L’art. 207 prevede un procedimento uniforme per tutti i mezzi di impugnazione; in realtà, le regole processuali devono subire alcuni necessari adattamenti in ragione delle specificità di ciascuno, in particolare per tenere conto delle differenze che sussistono tra l’opposizione e l’impugnazione dei crediti ammessi (che sono mezzi di gravame) e la revocazione (che si configura come impugnazione in senso stretto)[26].
L’atto introduttivo ha la forma del ricorso, di cui l’art. 207, comma 2, disciplina i requisiti di forma–contenuto. Il Codice, come la legge fallimentare, non indica se e quali requisiti siano previsti a pena di nullità o di inammissibilità dell’atto introduttivo (a differenza del codice di procedura civile, che in genere indica i requisiti di forma–contenuto previsti a pena di inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione: artt. 342, 366, 398 c.p.c.); pertanto, occorre di volta in volta verificare, in base ai principi generali, se la carenza degli stessi abbia ripercussioni sulla validità del ricorso e, in caso affermativo, quale sia il regime giuridico applicabile.
Il ricorso deve contenere l’indicazione del tribunale, del giudice delegato e della procedura di liquidazione giudiziale (comma 2, lett. a)), nonché le generalità dell’impugnante e l’elezione di domicilio nel comune ove ha sede il tribunale che ha aperto la liquidazione giudiziale (comma 2, lett. b); ovviamente, nonostante la disposizione non lo preveda, l’elezione di domicilio può anche essere digitale[27].
La disposizione deve essere in parte qua integrata facendo ricorso alla norma generale di cui all’art. 125 c.p.c.
Innanzitutto, nel ricorso devono essere indicati anche il difensore e la procura alle liti, dato che, come abbiamo detto, nei giudizi di impugnazione vi è l’obbligo di difesa tecnica.
Inoltre, il ricorso deve contenere l’indicazione di tutte le parti del giudizio e, quindi, oltre che dell’impugnante, anche del soggetto o dei soggetti nei cui confronti essa è proposta, con i consueti elementi necessari per la loro identificazione.
Se sono omessi o assolutamente incerti gli elementi necessari per l’individuazione del tribunale e delle parti (in senso processuale), il ricorso è nullo (arg. ex artt. 156, comma 2, e 164, comma 1, c.p.c.); il vizio è sanabile, con efficacia ex tunc, mediante la costituzione del convenuto o la rinnovazione dell’atto nel termine perentorio assegnato dal giudice (in applicazione analogica dell’art. 164, comma 2 e 3, c.p.c.).
Il comma 2, lett. c), stabilisce che il ricorso debba contenere i fatti e gli elementi di diritto su cui si basa l’impugnazione e le relative conclusioni.
Venendo in rilievo un mezzo di gravame, tale indicazione è comprensiva sia degli elementi necessari per l’individuazione del diritto e, quindi, degli elementi previsti a tal fine dall’art. 201, comma 3 (in modo analogo a quanto stabilisce l’art. 342 c.p.c., nella parte in cui dispone che la citazione in appello deve contenere le indicazioni di cui all’art. 163 c.p.c.), sia – per le ragioni esposte in altra sede[28]- dei motivi di impugnazione (sempre in modo analogo a quanto prevede l’art. 342 c.p.c., nella parte in cui stabilisce che l’appello deve essere motivato).
Quest’ultimo è il profilo caratteristico del ricorso per impugnazione o opposizione, che si distingue rispetto all’atto introduttivo del procedimento di verifica, sia strutturalmente (in quanto non contiene una domanda giudiziale, posto che la litispendenza è sempre quella dalla originaria domanda contenuta nell’atto introduttivo), sia per i fini che si propone. Con l’impugnazione si chiede al giudice superiore di controllare la decisione emessa e di riformarla; costituisce pertanto contenuto caratteristico dell’atto introduttivo del giudizio, ancorché si tratti di un gravame a critica libera, l’esposizione dei motivi di impugnazione, la cui funzione fondamentale è individuare la statuizione contestata sottoposta al riesame del giudice superiore e indicare le ragioni di critica ad essa. In breve, occorre indicare cosa si contesta e perché, come prevede l’art. 342 c.p.c., nella parte in cui stabilisce che l’appello deve essere motivato, con una disposizione che recepisce la regola elaborata dal diritto vivente ed è espressione del principio generale richiamato.
