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Saggio

I principi di vertice dell’accertamento dello stato passivo all’esito del processo di riforma e le correlazioni con la liquidazione dell’attivo*

Massimo Fabiani, Ordinario di diritto commerciale nell’Università del Molise

29 Maggio 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il saggio si propone di porre l’attenzione sui principi in materia di accertamento del passivo al fine di verificarne l’impatto rispetto al complesso processo riformatore, ivi incluso uno sguardo sull’imminente decreto correttivo 2024, per poi esaminare profili di collegamento con alcuni principi della liquidazione dell’attivo.
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1 . I principi
La legge delega n. 155/2017 ha dettato, in tema di formazione dello stato passivo, alcuni dei principi e criteri direttivi contenuti nell’art. 7 dedicato alla liquidazione giudiziale. In particolare, ha previsto “8. Il sistema di accertamento del passivo è improntato a criteri di maggiore rapidità, snellezza e concentrazione, adottando misure dirette a: a) agevolare la presentazione telematica delle domande tempestive di creditori e terzi, anche non residenti nel territorio nazionale, restringendo l’ammissibilità delle domande tardive; b) introdurre preclusioni attenuate già nella fase monocratica; c) prevedere forme semplificate per le domande di minor valore o complessità; d) assicurare stabilità alle decisioni sui diritti reali immobiliari; e) attrarre nella sede concorsuale l'accertamento di ogni credito opposto in compensazione ai sensi dell'articolo 56 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267; f) chiarire le modalità di verifica dei diritti vantati su beni del debitore che sia costituito terzo datore di ipoteca; g) adeguare i criteri civilistici di computo degli interessi alle modalità di liquidazione dell'attivo di cui al comma 9.” Ai fini della formazione del passivo, però, torna utile evocare anche l’art. 2, lett. m) là dove si stabiliva: “m) riformulare le disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi, al fine di favorirne il superamento, in coerenza con i principi stabiliti dalla presente legge;” 
Data questa tessitura normativa del legislatore delegante, sin dalla prima impressione, visto il decreto delegato 14/2019, il c.d. ‘decreto correttivo’ 147/2020 nonché quello ancora in fase di approvazione e che dovrebbe entrare in vigore nella seconda metà del 2024, emerge una sostanziale e diffusa non attuazione della delega[1]. Se poniamo in disparte, almeno per ora, il regime disciplinare delle domande tardive, il capo (a) non è stato attuato perché la presentazione telematica non è innovata; il capo (b) è stato ignorato sì che il sistema delle preclusioni è rimasto inalterato; il capo (c) non è stato neppure sfiorato; così pure il capo (e) ed il capo (g). Il legislatore delegato si è concentrato sul capo (d) e si è invece impegnato prevedendo in più punti la regolazione del capo (f). 
Commentando, quasi a prima lettura, il D.Lgs. n. 14/2019 avevo espresso perplessità e critiche sulla mancata piena attuazione della delega. Il tempo dei decreti correttivi è giunto al suo epilogo, sicché ci si deve confrontare con il dato di diritto positivo verosimilmente destinato a consolidarsi per alcuni anni.
Infatti, il c.d. “secondo correttivo”[2], cioè quello in corso di definitivo confezionamento, rimuove alcune incertezze interpretative e innesta qualche nuova previsione utile al miglior efficientamento del processo ma non interviene dando attuazione ai residui criteri di legge delega[3]. 
La formulazione contenuta nell’art. 7 della delega “Il sistema di accertamento del passivo è improntato a criteri di maggiore rapidità, snellezza e concentrazione” induce a ritenere che quelli disposti siano criteri e non principi con l’effetto che la loro inattuazione non sopravvive come, invece, potrebbe accadere se si trattasse di principi[4]. 
Tuttavia, nel frattempo, talune criticità sembrano superate dal progressivo consolidamento della lettura giurisprudenziale sì che ciò che il legislatore avrebbe potuto fare sarebbe stato conformare l’intero procedimento ad un sistema solido e ben perimetrato ma certo questo non era compito di un intervento di correzione. Restano così oggetto di dibattito le questioni che già avevano agitato le discussioni dopo le Riforme degli anni 2006/2007, sì che nelle riflessioni che seguono si continueranno a porre al centro dell’attenzione problematiche remote ma ancora controvertibili ed al fondo è giusto che sia così e cioè che talune discussioni debbano avvenire solo a livello teorico perché altrimenti si correrebbe il rischio di redigere più un vademecum che una legge che, ricordiamolo, dovrebbe avere come valore assoluto quello della generalità e astrattezza. 
È ben vero che rimuovere incertezze normative sul procedimento di formazione dello stato passivo potrebbe produrre un rilevante beneficio perché la vocazione strumentale del processo non dovrebbe far ombra alla tutela dei diritti che, in questo caso, sono declinati nei diritti dei creditori, individualmente e come massa. Avere incertezze sul procedimento è fonte di aggravio temporale nello sviluppo della procedura concorsuale e sarebbe di gran lunga preferibile accettare una regola per quanto discutibile ma ferma, anziché fomentare discussioni che si snodino nei vari gradi del processo. 
Tuttavia, per le ragioni pocanzi enunciate mi pare che sul piano del diritto positivo non poche incertezze siano state, nelle more, dipanate. 
L’impalcatura forgiata dal codice della crisi, dal decreto correttivo del 2020 e da quello del 2024 non è stata intaccata dal decreto di attuazione della Direttiva 1023/2019 che si è occupata dei quadri di ristrutturazione preventiva; dalle prime informazioni si può pensare che non vi dovrà essere neppure un processo di adattamento quando sarà varata la prossima Direttiva UE sulle procedure di liquidazione. 
2 . Il principio del concorso formale
Siamo tutti sempre stati abituati a ragionare di accertamento dello stato passivo avendo come baricentro la Sezione (prima nella legge fallimentare e ora nel codice della crisi) che viene subito dopo quella dedicata alla custodia e alla apprensione dell’attivo e prima di quella sulla conservazione dei valori attivi e sulla liquidazione.
Tuttavia, i principi di vertice della formazione dello stato passivo li ritroviamo altrove e precisamente nell’art. 151 CCII là dove è collocato il principio del “concorso formale”[5].
Il fatto che a proposito degli effetti della liquidazione giudiziale sui creditori si stabilisca, dapprima, il divieto di azioni esecutive deriva da una matrice storica e cioè quella di considerare la liquidazione giudiziale come una procedura prevalentemente esecutiva[6]; una affermazione che può essere condivisa solo parzialmente pur se uno degli scopi della liquidazione giudiziale resta, senza ombra di dubbio, la soddisfazione dei creditori al pari del fine essenziale dell’espropriazione individuale. 
Diversamente dalla espropriazione singolare che prescinde da una fase pregressa di formazione del passivo perché ciò che conta è la presenza di un titolo esecutivo, nel sistema del concorso dell’impresa insolvente la fase della liquidazione dell’attivo e quella della ripartizione debbono essere precedute da un altro segmento del procedimento perché i creditori debbono conquistare un titolo esecutivo speciale, ovverosia l’inclusione nello stato passivo validato dal giudice delegato. 
Chiarita la ragione per la quale è anteposta la disposizione che inibisce le azioni esecutive, occorre affrontare il tema, centrale, del concorso dei creditori. Infatti, l’art. 151, comma 1 CCII stabilisce in modo perentorio che «la liquidazione giudiziale apre il concorso dei creditori sul patrimonio del debitore».
Le proposizioni contenute nella norma sono due: da un lato si dice che dalla liquidazione giudiziale gemma il concorso dei creditori[7] e dall’altro lato si precisa che questo concorso ha per oggetto il patrimonio del debitore. È bene subito precisare che questa affermazione va meglio specificata, in quanto il concorso si apre sul patrimonio del debitore quale si forma nella procedura concorsuale, il che vuol dire che il concorso può avere ad oggetto anche beni che non sono di proprietà del debitore ma che questi deteneva e sui quali i terzi titolari di diritti incompatibili non vogliono esercitare azioni di rivendicazione o di restituzione. Questo spiega perché il procedimento di formazione della massa passiva sia anche utilizzato per verificare i diritti di terzi su cose. 
Al contempo, il patrimonio destinato al concorso non corrisponde a tutto il patrimonio del debitore perché occorre sottrarre quei beni (e diritti) di carattere personale che sfuggono allo spossessamento[8], nonché quelli che ‘escono’ dalla liquidazione giudiziale perché la loro liquidazione viene ritenuta non conveniente (art. 213 CCII)[9] o neppure vi rientrano (art. 142 CCII)[10], sempre perché la loro apprensione risulta anti-economica.
Una volta delimitato quale è il patrimonio sul quale si apre il concorso, rileviamo che l’art. 151 CCII esprime anche che il concorso non può riguardare beni di terzi e in particolare di quei terzi che siano indirettamente coinvolti nel dissesto. I terzi che hanno prestato garanzia con i propri beni a favore del debitore, nel caso di inadempimento del debitore principale sono esposti alle azioni dei creditori, ma sul loro patrimonio non si apre il concorso, pur quando per ipotesi i garanti avessero prestato garanzia indistintamente a favore di tutto il ceto creditorio coinvolto nella liquidazione giudiziale.
A questa situazione non è più speculare quella in cui i beni del debitore, acquisiti alla massa, siano vincolati a garanzia di un debito altrui; in questo caso la nuova regola collocata nell’art. 201 CCII stabilisce che anche colui che, pur essendo creditore di un terzo, vanti un diritto di garanzia ipotecaria sui beni del debitore in procedura deve far valere i diritti derivanti dalla garanzia ipotecaria o pignoratizia partecipando al procedimento di formazione della massa passiva (v., infra).
La dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale si presenta come la condizione necessaria perché i singoli creditori concorsuali, cioè anteriori alla liquidazione giudiziale, si possano trasformare in creditori concorrenti[11]; non è sicuro che ciò accada perché questa trasformazione non avviene d’imperio, ma presuppone che il creditore lo chieda[12]. Il creditore lo chiede quando propone la domanda di ammissione al passivo (art. 201), in quanto il procedimento di accertamento dei crediti è l’unico contesto processuale nel quale può formarsi il titolo per partecipare al concorso, in virtù del principio di esclusività[13]. L’intervento della liquidazione giudiziale attribuisce a tutti i creditori la qualifica di concorsuali, ma non li costringe a divenire concorrenti[14]; al creditore non è impedito di rimanere estraneo al concorso, potendo, se vuole, conseguire un titolo nelle consuete sedi ordinarie da far valere eventualmente contro il debitore tornato in bonis (nei limiti in cui non si sia realizzata l’esdebitazione); ciò spiega l’inesattezza della conclusione secondo la quale le domande inserite nei giudizi ordinari aventi per oggetto crediti contro il debitore, in conseguenza della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, divengono sempre inammissibili o improcedibili.
Ai creditori che aspirano a divenire concorrenti è destinato, in via esclusiva, il procedimento disegnato dagli artt. 201-210 CCII. 
Come si avrà modo di verificare nella trattazione dei connotati qualificanti il procedimento di formazione dello stato passivo, la regola del concorso formale esprime il bisogno di concentrare in un unico contesto processuale tutte le domande dei creditori; questa concentrazione[15] mira a favorire il rispetto della parità di trattamento, ma anche a permettere a ciascun creditore di interloquire con tutti gli altri, visto che quanti più sono i diritti di credito, tanto minori sono le percentuali di soddisfazione di ciascun creditore. 
Come al principio dell’universalità oggettiva si ispirano le norme di cui agli artt. 142-146 CCII, così quello della universalità soggettiva è espresso dagli artt. 150 e 151; il primo principio comporta la privazione integrale del debitore dalla disponibilità del suo patrimonio; il secondo, la soggezione dei suoi creditori alle norme specifiche sulla formazione dello stato passivo e l’esclusione della possibilità di azioni autonome sui beni del debitore nonché della possibilità di proseguire o iniziare azioni volte alla conservazione del patrimonio del debitore. Questo principio, pur estensibile alle domande di rivendica e di restituzione soffre per queste una limitazione perché in presenza di diritti di terzi facilmente riconoscibili la sottrazione all’attivo concorsuale può avvenire in occasione delle operazioni di inventario (art. 196 CCII)[16].
Il principio di esclusività del procedimento di formazione dello stato passivo risulta ribadito rispetto all’identico art. 52 L. fall., e, in verità, deve reputarsi persino rafforzato[17] posto che sono attratte al procedimento anche le domande con le quali un creditore di un terzo chiede di essere collocato nel riparto del debitore assoggettato alla liquidazione giudiziale e che abbia rilasciato garanzia (v., infra); un’ulteriore estensione dell’esclusività del procedimento di formazione dello stato passivo si rinviene nell’art. 173 CCII, nella parte in cui si prevede che al medesimo procedimento siano sottoposte le domande con le quali il promissario acquirente chiede alla curatela di dare esecuzione ad un contratto preliminare di compravendita pendente e avente ad oggetto il trasferimento di immobili destinati a casa di abitazione principale o a sede dell’opificio principale. Tuttavia, pur nella sua assolutezza[18], il principio non può essere così esteso dall’esprimere un principio di ordine pubblico[19].
3 . Il rapporto tra accertamento del passivo e liti esterne
La regola del concorso formale (art. 151) e il procedimento di formazione dello stato passivo (artt. 201-210) vanno fra loro coordinati. La prima disposizione esprime il principio; le altre disposizioni esprimono il modo in cui il principio viene attuato; il procedimento di accertamento del passivo è lo strumento con cui si attua il concorso formale, sì che le regole ora fissate non costituiscono norme sulla competenza, ma norme sul rito[20]. 
Questo significa che rispetto ad una domanda con cui viene fatta valere una ragione di credito nei confronti del curatore in base alle regole del processo ordinario, il giudice non deve dichiarare il proprio difetto di competenza, ma deve pronunciare una sentenza (di rito) di improponibilità della domanda[21]; ciò vale anche con riguardo al processo penale là dove si esclude che la procedura possa assumere la posizione di responsabile civile[22]. 
