In tema di obbligazione del Fondo di tesoreria dello Stato al pagamento del trattamento di fine rapporto, opera il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali, ai sensi dell’art. 2126 cod. civ.
Il provvedimento di ammissione allo stato passivo fallimentare esplica effetti nei confronti dell’Inps e del suo Fondo di garanzia in tema di trattamento di fine rapporto; pertanto, l’Inps non può contestare il provvedimento di ammissione al trattamento di fine rapporto, neppure sul quantum.
SOMMARIO
1. L’inesistenza del principio di automaticità delle prestazioni con riguardo al pagamento del trattamento di fine rapporto da parte del Fondo di tesoreria dello Stato, gestito dall’Inps.
2. Il conferimento del trattamento di fine rapporto al Fondo di tesoreria dello Stato, il fallimento del datore di lavoro e l’ammissione del credito del lavoratore allo Stato passivo fallimentare.
3. Le obbligazioni del Fondo di garanzia in tema di trattamento di fine rapporto e l’inopponibilità all’Inps del provvedimento di ammissione allo stato passivo fallimentare.
1. L’inesistenza del principio di automaticità delle prestazioni con riguardo al pagamento del trattamento di fine rapporto da parte del Fondo di tesoreria dello Stato, gestito dall’Inps
La sentenza non coglie l’esatta ricostruzione degli istituti fornita da una ormai consolidata e perspicua giurisprudenza di legittimità ed enuncia principi di diritto infondati, con qualche conseguenza, poiché la decisione sta avendo una certa notorietà. In primo luogo, seppure tratta in errore da alcune singolari comunicazioni dell’Inps[1], a torto la pronuncia ravvisa l’applicabilità del principio di automaticità delle prestazioni a proposito delle obbligazioni del Fondo di tesoreria dello Stato, con un non persuasivo rinvio all’art. 2126 cod. civ.. Non si comprende come tale disposizione potrebbe operare, se si considera come riguardi le prestazioni previdenziali, mentre le obbligazioni del Fondo di tesoreria dello Stato hanno perdurante ed esclusiva natura retributiva[2]. Poi, osta il chiaro tenore dell’art. 1, comma settecentocinquantaseiesimo, della legge n. 296 del 2006, per cui il Fondo è obbligato nei riguardi del lavoratore per la “quota corrispondente ai versamenti effettuati al Fondo medesimo”[3].
Anzi, l’obbligazione del Fondo è limitata agli importi in precedenza versati dal datore di lavoro[4]; per le quote non corrisposte dall’impresa, il lavoratore può chiedere l’ammissione del credito allo stato passivo fallimentare. In ogni caso, l’oggetto del diritto mantiene piena natura retributiva, a prescindere dal fatto che (per quanto corrisposto) sia fatto valere nei riguardi del Fondo o, per il residuo, il credito sia esercitato con l’istanza di ammissione allo stato passivo[5]. Il Fondo è obbligato solo in relazione a quanto abbia percepito[6], appunto per il carattere retributivo dell’obbligazione. Ai fini dell’adempimento è irrilevante il fallimento[7] del datore di lavoro[8], poiché importano solo gli accantonamenti effettuati.
Non ha incidenza l’errato richiamo all’art. 2116 cod. civ. da parte di atti dell’Inps[9]; infatti, “la gerarchia delle fonti non può che fare prevalere la norma primaria, e dunque il comma 756 nella sua idoneità a escludere l’applicazione dell’art. 2116 cod. civ.”[10]. E, come si avverte nello stesso contributo, se l’Inps dovesse “applicare il principio dell’automaticità in aggiunta alle risalenti garanzie disposte per la crisi dell’impresa dalla legge n. 297 del 1982, potrà porsi un problema di responsabilità contabile”. Deriverebbe un complessivo disordine dal fatto di addossare in modo indebito al Fondo di tesoreria dello Stato funzioni previdenziali proprie di quello di garanzia. L’opposta affermazione della sentenza impugnata parte dall’idea infondata per cui l’obbligazione del Fondo di tesoreria dello Stato avrebbe carattere previdenziale, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità[11], peraltro senza un esame critico dell’univoco tenore testuale dell’art. 1, comma settecentocinquantaseiesimo, della legge n. 296 del 2006.
