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Commento

Il trattamento di fine rapporto, il fondo di previdenza complementare e l’ammissione allo stato passivo fallimentare

Enrico Gragnoli, Ordinario di diritto del lavoro nell’Università di Parma

18 Marzo 2021

Visualizza: Trib. Siracusa, 20 gennaio 2021, Pres. Alì, Est. Maida

La nota prende in esame il decreto del Tribunale di Siracusa, reso il 20 gennaio 2021 (Pres. Alì, Est. Maida), che ha ritenuto che in caso di conferimento del trattamento di fine rapporto al fondo di previdenza complementare, solo questo ultimo può chiedere l’ammissione allo stato passivo fallimentare. Alla disamina critica segue l’argomentata illustrazione della prospettiva ermeneutica ritenuta più convincente sul tema in esame.
Riproduzione riservata
1 . Il conferimento del trattamento di fine rapporto ai fondi di previdenza
Nella consapevolezza delle difformi opinioni diffuse in giurisprudenza e, a quanto consta, delle diverse soluzioni applicative praticate in sede di ammissione allo stato passivo fallimentare, il decreto si è prefisso il ragionevole obbiettivo di cercare una definizione complessiva della questione, sulla scorta di un impegnativo ragionamento in diritto, con un taglio apprezzabile, sebbene le conclusioni non siano persuasive[1]. Anzi, lo scopo merita in sé un giudizio positivo, se si considera come, per quanto possa sorprendere la constatazione, invitata a pronunciarsi nell’ottobre 2010, la Covip si sia limitata a mettere in luce le differenti opinioni diffuse, invitando il prestatore di opere ad acquisire il consenso del suo fondo e, pertanto, ad aggirare il problema, a scanso di rischi di soccombenza[2]. La responsabilità di tali incertezze può essere ascritta all’art. 8 del decreto legislativo n. 252 del 2005, che non ha accolto l’idea della legge di delegazione n. 243 del 2004, la quale aveva suggerito un intervento radicale in merito, con la previsione della contitolarità del credito in capo al dipendente e al fondo[3]. 
Se ne è avveduta una recente ordinanza, che, seppure a proposito di una impresa non fallita, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 del decreto n. 252 del 2005, “nella parte in cui, stravolgendo lo spirito complessivo della delegazione parlamentare con cui era stato previsto un meccanismo di bilanciamento delle posizioni e dei poteri delle parti, a tutto danno ingiustificato del lavoratore, ha omesso di prevedere strumenti idonei a garantire una adeguata, piena ed efficace tutela del diritto di questo ultimo all'adempimento dell'obbligo di contribuzione incombente sul datore di lavoro”[4]. L’osservazione è perspicua, perché sottolinea la discrasia fra la legge di delegazione e il successivo decreto, il quale, non a caso, lascia molte incertezze[5], sebbene profili di illegittimità costituzionale imperniati sulla violazione dei criteri direttivi non abbiano mai molto successo, a maggiore ragione a tale distanza di tempo[6]. 
Tuttavia, non è impossibile una risposta al dubbio posto dal decreto in esame e presente nelle differenti impostazioni della giurisprudenza di merito, sulla base del discutibile diritto vigente e, cioè, dell’attuale versione dell’art. 8 del decreto n. 252 del 2005 (in attesa della decisione della Corte costituzionale). Se mai, si può anticipare, la soluzione persuasiva sul piano ricostruttivo è alquanto opinabile su quello della coerenza applicativa e, soprattutto, della rapida ed equa definizione delle procedure concorsuali, così che, almeno sul versante della giustizia sostanziale e della razionalità attuativa, l’art. 8 desta molte perplessità, come ravvisato dal decreto qui commentato e dall’ordinanza di rimessione citata[7]. 