Per lo stesso motivo, a seguito della liquidazione giudiziale del debitore diviene improseguibile la domanda già proposta davanti al giudice della cognizione ordinaria[23], domanda che va, pertanto, trasferita nella sede prevista per la formazione del passivo concorsuale (sempre che il creditore lo voglia); le dichiarazioni di improponibilità e di improcedibilità sono pronunce che si applicano alle azioni di condanna ma non solo a queste, perché non può essere decisa nel merito neppure l’azione di mero accertamento quando la relativa pronuncia costituisca la base concettuale di una pretesa creditoria deducibile in sede concorsuale[24], salvo che il creditore non dichiari espressamente di volere utilizzare il titolo così ottenuto contro l’imprenditore solo dopo il suo ritorno in bonis, ma in questo caso la legittimazione passiva spetta al debitore e non al curatore[25]. 
Alla medesima regola sono sottoposte le azioni costitutive dirette a far venire meno gli effetti di un negozio (le cc.dd. impugnative negoziali) quando dalla pronuncia conseguono diritti su cose che appartengono al debitore (ad esempio la restituzione di una cosa o di una somma di denaro), talché vanno proposte secondo il meccanismo di cui agli artt. 201 ss. CCII; per le [sole] azioni di risoluzione[26] questo principio si è tradotto in diritto positivo, visto il nuovo art. 172, comma 5 CCII[27]; mi pare, però, che esistano fondate ragioni per postulare che identico meccanismo dovrebbe valere anche per le altre tipologie di azioni[28]. 
Con specifico riferimento ai giudizi pendenti, si pone il tema se l’azione possa essere trasferita in sede concorsuale a mezzo di un atto di riassunzione e ciò allo scopo di conservare gli effetti della domanda giudiziale svolta davanti al giudice ordinario[29]. 
Se si guarda all’esigenza di garantire alla parte di non subire pregiudizi di natura sostanziale derivanti dalla diversità dei modelli processuali, lo strumento della riassunzione dovrebbe apparire praticabile. 
A conforto di tale opzione si può valorizzare l’art. 172 CCII là dove si consente ad una parte di far valere il potere di chiedere la risoluzione del contratto nei confronti del debitore se la domanda di risoluzione era già stata “quesita” prima dell’apertura del concorso, formula importata dalla giurisprudenza[30], ma evocativa di una continuità processuale fra giudizio ordinario (sulla domanda di risoluzione) e giudizio speciale concorsuale (sulla domanda di risoluzione e pronunce restitutorie accessorie)[31]. Per queste domande dovremmo ritenere predicabile proprio l’istituto della trasmigrazione del processo da ordinario a speciale mediante un atto di riassunzione che avrà la forma della domanda di cui all’art. 201 CCII. Questa soluzione può consentire al creditore di trascinare nel procedimento di formazione dello stato passivo i risultati istruttori del procedimento ordinario, fermo restando che (i) il giudice li valuterà secondo il suo prudente apprezzamento, (ii) i limiti probatori tipici del procedimento di formazione del passivo restano inalterati, di talché le prove raccolte aliunde potranno essere invocate nella misura in cui risultino compatibili con il procedimento speciale, caratterizzato, come è noto, da una pluralità di regole molto particolare, molte delle quali pertengono alla posizione del curatore come ‘terzo’ rispetto al debitore e a tutti i creditori concorrenti. Anche la domanda che ha come oggetto una tutela costitutiva andrebbe, dunque, decisa dal giudice del concorso e ciò perché solo l’accertamento sulla situazione costitutiva regge l’ammissione o il rigetto della domanda sul credito e perciò deve essere consentito il controllo incrociato con gli altri creditori anche su quella domanda.[32] 
Per le altre domande, quelle che hanno ad oggetto una pretesa creditoria, quando l’apertura della liquidazione giudiziale del debitore convenuto interviene nel corso del giudizio di accertamento del credito, il giudizio diviene improcedibile nei confronti del curatore qualora la parte lo riassuma in sede ordinaria[33]. 
La preclusione posta dall’art. 151 a forme di tutela diverse da quelle dell’accertamento endoconcorsuale si applica anche per espressa previsione di legge ad ogni pretesa creditoria successivamente insorta e suscettibile di soddisfacimento sul patrimonio del debitore; si deve trattare di un credito che matura dopo la liquidazione giudiziale e che riguarda beni e diritti compresi nella liquidazione giudiziale. Pertanto, il principio di esclusività si estende anche ai crediti prededucibili, quando su di essi sorga contestazione (e salvo che non si tratti di crediti originati da provvedimenti di liquidazione del giudice delegato), posto che in caso di crediti prededucibili liquidi, esigibili e non contestati il curatore può procedere direttamente al pagamento in favore del creditore previa autorizzazione del comitato dei creditori (art. 222 CCII)[34]. 
Il principio di esclusività ha assunto un ulteriore spazio anche là dove il legislatore ha espressamente stabilito che alle regole del concorso formale si deve assoggettare pure quel creditore a favore del quale siano attribuiti privilegi processuali che gli consentono di coltivare le azioni esecutive in deroga al divieto di cui all’art. 150 CCII, come ad esempio per i crediti correlati ad operazioni di credito fondiario[35], o per quelli correlati al c.d. pegno non possessorio. 
Per quanto attiene alla regola del concorso formale applicata ai diritti reali o personali di terzi, occorre precisare che l’accertamento del passivo è lo strumento con il quale debbono essere fatte valere le azioni (reali o personali) relative a beni mobili o immobili[36]. 
Alla regola della concentrazione non fa eccezione neppure il credito derivante dalle obbligazioni restitutorie conseguenti ad azione revocatoria concorsuale, nel senso che, mentre il tribunale che ha aperto la liquidazione giudiziale del debitore che ha compiuto l’atto pregiudizievole ai creditori resta competente a decidere l’inefficacia (o meno) dell’atto, le pronunzie di pagamento o di restituzione, conseguenziali alla dichiarazione d’inefficacia, competono al tribunale che ha dichiarato la liquidazione giudiziale del terzo, secondo le modalità stabilite per l’accertamento del passivo e dei diritti dei terzi. 
Non diversa è la conclusione per ciò che attiene ai crediti tributari ma con la precisazione che il merito della pretesa tributaria va accertato, vista la riserva di giurisdizione, davanti alle commissioni tributarie. 
Vediamo ora alcune fra le poche eccezioni al principio del concorso formale. La prima e più rilevante riguarda le azioni di mero accertamento che non si traducano, neppure indirettamente, in una pretesa sul concorso. In questo caso se sorge una lite, non si applica il procedimento di cui agli artt. 201-210 CCII[37]. 
L’altra importante deroga alla regola del concorso formale è costituita dall’istituto della compensazione[38]. Vi sono, però, anche altre deroghe che derivano (i) dalla presenza di garanzie finanziarie che assistono il credito[39] e (ii) dal pegno irregolare.[40] 
Qualora, poi, davanti ad un giudice ordinario penda una controversia nella quale il curatore assume la posizione di attore e nei suoi confronti (o nei confronti del debitore se il giudizio era cominciato prima della liquidazione giudiziale) sia formulata una domanda riconvenzionale per la quale opera il rito speciale dell’accertamento del passivo[41], il giudice adìto dal curatore in via ordinaria deve trattenere e decidere la domanda principale, previa separazione dei giudizi, salva la sospensione per pregiudizialità una volta che in sede concorsuale sia proposta la domanda di ammissione del credito opposto (prima) in via riconvenzionale. 
Infine, occorre prendere in esame il tema delle cause connesse (un giudizio in sede ordinaria ed uno in sede concorsuale) che presenta specifiche criticità, almeno in parte determinate dal fatto che il procedimento di formazione dello stato passivo per come è conformato mal si presta al coordinamento e al simultaneus processus con liti esterne[42]; così, tanto per cominciare, il creditore di più coobbligati in solido di cui alcuni in bonis, deve proporre domande separate e non passibili di riunione, davanti a giudici diversi. Parimenti, sembrano da escludere raccordi nel caso delle chiamate in garanzia quando il chiamante è il curatore che voglia essere manlevato rispetto alla domanda di ammissione al passivo.[43] 
Un caso ancor più frequente è quello che pertiene alla connessione per incompatibilità: un creditore presenta domanda di ammissione al passivo sulla base di un certo titolo e il curatore, anziché limitarsi ad eccepire vizi che attengono al titolo, promuove un ordinario giudizio di cognizione.[44] Benché sia sovente predicata l’opportunità di evocare la sospensione del processo (art. 295 c.p.c.)[45], a me pare che la regola della efficacia endoconcorsuale dell’accertamento dei crediti ponga un tema di possibile contrasto logico e pratico di decisioni ma mai un problema di conflitto di giudicati (anche nella minor versione di cui all’art. 204 CCII)[46].
4 . I diritti reali di garanzia su beni del soggetto sottoposto a liquidazione giudiziale
Come si è accennato, il principio di esclusività esce rafforzato dal codice della crisi. Due sono le novità più eclatanti. 
Sono, infatti, attratte al procedimento anche le domande con le quali un creditore di un terzo (debitore principale) chiede di essere collocato nel riparto del debitore assoggettato alla liquidazione giudiziale e che abbia rilasciato garanzia reale. Infatti, l’art. 201 CCII prevede che “Le domande di ammissione al passivo di un credito o di restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili compresi nella procedura, nonché le domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati o dati in pegno a garanzia di debiti altrui, si propongono con ricorso ...”. Si tratta di una scelta che appare del tutto condivisibile per le ragioni a suo tempo enunciate[47] e che trova ascendenza nel comma 8 dell’art. 7, L. n. 155/2017 là dove la delega stabilisce che “f) chiarire le modalità di verifica dei diritti vantati su beni del debitore che sia costituito terzo datore di ipoteca;”; il delegante, però, ha dato al delegato una disposizione aperta che è stata risolta in modo opposto al formante, in allora, consolidato della Corte di Cassazione, secondo il quale era pacifico che la domanda di ammissione al passivo non fosse necessaria[48]. Un orientamento a ben vedere granitico divelto da una recente (e successiva rispetto al decreto legislativo delegato) decisione[49]. 
Nonostante tale decisione e la novella legislativa, non vi è ancora piena condivisione della nuova regola[50], specie con riferimento alla questione del contraddittorio sull’accertamento della pretesa del “terzo non creditore”. Dato per scontato che il debitore assoggettato alla liquidazione giudiziale è il soggetto che ha costituito la garanzia (senza essere, al contempo, il debitore), e dato altresì per condiviso (art. 204, comma 5°, CCII) che l’accertamento produce effetto solo ai fini del concorso anche con riguardo al diritto di partecipare al riparto[51], non v’è alcuna ragione di pretendere che al processo partecipi il debitore obbligato, in quanto la decisione sul diritto a partecipare al riparto produce effetti solo all’interno della procedura concorsuale di liquidazione giudiziale[52]. In questo caso non si forma nessun accertamento sul diritto di credito perché ciò presupporrebbe la presenza nel processo del debitore principale; si forma un accertamento sul diritto a prelevare nel riparto – solo ed esclusivamente sul ricavato del bene sul quale insiste la garanzia – una somma nei limiti del credito vantato verso il debitore principale. In tal senso non sembra condivisibile l’assunto per il quale andrebbe imposto il contraddittorio con il debitore principale[53]. Si è sostenuto che il diritto del garantito sussiste solo se il credito è scaduto verso il debitore principale e che, diversamente, il garantito potrebbe chiedere una separazione prenotativa[54]. La tesi è stimolante perché coglie il bisogno di evitare che con la liquidazione e la purgazione della garanzia, il ‘non-creditore’ possa perdere la garanzia, ma al contempo si corre il rischio di favorire una non voluta ‘ammissione con riserva atipica’[55]. La questione è delicata perché qui si giuoca, proprio, la permanenza della garanzia, tema che non si pone in caso di alienazione - secondo le regole del diritto privato - del bene, perché l’ipoteca segue la vicenda circolatoria. Ove il credito vantato verso il debitore principale non sia scaduto all’apertura del concorso del garante, il diritto al prelievo non sussiste; quando si giunge alla vendita del bene il creditore ha diritto alla comunicazione dell’avvio della procedura di liquidazione[56] e così il garante avrà una ulteriore finestra temporale per far valere il diritto al prelievo con una domanda tardiva – senza che sia imputabile un ritardo[57] - , ma se ancora non vi è titolo per agire contro il debitore principale ed occorre ripartire il ricavato non si può attendere oltre e il bene sarà comunque purgato.[58] Nell’ambito del rapporto che si costituisce fra il creditore garantito e il terzo obbligato, il curatore può sollevare tutte le eccezioni che pertengono al rapporto principale, in quanto la soggezione alla espropriazione presuppone l’esistenza di un debito. 
Risolta questa criticità, con il decreto correttivo in itinere si è rimossa la non giustificabile limitazione della nuova regola al creditore ipotecario: infatti, le novelle disposizioni si estendono al creditore pignoratizio.[59] sussistendone tutti i presupposti, così come per le altre ipotesi di responsabilità senza debito[60]. Non credo, invece, che una vera lacuna residua sia quella costituita dal fatto che i titolari di pegno e ipoteca non sono inclusi fra i destinatari della comunicazione che il curatore deve inviare ai sensi dell’art. 200 CCII[61], per la semplice ragione che tale norma prescrive che l’avviso vada inoltrato ai titolari di diritti reali e pegno e ipoteca sono diritti reali di garanzia.
5 . Il diritto del promissario acquirente al trasferimento del bene
Un’ulteriore estensione dell’esclusività del procedimento di formazione dello stato passivo si rinviene nell’art. 173 CCII nella parte in cui si prevede che al medesimo procedimento siano sottoposte le domande con le quali il promissario acquirente chiede alla curatela di dare esecuzione ad un contratto preliminare di compravendita pendente e avente ad oggetto il trasferimento di immobili destinati ad abitazione principale o a sede dell’opificio principale[62]. 
Su questa disposizione occorre intendersi: unitamente alla disposizione ancillare che pertiene alla tutela del diritto di credito del finanziatore la regola non è di agevole collocazione sistematica e rischia di non essere a perfetta tenuta in termini di efficienza[63]; ciò nondimeno, ai fini della ammissione allo stato passivo, la nuova disposizione intende trasferire nella sede della formazione dello stato passivo la pretesa del promissario acquirente di voler sottrarre all’attivo il bene oggetto del preliminare di vendita.
