Con la legge di conversione 10 agosto 2023, n. 103 (del D.L. 13 giugno 2023, n. 69), intitolato a “Disposizioni transitorie in materia di crisi d'impresa in coerenza con i principi dettati dalla direttiva (UE) 2019/1023)” si è stabilito in modo del tutto inusitato l’inapplicabilità di quanto previsto dall’ultimo periodo del comma 2 e dell’intero comma 2 bis del già citato art. 63 CCII, “fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo integrativo o correttivo dell'articolo 63 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, da adottare ai sensi dell'articolo 1 della legge 8 marzo 2019, n. 20, o della legge 22 aprile 2021, n. 53”[16].
Certamente la finalità della norma transitoria è stata quella di impedire – in attesa di considerazioni di sistema – la proponibilità di forme di transazione fiscale che offrivano all’Erario soddisfacimenti da “vecchi prefissi telefonici”[17].
E tuttavia, non può non sottolinearsi come una disciplina transitoria di tale rilevanza, unitamente alla sospensione temporanea - condizionata nell’an ma non nel quando – dell’applicabilità di una disposizione codicistica, crei certamente incertezza in tutti gli operatori economici e giuridici che a vario titolo si occupano di crisi di impresa, nonché in capo agli stessi uffici delle P.A. coinvolte.
In via transitoria, il cram down è attualmente così regolato dall’art. 1 bis della citata legge n. 103/2023, stabilendo che il giudice debba svolgere una serie di controlli più penetranti di quelli codicistici:
a) l’accordo non deve avere carattere liquidatorio (si limita quindi lo stesso ambito di applicazione dell’istituto ordinario della transazione fiscale);
b) l'adesione deve risultare determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui agli articoli 57, comma 1, e 60, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (verifica già prevista con le problematiche di cui al par. precedente);
c) il credito complessivo vantato dagli altri creditori aderenti agli accordi di ristrutturazione deve essere pari ad almeno un quarto dell'importo complessivo dei crediti (il legislatore vuole qui evitare che la transazione da sola sostenga un accordo che non abbia avuto alcun seguito fra i creditori o, peggio, riguardi una crisi esclusivamente nascente dal mancato pagamento di tributi e contributi obbligatori);
d) la proposta di soddisfacimento dell'amministrazione finanziaria o degli enti citati, tenuto conto delle risultanze della relazione del professionista indipendente, deve essere conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria e tale circostanza costituisce oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale in sede di omologa;
e) il soddisfacimento dei crediti dell'amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie deve risultare almeno pari al 30 per cento dell'ammontare dei rispettivi crediti, inclusi sanzioni e interessi (soglia minima prima non prevista e fondata esclusivamente sul concetto di convenienza);
f) quando, invece, l'ammontare complessivo dei crediti rappresentato dagli aderenti sia inferiore a un quarto dell'importo complessivo dei crediti, allora la percentuale necessaria di soddisfacimento dei crediti dell'amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie sale al 40 per cento dell'ammontare dei rispettivi crediti, inclusi sanzioni e interessi, e la dilazione di pagamento richiesta non può eccedere il periodo di dieci anni, fermo restando il pagamento dei relativi interessi di dilazione in base al tasso legale vigente nel corso di tale periodo.
Le percentuali di soddisfacimento dei crediti erariali, a fronte di un dato letterale che parla espressamente di “rispettivi crediti” fa propendere, pur se l’interpretazione non è così certa, per la tesi che in caso di diversi debiti, sia fiscali che contributivi, la percentuale di soddisfacimento debba per ciascuno di essi raggiungere la soglia indicata, senza che sia possibile operare una semplice media (ad es. una percentuale più alta al credito erariale ed una più bassa “sotto soglia” a quello fiscale, ma con una media fra i due di almeno il 30 o 40 per cento, a seconda dei casi).
Infine, da segnalare come l’entrata in vigore di questa disciplina transitoria sia stata collegata al D.L. n. 69/2023: in questo modo di fatto la norma finisce per operare in modo retroattivo, applicandosi alle proposte di transazione depositata dal 13/06/2023, in un momento nel quale la disposizione non era ancora stata introdotta, né gli operatori potevano attendersene l’entrata in vigore, con buona pace dei principi dell’affidamento che dovrebbero connotare i rapporti fra contribuente ed amministrazione finanziaria.
Il quadro che ne esce, nonostante la finalità della normativa transitoria, appare incerto.
Ora, come ha scritto un noto Autore[18], il mondo contemporaneo ha certamente infranto il circuito logico fra certezza della legge e certezza della sentenza che della prima rappresenta, in modo impersonale ed oggettivo, la traduzione nel caso concreto. E, tuttavia, l’incertezza normativa, in uno con la conseguente scarsa prevedibilità delle decisioni giudiziarie, un solo risultato ottiene: quello della ripulsa degli operatori per strumenti giuridici visti come inaffidabili o tali da generare effetti imprevisti o risultati negativi distanti da quelli inizialmente sperati. Vi è quindi da auspicare che la stagione degli interventi asistematici ed emergenziali possa concludersi e che, salvo alcuni ritocchi su errori di formulazione o di imprecisa traduzione interna di concetti o istituti unionali, possa aprirsi una feconda fase di metabolizzazione delle importanti novità che hanno rivoluzionato il settore della crisi di impresa e dell’insolvenza, nella quale un costruttivo maturare delle esperienze ed il dialogo fra accademia, magistratura e pratici possa delineare in modo più fermo le coordinate applicative del nuovo Codice.