In ogni caso, il problema è autonomo rispetto a quello, solo in apparenza simile, dell’istanza di ammissione allo stato passivo in caso di versamento del trattamento di fine rapporto al Fondo di tesoreria[8], a questo ultimo proposito con una soluzione consolidata della giurisprudenza di legittimità, poiché, si dice[9], “il lavoratore può proporre la domanda di ammissione per le quote non versate dal datore di lavoro fallito al fondo gestito dall'Inps, ai sensi dell'art. 1, comma settecentosettantacinquesimo, della legge n. 296 del 2006, dal momento che il datore di lavoro stesso non è un mero adiectus solutionis causa e non perde la titolarità passiva dell'obbligazione di corrispondere il trattamento”[10]. Le fonti sono diverse da quelle rilevanti in tema di conferimento ai fondi di previdenza complementare[11], come confermato dal fatto che, “nell'ipotesi di cessazione di un rapporto di lavoro, qualora non siano integrati tutti i presupposti perché si benefici della pensione integrativa, il dipendente non ha alcun diritto alla percezione dei contributi versati, in quanto manca uno specifico nesso di corrispettività tra il rapporto e la previdenza complementare”[12]. La natura previdenziale della prestazione[13] determina una differenza strutturale rispetto agli accantonamenti presso il Fondo di tesoreria, poiché non vedono modificata la loro natura, nel senso per cui, comunque, alla fine, il lavoratore percepisce la retribuzione[14]. 
2 . Le tesi del decreto in esame
Sottolineando a ragione come il problema dell’identificazione del soggetto che possa chiedere l’ammissione allo stato passivo dipenda dall’interpretazione dell’art. 8 del decreto n. 252 del 2005, il provvedimento in esame conclude che, “attraverso il ‘conferimento’ volontario, esplicito o tacito, da parte del lavoratore – conferimento (…) non revocabile – del trattamento di fine rapporto maturato a una forma di previdenza complementare, si attua una vera e propria cessione del relativo diritto al fondo (…) di volta in volta individuato, cessione da cui sorge (…) il diritto per il lavoratore a una prestazione”[15]. Ne deriverebbe la pretesa riconducibilità del cosiddetto “conferimento” alla cessione del credito, in contrasto con le indicazioni della legge di delegazione, non osservate, le quali avrebbero postulato la cosiddetta “contitolarità” fra il prestatore di opere e il fondo[16]. A esso spetterebbe in via esclusiva l’azione nei confronti del fallimento (e non solo), ferma l’esperibilità a favore del dipendente del rimedio dell’art. 2900, secondo comma, c.c. e, cioè dell’azione surrogatoria, nel caso di specie svolta in ritardo, in sede di opposizione e non nell’ambito dell’originaria istanza, con la conseguente declaratoria di inammissibilità per tardività[17]. 
Come è ovvio, l’azione dell’art. 2900 c.c. è funzionale al pagamento da parte della procedura concorsuale al fondo e non al dipendente[18], ma può essere esercitata con l’istanza di ammissione allo stato passivo[19], come sottolinea il decreto. Anzi, come soggiunge con rinvio all’art. 5, comma secondo, del decreto legislativo n. 80 del 1992, “l’adesione alla tesi qui accolta, che riconosce la legittimazione attiva unicamente al fondo (…), appare coerente con la (…) disciplina di accesso al Fondo di garanzia, bene potendo il lavoratore, in caso di inerzia del fondo, ottenere, attraverso la surrogatoria, l’ammissione del credito allo stato passivo della procedura e, per tale via, il versamento in favore del fondo pensionistico dei contributi omessi, a opera del Fondo di garanzia”[20]. 
In conclusione, si precisa, “diversamente opinando (…), l’ammissione al passivo del lavoratore, in caso di utile riparto, determinerebbe una inammissibile monetizzazione anticipata dell’accumulo previdenziale, in palese contrasto con le previsioni di cui al decreto n. 252 del 2005, le quali (…) subordinano il diritto alla prestazione pensionistica complementare alla maturazione dei requisiti per l’accesso alle prestazioni della previdenza obbligatoria, e il diritto di chiedere anticipazioni (…) al verificarsi delle fattispecie espressamente tipizzate dalla legge”[21]. 