Pertanto, il ricorso introduttivo dell’opposizione o dell’impugnazione deve contenere i motivi, con i quali l’impugnante individua l’oggetto del giudizio di gravame e le questioni che devolve all’esame del tribunale, ossia il capo di decisione impugnato (parte volitiva)[29]. Inoltre, i motivi devono contenere le censure alla decisione del giudice delegato, da articolare con un grado sufficiente di specificità (parte argomentativa)[30]; esse consistono nella deduzione dell’errore nella ricostruzione del fatto oppure della violazione di legge (da intendersi comprensiva della falsa applicazione), con l’esposizione delle ragioni di critica alla decisione impugnata nella soluzione della quaestio facti o della quaestio iuris.
Se si condivide l’impostazione sostenuta circa la funzione dei motivi di gravame nelle impugnazioni dello stato passivo, il ricorso privo dei motivi specifici è nullo, perché manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo (art. 156, comma 2, c.p.c.)[31]. Il vizio è (astrattamente) sanabile, ma la sanatoria non può operare retroattivamente (trattandosi di un vizio attinente al contenuto della domanda: arg. ex art. 164, comma 4 e 5, c.p.c.); conseguentemente, la sanatoria non potrebbe fare venire meno la decadenza ricollegata alla scadenza del termine per proporre l’impugnazione, considerato che i motivi vanno formulati nel rispetto di tale termine.
Nei giudizi di opposizione e di impugnazione sono ammesse nuove attività difensive: proposizione di eccezioni, in senso stretto e in senso lato (comprensive della facoltà di allegazione per la prima volta del fatto materiale che integra l’eccezione); allegazione di nuovi fatti costitutivi (a condizione che resti invariato il diritto fatto valere in giudizio) e di fatti secondari; proposizione di controeccezioni; contestazione dei fatti non controversi nel procedimento di verifica; formulazione di nuove richieste istruttorie e produzione di nuovi documenti[32].
Come in altra sede più ampiamente esposto, non sono invece ammesse nuove domande[33]: l’oggetto del giudizio di impugnazione è costituito dal diritto fatto valere dalla parte con la domanda proposta nella fase di verifica dinanzi al giudice delegato e pertanto – in ossequio al principio di tipicità del processo di verifica (art. 151, comma 2, in combinato disposto con gli artt. 201, 203 e 204) - dal diritto di credito oggetto della domanda di insinuazione al passivo (o di partecipazione alla distribuzione del ricavato, se la domanda sia proposta dal creditore di un terzo, con diritto di ipoteca su un bene del debitore sottoposto a liquidazione giudiziale) o dal diritto reale o personale oggetto della domanda di rivendica o restituzione del bene acquisito all’attivo[34].
Pertanto, il creditore pecuniario non può chiedere l’insinuazione per una pretesa differente da quella azionata, né il riconoscimento di una causa di prelazione prima non fatta valere o della prededuzione originariamente non richiesta.
Il curatore, come nel procedimento di verifica, nel giudizio di impugnazione non può proporre domande riconvenzionali[35]. Ciò, peraltro, non limita in alcun modo il suo diritto di difesa, in quanto eventuali contro-diritti incompatibili con il diritto fatto valere dalla parte privata, che non possono essere esercitati in via di azione, possono nondimeno essere dedotti in via di eccezione (c.d. riconvenzionale), ed essi sono oggetto (non di accertamento a ogni effetto, bensì) di mera cognizione incidentale, ai soli fini del rigetto della domanda di ammissione al passivo o di restituzione del bene[36].
Può essere opportuno soffermare l’attenzione sulla posizione del curatore, con particolare riguardo alle eccezioni di merito che egli può sollevare (anche) nel giudizio di gravame dinanzi al tribunale. Il curatore può dedurre i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi, costituenti oggetto di eccezioni sia in senso stretto sia in senso lato, concernenti sia la sussistenza, il quantum e il rango delle pretese creditorie e, quindi, la validità e l’efficacia del titolo del diritto e della causa di prelazione, sia l’opponibilità del diritto, o meglio del suo titolo, alla procedura e, di conseguenza, la possibilità che il credito sia insinuato nel passivo e sia soddisfatto in sede di ripartizione dell’attivo (o, se si tratta di un diritto su un bene, che la pretesa del terzo sia riconosciuta esistente, prevalente e opponibile alla massa e il bene sia sottratto alla liquidazione concorsuale).
Innanzitutto, il curatore può rilevare le eccezioni che gli spettano “in sostituzione” dell’imprenditore: eventuali invalidità o difetti di funzionamento del contratto che costituisce il titolo del diritto o della prelazione, negli stessi termini in cui tali eccezioni avrebbero potuto essere rilevate dal debitore (nullità, annullamento, rescissione, risoluzione del contratto); parimenti, può eccepire tutti gli altri fatti estintivi, impeditivi e modificativi del diritto (quali la prescrizione, l’inadempimento, la compensazione) o della causa di prelazione.