2. Il conferimento del trattamento di fine rapporto al Fondo di tesoreria dello Stato, il fallimento del datore di lavoro e l’ammissione del credito del lavoratore allo Stato passivo fallimentare
Qualora l’impresa poi fallita non abbia versato al Fondo di tesoreria dello Stato tutti gli accantonamenti dovuti per il trattamento di fine rapporto, il lavoratore poteva avanzare l’istanza di ammissione allo stato passivo[12], sulla scorta di una consolidata giurisprudenza di legittimità, poiché, si dice[13], si “può proporre la domanda di ammissione per le quote non versate dal datore di lavoro fallito al Fondo gestito dall'Inps, ai sensi dell'art. 1, comma settecentosettantacinquesimo, della legge n. 296 del 2006, dal momento che il datore di lavoro stesso non è un mero adiectus solutionis causa e non perde la titolarità passiva dell'obbligazione di corrispondere il trattamento”[14]. Le fonti sono diverse da quelle rilevanti in tema di conferimento ai fondi di previdenza complementare[15], come confermato dal fatto che, in tale ultima evenienza, “nell'ipotesi di cessazione di un rapporto di lavoro, qualora non siano integrati tutti i presupposti perché si benefici della pensione integrativa, il dipendente non ha alcun diritto alla percezione dei contributi versati, in quanto manca uno specifico nesso di corrispettività tra il rapporto e la previdenza complementare”[16]. La natura previdenziale della prestazione[17] determina una differenza strutturale rispetto agli accantonamenti presso il Fondo di tesoreria dello Stato[18], poiché questi ultimi non vedono modificata la loro natura. Comunque, alla fine, in tale secondo caso, il lavoratore percepisce la retribuzione[19].
Come è ovvio, in sede di ammissione allo stato passivo, il dipendente poteva fare valere il solo credito residuo, cioè quello inerente alle somme non versate in precedenza al Fondo di tesoreria dello Stato; per queste ultime, può agire contro l’Inps o, meglio, deve ottenere in modo pacifico il soddisfacimento del suo credito dallo stesso Fondo[20], come accade sempre, se mai con un minimo sfoggio di pazienza da parte di tutti i soggetti coinvolti. E’ immotivata e non molto comprensibile nella sua genesi l’affermazione della sentenza in esame per cui “il credito vantato dal lavoratore è stato ammesso allo stato passivo del fallimento, comprensivo (…) anche della quota a carico del Fondo di tesoreria: ebbene, tale inclusione, ormai definitiva, libera il Fondo di tesoreria dal relativo obbligo di pagamento diretto in favore del lavoratore, poiché questi ha già visto riconosciuto il proprio credito nei confronti del fallimento”[21].
Pare di capire che il lavoratore, il curatore e il giudice delegato abbiano errato (forse tutti insieme) e il risultato sia stata l’ammissione allo stato passivo di un credito pari all’intero importo del trattamento di fine rapporto, nonostante una parte dovesse essere corrisposta dal Fondo di tesoreria dello Stato, il quale aveva ricevuto i corrispondenti pagamenti. Tale situazione non determina alcuna estinzione dell’obbligazione del Fondo, il quale non può trarre vantaggio da questa serie di comportamenti inopportuni o, se si preferisce, di ingenuità. Se il fallimento e, per esso, il curatore avrebbero dovuto dedurre dal credito invocato quanto già pagato al Fondo[22], non di meno l’omissione e le conseguenti formazione e dichiarazione di esecutività dello stato passivo non estinguono l’obbligazione del Fondo, cui il lavoratore si può rivolgere.