Pertanto, con una motivazione complessa, il decreto in esame ritiene possibile dare un univoco significato all’espressione “conferimento”, propria dell’art. 8 del decreto n. 252 del 2005[22], fatta coincidere con la cessione, con la conseguente applicazione della relativa disciplina e, in particolare, con l’identificazione di inevitabili effetti traslativi, per ogni componente del trattamento di fine rapporto; la natura irrevocabile della decisione sorreggerebbe questa impostazione e l’unico strumento processuale del dipendente sarebbe l’azione surrogatoria, esperibile con l’istanza di ammissione allo stato passivo, purché la natura della domanda sia subito chiarita e abbia per oggetto la condanna del fallimento al pagamento al fondo, non allo stesso prestatore di opere, in coerenza con l’art. 2900 c.c.. Perciò, il dipendente non potrebbe mai fare valere il credito a suo favore, per la natura dispositiva definitiva del conferimento[23]. 
3 . La soluzione della giurisprudenza di legittimità
Il decreto in esame non si è avveduto dell’opposta convinzione della Suprema Corte, con una pronuncia non menzionata e persuasiva, perché molto più prudente nell’interpretazione dell’art. 8 del decreto n. 252 del 2005[24]. Infatti, si è considerata l’espressione “conferimento” “atecnica”, così “che deve essere qualificata giuridicamente”; il testo normativo “costituisce un sintomo ulteriore, sotto il profilo della libertà di selezione dello strumento negoziale del favor per l’autonomia privata in tale ambito previdenziale rispetto a quello obbligatorio”[25], con una impostazione diversa da quella del decreto in esame. Infatti, l’art. 8 del decreto n. 252 del 2005 non regola “lo strumento tecnico – giuridico tramite il quale deve essere eseguito il finanziamento”[26] e ciò comporta “che il legislatore abbia riservato alla volontà del lavoratore e del fondo (…) stabilire se utilizzare (…) la delegazione di pagamento, con incarico conferito dal lavoratore al proprio datore di lavoro di versare le quote di trattamento di fine rapporto al fondo, ovvero di prevedere la cessione del credito futuro alle quote (…) direttamente al fondo”[27]. 
Quindi, “il pagamento che il datore di lavoro esegue a favore del fondo (…) realizza una delegazione di pagamento ai sensi dell'art. 1269 c.c. e il lavoratore rimane il titolare del diritto”[28], sebbene non sia questo un principio generale, ma l’esito possibile di una ricostruzione della concorde volontà del fondo e del dipendente, con l’interpretazione rimessa all’applicazione degli artt. 1362 ss. c.c. e con l’effetto proprio dell’art. 72 del regio decreto n. 267 del 1942 sul rapporto di delegazione[29], posti le perduranti conseguenze traslative della cessione, per crediti anteriori alla dichiarazione di fallimento[30]. Pertanto, la modificazione della titolarità del credito è una soluzione negoziale compatibile con l’art. 8 del decreto n. 252 del 2005, ma non è l’unica[31], con la necessaria ricostruzione dell’impostazione convenzionale prescelta. Neppure la delegazione è una strategia imposta dall’art. 8[32], in quanto il fondo e il dipendente possono e, anzi, devono regolare in modo consensuale il problema, facendo riferimento a uno dei due istituti plausibili; soprattutto, tale tesi coglie un punto fondamentale, cioè la frequente previsione nei regolamenti dei fondi dell’esercizio dell’azione da parte dei prestatori di opere, in caso di inadempimento dell’impresa e, soprattutto, di procedure concorsuali, a tacere della scarsa solerzia nella presentazione di istanze di ammissione allo stato passivo a opera degli stessi fondi[33]. 
Se tale ultimo aspetto può avere una rilevanza in fatto, al massimo sul versante della giustizia sostanziale, il primo ha un significato preciso, in quanto, in tali evenienze, vi è un elemento a supporto della possibilità di qualificare l’accordo come di delegazione e non di cessione del credito; anzi, ciò smentisce il preteso rilievo dell’irrevocabilità del conferimento[34], poiché tale profilo riguarda la protezione dell’affidamento del fondo sulla stabilità della decisione del prestatore di opere, ma non il rapporto lavorativo. Poi, se il regolamento del fondo invita o impone al dipendente di agire, come spesso accade, non si comprende perché dall’art. 8 del decreto n. 252 del 2005 si dovrebbe trarre una direttiva inderogabile in senso opposto[35]. 