Tale disposizione vale per quella sola categoria di contratti preliminari, posto che per quelli aventi ad oggetto beni diversi, la nuova regola consolida quell’indirizzo – dopo un tracciato tanto faticoso quanto ondivago dei giudici di legittimità che ha reso necessario un duplice intervento delle Sezioni unite – in virtù del quale il promissario acquirente può proseguire il processo, purché avviato prima della liquidazione giudiziale con domanda trascritta,  così sottraendo alla verifica del passivo le domande ex art. 2932 c.c. [64] 
In sostanza, il solco segnato dalla giurisprudenza che faceva salvo il diritto del promissario acquirente se trascritto anteriormente al fallimento[65] (ora liquidazione giudiziale) lo si dirige verso la fattispecie del ‘preliminare generico’ (art. 172, 1° comma, CCII). Per il ‘preliminare speciale protetto’ (quello per la prima casa o per lo stabilimento produttivo), si stabilisce che il promissario acquirente può evitare lo scioglimento a due condizioni: (i) che il contratto sia stato trascritto e che gli effetti della pubblicità legale non siano esauriti; (ii) che il promissario acquirente manifesti la volontà di esecuzione del contratto presentando la domanda di accertamento del diritto contro la massa dei creditori. Questa opzione non deve consolidarsi nel termine stabilito per la presentazione delle domande tempestive[66], ma può intervenire anche con domanda tardiva che, peraltro, è compressa nei sei mesi successivi alla esecutività dello stato passivo, talché il ritardo appare accettabile. Anche perché appare assai difficile che il promissario acquirente sia in grado di dimostrare la non imputabilità del ritardo ai fini della ammissibilità della c.d. domanda “super tardiva”. 
La soluzione, se si vuole macchinosa, ha, però, un pregio, quello di portare dentro la procedura di concorso una pretesa idonea a pregiudicare gli altri creditori per effetto della sottrazione di un bene dall’attivo[67]. La soluzione sembra allinearsi a quel filone giurisprudenziale più recente che vuole attrarre al concorso formale anche le azioni di risoluzione ‘quesite’ prima del fallimento[68] (ora liquidazione giudiziale), da intendersi comprensive sia della vicenda demolitiva-negoziale sia della vicenda restitutoria.[69] Mentre per il preliminare generico si richiede che l’iniziativa sia stata avviata prima della liquidazione giudiziale con tutte le formalità di cui agli artt. 2932 c.c. e 145 CCII, nel caso del preliminare speciale protetto, il promissario acquirente può far valere il suo diritto alla esecuzione specifica del contratto anche per la prima volta in corso di liquidazione giudiziale, ma proprio perché non lo ha fatto prima, allora deve transitare per il procedimento di formazione del passivo, nel quale caso il curatore dovrà valutare se il contratto ha i requisiti di cui all’art. 173 CCII e se la trascrizione dell’atto è ancora efficace. 
È ben noto quanto sia stata travagliata la sorte dei promissari acquirenti ai quali si è cercato, in tutti i modi, di offrire tutela pur nella consapevolezza che ogni grammo di tutela in più offerto al promissario si traduceva in un grammo in meno per i finanziatori dell’impresa. Il conflitto tra il creditore che aveva finanziato con iscrizione ipotecaria l’impresa di costruzioni e il promissario acquirente che aveva stipulato un contratto preliminare versando somme molto vicine al prezzo finale, garantito da un privilegio iscrizionale subvalente rispetto all’ipoteca[70], non era semplice da risolvere. In questa impresa si è cimentato il codice della crisi che con il recente addendum ha previsto una specifica ipotesi di impugnazione del diritto (in luogo del credito) ammesso: il creditore ipotecario può contestare, con l’impugnazione di cui all’articolo 206, comma 3, la congruità del prezzo pattuito dimostrando che, al momento della stipula del contratto, il valore di mercato del bene era superiore a quello pattuito di almeno un quarto. Se la non congruità del prezzo è accertata, il contratto si scioglie e si procede alla liquidazione del bene salvo che il promissario acquirente non esegua il pagamento della differenza prima che il collegio provveda sull’impugnazione ai sensi dell’articolo 207, comma 13.
6 . La natura
È ora utile offrire una succinta sistemazione teorica del procedimento che si concentri sulla natura, sulla struttura, sulla funzione e sull’oggetto nella fase che si svolge davanti al giudice delegato. 
La natura del procedimento è sempre stata vivacemente dibattuta e ciò per una ragione molto semplice; prima della riforma del 2006, il procedimento si svolgeva davanti al giudice delegato ma senza una vera e propria contrapposizione fra parti, in quanto il curatore partecipava al procedimento come mero ausiliario del giudice; in tale contesto vi erano non poche voci che contestavano la natura contenziosa del procedimento e si discorreva di fase amministrativa o di volontaria giurisdizione. 
Una volta mutata la tessitura normativa è agevole prendere atto della piena natura contenziosa del procedimento[71], rivelata da una serie di indizi e, prima ancora, dal netto confronto con il procedimento di formazione dello stato passivo nella liquidazione coatta amministrativa. Nella l.c.a. la prima fase non si svolge davanti ad un giudice e non vige il principio della domanda, perché lo stato passivo viene formato d’ufficio (sulla base delle risultanze documentali contabili) dal commissario liquidatore. L’autorità giudiziaria interviene solo in un momento successivo ed eventuale. 
Viceversa, nel procedimento di accertamento dei crediti nella liquidazione giudiziale ritroviamo tutti i connotati tipizzanti la classica tutela contenziosa[72] propria dei giudizi ordinari di cognizione. 
(i) Il procedimento si svolge davanti ad un giudice, sin dal primo momento; un giudice che decide da una posizione di terzietà ed imparzialità[73], sia perché sono largamente venute meno le commistioni fra funzioni gestorie e funzioni giurisdizionali del giudice delegato, sia perché i poteri decisori che gli sono riconosciuti si saldano con quelli che spettano al giudice nelle controversie ordinarie. 
(ii) Il procedimento inizia con la proposizione di una domanda di parte e la domanda ha il contenuto e produce gli effetti della domanda giudiziale (art. 202 CCII). Non si tratta di una mera istanza volta a richiedere al giudice di provvedere, ma di una domanda giudiziale sulla quale il giudice ha il dovere di provvedere[74]. 
(iii) Il giudice nel provvedere deve attenersi ai principi fondamentali del processo civile e in particolare deve rispettare il principio dispositivo (art. 112 c.p.c.)[75]. La sua decisione è modulata all’interno di un perimetro composto da una parte dalla domanda e dall’altro dalle eccezioni che possono sollevare le parti. Come un qualunque altro giudice può poi sollevare le eccezioni rilevabili d’ufficio. 
(iv) Il curatore riveste la posizione di parte processuale in senso proprio. Può (rectius, deve) sollevare le eccezioni in senso stretto (cioè, quelle riservate alla esclusiva iniziativa di parte); può impugnare le decisioni del giudice. Più in generale il curatore può svolgere nel procedimento tutte e proprio tutte quelle attività che una parte può fare in un processo ordinario di cognizione. 
(v) Il procedimento, per quanto semplificato, è aperto all’espletamento di attività istruttoria, anche non meramente documentale; possono, infatti, essere assunte prove costituende; questa disposizione è molto significativa in ottica sistematica. Quando si discute del diritto di azione che la Costituzione garantisce ed eleva fra i diritti fondamentali dell’individuo (art. 24 Cost.), si è soliti precisare che il diritto di azione non può mai essere disgiunto dal diritto alla prova. Ecco allora che la previsione di un diritto alla prova ben si coniuga con la qualificazione giurisdizionale di questo segmento del processo concorsuale. 
(vi) Nel procedimento che si svolge davanti al giudice delegato si assiste ad un conflitto fra il creditore ed il curatore e fra ciascun creditore e tutti gli altri creditori. L’affermazione e cioè il riconoscimento del diritto di credito del singolo, confligge con i diritti altrui perché ogni ammissione al passivo comprime le aspettative di soddisfazione degli altri. Ferma restando l’entità dell’attivo liquidato, la misura del soddisfacimento del credito di ciascuno è inversamente proporzionale al numero e alla quantità dei crediti ammessi. La formazione del passivo è la sede naturale del conflitto alimentato dall’insufficienza delle risorse disponibili[76]. 
Possiamo, quindi, concludere che il procedimento che si svolge davanti al giudice delegato ha piena natura contenziosa. Occorre, ora, interrogarsi in ordine a quale tipologia di tutela contenziosa il procedimento debba essere ascritto.
7 . La struttura
Quanto alla struttura del procedimento, osserviamo che: (i) il procedimento che si snoda davanti al giudice delegato non ha nulla dei procedimenti in camera di consiglio (art. 737 ss. c.p.c.), sia perché non v’è alcun richiamo normativo, sia perché vi è un netto distacco da quel modello processuale, basti pensare alla regolazione di diritti e poteri delle parti; (ii) va, parimenti, escluso che il procedimento appartenga alla categoria dei processi a cognizione piena ed esauriente perché di questi è tipica la precostituzione di tempi e forme del processo; (iii) neppure può essere ascritto al procedimento monitorio in quanto qui il contraddittorio è ben presente sin dal primo momento; (iv) infine possiamo escludere che i tratti siano quelli dei procedimenti cautelari in quanto non si tratta di stabilire la verosimiglianza del diritto [di credito], ma di accertare l’esistenza piena del diritto in base a forme semplificate[77]. 
Astretta da questa sequenza di esclusioni, la conclusione obbligata sembrava essere quella della riconduzione del procedimento alla tutela sommaria-semplificata, là dove – per casi tipici – si stabilisce che il giudice possa provvedere, allo stato degli atti in base a modelli speciali di fonti di convincimento (prove o comportamenti processuali, come accade nel procedimento di convalida di sfratto), per rendere rapidamente (ma senza il requisito dell’urgenza) una decisione, idonea a divenire immutabile in assenza di opposizione della parte nei cui confronti è rivolta la domanda[78]. 
A quella conclusione è lecito apporre una variante perché il procedimento di formazione del passivo sembra assomigliare al paradigma della tutela dichiarativa[79], ma in forme semplificate[80], non molto lontano (ideologicamente) dal procedimento sommario di cognizione (art. 281-decies c.p.c.) e, dunque, solo in tale contesto può appartenere alla nomenclatura della tutela sommaria. Infatti, le fonti di convincimento del giudice delegato non sono tipiche, ma assai vicine a quelle del processo ordinario di cognizione, sebbene in un clima di deformalizzazione, con piena coerenza dell’idoneità della decisione all’immutabilità se non impugnata. 
La struttura del procedimento non è quella dei procedimenti cautelari e neppure lo è (v., infra) la funzione talché pur essendo solo in parte controverso, con l’art. 201, ult.comma, CCII si è esplicitamente stabilito l’assoggettamento alla sospensione feriale dei termini (diversamente dal resto del comparto del CCII) il che, però, implica di dover verificare se a questa sospensione siano soggette anche le domande di credito relative a rapporti di lavoro[81].
8 . La funzione
Per quanto attiene alla funzione del procedimento, è evidente che in raccordo col principio di esclusività, lo scopo della formazione dello stato passivo è quello di selezionare quali sono i creditori che possono aspirare ad essere soddisfatti con il ricavato della liquidazione e quali sono i titolari di diritti su cose rientranti nella disponibilità materiale (e non giuridica) del debitore. 
Con la dichiarazione di liquidazione giudiziale si apre il concorso fra i creditori, ma non è detto che i creditori vogliano parteciparvi; proprio per questo è apprestato il procedimento di accertamento dei crediti, sì che, se i creditori non manifestano la volontà di partecipare, non ha alcun senso che la procedura di liquidazione giudiziale abbia a proseguire. L’art. art. 233 CCII stabilisce che la mancata presentazione di domande al passivo è una delle cause che conducono alla chiusura della liquidazione giudiziale. 
Nel medesimo contesto processuale sono devolute le domande con le quali coloro che rivendicano diritti su beni incompatibili con gli apparenti diritti del debitore, possono chiedere che detti beni siano a loro attribuiti e dunque di fatto sottratti all’esecuzione concorsuale. Come la formazione dello stato passivo è funzionale a selezionare quali sono i debiti da soddisfare, specularmente lo stesso procedimento è destinato ad accertare quali sono i beni con i quali soddisfare quei debiti. I beni che costituiscono la massa attiva sono quelli inventariati e quelli che sopravvengono per effetto dell’esercizio di azioni recuperatorie, ma da questi vanno tolti quelli che in realtà, a dispetto dell’apparenza, spettano a terzi. 
Quando si conclude il procedimento di formazione dello stato passivo, si individua contestualmente (salve le domande tardive) tanto la massa debitoria quanto il complesso dei beni sui quali i creditori possono fare affidamento come garanzia del loro credito. In un certo qual senso è come se il procedimento di formazione dello stato passivo fungesse anche da procedimento di formazione dello stato attivo, quanto meno per sottrazione [dei beni rivendicati da terzi].
9 . L’oggetto
Resta ora da esaminare quale sia l’oggetto del procedimento di accertamento del passivo visto dal prisma del singolo creditore. 
Per esplorare questo tema, si può partire da due punti fermi: (a) il debitore non è parte del procedimento; (b) il decreto che rende esecutivo lo stato passivo – e le decisioni assunte dal tribunale all’esito dei giudizi di impugnazione – produce[cono] effetto solo ai fini del concorso (art. 204 comma 5 CCII). Questi sono i due punti cardinali che rappresentano l’architrave delle teorie che ruotano attorno all’individuazione dell’oggetto del processo. In ogni processo è presente un oggetto che è normalmente segnato dal diritto soggettivo (o status) in contesa; si tratta dunque di stabilire quale sia il diritto che il creditore fa valere nel momento in cui presenta la domanda di ammissione al passivo. 
Oggetto del processo non è il diritto di credito; non lo può essere perché il debitore non è parte del processo[82], né lo può essere perché altrimenti verrebbero meno i principi della concorsualità che sono proprio quei principi che si è voluto invocare da parte di chi ha chiesto l’apertura della liquidazione giudiziale. E fra i principi della concorsualità trovano uno spazio importante le regole sull’opponibilità degli atti e dei negozi e le regole sull’inefficacia derivante dall’esercizio delle azioni revocatorie. 
Chi presenta la domanda di ammissione al passivo, oltre a dimostrare l’esistenza del credito deve anche far valere (i) una ragione di credito che si sia formata prima della liquidazione giudiziale e (ii) una ragione di credito che derivi da un atto o negozio che non sia affetto da vizi di inefficacia concorsuale. 
