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Il cram down fiscale nel concordato

Giulio Andreani, Dottore Commercialista e Consulente fiscale in Milano

18 Maggio 2022

Rimane anche nel Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (“CCII” o “Codice”) l’obbligo di presentare all’Agenzia delle Entrate una proposta di transazione fiscale per poter soddisfare solo parzialmente e/o in forma dilazionata i crediti tributari. Tuttavia, rispetto al comma 1 dell’art. 182-ter L. fall., il comma 1 dell’art. 88 del Codice (che nel Codice disciplina la transazione fiscale nell’ambito del concordato preventivo), nella versione risultante dalle modifiche previste nello schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva (UE) 2019/1023, contiene una interessante novità, rappresentata dall’inserimento della locuzione iniziale “Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’articolo 112, comma 2, …”.
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La corretta lettura di questa precisazione, invero, si presenta (almeno in prima battuta) abbastanza oscura; né si rivela di particolare ausilio la relazione illustrativa del suddetto provvedimento normativo, la quale si limita ad affermare che l’incipit del comma 1 dell’art. 88 è stato inserito “per circoscriverne la portata in ragione della nuova disciplina del concordato in continuità ”.
Occorre al riguardo rammentare che l’attuale formulazione dell’art. 112 del CCII si limita a disciplinare soltanto alcuni aspetti particolari del giudizio di omologazione, continuando ad attribuire al tribunale (in analogia a quanto previsto dalla legge fallimentare) il potere di omologare il concordato nonostante il dissenso di una parte dei creditori, nel caso in cui essi possano ottenere dall’esecuzione del concordato un soddisfacimento non inferiore a quello che otterrebbero accedendo all’alternativa procedura di liquidazione giudiziale; stabilisce infatti che, se vi è contestazione in ordine alla convenienza della proposta da parte di un creditore dissenziente appartenente ad una classe dissenziente oppure se la contestazione proviene da creditori dissenzienti che rappresentano almeno il venti per cento dell’ammontare complessivo dei crediti ammessi al voto, “il tribunale può omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale”.
Con le modifiche previste nel suddetto schema di decreto legislativo, l’articolo 112 risulta radicalmente sostituito, venendo precisato al comma 1 il contenuto delle verifiche che il tribunale è tenuto a compiere ai fini del giudizio di omologazione, a seconda che il concordato sia in continuità aziendale o meno. Nel comma 2 di tale articolo sono invece inserite le regole che disciplinano la omologazione forzosa nel caso della cosiddetta “ristrutturazione trasversale” (“cross class cram down”) prevista dall’art. 11, paragrafo 1, lettere a) e b) della citata Direttiva, consentendo il cram down solo nel concordato in continuità aziendale, a patto che, oltre ad altre condizioni, ricorra quella dell’espressione di un voto favorevole da parte della maggioranza delle singole classi (in caso di mancato ottenimento del voto favorevole di tutte le classi richiesto, come regola generale, dal comma 1, lett. f), del medesimo art. 112). 
Per effetto di tali modifiche, infatti, il testo del comma 2 del nuovo art. 112 è destinato a diventare il seguente: 
Nel concordato in continuità aziendale, se una o più classi sono dissenzienti, il tribunale, su richiesta del debitore o con il consenso del debitore in caso di proposte concorrenti, omologa altresì se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: 
a) il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; 
b) il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall’articolo 84, comma 7; 
c) nessun creditore riceve più dell’importo del proprio credito; 
d) la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”.
Si tratta dunque di una serie di presupposti che, se soddisfatti congiuntamente, consentono al tribunale di omologare il concordato con continuità aziendale anche in caso di dissenso manifestato da parte di una o più classi, in deroga alla regola generale sancita dal comma 1 del medesimo art. 112: tra i presupposti richiesti risaltano quelli indicati alla lett. a) e alla lett. b), secondo cui il valore deve essere distribuito nel rispetto delle cause legittime di prelazione (applicando la regola della priorità assoluta) e il valore eccedente quello di liquidazione deve essere distribuito, seppur derogando a tale regola, in modo da rispettare quella della priorità relativa, che consente di pagare un creditore sebbene quelli di grado poziore non siano stati soddisfatti in maniera integrale ma ricevano semplicemente un trattamento più favorevole.