L’iniziativa previdenziale e i relativi meccanismi di finanziamento devono essere distinti dal rapporto di lavoro, nel quale è iscritto il credito retributivo[36]; in tale contesto, ha scarso rilievo il carattere irrevocabile della determinazione del prestatore di opere, mentre importa la natura dell’atto compiuto con il fondo e non vi è alcun obbligo di una cessione, a fronte di una diversa indicazione del regolamento, a natura contrattuale[37]. L’art. 8 del decreto n. 252 del 2005 non propone un modello esclusivo di finanziamento, a maggiore ragione a proposito di un tema estraneo ai suoi obbiettivi e, cioè, con riguardo alle implicazioni sulla titolarità di un credito retributivo[38]. Non si vede perché, a tale proposito, questi dovrebbe impostare la partecipazione del prestatore di opere secondo uno solo dei modelli, mentre si può fare ricorso a entrambi. 
Né giova alla tesi del decreto in esame l’art. 5, secondo comma, del decreto legislativo n. 80 del 1992, per cui il lavoratore “può richiedere al Fondo di garanzia di integrare presso la gestione di previdenza complementare interessata i contributi risultanti omessi”, in quanto, comunque la si voglia leggere, la disposizione non può essere invocata a sostegno dell’esistenza di una cessione, come se l’intervento del Fondo di garanzia postulasse la necessaria proposizione dell’azione surrogatoria. Se mai, l’iniziativa del prestatore di opere contemplata nell’art. 5 porta a conclusioni opposte e, a torto o a ragione, le circolari dell’Inps richiedono l’azione del lavoratore, quale ineludibile presupposto del pagamento da parte del Fondo di garanzia[39]. A ragione, il decreto in esame sottolinea la ricostruzione restrittiva data dall’Inps all’art. 5, secondo comma, del decreto n. 80 del 1992, ma sottostima il riferimento della norma alla domanda del solo prestatore di opere. Ne deriva una impostazione in sé poco coerente dello stesso art. 5, da cui non si possono trarre indicazioni solide sulla natura del “conferimento”, tanto meno a favore della sua riconduzione alla cessione, poiché osta il richiamo all’istanza del preteso cedente del credito e non del cessionario. A tutto volere concedere, l’art. 5 è neutro rispetto alla soluzione del problema e, non a caso, non è menzionato dalla Suprema Corte[40]. 
4 . Le conclusioni applicative
A fronte del sostanziale disinteresse dei fondi, registrato a più riprese[41], l’impostazione della Suprema Corte[42] garantisce una ragionevole protezione dei lavoratori, molto meno agevole se dovessero passare per l’esercizio dell’azione surrogatoria. Tuttavia, a tacere della difficile attuazione dell’art. 5, secondo comma, del decreto n. 80 del 1992, la ricostruzione della specifica volontà del fondo e del prestatore di opere li lascia liberi di organizzare secondo loro criteri il finanziamento, ma costringe a una delicata attività ermeneutica in sede di ammissione dello stato passivo o della successiva opposizione, con esiti non sempre scontati[43]. In particolare, il dipendente deve formulare allegazioni specifiche sulle intese raggiunte con il fondo, con la produzione dell’atto di adesione e del regolamento e con deduzioni sulla natura del negozio. 
Come aveva presagito la legge di delegazione n. 243 del 2004, tale situazione è complessa e costringe gli organi della procedura concorsuale a una delicata verifica in fatto, in contrasto con ovvie esigenze di celerità e di semplificazione, raggiungibili attraverso la previsione dell’invocata e inattuata “contitolarità”, per quanto potesse spiacere dal punto di vista sistematico. Sarebbe stato difficile giustificare la contemporanea identificazione non di due creditori in solido, ma di due “titolari” dello stesso diritto alle quote del trattamento di fine rapporto. Tuttavia, l’attività dei fallimenti sarebbe stata molto più agevole e l’art. 5, secondo comma, del decreto n. 80 del 1992 avrebbe trovato una sua sistemazione, con l’iniziativa del lavoratore, ma con la devoluzione al fondo di quanto versato dall’Inps. 