Inoltre, il curatore, assumendo il ruolo di terzo rispetto al debitore, può fare valere le eccezioni che spetterebbero ai creditori: può rilevare l’eccezione di revocabilità (ordinaria) di atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, la simulazione di contratti stipulati dal debitore, l’inopponibilità alla massa di scritture private non munite di data certa anteriore alla sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, ex art. 2704 c.c.[37]
Infine, il curatore può rilevare le eccezioni che sono a lui attribuite in via originaria in ragione della pendenza della procedura di liquidazione giudiziale: segnatamente, può eccepire l’inefficacia e la revocabilità degli atti costituenti il titolo del diritto, ai sensi degli articoli 163, 164, 166, 167, 168, 169 (c.d. revocatoria in via breve), anche se siano decorsi i termini di decadenza stabiliti dall’art. 170 per l’esercizio dell’azione[38].
Dobbiamo adesso illustrare i profili dinamici relativi al compimento delle attività difensive delle parti, con particolare riferimento ai termini per il loro esercizio da parte del ricorrente.
L’art. 207, comma 2, lett. d), prevede che, a pena di decadenza, con il ricorso l’attore deve proporre le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, ossia le nuove eccezioni in senso stretto, non sollevate nella fase di verifica dinanzi al giudice delegato[39].
La proposizione con il ricorso di nuove eccezioni di merito in senso stretto, mediante le quali sono dedotti fatti impeditivi, modificativi ed estintivi del diritto oggetto del processo, assume rilievo, ovviamente, nel giudizio di impugnazione proposto dal curatore o da una parte privata contro il provvedimento di accoglimento della domanda di un creditore o di un terzo titolare di un diritto su un bene. In modo simmetrico e speculare, in caso di opposizione avverso il rigetto della domanda, al ricorrente è consentita – per il principio di parità delle parti – l’allegazione di nuovi fatti costitutivi del diritto, da effettuare sempre a pena di decadenza nell’atto introduttivo; l’allegazione è ammessa, a condizione che essa non determini il mutamento del diritto dedotto in giudizio con la originaria domanda proposta nella fase di verifica[40].
Alla medesima lett. d), si prevede inoltre che l’attore, nel ricorso, sempre a pena di decadenza, debba indicare specificamente i mezzi di prova e i documenti prodotti. La disposizione si applica sia alle nuove prove, ossia alle richieste istruttorie non formulate e ai documenti non prodotti nel procedimento di verifica, sia alla riproposizione delle istanze istruttorie e dei documenti prodotti nella fase dinanzi al giudice delegato[41]. L’onere della produzione riguarda i nuovi documenti; per quanto riguarda invece i documenti già prodotti nel procedimento di verifica, ricordiamo che la giurisprudenza formatasi nel vigore della legge fallimentare (di identico tenore letterale in parte qua), superando un proprio contrario orientamento, ritiene sufficiente l’indicazione dei documenti, senza che vi sia l’onere di produrli una seconda volta nel giudizio di gravame[42].
La violazione del termine decadenziale è rilevabile anche d’ufficio[43].
Nel vigore del previgente art. 99 L. fall. , la Corte di cassazione ha precisato che la produzione del nuovo documento deve essere effettuata a pena di decadenza contestualmente al deposito del ricorso; con la conseguenza, che la produzione effettuata il giorno successivo al deposito del ricorso non è ammissibile, ancorché il termine per l’impugnazione non sia ancora decorso[44]. Questa precisazione è introdotta dal legislatore del Codice al comma 7, di disciplina della memoria difensiva del resistente, ove si puntualizza che devono essere indicati specificamente i mezzi di prova e i documenti “contestualmente” prodotti.
La legge nulla dice, invece, circa la contestazione dei fatti (con riferimento, ovviamente, ai fatti allegati nel procedimento di verifica dalla controparte e in quella sede rimasti non controversi). In difetto di una espressa previsione di decadenza, ogni soluzione sconta un certo margine di incertezza e presenta alcuni inconvenienti. A nostro avviso, la natura impugnatoria del giudizio e il carattere concentrato del rito, che prevede la definizione in limine litis del thema decidendum e del thema probandum della causa (come emerge dalla mancata attribuzione alle parti dello ius poenitendi nel corso del processo e, soprattutto, dalla comminatoria sin dagli atti introduttivi della preclusione anticipata e contestuale per i poteri assertivi e probatori delle parti), offrono indicazioni per ritenere che anche questa attività difensiva si precluda nell’atto introduttivo[45]. Da un lato, la contestazione determina per la controparte l’onere di provare il fatto e, da un altro lato, il convenuto deve, a pena di decadenza, formulare le richieste istruttorie e produrre i documenti nella memoria difensiva (art. 207, comma 7); appare pertanto maggiormente coerente con questo sistema di preclusioni e con la funzione affidata agli atti introduttivi – determinare i temi controversi e di indicare le relative prove – ritenere che l’attore debba, a pena di preclusione, effettuare la contestazione dei fatti non controversi nel procedimento di verifica nel ricorso introduttivo. Ovviamente, resta impregiudicata la facoltà di contestare nel successivo corso del processo i fatti ammissibilmente allegati per la prima volta dal convenuto con la memoria difensiva nel giudizio di gravame[46].
