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Saggio

I bilanci da cui emerge la non fallibilità nella recente giurisprudenza di legittimità*

Giorgio Jachia, Presidente della Sezione procedure concorsuali nel Tribunale di Salerno

29 Giugno 2021

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.

Visualizza: Cass., Sez. 1, 28 aprile 2021, n. 11218, Pres. Cristiano, Est. Fidanzia

Visualizza: Cass., Sez. 1, 1 aprile 2021, n. 9045, Pres. Acierno, Est. Dolmetta

Il debitore, costituito, ha l’onere di provare la propria non fallibilità anche quando dai bilanci depositati al registro delle imprese emerga il non possesso congiunto dei requisiti dimensionali di cui all’articolo 1 legge fallimentare.
Riproduzione riservata
1 . Il caso singolare oggetto dell’ordinanza 11218/2021
Pare il caso di segnalare l’ordinanza numero 11218/2021 depositata in data 28 aprile 2021 dalla Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione perché in essa si pongono una serie significativa di principi giuridici in materia prefallimentare i quali non vanno, però, letti atomisticamente ma, invece, ricontestualizzati anche, ad esempio, alla luce della coeva ordinanza n. 9045/2021 della Sesta-Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, depositata in data 1 aprile 2021.
Infatti, il caso affrontato dall’ordinanza n. 11218/2021 appare estremamente singolare perché la Corte d'Appello di Roma aveva rigettato il reclamo proposto dalla società dichiarata fallita pur dando atto che dai bilanci degli ultimi tre esercizi anteriori al deposito dell'istanza di fallimento - prodotti dalla ricorrente e tutti regolarmente depositati presso il R.I.- emergeva il possesso congiunto dei requisiti dimensionali che, ai sensi dell'art. 1 L. fall., escludevano l'assoggettabilità della società al fallimento, e pur aggiungendo che il debito maturato nei confronti del creditore ricorrente non risultava taciuto. Per rigettare il reclamo la Corte di Appello aveva sottolineato che la società fallita, contrariamente a quanto prescritto dalla sentenza dichiarativa, non aveva consegnato al curatore le proprie scritture contabili, tenute da una società di professionisti, né le aveva allegate in sede di reclamo, così non consentendo alcun riscontro dei dati indicati nei bilanci, con la conseguenza che questi ultimi, isolatamente considerati, non potevano essere ritenuti attendibili. 
2 . Il principio di diritto massimato
La Suprema Corte nel provvedimento 11218/2021 non si limita infatti ad accogliere l’unico motivo del ricorso denunciante l'erroneità del richiamo operato dalla corte d'appello all'obbligo, previsto dall'art. 86 L. fall. a carico del fallito, di consegnare al curatore le scritture contabili, trattandosi di obbligo che, scattando in una fase successiva alla dichiarazione di fallimento, non ha nulla a che vedere con l'accertamento in concreto dei presupposti di non fallibilità, ma assolve alla funzione di consentire all'organo della procedura di formare lo stato passivo e le classi dei creditori. Sul punto il principio di diritto reso dalla Suprema Corte è chiarissimo: “l’'obbligo dell'imprenditore di consegna al curatore delle scritture contabili sorge, infatti, a norma dell'art. 86 legge tali., solo dopo la sentenza dichiarativa di fallimento, sicché l'omessa produzione di tali scritture nell'ambito del procedimento prefallimentare (nel corso della quale il debitore, a norma dell'art. 15 comma 4 I. fall. è tenuto a depositare soltanto i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi ed una situazione patrimoniale aggiornata) non è fatto dal quale possa di per sé ricavarsi il mancato assolvimento dell'onere della prova in ordine al possesso dei requisiti dimensionali, né, tantomeno, una presunzione di falsità delle risultanze dei bilanci”.
3 . Doveri istruttori in caso di dubbi
L’estensore dell’ordinanza n. 11218/2021 coglie l’occasione per sottolineare altri aspetti delle vicende prefallimentari, uno più denso di significato dell’altro, e per esprimere un preciso monito racchiuso in un avverbio, “pilatescamente”, usato con riferimento all’attività giurisdizionale svolta nei gradi precedenti. “Dunque, se il giudice ha dubbi in ordine alla veridicità delle risultanze dei bilanci, può ordinare d'ufficio l'esibizione o disporre l'acquisizione delle scritture contabili, mentre ciò che non può fare è concludere pilatescamente che i bilanci sono inattendibili perché non gli sono stati forniti i documenti in base ai quali riscontrarne l'attendibilità”.
Procediamo per gradi per comprendere come si è giunti ad un giudizio così drastico. Nell’unico complesso motivo di ricorso in cassazione la fallita rappresenta che i propri bilanci sono stati tutti regolarmente approvati e depositati presso il R.I., non hanno formato oggetto di contestazioni da parte dei creditori, riportano il debito maturato verso la creditrice e sono conformi alle risultanze dello stato passivo, in cui, oltre alla Cassa Edile, si era insinuata solo Equitalia. La fallita osserva, infine, che la corte d'appello non poteva limitarsi ad affermare l'inattendibilità dei bilanci per effetto della violazione dell'obbligo di cui all'art. 86 L. fall., ma avrebbe dovuto e potuto avvalersi dei suoi poteri istruttori d'ufficio, ordinando l'esibizione delle scritture contabili alla società di professionisti che le custodiva o disponendo una ctu sulle stesse, come richiesto dalla stessa creditrice istante.
