizione negoziata). 

2. Come già detto, l’art. 22, lett. d), CCII prevede la possibilità che la vendita, purchè autorizzata dal tribunale, deroghi alla disciplina civilistica dell’art. 2560 c.c. (corresponsabilità dell’acquirente per i debiti che risultano dalle scritture contabili obbligatorie) ma non alla responsabilità solidale verso i lavoratori ex art. 2112 c.c.. Nel procedimento di vendita il tribunale deve: 
(a) Verificare la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla miglior soddisfazione dei creditori; 
(b) Sentire le parti interessate; 
(c) Verificare il rispetto del principio di competitività nella selezione dell’acquirente; 
(d) Adottare le misure ritenute opportune, tenuto conto delle istanze delle parti interessate, al fine di tutelare gli interessi coinvolti; 
(e) Decidere in composizione monocratica. 
Il rispetto del procedimento previsto dall’art. 22 CCII è la condizione necessaria e sufficiente per derogare non solo al disposto dell’art. 2560 c.c., ma per dare stabilità e definitività alla vendita ai sensi dell’art. 24 CCII anche in caso di futuro insuccesso della composizione negoziata e sottoposizione dell’impresa a procedure concorsuali ivi compresa la liquidazione giudiziale. 

3. Occorre chiedersi se la vendita dell’azienda autorizzata ex art. 22 comma 1 lett. (d) CCII sia una vendita giudiziale con effetti purgativi anche delle trascrizioni pregiudizievoli. In dottrina (Spiotta, in Fall. 1/2024, 105 che cita Mancinelli in Eutekne 16.11.2023) si è escluso che possa trovare applicazione l’art. 217, comma 2, relativo all’ordine di cancellazione da parte del giudice delle iscrizioni pregiudizievoli “una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo” in quanto tale norma non è richiamata nella composizione negoziale. In effetti, nella composizione negoziale il trasferimento avviene con atto stipulato dall’imprenditore (e quindi con atto notarile da iscriversi al registro delle imprese ai fini della sua opponibilità) non essendo previsto un decreto di trasferimento del tribunale, fermi però restando gli effetti purgativi sui debiti anteriori a vantaggio dell’acquirente dell’azienda per effetto dell’autorizzazione del tribunale. Non mi sembra però convincente l’affermazione espressa da Mancinelli secondo la quale “per le iscrizioni ipotecarie la garanzia immobiliare permane (e di ciò si dovrebbe tener conto nella determinazione del prezzo dell’azienda) e, in ipotesi di inadempimento, il creditore beneficiario può intraprendere l’azione espropriativa sui cespiti gravati, anche se pervenuti in proprietà dell’acquirente tramite una cessione d’azienda autorizzata ex art. 22”. Tale affermazione svuoterebbe infatti di contenuto il disposto dell’art. 22 CCII che invece esonera l’acquirente dalla responsabilità ex art. 2560 c.c. 
Né si può pensare che, dopo la cessione dell’azienda, l’acquirente diventi un terzo datore di ipoteca e che risponda, in caso di inadempimento, del debito del venditore dell’azienda. L’effetto purgativo sui debiti anteriori fa venir meno la garanzia ipotecaria iscritta a garanzia del pagamento di tali debiti proprio a seguito del mancato trasferimento del debito in capo all’acquirente di cui l’ipoteca garantiva il rimborso. Probabilmente l’inciso contenuto nell’art. 22 CCII secondo il quale il tribunale nell’autorizzare la vendita senza gli effetti di cui all’art. 2560, comma 2, può dettare “le misure ritenute opportune, tenuto conto delle istanze delle parti interessate al fine di tutelare gli interessi coinvolti” potrebbe essere interpretato nel senso di ricomprendere in tali misure anche l’ordine da parte del tribunale di cancellazioni delle trascrizioni una volta pagato il prezzo, con obbligo dell’acquirente di versare il prezzo (magari ridotto per effetto della composizione) direttamente al creditore ipotecario oppure su un conto vincolato all’ordine di giustizia. Insomma, vi sono vari modi pattizi o autorizzativi da parte del tribunale al fine di rendere effettivo l’effetto purgativo sui debiti anteriori in modo da evitare la distorsione derivante dalla permanenza delle trascrizioni pregiudizievoli a causa del mancato esplicito richiamo a questa vendita dell’art. 217, comma 2, CCII. Sarebbe tuttavia auspicabile un intervento “chirurgico” da parte del decreto correttivo al fine di rendere effettiva la natura paraconcorsuale della vendita dell’azienda autorizzata ex art. 22 CCII. 