Le regole della concorsualità sono la trasposizione nella liquidazione giudiziale di regole che già si trovano nell’esecuzione individuale e che hanno a che vedere con i principi in tema di efficacia sostanziale del pignoramento (artt. 2913 ss. c.c.). Quei principi sono massimizzati nella liquidazione giudiziale con la conseguenza che il titolo che sta al fondo della domanda di ammissione deve essere (a) un titolo opponibile perché formatosi prima dello spossessamento (art. 142 CCII) - intendendosi il “prima” nel rispetto delle formalità di cui all’art. 145 CCII – e (b) non revocabile (artt. 163 ss. CCII). 
Oggetto del processo non è soltanto il diritto di credito perché altrimenti non si spiegherebbero questi condizionamenti per l’ammissione e d’altra parte, nel rapporto fra creditore e debitore non si vede per quale motivo il creditore dovrebbe essere pregiudicato da una pronuncia di esclusione dallo stato passivo, motivata dalla non concorsualità del credito, aspetto che esaurisce la sua funzione là dove non vi sia più una collettività di soggetti coinvolti. 
All’opposto, dobbiamo anche escludere che oggetto del processo sia proprio il c.d. diritto al concorso, posto che l’art. 205 CCII. ci dice che la decisione ha effetti solo ai fini del concorso. Si tratta, allora, di capire se sia autonomamente configurabile un diritto al concorso[83] e cioè il diritto processuale di partecipare ai riparti. 
Il processo dichiarativo ha per oggetto diritti soggettivi e status, ma questi diritti soggettivi devono sempre avere un contenuto sostanziale (in disparte quei processi che vedono come oggetto un fatto, come il giudizio per querela di falso); poi, per decidere del diritto al concorso bisognerebbe prima decidere sul diritto di credito, ed è per questo che talora si è affermato che il diritto di credito sarebbe una questione pregiudiziale (art. 34 c.p.c.) – da risolvere secondo la tecnica dell’accertamento, solo, incidentale[84] - rispetto al diritto al concorso e più esattamente una forma di pregiudizialità logica[85]; pregiudizialità al quadrato se il diritto di credito è pregiudicato da questioni che attengono al rapporto (al titolo). 
Per accogliere una domanda di ammissione al passivo occorre accertare che esiste un credito, che quel credito è opponibile e non è revocabile. 
Pertanto, oggetto del processo non può essere solo il diritto di credito né solo il diritto al concorso; l’oggetto del processo è una porzione più ampia del diritto di credito, è il diritto di credito assistito dal requisito della concorsualità. Che questa conclusione sia corretta lo si desume proprio dall’art. 205 CCII dove si prevede che gli effetti della decisione non oltrepassano il concorso, il che vuol dire che fuori dalla liquidazione giudiziale quella decisione non fa stato fra le parti. 
Possiamo quindi concludere che oggetto del processo è il diritto di credito nella sua “porzione concorsuale”[86]. Se questo è l’oggetto il giudice deve certamente verificare le caratteristiche ontologiche rappresentate da (i) esistenza e consistenza, (ii) validità del titolo su cui si fonda, (iii) opponibilità del titolo e (iv) efficacia del titolo. All’evidenza le caratteristiche sub (i) e sub (ii) attengono al credito e quelle sub (iii) e sub (iv) alla porzione concorsuale. 
Queste conclusioni andranno poi riesaminate ai fini della verifica dell’efficacia del decreto che rende esecutivo lo stato passivo e ciò andrà fatto anche e soprattutto con riguardo alle domande di rivendica/restituzione. 
Ma prima di concludere il discorso non si può dimenticare, come sopra accennato, che il concorso dipende dal credito e il credito dipende dal rapporto. Sennonché se la decisione finale è limitata al concorso, giuoco forza anche gli accertamenti incidentali sulle questioni pregiudiziali, sebbene li si voglia ascrivere alla pregiudizialità logica, resteranno affidati ai limiti interni al concorso. Ed allora se un creditore presenta una domanda di ammissione al passivo, assumendo che il credito derivi dalla nullità del contratto facendo così valere un credito di natura restitutoria, il giudice delegato conoscerà il rapporto e potrà ammettere il credito se riconosca la nullità del contratto, con l’effetto che questa decisione diventerà vincolante, a tutti gli effetti interni al concorso[87], talché, fuori dal concorso, il debitore potrà far accertare la validità del contratto ma non potrà agire in ripetizione stante i limiti di stabilità dei riparti. Però, all’interno del concorso, il curatore non potrà rimettere in discussione la nullità/validità del contratto, ad esempio al fine di ottenere la consegna di una cosa; tutto ciò ovviamente, ove si condivida l’approccio metodologico della formazione del giudicato sui fatti-diritti che sono connessi al diritto di credito secondo il crisma della pregiudizialità logica[88]. 
Non mi pare, invece, condivisibile la tesi secondo la quale solo l’accertamento positivo avrebbe effetto endoconcorsuale perché il decreto di rigetto avrebbe efficacia ultraconcorsuale[89] e ciò sulla base di una interpretazione letterale dell’art. 205 CCII; in disparte una obiezione sulla lettura della norma, dal punto di vista del sistema il rigetto della domanda di ammissione del credito derivante, ad esempio, dalla inopponibilità della data certa di una scrittura privata non può produrre effetti fuori dal concorso, là dove il rapporto duale esclude l’applicabilità dell’art. 2704 c.c. 
9.1 . La decisione sulle domande di rivendica e restituzione
Come si è precisato nel § precedente, l’art. 205 CCII stabilisce, diversamente da quanto prevedeva l’art. 96 L. fall. che l’efficacia solo endoconcorsuale del decreto del giudice delegato non riguarda il caso delle domande di rivendica e di restituzione. 
All’indomani delle modifiche apportate all’art. 96 L. fall. si era opportunamente messo in luce la criticità derivanti dal voler predicare una efficacia limitata alle decisioni involgenti il diritto di proprietà e si era opposto un conflitto tra le regola concorsuale e la regola dettata in tema di diritti reali.
Di ciò consapevole il legislatore delegato, con un tratto di penna, ha limitato l’efficacia endoconcorsuale alle decisioni in materia di crediti, con il risultato che le decisioni sulle domande di rivendica e di restituzione spiegano effetto anche fuori dal concorso[90]. Soluzione questa certamente in armonia con il sistema ma foriera di una non meno grave aporia: se la decisione sul diritto sul bene travalica la procedura si assiste ad un deficit di tutela del debitore che, cessata la procedura, si troverebbe vincolato da una decisione al cui processo non ha partecipato[91]. È anche questa, in chiave di sistema, una criticità ed il recente probabile intervento correttivo prende in considerazione quella lacuna, sospettabile di illegittimità costituzionale, stabilendo che “Quando il procedimento ha ad oggetto domande di restituzione o di rivendicazione il debitore può intervenire e proporre impugnazione ai sensi dell’articolo 206”. 
Con questa soluzione si è inteso trovare un punto di mediazione tra l’esigenza di evitare che il debitore divenga, in ogni caso, protagonista del procedimento di formazione dello stato passivo e l’esigenza di impedire effetti di giudicato su una parte non coinvolta nel processo. La previsione sembra esprimere una sorta di principio di eventualità: il debitore può impugnare la decisione se ritiene che lo pregiudichi, senza però che il suo intervento nel processo sia necessario. 
10 . Le relazioni con la successiva fase di liquidazione
L’impianto complessivo della successiva fase di liquidazione non differisce in misura sensibile dalle ultime modifiche che erano state inserite nella legge fallimentare. 
La legge delega 155/2017 aveva dato ben poche indicazioni per la fase della liquidazione o, se vogliamo, aveva indicato una serie di modifiche che sono rimaste inattuate[92], con la conseguenza che le travi portanti della liquidazione nel codice della crisi non sono dissonanti rispetto alla liquidazione nella legge fallimentare[93].
10.1 . Il ruolo del giudice delegato
In particolare, il ruolo degli organi della procedura non ha subito variazioni importanti[94] e dunque, nelle procedure ad assetto stabile nelle quali sono presenti tutti gli organi, la fase della liquidazione si regge sul rapporto triadico tra curatore, comitato dei creditori e giudice delegato. 
Rispetto alla fase dell’accertamento del passivo, però, è totalmente diversa la posizione del giudice delegato; nella formazione del passivo il giudice esercita una tipica funzione giurisdizionale che si esprime con decisioni che incidono su diritti soggettivi, sì che i provvedimenti sono sottoposti ai mezzi di impugnazione e non a mezzi di riesame o di revoca. 
Quando lo stato passivo è reso esecutivo il giudice delegato non lo può più “toccare” salvi i casi di correzione degli errori materiali. 
Viceversa, nella fase della liquidazione il giudice, tanto che eserciti i poteri connessi alla vigilanza sugli altri organi, quanto che eserciti i poteri di soggetto compartecipe con il curatore delle scelte gestorie, non assume alcuna funzione di giudizio e come già il giudice dell’esecuzione individuale attiene all’espletamento di tutte quelle attività “materiali” che servono per pervenire al risultato della liquidazione[95]. 
Da questo punto di vista il giudice delegato assume la funzione di giudice di una esecuzione speciale quale è quella concorsuale. 
I provvedimenti che gli competono pertengono alla gestione della procedura e per questo dovrebbero essere, sempre, provvedimenti di contenuto non decisorio, di certo reclamabili (al tribunale ai sensi dell’art. 124 CCII) ma non ricorribili per cassazione: ne è un plastico esempio il programma di liquidazione rispetto al quale il provvedimento del giudice non è ricorribile per cassazione[96]. Eppure, in più occasioni anche questi provvedimenti sono giunti all’esame del giudice di legittimità perché può ben darsi che nello sviluppo della fase di liquidazione il giudice si trovi a dover pronunciarsi su situazioni alle quali sono connessi diritti soggettivi che, venendo incisi dal provvedimento, possono essere sottoposti al regime impugnatorio. 
In tale cornice, se non mancano decisioni che si sono espresse per l’inammissibilità del ricorso[97], in più occasioni si è percorsa la via della ammissibilità[98] e con argomenti seri[99]. 
È evidente che anche in questa situazione coesistono le opposte esigenze di tutela della stabilità della vendita e del diritto dell’aggiudicatario[100] con la tutela dei creditori al massimo realizzo, ma l’art. 217 CCII sembra andare nella direzione della prima tutela là dove si è escluso il potere (anomalo) del curatore di sospendere la vendita (art. 107 L. fall.)[101] e si è riconosciuto che l’offerta al prezzo base è indice di verosimiglianza di una vendita a giusto prezzo (art. 217 CCII).
10.2 . Il processo esecutivo ordinario pendente o incardinato dal curatore
Nella individuazione dei principi di vertice del concorso si è ricordato quello che vuole impedite le azioni esecutive singolari all’interno della procedura collettiva (art. 150 CCII)[102]. 
Tuttavia, per ragioni ormai quasi imperscrutabili e nonostante il contrario criterio direttivo contenuto nella legge delega, nel codice della crisi ritroviamo ancora quella speciale esecuzione fondiaria che conserva il primato della proseguibilità, sebbene con una serie di caveat che in qualche modo attenuano una deroga altrimenti divenuta ingiustificabile[103]. 
Ma, in disparte questa previsione, il raccordo tra esecuzione individuale ed esecuzione collettiva appare di particolare rilievo nella parte in cui si prevede che una esecuzione, se pendente, possa essere proseguita dal curatore. Si tratta di previsione antica, risalente anche alla versione della legge fallimentare, con la quale si vuole offrire al curatore la possibilità di sfruttare l’attività già compiuta dal creditore esecutante[104]. 
Non è, quindi, questa previsione quella che ci interessa trattandosi di questione ampiamente discussa, al pari della indicazione della improcedibilità laddove il curatore decida di abbandonare l’esecuzione pendente, salvo qui precisare che l’improcedibilità disposta dal giudice dell’esecuzione andrebbe modulata in termini un poco diversi da quanto si suole ritenere. Difatti, se il giudice dichiara l’esecuzione pendente improcedibile – ferma la previsione che tratteremo in appresso sulla conservazione degli effetti del pignoramento – nel caso della cessazione della liquidazione giudiziale (ad esempio per revoca della sentenza ai sensi dell’art. 53 CCII) il creditore si troverà sprovvisto degli effetti che aveva conseguito e se il suo debitore avesse nelle more compiuto atti dispositivi sul bene pignorato, il creditore dovrebbe per tutelarsi promuovere un’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) sempre che ne ricorrano ancora i termini. Come ho già osservato altre volte, mi pare che sia preferibile discutere di improcedibilità temporanea e cioè di una improcedibilità condizionata al fatto che il bene venga venduto durante la procedura di liquidazione giudiziale[105]. 
Quanto all’altra ipotesi evocativa delle regole del processo esecutivo, il codice della crisi conferma che è il curatore che nel programma di liquidazione può prevedere che la procedura competitiva si attui seguendo le regole del codice di procedura civile che, dunque, vengono elette di default come regole che attuano il principio di competitività. 
L’art. 216 comma 3 CCII prevede che tale scelta determini una applicazione del codice di rito ma con clausola di compatibilità. Non credo che questa indicazione consenta di interpolare le norme del codice con regole estemporanee[106]; piuttosto, e ragionevolmente, questa clausola di compatibilità dovrebbe tornare utile per consentire che alcune delle disposizioni del codice non trovino applicazione perché non compatibili e mi riferisco all’istituto dell’assegnazione (artt. 588 ss. c.p.c.) che nel sistema concorsuale fatica ancora ad affermarsi[107] e a tutto ciò che pertiene al fatto che in un caso la vendita è atto del giudice e nell’altro caso è atto del curatore.[108] 
Resta da verificare la previsione secondo la quale – anche quando il curatore non subentra nell’esecuzione pendente – restano fermi gli effetti conservativi sostanziali del pignoramento in favore dei creditori (art. 216 comma 10 CCII)[109], ma non quelli di un eventuale sequestro conservativo (vincolo “a porta chiusa”)[110]. 
La scelta assolve al bisogno di estendere la protezione dei creditori e in tale ottica appare ampiamente comprensibile. È, però, una soluzione che pur se allineata a quelle disposizioni che concorsualizzano diritti o poteri dei singoli creditori (v., art. 165 CCII sulla revocatoria ordinaria esperita dal curatore)[111] non è in sintonia con i principi della continuità processuale (come, invece, accade proprio nella revocatoria ordinaria pendente). 