La Corte con l’ordinanza n. 11218/2021 rammenta che è orientamento consolidato di legittimità che, ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all'art. 1, comma 2, L. fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi che l'imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell'art. 15, comma 4, L. fall., costituiscono strumento privilegiato, in quanto idonei a chiarire la situazione patrimoniale e finanziaria dell'impresa.
A tale scopo si precisa che i bilanci danno luogo solo ad una presunzione semplice della corrispondenza al vero di quanto in essi attestato, non assurgono quindi a prova legale, essendo comunque soggetti alla valutazione del giudice, secondo il suo prudente apprezzamento ex art. 116 c.p.c. (Cass. n. 30516 del 23/11/2018).
Ma si aggiunge (e qui il monito inizia a trasparire) che il Giudice del Merito non può ritenere inattendibili i bilanci solo a causa del mancato deposito della documentazione contabile, ma deve, invece, indicare gli elementi concreti che denotano l'eventuale anomalia dei dati in essi contenuti.
Non a caso il giudice di legittimità nell’ordinanza n. 11218/2021 chiosa con riferimento ai poteri del giudice di merito precisando: “Deve, inoltre, osservarsi che il giudice del reclamo conserva un ampio potere di indagine officiosa, che, a norma dell'art. 18 comma 10 legge fall., gli consente di assumere, nel rispetto del contraddittorio, tutti i mezzi di prova che ritiene necessari”. Da qui il passaggio al monito già richiamato: “Dunque, se il giudice ha dubbi in ordine alla veridicità delle risultanze dei bilanci, può ordinare d'ufficio l'esibizione o disporre l'acquisizione delle scritture contabili, mentre ciò che non può fare è concludere pilatescamente che i bilanci sono inattendibili perché non gli sono stati forniti i documenti in base ai quali riscontrarne l'attendibilità”. Da qui il passaggio all’accoglimento del ricorso in cassazione: “Nel caso di specie, la corte d'appello non ha segnalato alcuna anomalia presente nei bilanci regolarmente e tempestivamente depositati dall'odierna ricorrente, né ha indicato alcun elemento concreto che deponesse per la falsità dei dati in essi appostati”.
Si tratta quindi di una decisione di legittimità da conservare perché invita con parole, forse fin troppo chiare, i giudici del merito ad approfondire con la massima attenzione le vicende prefallimentari. 
4 . Effetti del deposito dei bilanci da cui emerge la non fallibilità
Occorre però evitare di far discendere dall’ordinanza n. 11218/2021 un corollario che in essa non si legge. Occorre rileggere con attenzione tre passaggi che potrebbero indurre ad una conclusione affrettata. Il primo: i bilanci danno luogo solo ad una presunzione semplice della corrispondenza al vero di quanto in essi attestato e non assurgono, quindi, a prova legale; il secondo: i bilanci sono, quindi, soggetti alla valutazione del giudice del merito secondo il suo prudente apprezzamento ex art. 116 c.p.c.; il terzo: il giudice del merito per ritenerli inattendibili deve indicare gli elementi concreti che denotano l'eventuale anomalia dei dati in essi contenuti.
L’ordinanza n. 11218/2021 indica a chiare lettere soltanto che il giudice prefallimentare è terzo ma ha poteri di ufficio (e deve, se ha dubbi, ordinare d'ufficio l'esibizione o disporre l'acquisizione di documenti); in tale provvedimento però non si interviene sul tema dell’onere della prova quando il debitore è costituito. L’ordinanza n. 11218/2021 non dice che l’imprenditore chiamato in prefallimentare prova la propria non fallibilità: a) depositando gli ultimi tre esercizi anteriori al deposito dell'istanza di fallimento dai quali emerga il possesso congiunto dei requisiti dimensionali che, ai sensi dell'art. 1 L. fall., escludono l'assoggettabilità al fallimento; b) depositando una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata; c) rappresentando che il debito maturato nei confronti del creditore ricorrente, dell’amministrazione finanziaria ed ogni altro debito provato non risulti taciuto. 
Occorre, appunto, fare un passo indietro per capire che l’onere probatorio della propria non fallibilità resta sul debitore anche quando dai tre bilanci emerga tanto il possesso congiunto dei requisiti dimensionali che, ai sensi dell'art. 1 L. fall., escludono l'assoggettabilità al fallimento quanto la corretta rappresentazione dei debiti esaminati.
5 . L’ordinanza n. 9045/2021 e gli strumenti probatori alternativi ai bilanci