4. L’estensione della liberazione dai debiti dell’azienda ceduta sicuramente non comprende i debiti nei confronti dei lavoratori per i quali ex art. 2112 c.c. rispondono in solido venditore e acquirente anche se le richieste economiche del lavoratore non fossero state avanzate prima della cessione (e fermi restando tutti gli ulteriori obblighi nei confronti dei lavoratori previsti dall’art. 2112 c.c., dal trasferimento automatico di tutti i dipendenti all’obbligo delle consultazioni sindacali). Secondo l’opinione prevalente la liberazione dai debiti non comprende neppure i debiti fiscali ai sensi dell’art. 14, comma 5 bis, D.Lgs. n. 472/1997. Tale norma, che esenta il cessionario dai debiti fiscali pregressi, si riferisce, infatti, alle cessioni avvenute “nell’ambito di una procedura concorsuale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti, di un piano attestato o di un procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio”. La norma non menziona né la composizione negoziata né il piano di ristrutturazione omologato (“pro”) né il concordato liquidatorio semplificato. 
Credo che a livello interpretativo vi sarebbero molti argomenti per invocare l’applicazione della norma alla composizione negoziata che non è una procedura concorsuale e neppure uno strumento di ristrutturazione, ma un “percorso” (auspicabilmente virtuoso) di ristrutturazione attraverso l’intervento di un mediatore. Ai fini fiscali la composizione non presenta differenze di sostanza rispetto al piano di risanamento, per il quale non è previsto in nessun caso l’intervento del giudice a differenza della composizione negoziata che invece nella cessione d’azienda agevolata e nella concessione delle misure protettive e cautelari prevede l’intervento del giudice). La ragione della mancata menzione nell’art. 14, comma 5 bis, D.Lgs. n. 472/1997 della composizione negoziata (e neppure del pro o del concordato liquidatorio semplificato che pure sono pacificamente delle procedure concorsuali), consiste nel mancato coordinamento di tale norma con i nuovi istituti previsti dal codice della crisi. Capisco che il carattere eccezionale di una norma derogatoria rispetto al normale regime fiscale potrebbe impedire una sua applicazione in via analogica, ma allora è auspicabile un intervento del legislatore anche in sede di decreto correttivo o in altre sedi. Senza contare che vi sono anche altri aspetti di natura fiscale che dovrebbero trovare soluzione, dall’esenzione da imposizione della sopravvenienza attiva derivante dalla ristrutturazione (analogamente a quanto avviene per tutti gli altri strumenti di ristrutturazione) all’applicazione della transazione fiscale anche alla composizione negoziata. 
In ogni caso, ritornando alla liberazione dai debiti fiscali ante cessione d’azienda ex art. 22 CCII, nella prassi le parti applicano l’art. 14, comma 2 ss., D. Lgs. n. 472/1997 chiedendo all’amministrazione finanziaria il rilascio del cd. “certificato fiscale” che, ove sia “clean”, esenta l’acquirente dalla responsabilità per debiti pregressi anche non ancora accertati. 