Una migliore giustificazione del trascinamento di effetti prodottisi prima dell’apertura del concorso a favore di tutti i creditori la si può trovare in un principio più generale che vuole che a determinate situazioni di allarme – nel caso in esame, l’allarme è costituito dal pignoramento – si connetta un effetto di protezione prenotativa, ciò che rinveniamo nelle misure protettive (art. 54 CCII) così come nella retroazione del periodo sospetto (art. 166 CCII) al momento della presentazione della domanda di apertura del procedimento unitario. 
Così, disporre che a prescindere dalla continuità processuale (data dal subentro del curatore nell’esecuzione pendente) si conservino effetti che si sono prodotti prima della apertura del concorso ci sembra disposizione di carattere più sostanziale che processuale e volta ad intercettare bisogni di conservazione del valore del patrimonio più che assecondare regole tecniche del processo.
10.3 . Gli effetti purgativi svincolati dalla vendita forzata
L’ulteriore tratto di collegamento tra accertamento del passivo e liquidazione dell’attivo può essere selezionato sul versante degli effetti della vendita forzata. 
Nelle speculazioni sull’espropriazione forzata coesistono due concezioni classiche in tema di vendita forzata, distribuite fra i fautori della tesi contrattualistica[112] e i fautori della tesi pubblicistica (o meglio dire panprocessualistica, visto che colloca l’offerta di acquisto da parte del terzo come una forma di domanda giudiziale)[113], poi sintetizzata in quanti hanno preferito non giungere a soluzioni sistematiche rigorose, preferendo considerare sia le peculiarità del negozio di diritto privato, sia i dominanti aspetti del procedimento officioso di impronta pubblicistica[114]. 
Ciò posto, spostando l’attenzione sulle vendite forzate in sede concorsuale, occorre prendere atto dell’interpretazione previgente alla riforma e dei possibili riflessi prodotti dalle nuove disposizioni sulla liquidazione dell’attivo, ma già è possibile anticipare che con riferimento alla liquidazione concorsuale la modificata disciplina non incide sulla natura dell’attività di liquidazione. Occorre pertanto confrontarsi con la teoria formatasi sulla natura della vendita forzata. 
È noto, infatti, che la forma della vendita (con incanto, senza incanto o a trattativa privata) - secondo la lettura nettamente prevalente - non incideva sulla struttura della vendita che era sempre reputata una vendita forzata anche se non sempre formalmente imputabile al giudice[115]; l’assenza di un provvedimento di un giudice (che comunque partecipava al procedimento nel momento in cui autorizzava il compimento dell’atto) o di altra pubblica autorità e la presenza di un negozio con le forme del diritto privato, non è, infatti, motivo per escludere la natura forzata della alienazione[116]. 
La necessità di procedere alla qualificazione della vendita in sede espropriativa non è un mero esercizio dogmatico, in quanto dalla riconduzione della vendita coattiva concorsuale alla vendita pubblicistica o a quella privatistica, conseguono decisivi effetti sul regime della vendita. È ben vero che le costruzioni teoriche sulla vendita si erano rese necessarie nell’ambiente normativo del Codice del 1865 per una carenza di disciplina di diritto positivo, poi superata dal codice civile del 1942 (con l’introduzione dell’art. 2919 c.c.)[117], ma ancor oggi della qualificazione non si può fare a meno, posto che se la natura giuridica della vendita forzata è quella della vendita pubblicistica[118], non per caso, molte delle regole previste per il contratto di compravendita restano estranee; basti pensare alla garanzia per vizi della cosa[119] che l’art. 2922 c.c. esclude sia attivabile nella vendita forzata[120] o ad altre regole delle vendite volontarie[121] (il regime della impugnazione per lesione, il regime di evizione, gli effetti di stabilità della vendita ex art. 2929 c.c.)[122], anche se non va trascurato che talora nell’ambito del procedimento espropriativo si vanno anche a recuperare principi della negozialità privatistica[123]. 
D’altro canto, se è ben vero che la natura forzata della vendita esclude l’applicabilità delle disposizioni del codice civile sulla garanzia per vizi (ciò che, a ben vedere, dimostrerebbe il distacco dalla vendita forzata dalla vendita privatistica), non si può sottacere che altri rimedi propri della vendita negoziale vengono pur sempre traslati alla vendita forzata. Basti pensare, in particolare, all’ipotesi della vendita aliud pro alio, rispetto alla quale il rimedio dell’annullamento (di diritto privato) viene riconosciuto[124]; poiché la ragione dell’annullamento viene fatta dipendere dal fatto che l’alterità del bene può essere stata la causa determinante del consenso espresso in sede di vendita, si apprezza come l’elemento volontaristico nella vendita forzata sia tutt’altro che secondario[125]. 
Aver concluso che le vendite forzate non sono vendite negoziali in senso proprio, non esclude, però, che in talune circostanze vi possano essere vendite orchestrate dal curatore che a buon titolo debbono ascriversi fra quelle di natura privatistica. Pensiamo alle vendite disposte nell’ambito dell’esercizio provvisorio[126] ed a quelle concluse in attuazione di contratti preliminari preesistenti[127]. 
Qui, in verità, bisogna sgombrare il campo da un equivoco: queste vendite non dimostrano che certe vendite forzate sono vendite negoziali, ma semplicemente queste vendite si collocano al di fuori del perimetro delle vendite forzate. Esse non rispondono alla finalità dell’attuazione della garanzia patrimoniale ma: i) le vendite disposte nel corso dell’esercizio provvisorio sono atti di gestione dell’impresa[128], non sono atti con i quali il bene del debitore viene trasformato in denaro per essere attribuito in funzione satisfattiva ai creditori; ii) le vendite che il curatore stipula in adempimento di un precedente contratto preliminare non sono atti di alienazione disposti contro la volontà del debitore ma, al contrario, sono atti nei quali viene valorizzata, proprio la volontarietà del negozio e il profilo dell’adempimento ad un’obbligazione specifica già contratta[129]. 
Di questo si è resa perfettamente consapevole, e di recente, la Suprema Corte quando ha stabilito che l'art. 108, comma 2, L. fall. (ora art. 217 CCII) prevede il potere purgativo del giudice delegato in stretta ed esclusiva consonanza con l'espletamento della liquidazione concorsuale dell'attivo secondo le alternative indicate nell'art. 107 L. fall. (ora art. 216 CCII), perché in essa il curatore esercita la sua funzione secondo il parametro di legalità dettato nell'interesse esclusivo del ceto creditorio mediante gli appositi procedimenti destinati al fine; al contrario, va escluso che la norma possa essere applicata - e il potere purgativo esercitato dal giudice delegato - nei diversi casi in cui il curatore agisce, ex art. 72, ult. comma, L. fall. (ora art. 173 CCII) quale semplice sostituto del fallito nell'adempimento di obblighi contrattuali da questo assunti con un preliminare di vendita[130]. 
Ciò nondimeno, questo arresto non potrà costituire un punto di riferimento per il futuro perché l’art. 173 comma 4 CCII ha diversamente previsto la cancellazione dei gravami anche nel caso del subentro del curatore nel contratto di compravendita. Se ben si comprende la finalità della disposizione, volta a tutelare il compratore, resta il fatto che ad una vendita negoziale viene applicato un principio delle vendite forzate; ovviamente, nulla impedisce che una legge ordinaria si giustapponga, contraddicendola, ad altra legge ordinaria ma in questo modo si contribuisce a divellere la razionalità del sistema.
11 . Conclusioni
L’esposizione svolta nei §§ precedenti ci consente di giungere a qualche approdo. 
Per quanto riguarda il procedimento di formazione dello stato passivo il comparto normativo lascia aperto il dibattito teorico ma risolve una serie di questioni pragmatiche, da ultimo la possibilità di chiudere un giudizio di impugnazione dello stato passivo con una transazione (art. 207 CCII nella versione più attuale del prossimo decreto correttivo). 
In questo contributo non si è presa posizione sui giudizi impugnatori ma le modifiche in corso di attuazione contribuiscono ad enfatizzare la portata impugnatoria di questi giudizi[131] (ad esempio nella parte in cui si prevede che il ricorso debba dar conto dei motivi dell’impugnazione, v., art. 207 CCII) ed anche quella struttura semplificata che si è visto caratterizza la fase che si svolge davanti al giudice delegato e che nelle opposizioni allo stato passivo (e nelle impugnazioni dei crediti ammessi) si declina attribuendo al tribunale tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento, concedendo, se necessario, alle parti termini per il deposito di note difensive. 
Con riferimento alla fase della liquidazione il legislatore si è a più riprese cimentato sul terreno dell’efficienza[132] cercando di rendere il più possibile le vendite forzate appetibili al pari di quelle negoziali ma senza rinunciare al sommo principio di competitività[133]. Molti, ancora, dubitano del raggiungimento di obiettivi di efficienza ma un sistema di garanzie è ineludibile e le garanzie impongono cautele e una giusta dose di formalità. 
Nel complesso, le due fasi che rappresentano il cuore pulsante della liquidazione dell’attivo (dal lato procedimentale) appaiono assestate e tali da rendere residuali i profili di incertezza sugli snodi del processo, così permettendo di porre al centro delle valutazioni del giudice il bene della vita conteso e cioè o il diritto di credito nella sua dimensione concorsuale o il diritto sulla cosa.

Note:

[1] 
Sui principi della legge delega v., G. Bozza, L’accertamento del passivo nella procedura di liquidazione giudiziale, in Fallimento, 2016, 1063; sulla mancata attuazione v., M. Montanari, Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: profili generali e processuali, in Riv.dir.proc., 2020, 270.
[2] 
È, infatti, utile precisare che il D.Lgs. n. 83/2022 non è un decreto correttivo ma un decreto di attuazione di una legge di “delegazione europea”.
[3] 
In base ai principi di diritto costituzionale e parlamentare quando il Governo non attua una parte delle previsioni contenute nella legge delega, non si può intervenire successivamente se non con una legge ordinaria.
[4] 
D. De Lungo, L’efficacia normativa delle deleghe inattuate, in Osservatorioaic.it, 17.
[5] 
M. Fabiani, Il concorso dei creditori dopo il Codice della crisi, in Fallimento, 2023, 1018; F. De Santis, Giudizio di verifica del passivo e pretese di tutela dichiarativa e costitutiva, in Fallimento, 2018, 667. 
[6] 
R. Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, III, Milano, 1974, 785; F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, Milano, 2023, 257.
[7] 
D. Galletti, Il concorso nel fallimento, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, Milanofiori-Assago, 2016, 1253 ss.
[8] 
Restano estranee al divieto le azioni contro un terzo per debiti dell’impresa soggetta a liquidazione giudiziale, v., Cass., 20 giugno 2011, n. 13447, in Dir. fall., 2012, II, 362, secondo la quale sebbene ai sensi dell'art. 51 L. fall. sia vietato per i creditori esperire azioni esecutive nei confronti del fallito e sia fatto obbligo per coloro che vogliano partecipare al concorso fallimentare di proporre, ex art. 52 L. fall., domanda di insinuazione al passivo per l'accertamento dei propri crediti, tuttavia il creditore che non abbia presentato domanda di insinuazione ha comunque il diritto di esercitare azione esecutiva nei confronti del terzo datore di ipoteca sui beni dello stesso, sottoposti a garanzia dei debiti del debitore.
[9] 
R. Rosapepe, Effetti nei confronti dei creditori, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore-A. Bassi, Padova, 2011, 282 ss.
[10] 
M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Milanofiori-Assago, 2014, 701.
[11] 
A. Bonsignori, Il fallimento, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, IX, Padova, 1986, 345; F. Pasquariello, La liquidazione giudiziale, in M. Irrera-F. Pasquariello- M. Perrino, Lineamenti di diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2023cit., 278.
[12] 
M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare, cit., 706; S. Ambrosini e S. Pacchi, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2022, 225 ss.; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2022, 241; R. Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, cit., 886; B. Inzitari, Effetti per i creditori, in Commentario Scialoja-Branca alla legge fallimentare, Bologna-Roma, 1988, 3.
[13] 
Cass. sez. un., sent., 23 febbraio 2023 n. 5694; Cass., 21 gennaio 2014, n. 1115; Cass. 11 ottobre 2012, n. 17368; Cass., 5 agosto 2011, n. 17035; Cass. 4 settembre 2009, n. 19217, in Dir. fall., 2010, II, 286; in dottrina, in luogo di molti, G. Impagnatiello, sub artt. 200-205, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2023, 1072; G. Parisi, L’accertamento del passivo nel codice della crisi e dell’insolvenza: natura ed effetti, in Dir.fall., 2019, 1097; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 226; F. Casa, Natura esclusiva del procedimento di verifica dello stato passivo, in Fallimento, 2020, 403; F. De Santis, Giudizio di verifica del passivo e pretese di tutela dichiarativa e costitutiva, in Fallimento, 2018, 666; D. Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., 1280; M. Spiotta, L’accertamento del passivo, in A. Jorio (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, Milano, 2016, 1978; S. Sanzo, Gli effetti del fallimento per i creditori, in O. Cagnasso - L. Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Milano, 2016, 1090; G. Bozza, Lo stato passivo, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da A. Jorio-B. Sassani, II, Milano, 2014, 615; S.Menchini-A.Motto, L’accertamento del passivo e dei diritti reali e personali dei terzi sui beni, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli-F.P. Luiso-E. Gabrielli, II, Torino, 2014, 383; S. Bonfatti - P.F. Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011, 127; A. Nigro - D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2023, 184; L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2017, 190; G. Fauceglia, L’accertamento del passivo, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da O. Cagnasso-L. Panzani, Milanofiori-Assago, 2016, 1609; G.U. Tedeschi, L’accertamento del passivo, in Le riforme delle procedure concorsuali, a cura di A. Didone, Milano, 2016, 777; R. Rosapepe, L’accertamento del passivo, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore-A. Bassi, III, Padova, 2011, 55.
[14] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 227; G.U. Tedeschi, L’accertamento del passivo, cit., 810; S. Menchini-A. Motto, L’accertamento del passivo e dei diritti reali e personali dei terzi sui beni, cit., 385. Per Cass., 5 dicembre 2019, n. 31843, il creditore può convenire in giudizio il fallito personalmente, per chiederne la condanna al pagamento di un credito estraneo alla procedura fallimentare, purché dichiari espressamente di voler utilizzare il titolo, dopo la chiusura del fallimento, per agire esecutivamente nei confronti del debitore ritornato in bonis. Diversamente, per Cass., 4 ottobre 2018, n. 24156, l'accertamento di un credito nei confronti del fallimento è devoluta alla competenza esclusiva del giudice delegato ex art. 52 e 93 L. fall. con la conseguenza che, ove la relativa azione sia proposta nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d'ufficio, in ogni stato e grado, anche nel giudizio di cassazione, l'inammissibilità o l'improcedibilità, a seconda che il fallimento sia stato dichiarato prima della proposizione della domanda o nel corso del giudizio, trattandosi di una questione litis ingressus impedientes, con l'unico limite preclusivo dell'intervenuto giudicato interno, laddove la questione sia stata sottoposta od esaminata dal giudice e questi abbia inteso egualmente pronunciare sulla domanda di condanna rivolta nei confronti del fallimento; v., anche, G. Bozza, Lo stato passivo, cit., 621.