Se mai, in caso di mancata opposizione, si creavano effetti endofallimentari a seguito della dichiarazione di esecutività dello stato passivo, ferma l’azione del fallimento verso il Fondo di tesoreria dello Stato, se non altro a titolo di ingiustificato arricchimento. Poi, nonostante gli effetti endofallimentari, il pagamento dell’Inps a favore del prestatore di opere estingueva in misura corrispondente il suo credito, anche ai fini del riparto dell’attivo. In particolare, la formulazione dell’istanza di ammissione allo stato passivo per l’intero importo non può comportare rinuncia all’azione e, comunque, all’esercizio della pretesa nei riguardi del Fondo di tesoreria dello Stato, il quale resta debitore e, anzi, in virtù della sua posizione pubblica deve assumere un ruolo attivo, con la ricerca dei beneficiari e il pagamento di quanto ricevuto, in assolvimento di una specifica responsabilità istituzionale. Così, nonostante l’errata formazione dello stato passivo, poteva essere scongiurato il rischio di un mancato pagamento da parte del Fondo e di una ripartizione fallimentare che trascurasse le risorse a esso versate, ai danni del principio di concorsualità. Poco importano le contrarie, infondate opinioni dell’Inps, basate sull’idea non condivisibile per cui l’ammissione allo stato passivo avrebbe precluso l’adempimento delle sue obbligazioni da parte del Fondo[23].
3. Le obbligazioni del Fondo di garanzia in tema di trattamento di fine rapporto e l’inopponibilità all’Inps del provvedimento di ammissione allo stato passivo fallimentare
Si legge ancora nella sentenza, sulla base di orientamenti superati[24], che l’Inps non potrebbe contestare l’ammontare del trattamento di fine rapporto, poiché sarebbe vincolato dall’approvazione e dall’esecutività dello stato passivo fallimentare, così che, in esito a queste, il Fondo di tesoreria dello Stato vedrebbe estinte le sue obbligazioni e quello di garanzia dovrebbe pagare l’intero importo, compresa quella parte per cui vi erano stati accontamenti presso il primo Fondo. Non è così.
L’errata ammissione del credito relativo al trattamento di fine rapporto allo stato passivo non ha alcuna conseguenza nei riguardi dell’Inps[25], che può eccepire come nulla sia dovuto e, va da sé, contestare l’importo sul quantum. L’accertamento compiuto in sede di ammissione allo stato passivo non preclude all’Inps di mettere in discussione i presupposti per l’intervento del Fondo di garanzia. Non erano mancate pronunce di segno opposto[26], anche ripetute, ma in contrasto con il principio della semplice rilevanza endofallimentare del decreto di esecutività dello stato passivo[27], secondo la tesi di gran lunga maggioritaria[28].
Obbiettavano i sostenitori dell’idea tradizionale, a proposito della posizione del Fondo di garanzia, che questo “si sostituisce al datore di lavoro inadempiente per insolvenza nel pagamento, realizzando un accollo cumulativo in forza del quale il Fondo assume in via solidale e, al tempo stesso, sussidiaria la medesima obbligazione retributiva, rimasta inadempiuta per insolvenza, previo accertamento del credito e dei relativi accessori mediante insinuazione nello stato passivo divenuto definitivo”[29]. Tuttavia, non si vede perché il decreto di esecutività dovrebbe pregiudicare le ragioni dell’Inps, posto il carattere solo endofallimentare[30] dei suoi effetti[31], considerato anche l’art. 1306, primo comma, cod. civ.. Il decreto ha efficacia endofallimentare, certo non superiore a quella del giudicato, il quale, comunque, non reca danno ai condebitori solidali[32]. Pertanto, non è vero che, “una volta ottenuta (a torto o a ragione) l’ammissione della domanda di insinuazione al passivo, ciò determini l’impossibilità per l’Inps di contestare la concreta operatività della regola di intervento del Fondo, incentrata sul ricorrere degli elementi previsti dalla stessa fattispecie”[33].