5. In dottrina (D’Attorre in www.dirittodellecrisi, 5 novembre 2021) ci si è chiesti se l’art. 22, comma 1, lett. d), CCII possa essere applicato analogicamente, oltre che alla cessione, anche all’affitto dell’azienda. La risposta che ci si è dati e che appare corretta è che la ratio della lett. (d) dell’art. 22 CCII consiste nella liberazione dell’acquirente dal rischio di pagamento dei debiti maturati ante cessione in deroga all’art. 2560, comma 2, c.c., laddove nell’affitto il sistema codicistico ordinario già esclude l’acquirente da tale per cui non è necessaria alcuna autorizzazione derogatoria da parte del giudice. 
A questo riguardo Trib. Piacenza, 1 giugno 2023, in www.ilcaso.it, ha esaminato una fattispecie interessante da un punto di vista fattuale. Il debitore aveva chiesto l’autorizzazione del giudice ex art. 22 CCII alla stipula di un contratto di affitto d’azienda con una società che era parte correlata della società debitrice (identità dell’organo amministrativo) in vista di una futura (a cinque anni) ed eventuale cessione dell’azienda all’affittuaria che aveva formulato una proposta irrevocabile di acquisto. Lo schema seguito dalle parti in questa vicenda è ben noto alla prassi di queste operazioni. Tuttavia, la pretesa di ottenere ora per allora l’autorizzazione a una vendita prevista dopo molto tempo e soprattutto eventuale, è apparsa al tribunale palesemente non funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori che necessita di dati attuali e soprattutto di un’operazione certa. Il tribunale ha pertanto dichiarato inammissibile l’istanza. Quid iuris se l’affitto fosse propedeutico alla cessione dell’azienda vista dal piano come naturale esito della ristrutturazione in una sorta di continuità indiretta. Credo che a questo riguardo l’operazione nel suo complesso e in particolare la vendita dovrebbe essere autorizzata ex art. 22, comma 1, lett. (d) CCII e il “principio di competitività nella selezione dell’acquirente” dovrebbe riguardare l’affittuario/acquirente. In un precedente del Tribunale di Parma, 4 novembre 2022 in www.ilcaso.it l’azienda era stata affittata a un soggetto che aveva presentato anche un’offerta irrevocabile di acquisto L’affitto, quale atto di straordinaria amministrazione, era stato stipulato con l’assistenza dell’esperto, dopodichè, individuato l’esito della composizione negoziata in un accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa, era stata chiesta l’autorizzazione alla vendita dell’azienda nella forma dell’art. 22, comma 2, lett. d), CCII (rectius ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. d), D.L. n. 118/2021 perché all’epoca della decisione il CCII, seppur con identico testo, non era ancora in vigore).Il Tribunale di Parma ha quindi disposto la vendita mettendo in gara l’offerta irrevocabile ricevuta. Non si conosce il contenuto del contratto di affitto (e l’eventuale presenza di clausole a tutela dell’affittuario in caso di soccombenza nella procedura competitiva). Non è difficile immaginare la presenza di clausole quanto meno di rimborso spese a favore dell’affittuario che ha consentito il mantenimento in vita dell’azienda. Probabilmente sarebbe stata legittima anche una clausola convenzionale di prelazione inserita nel contratto di affitto a tutela dell’affittuario che però non si desume dal corpo della decisione. 