Allo stato, oltre a essere persuasiva sul piano teorico, l’indicazione del giudice di legittimità è l’unica percorribile; infatti, la consueta inerzia dei fondi non si può tradurre in un danno significativo per i prestatori di opere. Né si può obbiettare che il loro esercizio dei diritti nei confronti del fallimento sarebbe in contrasto con le obbligazioni assunte con i fondi, se proprio i loro regolamenti contemplano questa eventualità e invitano i dipendenti a chiedere l’ammissione allo stato passivo. Se è pattuita la delegazione, il venire meno dei suoi effetti ai sensi dell’art. 72 del regio decreto n. 267 del 1942 permette ai prestatori di opere di chiedere il versamento a loro favore di quanto non corrisposto prima del fallimento, per lo più in pieno accordo con i fondi, facendo valere il credito privilegiato[44]. Se, poi, è concordata la cessione (e sembra l’ipotesi meno probabile), il prestatore di opere può agire solo in via surrogatoria, costringendo … i fondi a ricevere somme cui, spesso, sono poco interessati. In realtà, il conflitto fra questi e i lavoratori è per lo più immaginario e la Suprema Corte non solo lo ha compreso, ma ha cercato di risolverlo, seppure in nome dell’interpretazione e della qualificazione degli accordi, previa l’indispensabile allegazione dei fatti rilevanti. 
Peraltro, ha carattere previdenziale la prestazione versata dal fondo al lavoratore, mentre, a prescindere dalla natura del conferimento, il trattamento di fine rapporto non muta la sua natura retributiva[45], né ciò sarebbe pensabile in relazione all’identificazione del percettore, profilo non solo estrinseco rispetto al rapporto di lavoro[46], ma successivo e indipendente dal sorgere dell’obbligazione dell’impresa. Il punto è stato chiarito dalla giurisprudenza di legittimità[47], che si è occupata di quanto il fondo debba corrispondere, non di quanto debba ricevere. I due aspetti sono del tutto indipendenti e il trattamento di fine rapporto resta tale a prescindere dal conferimento[48]. 

Note:

[1] 
Nello stesso senso, v. Trib. Catania 3 maggio 2018, in Fall, 2018, 932, per cui “il lavoratore dipendente, che abbia destinato il proprio trattamento di fine rapporto a forme di previdenza integrative o complementari, si può insinuare al passivo del fallimento del suo datore di lavoro per le somme da questo ultimo non versate al relativo fondo pensionistico”. 
[2] 
V. il messaggio della Covip dell’ottobre 2010. 
[3] 
V. Piccari, Le forme pensionistiche complementari, in Aa. Vv., Trattamento di fine rapporto e previdenza complementare, a cura di G. Santoro Passarelli, Torino, 2007, 133 ss.. 
[4] 
V. Trib. Sassari 13 maggio 2020, ord. in Gazz. uff., serie speciale della Corte costituzionale, 9 dicembre 2020, n. 50. 
[5] 
Seppure senza riguardo a una procedura fallimentare, nel senso opposto a quello decreto qui in esame, v. Trib. Ascoli Piceno 8 novembre 2019, Sig. Buono c. Spa Albertani corporates e altri, inedita a quanto consta. 
[6] 
In generale, v. Cinelli, Sulle funzioni della previdenza complementare, in Riv. giur. lav., 2000, II, 535 ss.. 
[7] 
V. Trib. Sassari 13 maggio 2020, ord., cit..
[8] 
Sulla natura del conferimento del trattamento di fine rapporto ai fondi di previdenza complementare, v. Pandolfo – Lucantoni, Trattamento di fine rapporto e previdenza complementare, in Aa. Vv., Contratto di lavoro e organizzazione, a cura di Marazza, in Tratt. dir. lav., a cura di F. Carinci – Persiani, 2012, vol. IV, tm. II, 1565 ss.. 