[15] 
S. Ambrosini, G. Cavalli e A. Jorio, Il fallimento, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, XI, Padova, 2009, 360 ss.
[16] 
A. Nigro - D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 264.
[17] 
Una sorta di rafforzamento al quadrato perché l’esclusività già con la riforma del 2006 era stata estesa alle azioni reali immobiliari, v., R. Rosapepe, Effetti nei confronti dei creditori, cit., 281; S. Sanzo, Gli effetti del fallimento per i creditori, cit., 1077 ss.; E. Forgillo, sub art. 52, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A. Nigro, M. Sandulli e V. Santoro, I, Torino, 2010, 767 ss.
[18] 
Cass., 16 aprile 2021, n. 10111; Cass., 21 gennaio 2014, n. 1115; Cass., 11 ottobre 2012, n. 17368, ivi, 2012; Cass., 5 agosto 2011, n. 17035; Cass., 4 settembre 2009, n. 19217, in Dir. fall., 2010, II, 286; in dottrina, in luogo di molti, G. Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2021, 197; nonché gli autori citati alla nota 12.
[19] 
Cass., 15 aprile 2019, n. 10540, in Foro.it., 2019, I, 4038, ha stabilito ― in relazione all’importazione di una sentenza straniera ― che il principio di esclusività del procedimento di accertamento del passivo allacciato al principio del concorso formale non può essere inteso come espressione di un cardine di ordine pubblico processuale; M. Montanari, Esclusività del procedimento di verifica dello stato passivo e ordine pubblico processuale, in Fallimento, 2019, 1353 ss., rileva esattamente che la questione può risolversi nel contesto delle ammissioni con riserva relative a decisioni assunte da giudici di diversa giurisdizione. Per D. Corraro, Contenzioso estero e verifica dello stato passivo, in Fallimento, 2020, 1475 ss., poiché, ex art. 96, 2° comma, n. 3, L. fall., l’ammissione al passivo con riserva può essere disposta per i soli crediti già accertati con sentenza di altro giudice (anche se non ancora passata in giudicato) pronunciata prima della dichiarazione dello stato di insolvenza del debitore, ne consegue che, in mancanza di una siffatta condizione, l’accertamento sull’an e sul quantum del credito insinuato deve aver luogo nelle forme ordinarie previste all’art. 93 L. fall.
[20] 
F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 703; F. Santangeli (a cura di), Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2023, 910; D. Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., 1280; Ferro (a cura di), La legge fallimentare, cit., 710; E. Forgillo, sub art. 51, cit., 781; F. De Santis, Giudizio di verifica del passivo e pretese di tutela dichiarativa e costitutiva, cit., 667; Cass., 24 gennaio 2023, n.2090; Cass. 23 dicembre 2003, n. 19718, in Fallimento 2004, 1360; Trib. Roma, 9 novembre 2021, n.17413, in deJure, 2021.
[21] 
V. Andrioli, voce Fallimento, in Enc.dir., XVI, Milano, 1967, 277 ss.
[22] 
Gip Trib. Milano, 20 dicembre 2021, in Arch. nuova proc. pen., 2022, 175.
[23] 
Cass., 20 dicembre 2021, n. 40745. 
[24] 
Trib. L'Aquila, 19 maggio 2021, n.362, in DeIure, 2021­­­­­; E. Forgillo, sub art. 51, cit., 772; B. Inzitari, Effetti per i creditori, cit., 63; A. Caron-F. Macario, Effetti del fallimento per i creditori, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da U. Apice, I, Torino, 2010, 460 ss.; contra, G. U. Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 240 ss.; P. Pajardi e A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 338 ss.
[25] 
M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare, cit., 712; E. Forgillo, sub art. 51, cit., 758.
[26] 
Trib. Lecce 7 luglio 2020, n.1616, in DeJure, 2020.
[27] 
M. Montanari, Verificazione del passivo fallimentare e cause connesse, in Giur.comm., 2016, I, 154; in senso diverso S. Menchini-A. Motto, L’accertamento del passivo e dei diritti reali e personali dei terzi sui beni, cit., 426 ss.
[28] 
M. Montanari, Verificazione del passivo fallimentare e cause connesse, cit., 158.
[29] 
M. Morotti, Disciplina processuale dell’azione di risoluzione contrattuale tra rito ordinario e accertamento del passivo fallimentare, in Riv.dir.proc., 2020, 1400; per F. De Santis, Giudizio di verifica del passivo e pretese di tutela dichiarativa e costitutiva, cit., 671, la soluzione è diversa perché il processo di risoluzione deve restare autonomo e solo l’effetto si riflette sullo stato passivo.
[30] 
F. De Santis, Profili di rito della domanda di risoluzione contrattuale, In Fallimento, 2018, 1107.
[31] 
Per Cass., 7 febbraio 2020, n.2990, in Banca Borsa, 2020, II, 524 l'art. 72, comma 5, secondo periodo L. fall. (ora art. 172 CCII) postula - anche alla luce dei principi di specializzazione, concentrazione e speditezza sottesi agli artt. 24 e 52 L. fall., nonché del contraddittorio incrociato tipico del procedimento di accertamento del passivo - che la domanda di risoluzione proposta prima della declaratoria fallimentare, se diretta in via esclusiva a far valere le consequenziali pretese risarcitorie o restitutorie in sede concorsuale, non può proseguire in sede di cognizione ordinaria, ma deve essere interamente proposta secondo il rito speciale disciplinato dagli artt. 93 e ss. L. fall.; deve parimenti essere esaminata e decisa dal giudice fallimentare la domanda di risoluzione che costituisca antecedente logico-giuridico della domanda di risarcimento o restituzione, non essendo applicabile in via analogica l'istituto dell'ammissione con riserva ai sensi dell'art. 96, n. 1 e n. 3, L. fall., né potendosi disporre la sospensione necessaria ai sensi dell'art. 295 c.p.c., in attesa della decisione della causa pregiudiziale di risoluzione in ipotesi proseguita in sede di cognizione ordinaria. Viceversa, la domanda di risoluzione diretta a conseguire finalità estranee alla partecipazione al concorso resta attratta al giudice ordinario; R. Angarano, Le questioni pregiudiziali all’accertamento del passivo nuovamente al vaglio della Cassazione, in Banca, borsa, tit.cred., 2020, II, 532; M. Morotti, Disciplina processuale dell’azione di risoluzione contrattuale tra rito ordinario e accertamento del passivo fallimentare, cit., 1398.
[32] 
M. Montanari, Verificazione del passivo fallimentare e cause connesse, cit., 157; Cass., 7 febbraio 2020 n. 2991.
[33] 
V. Baroncini, Inibitorie delle azioni dei creditori e automatc stay, Torino, 2017, 49 ss.
[34] 
F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 702; A. Nigro e D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 187; F. Marelli, Sub art. 52, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, Bologna, 2007, 771 ss.; Cass., 28 giugno 2019, n.17594; ma, già prima della riforma del 2006, cfr., Cass. 29 gennaio 2002, n. 1065.
[35] 
A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 186; E. Forgillo, sub art. 51, cit., 770.
[36] 
A. Castagnola, Le rivendiche mobiliari nel fallimento, Milano, 1996, 398 ss. Per l’attrazione nel caso di usucapione v., Trib. Firenze, 3 giugno 2019, n.1707, in DeJure, 2019; in senso opposto, Cass., 13 maggio 2021 n. 12736.
[37] 
Cass., 11 novembre 2021 n. 33475.
[38] 
Cass., 25 marzo 2022, n.9787; E. Forgillo, sub art. 51, cit., 780; M. Vanzetti, Compensazione e processo fallimentare, Milano, 2012, 45.
[39] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 242; Trib. Brescia, 29 gennaio 2015, in Ilcaso.it, 2015; Trib. Sondrio 4 giugno 2021, n. 433, in Fallimentarista.it, 2021, che prevede espressamente la possibilità del creditore pignoratizio di titoli di “escutere la garanzia in costanza di fallimento anche in assenza di preventiva insinuazione del credito al passivo della procedura”, insinuazione che viene riconosciuta come superflua anche da parte della dottrina, cfr., F. Lamanna, Commento all’art. 53, in Il nuovo diritto fallimentare. Commentario, diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, cit., 781 ss.; così anche V. Agnese, I contratti di garanzia finanziaria nel diritto civile, Torino, 2009, 258 ss.; C. Ravina, Compensazione e clausole di close out netting nelle garanzie finanziarie secondo il progetto di riforma concorsuale, in Dir. fall., 2018, 880 ss. L’art. 5 del D.Lgs. n. 170/2004, stabilisce che “(1). Al verificarsi di un evento determinante l'escussione della garanzia, il creditore pignoratizio ha facoltà, anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione, di procedere osservando le formalità previste nel contratto: (a) alla vendita delle attività finanziarie oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del proprio credito, fino a concorrenza del valore dell'obbligazione finanziaria garantita; (b) all'appropriazione delle attività finanziarie oggetto del pegno, diverse dal contante, fino a concorrenza del valore dell'obbligazione finanziaria garantita, a condizione che tale facoltà sia prevista nel contratto di garanzia finanziaria e che lo stesso ne preveda i criteri di valutazione; (c) all'utilizzo del contante oggetto della garanzia per estinguere l'obbligazione finanziaria garantita. (2). Nei casi previsti dal comma 1 il creditore pignoratizio informa immediatamente per iscritto il datore della garanzia stessa o, se del caso, gli organi della procedura di risanamento o di liquidazione in merito alle modalità di escussione adottate e all'importo ricavato e restituisce contestualmente l'eccedenza.” 
[40] 
V. Zanichelli, Effetti del fallimento per i creditori, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da A. Jorio-B. Sassani, II, Milano, 2014, II, 61 ss.
[41] 
R. Rosapepe, Effetti nei confronti dei creditori, cit., 282; S. Sanzo, Gli effetti del fallimento per i creditori, cit., 1094; Cass., 14 marzo 2022, n.8128; Cass., sez. un., 12 novembre 2004, n. 21499, in Giur.it., 2005, 773.
[42] 
M. Montanari, Verificazione del passivo fallimentare e cause connesse, cit., 148.
[43] 
M. Montanari, Verificazione del passivo fallimentare e cause connesse, cit., 151.
[44] 
Ciò accade ripetutamente quando un professionista del debitore chiede di essere ammesso al passivo per il compenso maturato ed il curatore in quella sede eccepisce l’inadempimento, ma poi in sede ordinaria avanza domanda di risarcimento del danno; v., per l’esclusione della sospensione necessaria, Cass., 7 febbraio 2022 n. 3804.
[45] 
M. Montanari, Verificazione del passivo fallimentare e cause connesse, cit., 165.
[46] 
Cass. 22 marzo 2024, n.7772, ha stabilito che tra la decisione assunta in sede ordinaria e quella assunta in sede concorsuale secondo il rito speciale ed esclusivo dell'accertamento del passivo, quand'anche entrambe relative alle stesse parti e aventi per oggetto il medesimo rapporto, non può aversi alcun contrasto di giudicati, attesa la diversa attitudine alla stabilità dei provvedimenti conclusivi dei rispettivi giudizi, il primo con autorità di giudicato ex art. 2909 c.c., il secondo con valenza esclusivamente endofallimentare ex art. 96, sesto comma, L. fall.
[47] 
M. Spiotta, L’accertamento del passivo, cit., 1983; M. Fabiani, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2017, 173; G. Bozza, L’esclusività dell’accertamento del passivo, cit., 696 B. Inzitari, Effetti del fallimento per i creditori, in Commentario Scialoja-Branca. Legge fallimentare, Bologna-Roma, 1988, 15 ss.; M. Falagiani, Il fallimento del terzo datore di ipoteca: l’accertamento dei diritti del titolare di prelazione, in Fallimento, 2016, 1225.
[48] 
In luogo di molte, v., Cass. 30 gennaio 2009, n. 2429, in Fallimento, 2009, 1402; in dottrina, A. Caron - F. Macario, Gli effetti del fallimento per i creditori, cit., 455.
[49] 
Cass., sez. un., 27 marzo 2023 n. 8557, in Foro.it., 2023, I, 1015; Cass. 10 luglio 2018, n. 18082; Cass. 20 novembre 2017, n. 27504; Cass. 9 febbraio 2016, n. 2540, in Fallimento, 2016, 1217, per la quale i titolari di diritti d’ipoteca sui beni immobili compresi nel fallimento e già costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito, non possono - anche dopo la novella dell’art. 52, 2º comma, L. fall., introdotta dal D.L. n. 5 del 2006 - avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo, di cui al capo V della L. fall., in quanto non sono creditori diretti del fallito e l’accertamento dei loro diritti non può essere sottoposto alle regole del concorso, senza che sia instaurato il contraddittorio con la parte che si assume loro debitrice, dovendosi, invece, avvalere, per la realizzazione delle loro pretese in sede esecutiva, delle modalità di cui agli art. 602-604 c.p.c. in tema di espropriazione contro il terzo proprietario”; Cass. 30 gennaio 2019, n. 2657, in Fallimento, 2019, 767, ha, invece, stabilito la regola contraria disponendo che l’accertamento del credito garantito avvenga sempre all’interno del procedimento di formazione dello stato passivo. Sennonché, successivamente, il giudice di legittimità è tornato sui suoi passi riaffermando la regola della esclusione dal procedimento di formazione dello stato passivo; v., Cass., 14 maggio 2019, n. 12816 e Cass. 12 luglio 2019, n. 18790.
[50] 
R. Della Santina, L’accertamento del diritto ipotecario nel caso di fallimento del terzo datore, in Ilcaso.it.; si limitano a prendere atto della nuova disposizione C. Cecchella, Il diritto della crisi dell’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2020, 312; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 228.