Occorre rileggere, altra pronuncia coeva della Suprema Corte (cfr., Cass. Civ. Sezione Sesta – Prima – Ordinanza n. 9045 /21 depositata il giorno 1.04.21) laddove contestualizza l’attività del giudice del merito in prefallimentare rammentando che la giurisprudenza di legittimità si è ormai consolidata nel ritenere che, ai fini del riconoscimento dei requisiti dimensionale di cui all'art. 1, comma 2, L. fall., siano utilizzabili pure degli strumenti probatori alternativi a quello rappresentato dal deposito dei bilanci di esercizio; e non solo in via di integrazione e cumulo, ma anche in via di sostituzione di questi (cfr., tra le più recenti, le pronunce di Cass. 23 novembre 2018, n. 30516; di Cass., 26 novembre 2018, n. 30541; di Casse, 3 dicembre 2018, n. 30541; di Cass., 18 giugno 2018, 16067; Cass., 9 novembre 2020, n. 25025; Cass., 11 marzo 2019, n. 6991).
Nella seconda ordinanza n. 9045/2021 si compie attenta rilettura della legge fallimentare rammentando che: a) la disposizione dell'art. 1 della L. fall. non fa proprio parola del “bilancio”; b) l’ art. 1, comma 2, L. fall. indica in modo espresso che la sussistenza del presupposto dei ricavi lordi (lett. b. del comma 2) può risultare «in qualunque modo».
Nella seconda ordinanza n. 9045/2021 si osserva incisivamente anche: “Secondo la più accreditata opinione - è da notare ancora - la logica che presiede alla scelta di sottrarre gli imprenditori in possesso dei tre requisiti indicati dal comma 2 dell'art. 1 si fissa propriamente in un'«ottica deflattiva al fine di esentare dal concorso le crisi di impresa di modeste dimensioni oggettive» (così, tra le altre, Cass., 25 giugno 2018, n. 16683). Si palesa, pertanto, del tutto estranea alla logica della norma in discorso una funzione «sanzionatoria» dell'imprenditore che non ha redatto e depositato presso il registro delle imprese il bilancio di esercizio ovvero una funzione (anche solo tendenzialmente) premiale dell'imprenditore che invece tale bilancio ha depositato”.
Da tale inquadramento discende che il bilancio di esercizio può dirsi canale «privilegiato» per la valutazione prevista dall'art. 1, comma 2, solo perché - e nella concreta misura in cui - la sua funzione specifica è proprio quella di rappresentare la «situazione patrimoniale e finanziaria» dell'impresa a cui fa riferimento, secondo quanto puntualizza la norma dell'art.2423, comma 2, cod. civ. (cfr. Cass., n. 30541/2018).
Secondo la seconda ordinanza n. 9045/2021 in commento il sistema vigente non pone, in proposito, nessuna preclusione o sorta di vincolo. La verifica della sussistenza dei requisiti di «non fallibilità» di cui all'art. 1, comma 2, legge fall. si manifesta, in via correlata, campo di indagine particolarmente aperto e disponibile. Che ha come suo termine «naturale» di riferimento - bensì di sicuro non esclusivo quello delle scritture contabili dell'impresa, in cui leggere e da cui poter ricavare appunto la presenza/assenza dei requisiti in questione: con la piena utilizzabilità dell'intero corredo contabile di questa (per un richiamo al libro giornale, come pure alle denunce dei redditi, v. già Cass., n. 13643/2013; per la documentazione IVA e per quella specificamente attinente ai rapporti bancari v., poi, Cass., n. 25025/2020); e secondo l'ampia nozione di scritture contabili che risulta assunta dal sistema vigente (sintomatici, al riguardo, appaiono i riferimenti alla «corrispondenza di impresa», di cui alle norme di base degli artt. 2220 e 2214 comma 2, seconda parte, cod. civ.; su questo tema specifico cfr., tra le altre, Cass., n. 6991/2019). Aggiunge l’estensore dell’ordinanza n. 9045/2021 che Ne deriva, in via ulteriore nell'ambito del ragionamento che si sta sviluppando, che quanto alla verifica dei requisiti in questione davvero cruciale è il punto rappresentato dalla valutazione dell'attendibilità ex 116 cod. proc. civ. del materiale disponibile: del grado di fedeltà (e, naturalmente, analiticità), a volersi esprimere con altre parole, del dato rappresentatovi con l'effettiva realtà dell'impresa che viene considerata.
6 . L’onere della prova della non fallibilità e sempre del debitore
Non a caso nella seconda ordinanza si conclude ribadendo che “Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. le pronunce sopra citate), l'onere di provare la sussistenza dei requisiti dimensionali di cui all'art. 1 comma 2 legge fall. sta in capo al debitore nei cui confronti è stata presentata l'istanza di fallimento”.
Quindi se è vero che nel caso affrontato nella prima ordinanza erano in atti i soli bilanci, se è vero che per giungere ad affermare l’inattendibilità dei bilanci occorreva compiere attività istruttoria, è vero anche che l’onere della prova della propria non fallibilità grava solo e soltanto sul debitore resistente e che quindi il creditore non ha certamente l’onere di provare la manipolazione di dati di bilancio ma ha soltanto il mero onere di allegare indici di anomalie patrimoniali, finanziarie, contabili, fiscali e previdenziali per sollecitare i poteri di ufficio del Tribunale.

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