Infine, manca una regola espressa anche per la proposizione delle nuove eccezioni in senso lato; rispetto ad esse, poiché il tribunale ha il potere (–dovere) di rilevare d’ufficio il fatto ritualmente acquisito in causa (e tale potere è esercitabile per tutto il corso del processo), il problema che soprattutto si pone è quello dell’eventuale termine di decadenza entro cui la parte deve allegare il fatto su cui l’eccezione si fonda, se non già introdotto in causa nel procedimento di verifica dinanzi al giudice delegato. La soluzione a nostro avviso più coerente con la natura del giudizio e le caratteristiche del rito prevede che la allegazione debba essere effettuata dall’attore a pena di preclusione nell’atto introduttivo, per ragioni analoghe a quelle sopra esposte (in specie, l’assenza di una previsione che espressamente autorizzi la parte a proporre nuove eccezioni in senso lato in una certa fase del processo e la preclusione sin dall’atto introduttivo del potere istruttorio, con cui appare scarsamente compatibile la facoltà di allegare successivamente un fatto, per il quale può porsi l’esigenza di fornire la prova)[47]. Siamo tuttavia consapevoli che, in senso contrario, depone la regola generale per cui i termini perentori devono essere espressamente previsti dalla legge (art. 152 c.p.c.) e, soprattutto, la disposizione che sancisce la decadenza nell’atto introduttivo soltanto per le eccezioni in senso stretto, da cui si può desumere a contrario che la preclusione non opera per le eccezioni in senso lato[48]; ove si acceda a questa interpretazione, ci pare peraltro ragionevole ritenere che la allegazione del fatto a fondamento della eccezione non possa avvenire oltre la prima udienza di comparizione.
Con il ricorso, l’attore deve produrre la comunicazione dell’art. 205 (ai fini della prova della tempestività dell’impugnazione, come abbiamo visto) e copia autentica del provvedimento del giudice delegato, ossia lo stato passivo formato e dichiarato esecutivo dal giudice delegato ai sensi dell’art. 204, comma 4 (in quanto è necessario che il tribunale, quale giudice dell’impugnazione, disponga del provvedimento sottoposto al suo esame)[49].
La legge, mancando di indicare tali adempimenti, non disciplina neppure le conseguenze della loro omissione; ne deriva che la mancata produzione con l’atto introduttivo della comunicazione o dello stato passivo dichiarato esecutivo (rilevabile anche d’ufficio dal tribunale) costituisce un vizio processuale sanabile con efficacia retroattiva, e pertanto può essere integrata dall’attore nel corso del processo (esigenza che, ovviamente, non si pone, qualora tali atti siano comunque acquisiti in giudizio per effetto della loro produzione ad opera del convenuto)[50].
In caso di revocazione, il contenuto del ricorso deve essere adattato ai caratteri propri di un mezzo di impugnazione a critica vincolata e di natura straordinaria. Pertanto, nel ricorso l’attore deve indicare il motivo di revocazione, nonché le prove relative al vizio ed al momento in cui ne è venuto a conoscenza (come prevede l’art. 398 c.p.c. per la revocazione delle sentenze, peraltro sanzionando la omessa indicazione di tali elementi con l’inammissibilità dell’atto introduttivo). Se manca la deduzione del motivo, il ricorso è nullo, per inidoneità al raggiungimento dello scopo (art. 156, comma 2, c.p.c.); attenendo al contenuto dell’atto introduttivo, il vizio non è sanabile retroattivamente e pertanto resta ferma la decadenza maturata relativamente al termine perentorio per la proposizione della revocazione. Quanto alla mancata indicazione delle prove relative al vizio e al momento di conoscenza dello stesso, anch’essa costituisce causa di nullità del ricorso ex art. 156, comma 2, c.p.c.; tuttavia, a differenza del caso precedente, appare ragionevole ritenere che il vizio sia sanabile retroattivamente, mediante l’integrazione del ricorso.
Infine, nella prospettiva dell’eventuale giudizio rescissorio, in cui il giudice effettua una nuova decisione nel merito della domanda, il ricorso per revocazione deve contenere gli elementi necessari per l’individuazione del diritto e, se il provvedimento impugnato ha contenuto di merito, per conseguire la riforma della statuizione resa in ordine ad esso.