La regola del concorso formale (art. 151) e il procedimento di formazione dello stato passivo (artt. 201-210) vanno fra loro coordinati. La prima disposizione esprime il principio; le altre disposizioni esprimono il modo in cui il principio viene attuato; il procedimento di accertamento del passivo è lo strumento con cui si attua il concorso formale, sì che le regole ora fissate non costituiscono norme sulla competenza, ma norme sul rito[20].
Questo significa che rispetto ad una domanda con cui viene fatta valere una ragione di credito nei confronti del curatore in base alle regole del processo ordinario, il giudice non deve dichiarare il proprio difetto di competenza, ma deve pronunciare una sentenza (di rito) di improponibilità della domanda[21]; ciò vale anche con riguardo al processo penale là dove si esclude che la procedura possa assumere la posizione di responsabile civile[22].
Per lo stesso motivo, a seguito della liquidazione giudiziale del debitore diviene improseguibile la domanda già proposta davanti al giudice della cognizione ordinaria[23], domanda che va, pertanto, trasferita nella sede prevista per la formazione del passivo concorsuale (sempre che il creditore lo voglia); le dichiarazioni di improponibilità e di improcedibilità sono pronunce che si applicano alle azioni di condanna ma non solo a queste, perché non può essere decisa nel merito neppure l’azione di mero accertamento quando la relativa pronuncia costituisca la base concettuale di una pretesa creditoria deducibile in sede concorsuale[24], salvo che il creditore non dichiari espressamente di volere utilizzare il titolo così ottenuto contro l’imprenditore solo dopo il suo ritorno in bonis, ma in questo caso la legittimazione passiva spetta al debitore e non al curatore[25].
Alla medesima regola sono sottoposte le azioni costitutive dirette a far venire meno gli effetti di un negozio (le cc.dd. impugnative negoziali) quando dalla pronuncia conseguono diritti su cose che appartengono al debitore (ad esempio la restituzione di una cosa o di una somma di denaro), talché vanno proposte secondo il meccanismo di cui agli artt. 201 ss. CCII; per le [sole] azioni di risoluzione[26] questo principio si è tradotto in diritto positivo, visto il nuovo art. 172, comma 5 CCII[27]; mi pare, però, che esistano fondate ragioni per postulare che identico meccanismo dovrebbe valere anche per le altre tipologie di azioni[28].
Con specifico riferimento ai giudizi pendenti, si pone il tema se l’azione possa essere trasferita in sede concorsuale a mezzo di un atto di riassunzione e ciò allo scopo di conservare gli effetti della domanda giudiziale svolta davanti al giudice ordinario[29].
Se si guarda all’esigenza di garantire alla parte di non subire pregiudizi di natura sostanziale derivanti dalla diversità dei modelli processuali, lo strumento della riassunzione dovrebbe apparire praticabile.
A conforto di tale opzione si può valorizzare l’art. 172 CCII là dove si consente ad una parte di far valere il potere di chiedere la risoluzione del contratto nei confronti del debitore se la domanda di risoluzione era già stata “quesita” prima dell’apertura del concorso, formula importata dalla giurisprudenza[30], ma evocativa di una continuità processuale fra giudizio ordinario (sulla domanda di risoluzione) e giudizio speciale concorsuale (sulla domanda di risoluzione e pronunce restitutorie accessorie)[31]. Per queste domande dovremmo ritenere predicabile proprio l’istituto della trasmigrazione del processo da ordinario a speciale mediante un atto di riassunzione che avrà la forma della domanda di cui all’art. 201 CCII. Questa soluzione può consentire al creditore di trascinare nel procedimento di formazione dello stato passivo i risultati istruttori del procedimento ordinario, fermo restando che (i) il giudice li valuterà secondo il suo prudente apprezzamento, (ii) i limiti probatori tipici del procedimento di formazione del passivo restano inalterati, di talché le prove raccolte aliunde potranno essere invocate nella misura in cui risultino compatibili con il procedimento speciale, caratterizzato, come è noto, da una pluralità di regole molto particolare, molte delle quali pertengono alla posizione del curatore come ‘terzo’ rispetto al debitore e a tutti i creditori concorrenti. Anche la domanda che ha come oggetto una tutela costitutiva andrebbe, dunque, decisa dal giudice del concorso e ciò perché solo l’accertamento sulla situazione costitutiva regge l’ammissione o il rigetto della domanda sul credito e perciò deve essere consentito il controllo incrociato con gli altri creditori anche su quella domanda.[32]
Per le altre domande, quelle che hanno ad oggetto una pretesa creditoria, quando l’apertura della liquidazione giudiziale del debitore convenuto interviene nel corso del giudizio di accertamento del credito, il giudizio diviene improcedibile nei confronti del curatore qualora la parte lo riassuma in sede ordinaria[33].