[51] 
M. Zulberti, Novità in tema di accertamento del passivo nella liquidazione giudiziale: riflessioni a prima lettura, Ildirittodegliaffari.it; G. Fauceglia, L’accertamento del passivo, cit., 1665.
[52] 
I. Pagni, Accertamento del passivo e revocatoria: efficacia preclusiva del decreto di esecutività, in Fallimento, 2010, 1392; M. Fabiani, L’efficacia dello stato passivo, in Fallimento, 2011, 1093.
[53] 
La Corte, nella decisione 2540/2016, cit., ha esplicitamente affermato: “i creditori titolari di un diritto di ipoteca sui beni immobili compresi nel fallimento, costituiti in garanzia dei crediti vantati verso debitori diversi dal fallito, non possono avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo, di cui al capo 5 della legge fallimentare, in quanto il terzo non è creditore diretto del fallito e l'accertamento dei suoi diritti non può essere sottoposto alle regole del concorso, senza che sia instaurato il contraddittorio con la parte che si assume essere sua debitrice, dovendosi essi avvalere, per la realizzazione dei loro diritti in sede esecutiva, delle modalità di cui agli articoli 602 e 604 c.p.c., in tema di espropriazione contro il terzo proprietario”.
[54] 
G. Bozza, L’accertamento del passivo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, 1210; ad una conclusione simile perveniva anche M. Cataldo, La verifica dell’ipoteca costituita dal fallito a garanzia di debiti altrui nel procedimento di formazione del passivo, in Fallimento, 2019, 771, là dove sosteneva che in sede di riparto dovesse essere disposto un accantonamento.
[55] 
Infatti, per Cass., 18 agosto 2017, n. 20191, in sede di verificazione dello stato passivo, la domanda di rivendica di immobili e impianti non può essere oggetto di ammissione con riserva, posto che quest'ultima, in quanto atipica ed estranea alle ipotesi tassativamente indicate dall'art. 95 L. fall., anche qualora sia disposta dal giudice, va considerata come non apposta, dovendosi intendere il provvedimento giudiziale come di accoglimento pieno del diritto fatto valere.
[56] 
G. Bozza, Lo stato passivo, cit., 706.
[57] 
Per la condivisibile soluzione di ammettere la domanda tardiva anche dei garanti, pur senza un esplicito riferimento normativo v., M. Zulberti, Novità in tema di accertamento del passivo nella liquidazione giudiziale: riflessioni a prima lettura, cit.; A. Saletti, La tutela giurisdizionale nella liquidazione giudiziale, in Dir. fall., 2018, 640. Parimenti, a me pare che se vi è ritardo incolpevole la somma già distribuita debba essere recuperata a favore del garante nei successivi riparti ma non contro i creditori che hanno incassato i pagamenti.
[58] 
Si ipotizzi che la garanzia acceda ad un mutuo trentennale e che il debitore principale faccia regolarmente fronte alle rate periodiche; non credo si possa immaginare di trattenere il ricavato per garantire il creditore ipotecario sino ad estinzione del mutuo.
[59] 
G.P. Macagno, Accertamento dei diritti del titolare di garanzia nel fallimento del terzo datore: l’orientamento della S.C. non appare in sintonia con il Codice della crisi d’impresa, in Fallimento, 2020, 533.
[60] 
M. Zulberti, Novità in tema di accertamento del passivo nella liquidazione giudiziale: riflessioni a prima lettura, cit. Cfr., Cass., 31 maggio 2019, n. 14892 che ha reso omogenea la fattispecie del terzo vittorioso con l’azione revocatoria ordinaria alla fattispecie della garanzia sui beni di un terzo.
[61] 
Così, invece, G. Impagnatiello, sub artt. 200-205, cit., 1076.
[62] 
“Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 174, il contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’articolo 2645 bis del codice civile non si scioglie se ha ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale del promissario acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa del promissario acquirente, sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati anteriormente alla data dell’apertura della liquidazione giudiziale e il promissario acquirente ne chieda l’esecuzione nel termine e secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura”.
[63] 
G. Bozza, L’accertamento del passivo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 1212.
[64] 
Sulla estraneità alla formazione del passivo della domanda di esecuzione specifica del contratto v., M. Spiotta, L’accertamento del passivo, cit., 2005.
[65] 
Cass. sez.un., 7 luglio 2004, n. 12505, in Foro.it., 2004, I, 3038; Cass., sez.un., 16 settembre 2015, n. 18131, in Foro.it., 2015, I, 3488; E. Gabrielli, Il contratto preliminare nella disciplina dei contratti pendenti, in Dir.fall., 2022, 617.
[66] 
Così, invece, G. Bozza, L’accertamento del passivo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 1213.
[67] 
Per E. Gabrielli, Il contratto preliminare nella disciplina dei contratti pendenti, cit., 631, invece, l’attrazione al procedimento di formazione dello stato passivo risulterebbe pregiudizievole per il promissario acquirente vista la sommarietà del rito.
[68] 
V., Cass., 7 febbraio 2020, n. 2990, M. Spiotta, L’accertamento del passivo, cit., 1981; G. Fauceglia, L’accertamento del passivo, cit., 1613.
[69] 
Cass., 7 febbraio 2020, n. 291, in Fallimento, 2020, 772; M. Montanari, I rapporti tra fallimento e risoluzione giudiziale pendente nella nuova prospettiva della Suprema Corte, in Fallimento, 2020, 777; Id., Sulla translatio in sede di verifica del passivo dell’azione di risoluzione contrattuale pendente alla data del fallimento, in Fallimento, 2013, 1391.
[70] 
Cass., 17 agosto 2016 n. 17141; Cass., 30 luglio 2014, n. 17270, in Foro.it. 2015, I, 2903; C. Caccavale-F. Tassinari, L'ipoteca anteriore non teme la trascrizione del preliminare, in Notariato, 1997, 405; O. Caleo, Le sezioni unite cambiano rotta: l'ipoteca anteriore prevale sul privilegio del promissario acquirente, in Obbligazioni e contratti, 2010, 341; A. Caprara, La Cassazione ritorna sui suoi passi: i privilegi speciali immobiliari non sono tutti uguali, le ipoteche sì (o quasi), in Contratto e impr., 2010, 1289; P. Monteleone, Privilegio del promissario acquirente ex art. 2775 bis ed ipoteca iscritta prima del preliminare ineseguito, in Obbligazioni e contratti, 2010, 331; E. Gabrielli, La pubblicità immobiliare del contratto preliminare, in Riv. dir. civ., 1997, I, 163.
[71] 
G. Impagnatiello, sub artt. 200-205, cit., 1072; A. Nigro - D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 265; S. Conforti, Le impugnazioni dello stato passivo, Torino, 2021, 193.
[72] 
G. Fauceglia, L’accertamento del passivo, cit., 1636; M. Spiotta, L’accertamento del passivo, cit., 1993; G. Bozza, Lo stato passivo, cit., 602; F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 704. Ma, v., in senso contrario, R. Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009, 202, ad avviso della quale predicarne la natura contenziosa imporrebbe una serie di rigidità che compromettono l’efficienza del procedimento.
[73] 
G. Fauceglia, L’accertamento del passivo, cit., 1655; R. Rosapepe, L’accertamento del passivo, cit., 60; A. Jorio, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2023, 278.
[74] 
A. Nigro - D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 268; G. Parisi, L’accertamento del passivo nel codice della crisi e dell’insolvenza: natura ed effetti, cit., 1098.
[75] 
S. Menchini-A. Motto, L’accertamento del passivo e dei diritti reali e personali dei terzi sui beni, cit., 453.
[76] 
G. Bozza, Lo stato passivo, cit., 816.
[77] 
G. Bozza, Lo stato passivo, cit., 791.
[78] 
Aldilà dei termini utilizzati (‘camerale ibrido’), mi pare vi sia consonanza in C. Cecchella, Il diritto della crisi dell’impresa e dell’insolvenza, cit., 317, là dove si parla di procedimento a cognizione piena speciale.
[79] 
G. Bozza, L’accertamento del passivo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 1203; G.U. Tedeschi, L’accertamento del passivo, cit., 831; M. Montanari, La verificazione del passivo fallimentare nell’assetto scaturito dal decreto correttivo della riforma, in Fallimento, 2008, 502.
[80] 
G. Bozza, Lo stato passivo, cit., 605.
[81] 
Infatti, per Cass., sez.un. 5 maggio 2017, n. 10944, la disciplina della sospensione feriale dei termini processuali non si applica ai giudizi relativi all'ammissione allo stato passivo del fallimento di crediti derivanti da un rapporto di lavoro subordinato. A favore della sospensione prima del Codice v., G.U. Tedeschi, L’accertamento del passivo, cit., 786; G. Bozza, Lo stato passivo, cit., 727; Cass. 24 luglio 2012, n. 12960, in Fallimento, 2013, 423. A mio avviso, poiché il procedimento di formazione dello stato passivo è unitario, talché vi è un solo decreto di esecutività, è del tutto priva di coerenza la tesi che vuole non assoggettato alla sospensione dei termini l’esame delle domande di credito relative a rapporti di lavoro. Difatti, anche se questi termini non fossero sospesi, la decisione non potrebbe che intervenire dopo la fine della sospensione, risultando necessario l’esame di tutte le domande. Una volta stabilito questo, mi parrebbe assurdo e soprattutto privo di razionalità imporre al lavoratore la presentazione della domanda di ammissione qualora i trenta giorni anteriori alla adunanza maturassero durante il periodo 1°-31 agosto di ogni anno.
[82] 
Cass., 21 gennaio 2020, n. 1197.
[83] 
E.F. Ricci, Efficacia ed oggetto delle sentenze sulle opposizioni e sulle impugnazioni nella formazione del passivo fallimentare, in Riv.dir.proc., 1992, 1080.
[84] 
G. Fauceglia, L’accertamento del passivo, cit., 1636; M. Spiotta, L’accertamento del passivo, cit., 2045.
[85] 
G. Fauceglia, L’accertamento del passivo, cit., 1666; G. Bozza, Lo stato passivo, cit., 608.
[86] 
Negli esatti termini v., F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 703; A. Carratta, Impugnazioni e stabilità dell’accertamento del passivo nella liquidazione giudiziale, in Dir.fall., 2021, 517; G. Parisi, L’accertamento del passivo nel codice della crisi e dell’insolvenza: natura ed effetti, cit., 1100.
[87] 
I. Pagni, Accertamento del passivo e revocatoria: efficacia preclusiva del decreto di esecutività, cit., 1397.
[88] 
Per meglio comprendere il caso, si faccia, invece, l’esempio di un soggetto che chieda l’ammissione al passivo di una somma che trovi titolo nel diritto alla successione ereditaria e che assuma che il debitore sia il de cuius della cui eredità si discute; se sorge controversia sul rapporto successorio, siamo di fronte ad una questione di pregiudizialità tecnica che il giudice delegato potrà risolvere solo incidenter tantum e senza alcun effetto preclusivo anche all’interno del concorso.
[89] 
G. Parisi, L’accertamento del passivo nel codice della crisi e dell’insolvenza: natura ed effetti, cit., 1102; al contrario, riconosce che anche la decisione di rigetto abbia una efficacia limitata, Cass. 3 dicembre 2020 n. 27709.
[90] 
S. Conforti, Le impugnazioni dello stato passivo, cit., 220, rileva che la soluzione offre il fianco a svariate critiche perché appare incongruo (ancorché giustificabile nell’ottica di protezione dell’aggiudicatario di un bene oggetto di possibile rivendica) che in esito ad un identico processo l’efficacia della decisione sia differente in relazione all’oggetto della domanda.
[91] 
A. Nigro - D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 266. Per G. Impagnatiello, sub artt. 200-205, cit., 1075, le criticità erano e sono rappresentate dal fatto che il diritto di proprietà non dovrebbe essere accertato nell’ambito di un procedimento sommario/semplificato. Per A. Carratta, Impugnazioni e stabilità dell’accertamento del passivo nella liquidazione giudiziale, cit., 518, in questi casi la tutela del debitore andrebbe riconosciuta dietro la presenza del curatore. 
[92] 
In senso fortemente critico sulla inattuazione dei principi di legge delega v., E. Tota, ‘Processualismo’, bazaar economy e altre stravaganze della disciplina della liquidazione dell’attivo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Ilcaso.it, 2. 
[93] 
G. Bozza, Le vendite nella liquidazione giudiziale, in Fallimento, 2023, 1234.
[94] 
Diversamente da quanto opinato da P.D. Beltrami, Le novità in tema di programma di liquidazione nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Dir.fall., 2023, 518, non mi pare una decisa inversione di rotta la previsione dell’art. 213 CCII secondo la quale l’atto del curatore va trasmesso prima al giudice delegato e solo poi al comitato dei creditori; per G. Bozza, Le vendite nella liquidazione giudiziale, cit., 1236, questa previsione rafforza il ruolo del giudice senza però che si torni al modello della legge del 1942.
[95] 
E. Tota, ‘Processualismo’, bazaar economy e altre stravaganze della disciplina della liquidazione dell’attivo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 12; A. Paluchowski, La liquidazione dell’attivo nella liquidazione giudiziale, in Fallimento, 2019, 1245.
[96] 
Cass. 20 febbraio 20202, n. 4346, in Fallimento, 2020, 941, con nota adesiva di A. Farolfi, La decisione sul reclamo nei confronti del programma di liquidazione non è impugnabile in Cassazione.
[97] 
Cass., 21 novembre 2019, n. 30455, in Fallimento, 2020, 1575; Cass. 21 giugno 2002, n. 9064; Cass. 18 settembre 1993, n. 9595, in Fallimento, 1994, 280.
[98] 
Cass. 29 agosto 1998, n. 8666, in Fallimento, 1999, 664 (nell’ambito di un concordato preventivo); Cass. 20 giugno 1995, n. 6966, in Fallimento, 1996, 223; Cass. 4 novembre 1993, n. 10927, in Fallimento, 1994, 280; Cass. 20 settembre 1993, n. 9624, in Fallimento, 1994, 269; Cass. 6 marzo 2018, n. 5271, in Fallimento, 2018, 837, con nota di V. Zanichelli, L’incondizionato intervento del giudice nella liquidazione concordataria ex art. 108 rispetto agli ordinari strumenti impugnatori.