[9] 
V. Cass. 29 gennaio 2018, n. 2152, ord., in motivazione, in Giur. it. rep., 2018. 
[10] 
V. Cass. 16 maggio 2018, n. 12009, in Giur. it. rep., 2018. 
[11] 
V. anche Cass., sez. un., 12 marzo 2015, n. 4949, in Foro it., 2015, 6, 1, 1979. 
[12] 
V. Cass., sez. un., 30 marzo 2015, n. 6349, in Giur. it. rep., 2015. 
[13] 
V. Cass., sez. un., 20 marzo 2018, n. 6928, in Variaz. temi dir. lav., sito, 2018. 
[14] 
V. Ferrante, Finanziamento della previdenza complementare e devoluzione tacita del trattamento di fine rapporto, in Aa. Vv., La nuova disciplina della previdenza complementare (decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252), a cura di Tursi, in Nuove leggi civ. comm., 2007, 73 ss.. 
[15] 
V. il decreto in esame. 
[16] 
V. Trib. Sassari 13 maggio 2020, ord., cit.. 
[17] 
Proprio con riguardo all’esperimento dell’azione surrogatoria con riguardo alle pretese non esercitate dal fondo di previdenza complementare, v. Trib. Bologna 29 maggio 2008, in Giur. it. rep., 2008. 
[18] 
In altra materia, ma con un principio generale richiamato dal decreto in esame, v. Cass. 24 febbraio 1997, n. 1647, in Fall., 1997, 1008, per cui “l'azione surrogatoria può essere esercitata anche mediante domanda di ammissione al passivo del fallimento del debitore del proprio debitore, atteso che, nell'esercizio di tale azione, il creditore svolge (nei limiti del suo interesse) le medesime pretese creditorie del debitore surrogato e le deve proporre nella stessa sede in cui è tenuto a farlo questo ultimo; in caso contrario in presenza di un fallimento le azioni surrogatorie resterebbero paralizzate o si dovrebbero svolgere al di fuori della procedura fallimentare”. 
[19] 
V. Trib. Genova 14 luglio 1992, in Fall., 1993, 101. 
[20] 
V. il decreto in esame. 
[21] 
V. il decreto in esame. 
[22] 
V. Pandolfo – Lucantoni, Trattamento di fine rapporto e previdenza complementare, loc. cit., 1569 ss., per cui il decreto n. 252 del 2005 “salta la mediazione della contrattazione collettiva e attribuisce direttamente ai singoli lavoratori la facoltà di aderire a una forma pensionistica e di trascinare in questa scelta il trattamento di fine rapporto”, ma “il medesimo decreto continua a riconoscere alla contrattazione collettiva la facoltà di intervenire nella previdenza complementare e di addossare ai datori di lavoro obblighi contributivi aggiuntivi rispetto al trattamento di fine rapporto”. 
[23] 
Nello stesso senso, v. Caiafa, Sulla legittimazione attiva in ragione della natura giuridica previdenziale, non retributiva, dei versamenti dovuti alle forme giuridiche complementari, in Dir. fall., 2018, fasc. 6, 11 ss. (dell’estratto), con adesione alla tesi dell’effetto dispositivo del conferimento. Peraltro, ha carattere previdenziale la prestazione versata dal fondo al lavoratore, mentre, a prescindere dalla natura del conferimento, il trattamento di fine rapporto non muta la sua natura retributiva, né ciò sarebbe pensabile in relazione all’identificazione del terzo percettore, profilo non solo estrinseco rispetto al rapporto di lavoro, ma successivo e indipendente dal sorgere dell’obbligazione del datore di lavoro. Il punto è stato chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass., sez. un., 12 marzo 2015, n. 4949, cit.), che si è occupata di quanto il fondo debba corrispondere, non di quanto debba ricevere. I due aspetti sono del tutto indipendenti. 