Per quanto tradizionale[34], l’idea non è persuasiva. Non si vede perché il decreto di esecutività dovrebbe avere effetti nei confronti dell’Inps, che poteva avere conoscenza della domanda di ammissione solo se creditore del fallimento e nei limiti nei quali questi erano informati. Comunque, non vi può essere efficacia nei riguardi del terzo, con conseguenze maggiori di quelle del giudicato nei confronti del debitore solidale e in contrasto con la mera rilevanza endofallimentare del decreto stesso[35]. La revisione del precedente orientamento è persuasiva. Quindi, in contrasto con quanto ritenuto dalla sentenza in esame, per gli effetti solo endofallimentari del decreto di esecutività dello stato passivo, esso non giova al Fondo di tesoreria dello Stato e lascia inalterati i suoi debiti, né incrementa in modo illegittimo quelli del Fondo di garanzia.
Sebbene siano entrambi gestiti dall’Inps, sono finanziati con criteri del tutto differenti e ciascuno deve fare fronte alle sue obbligazioni, determinate per legge, con le sue risorse, a tacere del fatto che, pagato il lavoratore, il Fondo di garanzia si deve surrogare nei suoi crediti nei confronti del fallimento. In particolare, il Fondo di tesoreria dello Stato non può trattenere le somme ricevute dal datore di lavoro, né quello di garanzia deve intervenire per importi accantonati presso l’altro Fondo, che devono essere pagati al lavoratore, senza alcuna obbligazione del fallimento, visto il precedente adempimento dell’impresa, prima dell’apertura della procedura concorsuale.
[1] Da ultimo, v. il messaggio dell’Inps 4 febbraio 2020, n. 413.
[2] Quindi, sono diverse dalle obbligazioni del Fondo di garanzia, con esclusiva natura previdenziale; v. Cass. 16 marzo 2021, n. 7352, in Giur. it. rep., 2021, sia sulla natura previdenziale delle obbligazioni del Fondo di garanzia, sia sul carattere retributivo di quelle del Fondo di tesoreria.
[3] A ragione, sul fatto che la disposizione osta comunque all’applicazione dell’art. 2126 cod. civ., che, a sua volta, fa salve “diverse disposizioni”, v. P. Sandulli, Non automaticità delle prestazioni del Fondo di tesoreria, in Sito Mofop, 5 marzo 2020.
[4] V. Cass. 2 maggio 2019, n. 11536, in Giur. it. rep., 2019; Cass. 10 settembre 2021, n. 24510, ibid., 2021.
[5] V. Cass. 10 settembre 2021, n. 24510, in Giur it. rep., 2021.
[6] V.: P. Sandulli, Nuovi modelli di protezione sociale fra istanze risalenti e pretese recenti: profili di criticità e problemi di finanziamento, in Mass. giur. lav., 2019, 653 ss.
[7] Poiché il caso in esame è proprio di fallimento, si continua a usare tale espressione.
[8] V. messaggio dell’Inps 25 febbraio 2014, n. 2837.
[9] V. la circolare dell’Inps 3 aprile 2007, n. 70 del 2007.
[10] V. P. Sandulli, Non automaticità delle prestazioni del Fondo di tesoreria, cit.
[11] V. Cass. 16 marzo 2021, n. 7352, in Giur. it. rep., 2021.
[12] Sulla natura del conferimento del trattamento di fine rapporto ai fondi di previdenza complementare, v. A. Pandolfo – S. Lucantoni, Trattamento di fine rapporto e previdenza complementare, in Aa. Vv., Contratto di lavoro e organizzazione, a cura di M. Marazza, in Tratt. dir. lav., a cura di F. Carinci – M. Persiani, 2012, vol. IV, tm. II, 1565 ss.
[13] V. Cass. 29 gennaio 2018, n. 2152, ord., in motivazione, in Giur. it. rep., 2018.
[14] V. Cass. 16 maggio 2018, n. 12009, in Giur. it. rep., 2018.