 
6. L’art. 22, comma 1, lett. d), CCII non richiede necessariamente l’applicazione di procedure competitive nella scelta dell’acquirente ma, come ha correttamente affermato il Tribunale di Milano 1.2.2024, inedita la norma non meglio specifica quale sia il contenuto del principio di competitività ma può ritenersi che (allo scopo di evitare cessioni propriamente di comodo in un contesto asfittico o piegato ad un uso distorto dell’istituto) il tribunale possa verificare l’esistenza di eventuali soluzioni migliori di mercato anche mediante modalità che possano essere conformate e flessibili rispetto alle diverse circostanze del caso concreto ma che senz’altro devono essere compatibili con le esigenze di celerità e di urgenza che caratterizzano questa fase e che possono richiedere di derogare alle regole di apertura al mercato (e pur sempre in assenza di formalità prescritte)”. Anzi, il recente D.Dirigenziale 21.3.2023 (integrativo del D.Dirigenziale 28.9.2021) relativo alla cessione dell’azienda nella composizione negoziata, non ha più espresso l’obbligo di procedure competitive (contenuto nel precedente decreto), ma ha scritto che all’esperto potrà essere richiesto di “dare corso, o far dare corso, alla selezione dei soggetti potenzialmente interessati anche attraverso procedure competitive, raccogliendo le relative manifestazioni di interesse e le eventuali offerte vincolate”. Nella fattispecie milanese del 1.2.2024, la debitrice ha dato atto di aver selezionato l’offerente rispetto al quale ha chiesto di essere autorizzata a cedere l’azienda attraverso un articolato e competitivo meccanismo gestito da una primaria società di revisione che ha contattato ben 67 potenziali interessati. Tale procedura ha condotto all’individuazione del miglior offerente per una serie di ragioni attinenti non solo al prezzo offerto rispetto al quale era stato raggiunto il consenso da parte della totalità dei creditori bancari e del 90% dei creditori commerciali (pur in assenza del pagamento integrale dei crediti vantati), ma anche al salvataggio della forza lavoro e all’impegno al mantenimento per cinque anni della sede operativa in Italia. In sostanza il Tribunale ha ritenuto che l’offerta ricevuta fosse funzionale sia rispetto alla continuità aziendale sia rispetto alla migliore (e non massima) soddisfazione dei creditori come richiesto dall’art. 22 CCII. E’ bene precisare che i due requisiti (continuità aziendale e migliore soddisfazione dei creditori) si pongono in un rapporto paritetico come già aveva ritenuto D’Attorre, op. cit., e come recentemente ribadito dal Trib. Milano 12 agsto 2023, in Fall. 2024, 95 con nota di Spiotta. 
Ciononostante, nel caso esaminato dal Trib. Milano, 1 febbraio 2024, il giudice, rilevato che un altro offerente (giudicato meno conveniente dalla società, dall’esperto e dall’ausiliario nominato dal tribunale) aveva continuato a manifestare interesse all’acquisto, ha comunque disposto un (limitato) confronto competitivo tra le due offerte ricevute ponendo in gara l’offerta prescelta e invitando l’altro offerente, se lo riteneva, a pareggiarla in una sorta di asta impropria davanti all’ausiliario entro un termine molto breve con l’eventuale gara (si ritiene solo sul prezzo, anche se il provvedimento non lo dice) tra le due offerte che fossero state pareggiate. Nei fatti l’altro offerente non ha pareggiato l’offerta prescelta. In ogni caso il tribunale ha disposto, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. d), CCII che il prezzo di vendita dovesse confluire su un conto corrente bancario all’ordine dell’ausiliario, e ciò per evitare che il prezzo potesse essere destinato a finalità diverse da quelle previste dall’istanza di vendita (continuità aziendale e soddisfazione dei creditori). Nello stesso senso, circa la destinazione del prezzo di vendita, si era espresso anche Trib. Milano 12 agosto 2023, cit.

7. I provvedimenti giudiziari di vendita dell’azienda in occasione della composizione negoziata hanno dato modo di sciogliere alcuni nodi interpretativi che emergono dalla lettura dell’art. 22 CCII. 
