Il regolamento individua il responsabile della tenuta dell’albo nel direttore generale degli affari interni del Ministero della giustizia, ovvero la persona da lui delegata con qualifica dirigenziale nell’ambito della direzione generale.
Il responsabile provvede sulla domanda di iscrizione, e gli iscritti sono tenuti a comunicargli direttamente: a) il venire meno dei requisiti di cui all’art. 356 commi 2 e 3 del CCII; b) l’avvio di procedimenti penali per taluno dei reati di cui all’art. 356, comma 3, lett. c) e art. 356, comma 4, del CCII; c) l’avvio di procedimenti disciplinari per illeciti che possono comportare una sanzione disciplinare più grave di quella minima prevista dai singoli ordinamenti professionali.
Il responsabile, se accerta l’insussistenza o il venir meno dei requisiti di cui all’art. 356, comma 2, CCII, ne dà comunicazione all’iscritto, assegnandogli, nel caso la posizione sia regolarizzabile, un termine non superiore a sei mesi per provvedervi, pena la cancellazione dall’albo, disposta direttamente dal responsabile. Analoga cancellazione può essere disposta, senza previa assegnazione del termine, qualora vengano meno i requisiti di onorabilità di cui all’art. 356, comma 3, CCII[1].
Uno dei poteri più rilevanti del responsabile è quello che gli consente di sospendere, ovvero cancellare, nei casi più gravi, dall’albo, l’iscritto a cagione del compimento di fatti che compromettono gravemente l’idoneità al corretto svolgimento delle funzioni di gestione e di controllo delle procedure di cui al CCII. Fatti, si badi bene, che devono essersi registrati dopo l’iscrizione, ma il cui verificarsi anteriormente alla nomina non è oggetto né di verifica né di segnalazione da parte degli organi competenti.
Potendo la fattispecie incriminatrice contenuta nel regolamento apparire troppo generica e indeterminata, il regolamento si affretta a precisare che in particolare, se l’organo competente ha disposto tre revoche degli incarichi conferiti o l’avvio di procedimento disciplinare per illeciti che possono comportare una sanzione disciplinare più grave di quella minima prevista dai singoli ordinamenti professionali, entrambi queste ipotesi possono compromettere gravemente l’idoneità al corretto svolgimento delle funzioni di gestione e di controllo.
Va precisato che l’organo competente a disporre la revoca degli incarichi è lo stesso organo che li ha conferiti, e quindi l’autorità giudiziaria, rectius il Presidente del Tribunale ovvero, nei tribunali suddivisi in sezioni, il presidente della sezione cui è assegnata la trattazione degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza o delle procedure di insolvenza.
L’organo competente ad avviare i procedimenti disciplinari, invece, sono i consigli di disciplina dei singoli ordini professionali
I professionisti incaricati nelle procedure di crisi, pertanto, saranno soggetti ad un duplice controllo sulla loro attività in ambito giudiziale, con potenziale revoca dall’incarico al compimento di fatti tali da fare venire meno il rapporto fiduciario con l’autorità giudiziaria che li ha incaricati, ma potendo d’altronde vedersi comminare una sanzione disciplinare dal proprio ordine professionale all’esito di una revoca pervenuta in ambito giudiziale, e potendo essere sospesi o cancellati dall’albo per avere avuto una sanzione disciplinare superiore a quella minima negli ultimi cinque anni ai sensi dell’art. 356, comma 3, lett. d) CCII.
La formulazione della norma è ambigua: il regolamento, infatti, dispone, all’art. 6, comma 2, che il responsabile (…) può disporre la sospensione dell’esercizio dell’attività per un periodo non superiore ad un anno. All’evidenza, è indispensabile che il legislatore chiarisca a quale attività si riferisca, dal momento che, ad esempio, il codice deontologico forense all’art. 22 e la legge professionale (247/2012) all’art. 53, in tema di sospensione, fanno riferimento all’esercizio dell’attività professionale.
Ancora, si deve osservare, sempre in ambito forense, che, in ogni caso, ai sensi dell’art. 35 L. n. 247/2012, il CNF (lett. c) “esercita la funzione giurisdizionale” (…) ed ai sensi dell’art. 50, “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense”. Dunque, l’Ordine forense ha giurisdizione esclusiva sui comportamenti disciplinarmente rilevanti dei propri iscritti e le sanzioni sono tipizzate.
Detto questo, dal momento che gli illeciti che possono determinare le sanzioni previste dall’art. 6 del regolamento sono certamente d’interesse deontologico, il rischio che l’incolpato si veda gravato (sia pure in ambiti diversi) da una duplice sanzione per i medesimi fatti è certamente sospetto di illegittimità costituzionale.
Di conseguenza, il responsabile potrà disporre la sospensione dell’iscritto dall’esercizio dell’attività per un periodo superiore ad un anno: nel caso al termine del periodo di sospensione l’iscritto incorra in nuova ulteriore revoca da un incarico, scatta la cancellazione dall’albo.
La sospensione dall’albo può essere disposta dal responsabile anche nel caso in cui l’iscritto risulti indagato per uno dei reati previsti all’art. 356, comma 3, lett. c) CCII.
Il procedimento di sospensione, così come quello di cancellazione, si svolge in contraddittorio, essendo prevista da parte del responsabile la comunicazione del relativo decreto, che dovrà essere succintamente motivato, all’interessato a mezzo pec all’indirizzo indicato nella domanda: nei trenta giorni successivi alla ricezione della pec, l’interessato può proporre eventuali osservazioni scritte. All’esito, il responsabile adotta i decreti di sospensione o di cancellazione dall’albo.
Analogo procedimento viene seguito nel caso di richiesta volontaria da parte dell’iscritto di cancellazione dall’albo, ovvero di sospensione: tale sospensione, vincolata alla sussistenza di gravi e comprovate ragioni di salute, familiari o professionali, può essere richiesta per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per una sola volta per ulteriori sei mesi.