Ciò posto, con riguardo all’art. 88 del Codice che disciplina la transazione fiscale nell’ambito del concordato, in base a una prima lettura l’incipit di tale norma (“Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’articolo 112, comma 2”), potrebbe venire inteso nel senso che le norme disciplinanti la transazione fiscale trovano applicazione solo per il concordato liquidatorio, ma non con riguardo al concordato con continuità aziendale, al quale – per effetto del suddetto incipit - si applicherebbero esclusivamente le norme recate dal citato art. 112, comma 2. La medesima restrizione dovrebbe valere quindi anche per le disposizioni dettate relativamente al cram down fiscale dal comma 2-bis dell’art. 88, che permette al tribunale (ricorrendo i presupposti ivi previsti) di considerare positivo il voto negativo (espresso o non espresso) dell’Agenzia delle Entrate e addivenire così all’ omologazione della proposta concordataria anche in mancanza di adesione del creditore pubblico. Peraltro il testé citato comma 2-bis attribuisce tale potere al tribunale quando la mancanza di adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui al comma 1 dell’art. 109 (in base al quale il concordato è approvato con il voto favorevole che rappresenta la maggioranza dei crediti ammessi al voto), ma senza fare alcun riferimento al successivo comma 5 del medesimo art. 109, che con riguardo al concordato con continuità aziendale ne prevede l’approvazione se tutte le classi votano a favore. Dunque, il richiamo al solo comma 1 - e non anche al comma 5 - dell’art. 109, da parte del comma 2-bis dell’art. 88, potrebbe essere inteso come conferma del fatto che per il concordato in continuità rilevino unicamente le previsioni contenute nel comma 2 dell’art. 112, consentendo esse di per sé la omologazione del concordato anche se vi sono delle classi dissenzienti e permettendone quindi la omologazione anche se la classe dei crediti fiscali è dissenziente. 
Questa prima lettura, tuttavia, non si rivela corretta, perché, in forza della norma da ultimo citata, il tribunale può omologare il concordato in continuità aziendale anche ove una o più classi abbiano espresso il loro dissenso rispetto alla proposta di concordato in continuità aziendale, se ricorrono talune condizioni, tra le quali rientra anche quella per cui la proposta di concordato deve essere stata approvata dalla maggioranza delle classi. Pertanto, nel caso in cui la proposta non fosse approvata dalla maggioranza dei creditori a causa della mancata adesione dei creditori pubblici, l’omologazione risulterebbe preclusa laddove dal campo di applicazione del comma 2-bis dell’art. 88 dovesse ritenersi escluso tout court il concordato in continuità aziendale. 
Questa interpretazione si rivela, tuttavia, contraria alle finalità che hanno indotto il legislatore a introdurre il cram down fiscale e ciò la rende non coerente con altre disposizioni che disciplinano il concordato. Inoltre, se il legislatore avesse voluto escludere l’applicazione della transazione fiscale al concordato con continuità aziendale, sarebbe stato assai più semplice delimitare l’ambito applicativo di tale istituto al concordato liquidatorio, senza necessità di richiamare le disposizioni dettate dal comma 2 dell’art. 112 relativamente al giudizio di omologazione.
Va dunque ricercata una diversa interpretazione dell’incipit aggiunto al comma 1 dell’art. 88, che privilegi la coerenza e la sistematicità di tale disposizione rispetto alle altre norme del Codice. Questa diversa interpretazione è quella che si ottiene se si attribuisce a tale incipit lo scopo di affermare l’applicazione delle norme recate dal comma 2 dell’art. 112 del Codice in aggiunta a - anziché in sostituzione di - quelle dell’art. 88 che regolamentano la transazione fiscale. Sulla base di questa diversa interpretazione, pertanto, mentre nel concordato non in continuità gli effetti previsti dall’art. 88 - falcidia e dilazione dei debiti fiscali - si producono secondo le regole generali, in quello in continuità essi si generano soltanto se si verificano anche gli ulteriori presupposti previsti dal comma 2 dell’art. 112. Di conseguenza, nel concordato in continuità il voto espressamente favorevole del Fisco non è di per sé sufficiente, perché ai fini della omologazione della proposta (in caso di mancata approvazione della domanda di concordato in continuità da parte di tutte le classi, come discene dal terzo periodo del comma 5 dell’art. 109) occorre anche il rispetto delle ulteriori condizioni poste dal comma 2 dell’art. 112, tra le quali quella che richiede la necessaria approvazione della proposta di concordato da parte della maggioranza delle classi.
Nel formulare la proposta di trattamento dei debiti tributari (e contributivi) in caso di concordato preventivo con continuità aziendale, perciò, il debitore resta tenuto a rispettare (a pena di inammissibilità della stessa) i vincoli sanciti dal comma 1 dell’art. 88, mentre in sede di omologazione le regole statuite nel comma 2 dell’art. 112 in tema di cross class cram down si affiancano (aggiungendosi) a quelle contenute nel comma 2-bis dell’art. 88 in tema di cram down fiscale, con la conseguenza che:
· in caso di mancato voto favorevole di tutte le classi a causa del dissenso (non “determinante”) del Fisco ed eventualmente di altri creditori, il tribunale omologa comunque la proposta concordataria se questa viene comunque approvata dalla maggioranza delle classi e ricorrono gli altri presupposti richiesti dal comma 2 dell’art. 112, senza necessità di dar corso al cram down fiscale che risulta quindi in tal caso inutile e non attuabile, non essendo l’adesione del Fisco “determinante”;
· in caso di mancato raggiungimento del voto favorevole da parte della maggioranza delle classi a causa del dissenso “determinante” del Fisco, il tribunale omologa la proposta concordataria mediante il cram down fiscale previsto dal comma 2-bis dell’art. 88 e ai sensi del comma 2 dell’art. 112, se ricorrono i rispettivi presupposti.
Questa interpretazione ha il pregio di attribuire il necessario rilievo all’incipit del comma 1 dell’art. 88 e di rispettare al tempo stesso la ratio del comma 2-bis del medesimo articolo, risultando coerente con quanto affermato sul punto nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo. 

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