[24] 
V. Cass. 15 febbraio 2019, n. 4626, ord., in Giur. it. rep., 2019. 
[25] 
V. Cass. 15 febbraio 2019, n. 4626, ord., cit..
[26] 
V. Trib. Napoli Nord 15 luglio 2015, decr., in Il caso.it, sito, 2015. 
[27] 
V. Trib. Napoli Nord 15 luglio 2015, decr., cit.. 
[28] 
V. Trib. Busto Arsizio 11 novembre 2015, in Fall., 2016, 373, con l’esatta precisazione per cui il credito è privilegiato, in quanto retributivo. 
[29] 
In generale, sull’operare dell’art. 72 del regio decreto n. 267 del 1942 sul rapporto di delegazione, v. Trib. Milano 21 dicembre 2000, in Giur. mil., 2002, 146. 
[30] 
In generale, v. Cass. 18 aprile 2001, n. 5724, in Foto it., 2001, I, 281. 
[31] 
V. Cass. 15 febbraio 2019, n. 4626, ord., cit., per cui, per una “tale qualificazione della posizione individuale del lavoratore rispetto al fondo cui prestava la propria adesione (…), negoziabile tra le parti, occorre accertare la natura e la funzione del mezzo di volta in volta utilizzato: se una delegazione di pagamento, con incarico conferito dal lavoratore al datore” di lavoro “di versare le quote di trattamento di fine rapporto al fondo, ovvero di loro cessione, qual credito futuro, direttamente dal lavoratore al fondo, o strumenti a essi assimilabili. E ciò comporta evidenti effetti diversi, in ordine alla titolarità del credito nei confronti del datore fallito (…), a seconda dell’opzione negoziale adottata”. 
[32] 
In senso opposto, v. Trib. Ascoli Piceno 8 novembre 2019, Sig. Buono c. Spa Albertani corporates e altri, cit..
[33] 
V. il messaggio della Covip dell’ottobre 2010. 
[34] 
V. il decreto in esame. 
[35] 
Per un caso in cui il tenore testuale dell’atto del lavoratore faceva propendere per la qualificazione dell’accordo come di delegazione, tanto che era usata tale espressione, v. Trib. Napoli Nord 15 luglio 2015, decr., cit.. 
[36] 
V. Trib. Milano 30 giugno 2016, in Giur. it. rep., 2016, ancora una volta con la ricostruzione della vicenda in termini di delegazione. 
[37] 
Seppure ad altri fini, v. Cass. 27 febbraio 2008, n. 5094, in Giur. it. rep., 2008. 
[38] 
In senso opposto, v. Trib. Bologna 29 maggio 2008, cit.. 
[39] 
V. la circolare dell’Inps 22 febbraio 2008, n. 23, e il suo messaggio 11 maggio 2016, n. 2084. 
[40] 
V. Cass. 15 febbraio 2019, n. 4626, ord., cit.. 
[41] 
V. il messaggio della Covip dell’ottobre 2010. 
[42] 
V. Cass. 15 febbraio 2019, n. 4626, ord., cit.. 
[43] 
V. Trib. Napoli Nord 15 luglio 2015, decr., cit., per il caso di una interpretazione lineare. 
[44] 
V. Trib. Busto Arsizio 11 novembre 2015, cit.. 
[45] 
In senso opposto, v. Caiafa, Sulla legittimazione attiva in ragione della natura giuridica previdenziale, non retributiva, dei versamenti dovuti alle forme giuridiche complementari, loc. cit., 11 ss.. 
[46] 
Sul fatto che, se potesse agire nei confronti del fallimento, il lavoratore otterrebbe in anticipo una prestazione previdenziale, v. il decreto in esame. L’azione ha comunque per oggetto il trattamento di fine rapporto, poiché le prestazioni previdenziali sono quelle versate dai fondi, non i conferimenti. 
[47] 
V. Cass., sez. un., 12 marzo 2015, n. 4949, cit..
[48] 
In senso opposto, v. il decreto in esame. 

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Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

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  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
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  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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