[99] 
F. Rolfi, Sospensione della vendita ex art. 107 L. fall. e carattere “decisorio” del reclamo, in Fallimento, 2020, 1584.
[100] 
Cass., 26 luglio 2023, n. 22570, in Dir.fall., 2024, 360; Cass., 21 settembre 2015, n. 18451, in Riv.esec.forz., 2016, 273; P. Farina, Il potere sospensivo della vendita concorsuale in capo al giudice delegato: la Cassazione aggiusta il tiro, in Dir.fall., 2024, 364.
[101] 
A. Crivelli, La sospensione della vendita e delle operazioni di vendita nel fallimento, in Fallimento, 2020, 831; A. Paluchowski, La liquidazione dell’attivo nella liquidazione giudiziale, cit., 1226.
[102] 
F. De Santis, Relazioni normative ed interferenze pratiche tra le liquidazioni concorsuali e le esecuzioni individuali, in Fallimento, 2023, 1261.
[103] 
Va, però, osservato che a dispetto di Cass.,30 gennaio 1985, n. 582, in Dir.fall., 1985, II, 369 e di Cass., 28 gennaio 1993, n. 1025, in Fallimento, 1993, 720 (nonché, in dottrina, G. Bozza, Le vendite nella liquidazione giudiziale, cit., 1245), che aveva ritenuto applicabile il principio di prevenzione tra vendita del bene in sede fallimentare e vendita del bene in sede di esecuzione singolare, l’interpretazione corrente va nella direzione della assoluta prevalenza dell’esecuzione fondiaria, v., Trib. Busto Arsizio, 29 novembre 2018, in Dir. fall., 2020, 485; Trib. Verona, 31 luglio 2017, in Ilcaso.it: P. Farina, Sulla (il(legittimità del concorso della liquidazione fallimentare con la vendita disposta dal giudice dell’esecuzione (in forza di credito fondiario), in Dir.fall., 2020, 485; A. Saletti, Espropriazione immobiliare per credito fondiario e procedure concorsuali, in Riv.dir.proc., 1991, 811, , sulla scia del risalente saggio di Gius. Tarzia, Espropriazione per credito fondiario e procedimento concorsuale, in Banca, borsa, tit.cred., 1957, I, 238.
[104] 
Cass., 29 maggio 1997 n. 4743; oppure, come osserva F. De Santis, Relazioni normative ed interferenze pratiche tra le liquidazioni concorsuali e le esecuzioni individuali, cit., 1267, la scelta può essere influenzata dal rilievo di vizi della procedura esecutiva singolare pendente.
[105] 
Analoga conclusione mi pare raggiunta da F. De Santis, Relazioni normative ed interferenze pratiche tra le liquidazioni concorsuali e le esecuzioni individuali, cit., 1268, nella parte in cui predica che il creditore potrebbe proseguire l’esecuzione nel caso di cessazione della procedura di concorso.
[106] 
La disciplina della vendita competitiva è anch’essa rigorosa, ma il rigore è dettato dall’avviso di vendita, v., Cass., 5 settembre 2022 n. 26076; Cass., 1° luglio 2022 n. 21007. Per E. Tota, ‘Processualismo’, bazaar economy e altre stravaganze della disciplina della liquidazione dell’attivo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 30, il rinvio deve intendersi limitato alla applicazione delle norme materiali che descrivono i procedimenti di vendita, fermo restando che il giudice delegato non si trasforma in giudice dell’esecuzione.
[107] 
L. Iannicelli, sub art. 216, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2023, 1166; G. Bozza, Le vendite nella liquidazione giudiziale, cit., 1236; Cass. 22 luglio 1983, n. 5069, in Fallimento, 1984, 438.
[108] 
L. Iannicelli, sub art. 216, cit., 1174.
[109] 
L. Iannicelli, sub art. 216, cit., 1179; F. De Santis, Relazioni normative ed interferenze pratiche tra le liquidazioni concorsuali e le esecuzioni individuali, cit., 1267.
[110] 
F. De Santis, Relazioni normative ed interferenze pratiche tra le liquidazioni concorsuali e le esecuzioni individuali, cit., 1269.
[111] 
M. Fabiani, L’azione revocatoria ordinaria nella liquidazione giudiziale, in Nuove leggi civ., 2019, 1420. 
[112] 
F. Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile. Processo di esecuzione, II, Padova, 1931, 225 (cui si deve la teoria dell’organo giurisdizionale quale rappresentante del debitore); G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 1935, 265 (il quale, invece, assumeva che lo Stato sottraesse al debitore non il bene, il potere di disporne); tesi queste poi ribadite da A. Nasi, Processo e esecuzione nel fallimento, Padova, 1973, 99.
[113] 
L. Mortara, Manuale della procedura civile, II, Torino, 1929, 364; M.T. Zanzucchi - C. Vocino, Diritto processuale civile, III, Milano, 1964, 82. La tesi pubblicistica che pur ha trovato taluni contemperamenti (cfr. le note che seguono), è ripresa, in tempi più recenti da L.P. Comoglio - C. Ferri - M. Taruffo, Lezioni sul processo civile, II, Bologna, 2011, 346.
[114] 
A. Tedoldi, in Dig. civ., voce Vendita e assegnazione forzata, XIX, 1999, 654; E. Jaccheri, Sospensione della vendita forzata ed effetto traslativo, in Riv. dir. proc., 1993, 796; A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 741. Senza catalogarla fra le posizioni intermedie, F.P. Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano, 2013, 156, coglie l’essenza della vendita forzata come procedimento (compreso l’atto di trasferimento), idoneo a produrre effetti sostanziali, rispetto ai quali è in parte applicabile la disciplina del contratto. In termini simili, M. Bove, L’esecuzione forzata ingiusta, Torino, 1996, 130; S. Mazzamuto, L’esecuzione forzata, in Tratt. Rescigno, XX, Torino, 1985, 225; G.A. Micheli, Dell’esecuzione forzata, in Comm. al cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1964, 111.
[115] 
Proprio in materia fallimentare, con riferimento alla pregressa esperienza in tema di vendita di beni mobili si affermava che la vendita fallimentare disciplinata dall’art. 106 L. fall., ancorché utilizzasse forme simili a quelle tipiche dell’autonomia privata era pur sempre vendita giudiziale forzosa, v. Cass. 23 settembre 2003, n. 14103, in Giust. civ., 2004, I, 78; Cass. 22 marzo 1999, n. 2649; Cass. 20 settembre 1993, n. 9624, in Fallimento, 1994, 269. Per le vendite immobiliari, U. Apice, Effetti del decreto di trasferimento e vizi del procedimento di vendita immobiliare nella procedura fallimentare, in Fallimento, 1989, 1185.
[116] 
M. Perrino, Programma di liquidazione e tecniche di liquidazione in blocco, in Dir. fall., 2006, I, 1099.
[117] 
A. Cerino Canova, Vendita forzata ed effetto traslativo, in Riv. dir. civ., 1980, I, 151.
[118] 
La vendita forzata è una vendita pubblicistica in quanto connotata da un dato fondamentale costituito dal fatto che il trasferimento della proprietà non avviene per effetto dell’incontro di due volontà, ma per effetto di un atto di volontà (quello del compratore) e di una disposizione coattiva; così G. Bongiorno, in Dig. civ., voce Espropriazione immobiliare, VIII, Torino, 1992, 43.
[119] 
In verità, vi è chi adombra che siffatta esclusione derivi non tanto dalla natura della vendita, quanto piuttosto dal bisogno di garantire certezza ai creditori, pur al costo di un minore guadagno dato da un prezzo ribassato per la ragione della impossibilità di attivare la garanzia; così, V. Tavormina, Alcune riflessioni sulle vendite forzate nelle procedure concorsuali “amministrative”, in Riv. dir. proc., 1988, 622.
[120] 
Cass. 25 febbraio 2005, n. 4085, in Fallimento, 2005, 1384; Cass. 9 ottobre 1998, n. 10015; Cass. 21 dicembre 1994, n. 11018, in Giust. civ., 1995, I, 917; F. Fimmanò, La liquidazione dell’attivo nel correttivo alla riforma, in Dir. fall., 2007, I, 866. Per l’applicazione dell’art. 2922 c.c., al concordato con assunzione, V. Di Cataldo, Il concordato fallimentare con assunzione, Milano, 1976, 274.
[121] 
Ad esempio, secondo Cass. 18 giugno 1997, n. 5466, in Fallimento, 1998, 267, la vendita mobiliare fatta ad offerte private, ai sensi dell’art. 106 L. fall., costituisce modalità tipica del procedimento di liquidazione coattiva dell’attivo fallimentare e, pur lasciando ampi margini di discrezione al giudice delegato nel dettarne in concreto i profili attuativi, non può equipararsi alla vendita volontaria; ne consegue che l’effetto reale di trasferimento del bene non è riconducibile al consenso del curatore (che non assume il ruolo di parte) come momento perfezionativo del contratto, ma, in ragione della natura di vendita giudiziale (espropriazione forzata), l’effetto traslativo, analogamente alla vendita all’incanto (art. 540 c.p.c.), si verifica esclusivamente con l’integrale pagamento del prezzo.
[122] 
Per un quadro riassuntivo delle diversità di regime fra vendita coattiva e vendita negoziale, con specifico riferimento agli atti di liquidazione concorsuale, v. G. Bozza, Le vendite nella liquidazione giudiziale, cit., 1238; F. De Santis, Relazioni normative ed interferenze pratiche tra le liquidazioni concorsuali e le esecuzioni individuali, cit., 1265; A. Castagnola, La natura delle vendite fallimentari dopo la riforma delle procedure concorsuali, in Giur. comm., 2008, I, 373; F. Fimmanò, La liquidazione dell’attivo nel correttivo alla riforma, cit., 867; M. Montanari, I procedimenti di liquidazione e ripartizione dell’attivo fallimentare, Padova, 1995, 92, rileva, peraltro, che il regime di esportabilità degli effetti sostanziali dell’espropriazione non è per tutte le norme così piano come si potrebbe immaginare, senza una preventiva verifica caso per caso. Sulla applicabilità dell’art. 2929 c.c. alle vendite fallimentari, v. Cass. 16 febbraio 1999, n. 1302, in Fallimento, 2000, 296; Cass. 16 maggio 1997, n. 4350; L. Iannicelli, sub art. 216, cit., 1178.
[123] 
Cass. 17 febbraio 1995, n. 1730, in Fallimento, 1995, 1013, ha stabilito che nella vendita forzata, pur non essendo ravvisabile un incontro di consensi, tra l’offerente e l’aggiudicatario, produttivo dell’effetto transattivo, essendo l’atto di autonomia privata incompatibile con l’esercizio della funzione giurisdizionale, l’offerta di acquisto del partecipante alla gara costituisce il presupposto negoziale dell’atto giurisdizionale di vendita, con la conseguente applicabilità delle norme del contratto di vendita non incompatibili con la natura dell’espropriazione forzata. Per una valorizzazione dei profili contrattuali nelle vendite forzate, v. in dottrina C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Torino, 2013, 373, ad avviso del quale il provvedimento giudiziario formalizza il trasferimento che fa seguito ad un rapporto, pur sempre, contrattuale. Sulla stessa linea della evidenziazione di profili contrattuali nelle vendite forzate, vanno collocate quelle decisioni in cui si afferma la compatibilità della prelazione convenzionale con gli schemi dei procedimenti esecutivi; v., Cass. 11 febbraio 2004, n. 2576, in Giust. civ., 2005, I, 503; Trib. Vicenza 11 gennaio 2001, in Fallimento, 2001, 1274.
[124] 
Cass. 12 luglio 2016, n. 14165; Cass. 14 ottobre 2010, n. 21249, in Resp. civ. prev., 2011, 1571; Cass. 25 febbraio 2005, n. 4085, in Fallimento, 2005, 1384; Cass. 9 ottobre 1998, n. 10015; Cass. 21 dicembre 1994, n. 11018, in Giust. civ., 1995, I, 917. G. Arieta - F. De Santis, L’esecuzione forzata, III/2, in L. Montesano - G. Arieta, Trattato di diritto processuale civile, Padova, 2007, 728; A. Bonsignori, Effetti della vendita forzata e dell’assegnazione, in Comm. Schlesinger, Milano, 1988, 134; A. Tedoldi, Vendita e assegnazione forzata, cit., 669; L. Mandrioli, Le vendite nel concordato preventivo, in Dirittodellacrisi.it, 11.
[125] 
A. Cerino Canova, Vendita forzata ed effetto traslativo, cit., 146.
[126] 
A. Castagnola, La natura delle vendite fallimentari dopo la riforma delle procedure concorsuali, in Giur.comm., 2008, I, 374; G. Bongiorno, La liquidazione dell’attivo nel fallimento e le c.d. «procedure competitive», in Dir.fall., 2012, I, 135; prima della riforma, già, G.C.M. Rivolta, L’esercizio dell’impresa nel fallimento, Milano, 1969, 347.
[127] 
L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, cit., 246.
[128] 
G. Fauceglia- N. Rocco di Torrepadula, Diritto dell’impresa in crisi, Bologna, 2010, 228.
[129] 
P. Farina, Subentro del curatore nel contratto preliminare e operatività dell'art. 108 L. fall., in ilfallimentarista.it; Cass. 22 ottobre 2020, n. 23139, in Fallimento, 2021, 22.
[130] 
Cass. sez. un., sent., 19 marzo 2024 n. 7337; in dottrina, nello stesso senso, E. Gabrielli, Il contratto preliminare nella disciplina dei contratti pendenti, cit., 634; M. Fabiani, Natura giuridica della vendita forzata ed effetti sulla traslazione del rischio da “bene non a norma”, in AA.VV., Liber amicorum Romano Vaccarella, Torino, 2014, 1455; in senso opposto, Trib. Roma, 13 maggio 2022, in Foro.it., 2022, I, 2192; Trib. Cagliari, 2 gennaio 2020, in Fallimento, 2021, 22.
[131] 
G. Trisorio Liuzzi, sub art. 206, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2023, 1090; A. Carratta, Impugnazioni e stabilità dell’accertamento del passivo nella liquidazione giudiziale, cit., 503; G. Parisi, L’accertamento del passivo nel codice della crisi e dell’insolvenza: natura ed effetti, cit., 1099; A. Motto, Le impugnazioni dello stato passivo e la correzione degli errori materiali nella liquidazione giudiziale, in Dirittodellacrisi.it, 3.
[132] 
A. Nigro - D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 288. 
[133] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 300; D. Dalfino, La liquidazione dell’attivo, in Diritto della crisi d’impresa, a cura di G. Trisorio Liuzzi, Bari, 2023, 548. 

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