La preclusione posta dall’art. 151 a forme di tutela diverse da quelle dell’accertamento endoconcorsuale si applica anche per espressa previsione di legge ad ogni pretesa creditoria successivamente insorta e suscettibile di soddisfacimento sul patrimonio del debitore; si deve trattare di un credito che matura dopo la liquidazione giudiziale e che riguarda beni e diritti compresi nella liquidazione giudiziale. Pertanto, il principio di esclusività si estende anche ai crediti prededucibili, quando su di essi sorga contestazione (e salvo che non si tratti di crediti originati da provvedimenti di liquidazione del giudice delegato), posto che in caso di crediti prededucibili liquidi, esigibili e non contestati il curatore può procedere direttamente al pagamento in favore del creditore previa autorizzazione del comitato dei creditori (art. 222 CCII)[34].
Il principio di esclusività ha assunto un ulteriore spazio anche là dove il legislatore ha espressamente stabilito che alle regole del concorso formale si deve assoggettare pure quel creditore a favore del quale siano attribuiti privilegi processuali che gli consentono di coltivare le azioni esecutive in deroga al divieto di cui all’art. 150 CCII, come ad esempio per i crediti correlati ad operazioni di credito fondiario[35], o per quelli correlati al c.d. pegno non possessorio.
Per quanto attiene alla regola del concorso formale applicata ai diritti reali o personali di terzi, occorre precisare che l’accertamento del passivo è lo strumento con il quale debbono essere fatte valere le azioni (reali o personali) relative a beni mobili o immobili[36].
Alla regola della concentrazione non fa eccezione neppure il credito derivante dalle obbligazioni restitutorie conseguenti ad azione revocatoria concorsuale, nel senso che, mentre il tribunale che ha aperto la liquidazione giudiziale del debitore che ha compiuto l’atto pregiudizievole ai creditori resta competente a decidere l’inefficacia (o meno) dell’atto, le pronunzie di pagamento o di restituzione, conseguenziali alla dichiarazione d’inefficacia, competono al tribunale che ha dichiarato la liquidazione giudiziale del terzo, secondo le modalità stabilite per l’accertamento del passivo e dei diritti dei terzi.
Non diversa è la conclusione per ciò che attiene ai crediti tributari ma con la precisazione che il merito della pretesa tributaria va accertato, vista la riserva di giurisdizione, davanti alle commissioni tributarie.
Vediamo ora alcune fra le poche eccezioni al principio del concorso formale. La prima e più rilevante riguarda le azioni di mero accertamento che non si traducano, neppure indirettamente, in una pretesa sul concorso. In questo caso se sorge una lite, non si applica il procedimento di cui agli artt. 201-210 CCII[37].
L’altra importante deroga alla regola del concorso formale è costituita dall’istituto della compensazione[38]. Vi sono, però, anche altre deroghe che derivano (i) dalla presenza di garanzie finanziarie che assistono il credito[39] e (ii) dal pegno irregolare.[40]
Qualora, poi, davanti ad un giudice ordinario penda una controversia nella quale il curatore assume la posizione di attore e nei suoi confronti (o nei confronti del debitore se il giudizio era cominciato prima della liquidazione giudiziale) sia formulata una domanda riconvenzionale per la quale opera il rito speciale dell’accertamento del passivo[41], il giudice adìto dal curatore in via ordinaria deve trattenere e decidere la domanda principale, previa separazione dei giudizi, salva la sospensione per pregiudizialità una volta che in sede concorsuale sia proposta la domanda di ammissione del credito opposto (prima) in via riconvenzionale.
Infine, occorre prendere in esame il tema delle cause connesse (un giudizio in sede ordinaria ed uno in sede concorsuale) che presenta specifiche criticità, almeno in parte determinate dal fatto che il procedimento di formazione dello stato passivo per come è conformato mal si presta al coordinamento e al simultaneus processus con liti esterne[42]; così, tanto per cominciare, il creditore di più coobbligati in solido di cui alcuni in bonis, deve proporre domande separate e non passibili di riunione, davanti a giudici diversi. Parimenti, sembrano da escludere raccordi nel caso delle chiamate in garanzia quando il chiamante è il curatore che voglia essere manlevato rispetto alla domanda di ammissione al passivo.[43]
Un caso ancor più frequente è quello che pertiene alla connessione per incompatibilità: un creditore presenta domanda di ammissione al passivo sulla base di un certo titolo e il curatore, anziché limitarsi ad eccepire vizi che attengono al titolo, promuove un ordinario giudizio di cognizione.[44] Benché sia sovente predicata l’opportunità di evocare la sospensione del processo (art. 295 c.p.c.)[45], a me pare che la regola della efficacia endoconcorsuale dell’accertamento dei crediti ponga un tema di possibile contrasto logico e pratico di decisioni ma mai un problema di conflitto di giudicati (anche nella minor versione di cui all’art. 204 CCII)[46].