In primo luogo, è ben vero che la vendita può aver luogo nel corso del percorso di composizione negoziata tuttavia tutti i provvedimenti noti (Trib. Parma, 4 novembre 2022, Trib. Milano, 12 agosto 2023 e Trib. Milano, 1 febbraio 2024) hanno autorizzato la vendita a conclusione del percorso di ristrutturazione, quando la soluzione era stata trovata e quando gli accordi con i creditori erano stati raggiunti (o nella forma del contratto ex art. 23, comma 1, lett. a), o nella forma dell’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa). I tribunali hanno fatto un condivisibile uso prudente dell’autorizzazione alla vendita dell’azienda in modo da inserire questa forma di continuità aziendale indiretta solo al termine del percorso negoziato, interpretando in modo rigoroso l’inciso (“… verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale”) posto all’inizio dell’art. 22, comma 1, CCII, quasi che la cessione dell’azienda (normalmente in esecuzione dell’art. 2560, comma 2) fosse l’atto conclusivo del risanamento. 
Secondariamente, all’interno della procedura di vendita, i tribunali hanno interpretato l’inciso “sentite le parti interessate e assunte le informazioni necessarie” in modo molto esteso e nello stesso tempo informale (come è informale tutta la procedura di composizione negoziata. Non è quindi necessario che venga fissata obbligatoriamente un’udienza ad hoc; l’individuazione delle parti interessate (tenuto conto che la composizione negoziata non deve necessariamente coinvolgere tutti i creditori) deve comprendere i creditori con cui l’impresa sta trattando e il cui accordo è alla base del piano, le organizzazione sindacali, le parti potenzialmente pregiudicate dalla vendita dell’azienda (e cioè quelle che perderebbero la garanzia patrimoniale), infine i fornitori abituali dell’impresa il cui comportamento potrebbe incidere sul buon esito della cessione (v. Trib. Milano, 12 agosto 2023, cit.). 
Infine, il rispetto del principio di competitività nella selezione dell’acquirente (che non significa necessità a tutti i costi del ricorso a una gara seppur informale) è stato correttamente interpretato come oggettiva e necessaria scelta del miglior offerente che può essere demandata allo stesso debitore sotto il controllo dell’esperto e dell’ausiliario (normalmente nominato dai tribunali italiani) purchè si documenti oggettivamente la trasparenza del percorso di individuazione dell’offerente (v. Trib. Milano, 1 febbraio 2024). Con un’ultima chiosa: l’art. 22 CCII indica come parametri per la scelta la continuità aziendale e la migliore (si ribadisce non massima) soddisfazione dei creditori. Sono due parametri che stanno sullo stesso piano e che possono comprendere, oltre al prezzo, anche altri elementi meritevoli di attenzione: non solo la conservazione dei livelli occupazionali e l’impegno alla continuità aziendale presso la stessa sede operativa per un certo numero di anni, ma anche l’impegno ad effettuare investimenti, l’impegno ad adeguare la produzione secondo standard di migliore salvaguardia ambientale. Sono parametri che in qualche modo assicurano la scelta dell’acquirente nella composizione negoziata in modo analogo a quanto è previsto dall’art. 63, comma 3, della Prodi bis
La circostanza che nelle grandi imprese la scelta dell’acquirente non si basi solo sul prezzo è basata sull’importanza sociale della grande impresa. Che analoghi parametri siano applicabili anche alla composizione negoziata, ma anche al concordato preventivo (ove il piano deve indicare i costi necessari per assicurare il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro e di tutela dell’ambiente, v. art. 87, comma 1, lett. f), indica un salutare cambio di prospettiva nella conduzione e conclusione degli strumenti, procedure e percorsi di ristrutturazione aziendale. E’ ben vero che nel concordato preventivo la scelta della migliore offerta va fatta nel raffronto con la prospettiva liquidatoria e quindi in chiave eminentemente economica, ma la rilevanza data a elementi contenuti nel piano di concordato, non direttamente incidenti sull’immediata soddisfazione dei creditori, rappresenta una nuova prospettiva di valutazione dei piani, soprattutto da parte dei giudici, prima ancora dei creditori, attenta a valori costituzionalmente protetti (tutela dell’ambiente, della salute, della sicurezza sul lavoro) di grado anche superiore rispetto alla libertà di iniziativa economica.

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