[15] V. anche Cass., sez. un., 12 marzo 2015, n. 4949, in Foro it., 2015, 6, 1, 1979.
[16] V. Cass., sez. un., 30 marzo 2015, n. 6349, in Giur. it. rep., 2015.
[17] V. Cass., sez. un., 20 marzo 2018, n. 6928, in Variaz. temi dir. lav., sito, 2018.
[18] V. Cass. 16 marzo 2021, n. 7352, in Giur. it. rep., 2021.
[19] V.: V. Ferrante, Finanziamento della previdenza complementare e devoluzione tacita del trattamento di fine rapporto, in Aa. Vv., La nuova disciplina della previdenza complementare (decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252), a cura di A. Tursi, in Nuove leggi civ. comm., 2007, 73 ss.
[20] V. messaggio dell’Inps 25 febbraio 2014, n. 2837, sulle modalità operative con le quali, seppure nel caso di fallimento, il lavoratore può ottenere la corresponsione del trattamento di fine rapporto, per le quote versate al Fondo di tesoreria dello Stato.
[21] Così si esprime la sentenza in esame.
[22] V. Cass. 16 marzo 2021, n. 7352, in Giur. it. rep., 2021.
[23] V. il messaggio dell’Inps 3 febbraio 2012, n. 2057.
[24] V. Cass. 23 febbraio 2021, n. 4897, in Giur. it rep., 2021, che ricostruisce il mutamento degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità.
[25] Non è del tutto chiaro nella motivazione della sentenza Cass. 19 luglio 2018, n. 19277, in Giur. it. rep., 2018, se la procedura concorsuale fosse un fallimento o una liquidazione coatta amministrativa, anche a causa dell’eliminazione dei riferimenti alle ragioni sociali delle parti, per ragioni di riservatezza. Le conclusioni non cambiano.
[26] V. Cass. 4 dicembre 2015, n. 24730, in Giur. it. rep., 2015, per cui “la definitiva esecutività dello stato passivo, da cui risulti un credito (nella specie, il trattamento di fine rapporto e le ultime tre mensilità della retribuzione) in favore del dipendente dell'imprenditore dichiarato fallito, vincola, a prescindere dalla partecipazione alla procedura concorsuale, l'Inps al subentro nel debito del datore di lavoro insolvente, posto che l'art. 2 della legge n. 297 del 1982 ha la finalità di garantire i crediti insoddisfatti dei lavoratori e di evitare loro ulteriori e defatiganti accertamenti”.
[27] V. Cass., sez. un., 14 luglio 2010, n. 16508, in Foro it., 2010, I, 3376.
[28] V. Cass. 14 marzo 2017, n. 6524, in Giur. it. rep., 2017; Cass. 10 giugno 2015, n. 12054, ibid., 2015, Cass. 25 febbraio 2011, n. 4708, in Giur. it. rep., 2011.
[29] V. Cass. 15 maggio 2003, n. 7604, in Gius, 2003, 2257.
[30] V.: F. Rolfi, Ancora sull’effetto di “giudicato endofallimentare” del decreto di esecutività dello stato passivo, in Fall., 2009, 161 ss.
[31] V.: G. Gabassi, Compensazione e fallimento: la portata del giudicato “endofallimentare” dell’ammissione allo stato passivo del credito residuo, con particolare riferimento al saldo del conto corrente bancario, in Nuova giur. civ. comm., 2011, 130 ss.
[32] Sull’art. 1306, primo comma, cod. civ., v. Cass. 17 novembre 2016, n. 23422, in Giur. it. rep., 2016.
[33] Così si esprime la sentenza Cass. 19 luglio 2018, n. 19277, in Giur. it. rep., 2018.
[34] V. Cass. 2 ottobre 2007, n. 20664, in Giur. it. rep., 2007.
[35] In questo ultimo senso, v. Cass. 13 dicembre 2021, n. 39698, in Giur. it. rep., 2021; Cass. 23 febbraio 2021, n. 4897, ibid., 2021.
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