Esiste, quindi, un ampio settore dell’ordinamento giuridico, che è quello della crisi d’impresa, in cui i tavoli prefettizi si muovono in un contesto normativo poco strutturato e nel quale mirati interventi legislativi potrebbero contribuire a rafforzare il ruolo dei prefetti quali garanti della coesione sociale, anche a supporto di quegli attori, di natura privata o di nomina giudiziaria, chiamati a gestire complesse situazioni di crisi e/o di insolvenza.
Tale settore dell’ordinamento ruota indubbiamente attorno al nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza[14], recentemente entrato in vigore[15], cui va, però, quantomeno, affiancata la legislazione sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese[16] e sulla ristrutturazione delle grandi imprese in stato di insolvenza[17], nonché la normativa sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento che, come noto, si spinge fino a prevedere forme di tutela nei confronti delle micro realtà imprenditoriali[18].
In tale ambito, dunque, anche in previsione delle conseguenze negative che la crisi energetica potrebbe, a breve, determinare per il tessuto imprenditoriale, potrebbe essere utile, e forse indispensabile, una norma di carattere generale che, sulla scorta di quanto previsto per le imprese eroganti servizi pubblici essenziali, disciplini, dando loro maggiore copertura normativa, i tavoli prefettizi di mediazione e raffreddamento.
Una norma che, ad esempio, in caso di crisi aziendali a livello locale, in cui siano a rischio l’ordine e la sicurezza pubblica in relazione alla tutela dei livelli occupazionali e della specificità e continuità degli assetti produttivi caratterizzanti l’economia del territorio, affidi al prefetto del capoluogo di regione, nel caso in cui la crisi coinvolga più province, o al prefetto della provincia interessata il compito di promuovere un tavolo interistituzionale volto a verificare possibili soluzioni, in coordinamento principalmente con il Ministero dello sviluppo economico, senza trascurare il possibile supporto da parte del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali[19], di quello del lavoro ed, ovviamente, del Ministero dell’interno.
Tale norma, che potrebbe affidare ad una fonte regolamentare il compito di disciplinare disposizioni di dettaglio, previo coinvolgimento della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni, le Province autonome e autonomie locali (la c.d. Conferenza Unificata), dovrebbe poi essere armonizzata con il sistema normativo della crisi d’impresa e ciò proprio per consentire ai prefetti una pronta attivazione dei tavoli o, mutato il quadro prospettico, per evitare che l’intervento prefettizio risulti tardivo, con pregiudizio oltreché per la pace sociale anche per eventuali percorsi di risanamento o ristrutturazione aziendale nel frattempo avviati.
Non è, ad esempio, da escludere che, nell’ambito di una composizione negoziata[20], l’inevitabile coinvolgimento dei soggetti sindacali[21] sfugga al controllo dell’imprenditore e dell’esperto, che nel frattempo è stato a quest’ultimo affiancato per la gestione della crisi, e che eventuali attriti fra la parte datoriale e quella sindacale travalichino i confini dell’azienda stessa per coinvolgere la comunità circostante con potenziali negative ricadute sull’ordine pubblico.
In questo caso, e sempre per ricorrere a delle esemplificazioni, le prefetture, se opportunamente informate, potrebbero con la loro attività di mediazione e composizione dei conflitti sociali affiancare l’impresa, impegnata nel percorso di risanamento e di recupero al mercato, e, al contempo, gestire la dialettica sindacale riconducendola nei limiti consentiti dall’ordinamento.
In tale contesto, allora, potrebbe, ad esempio, essere opportuno intervenire sul comma 7 dell’articolo 13 del CCII e prevedere che il segretario generale della camera di commercio - ricevuta l’istanza di nomina dell’esperto da parte dell’imprenditore, intenzionato ad avviare una fase di composizione negoziata – informi, fra gli altri, anche il prefetto del capoluogo di regione, al fine di consentirgli di disporre in tempo reale di una panoramica generale circa lo stato di salute del sistema produttivo nell’intero territorio regionale [22], nonché il prefetto nel cui territorio insiste la sede legale dell’impresa che potrebbe essere più direttamente coinvolta da fenomeni di conflittualità sociale[23].
Analogamente potrebbero essere ipotizzati minimali interventi normativi per coordinare le varie procedure concorsuali e le attività dell’imprenditore, dei consulenti e dell’autorità giudiziaria, previste dal codice, con l’opera dei cennati tavoli prefettizi.
Più in generale, se la filosofia sottesa al nuovo codice della crisi - rispetto a quella su cui poggiava la legge fallimentare del ’42 - aspira a rendere l’ordinamento più attento e comprensivo rispetto ai momenti di difficoltà dell’impresa e di sostenerla, ove possibile, secondo una logica costituzionalmente orientata di impronta solidaristica[24], la rete delle prefetture potrebbe, in tale quadro, divenire un importante alleato, disponendo degli strumenti istituzionali e del know-how per conformare la realtà sociale, con le sue complessità e conflittualità, alle necessità del tessuto produttivo e imprenditoriale e, di contro, favorire il contemperamento fra gli interessi dell’iniziativa economica con quelli della comunità[25].
Il Ministero dell’interno avrebbe, peraltro, un diretto interesse ad esser messo tempestivamente al corrente, per il tramite delle prefetture, dell’emersione di situazioni di crisi afferenti con particolare riferimento alle società partecipate dagli enti locali[26] e ciò per le ricadute che le stesse sono in grado di determinare sugli equilibri di bilancio di comuni, province e città metropolitane e sulla conseguente necessità di intervenire, quando normativamente previsto, con trasferimenti erariali che fanno perno sulla Direzione centrale per la finanza locale presso il Dipartimento per gli affari interni e territoriali del citato Dicastero[27].