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Brevi note in tema di accordi di ristrutturazione

Alessandro Farolfi, Giudice addetto all'Ufficio del Massimario e del Ruolo presso la Corte di Cassazione

2 Novembre 2023

Partendo dalla relazione tenuta al Convegno “Gli accordi di ristrutturazione dei debito nel Codice della crisi: attualità e prospettive”, svoltosi a Reggio Emilia lo scorso 20 ottobre, lo scritto affronta i punti di forza ed alcune criticità relative agli accordi di ristrutturazione nel Codice della crisi, con particolare attenzione a quelli "ad efficacia estesa". Non mancano riferimenti all'ultimo intervento estemporaneo in tema di transazione fiscale, avvenuto con la legge n. 103 del 2023, di conversione del D.L. 13 giugno 2023, n. 69, che ha sterilizzato temporaneamente l'applicazione dell'art. 63 CCII, auspicando che dopo il preannunciato "correttivo" vi sia il tempo per una elaborazione complessiva della materia, attraverso un fecondo dialogo fra giurisprudenza, dottrina ed operatori pratici del diritto della crisi e dell'insolvenza. 
Riproduzione riservata
1 . Premessa
All’interno dei c.d. istituti contrattuali sulla crisi si segnalano certamente gli accordi di ristrutturazione dei debiti e, in particolare, quelli ad efficacia estesa, di cui l’attuale Codice della crisi e dell’insolvenza ha ampliato il perimetro applicativo, rispetto a quanto già previsto dal precedente art. 182 septies L. fall., novellato – come noto – dalla L. n. 132/2015[1][2].
I vantaggi degli accordi di ristrutturazione possono essere essenzialmente ricondotti a tre aspetti fondamentali:
a) Economicità (tendenziale mancanza di un organo della procedura, procedimento semplificato di omologazione, destinato ad assumere una certa complessità solo in caso di opposizioni; durata del procedimento tendenzialmente limitata);
b) Flessibilità da parte dell’imprenditore (in particolare possibilità di derogare all’ordine delle cause legittime di prelazione, convenendo con i singoli creditori anche trattamenti differenziati, senza alcuna esigenza di omogeneità; non vi è obbligo di inserire nel piano posto alla base dell’accordo un elenco delle azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili nella eventuale ed alternativa liquidazione giudiziale, come invece l’art. 87 CCII prevede nel concordato preventivo; non vi è l’obbligo di redigere l’elenco degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel quinquennio precedente ex art. 39 comma 2 CCII, non essendovi una discovery da realizzare ai fini del voto e rientrando ogni altro aspetto informativo nell’attestazione);
c) Criterio di computo dei creditori ai fini del quorum richiesto per importo del credito e non per natura del diritto (fino alle recenti modifiche del D.Lgs. n. 83/2022 per il concordato in continuità si trattava di una differenza ancora maggiore): il gradimento da parte di un creditore ipotecario capiente, ad esempio, potrebbe essere meglio sfruttato nell’ADR rispetto al CP, nel quale sarebbe potrebbe risultare scarsamente rilevante nel corso delle votazioni, salvo acquisire un possibile rilievo decisivo nell’omologazione con ristrutturazione trasversale (c.d. cross class cram down), ma a prezzo di un penetrante controllo giudiziale e di più stringenti presupposti di legalità della proposta concordataria[3].
Per contro, gli svantaggi, fondamentalmente, si ricollegano alle stesse modalità negoziali di conclusione dell’accordo con i creditori:
a) Difficoltà di utilizzo pratico in presenza di un passivo non concentrato in capo a pochi creditori istituzionali, ma distribuito su una pletora assai numerosa di creditori, magari con importi parcellizzati e, quindi, soggetti a pulsioni individualistiche (anche opposte fra loro, vuoi di disinteresse, vuoi di massimizzazione ad ogni costo della recovery) piuttosto che legate ad una visione complessiva dell’operazione di turneround aziendale;
b) Assenza di vincolo per i non aderenti (c.d. estranei) i quali devono, come ancora oggi recita l’art. 57 CCII, essere destinatari di un “pagamento integrale” oggetto di specifica attenzione da parte dell’attestatore (“idoneità” del piano ad assicurare l’integrale pagamento dei termini di cui al comma 3);
c) Possibile rendita di posizione dei creditori “decisivi”, i quali, se risultano essenziali per il raggiungimento del quorum del 60% possono spuntare trattamenti migliori o, addirittura, divenire sostanzialmente arbitri della ristrutturazione.
Proprio per cercare di eliminare quest’ultima “stortura” nasce la figura dell’ADR a efficacia estesa, che realizza una “ibridazione” fra modello contrattuale e prospettiva concordataria di votazione a maggioranza (sia pure qualificata ed interna alla singola classe) della proposta di ristrutturazione del debito).
L’istituto rientra a pieno titolo fra gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti del Codice della crisi, in attuazione della Direttiva Insolvency n. 1023/2019, tanto da essere stato anche recentemente definito come “un fiore all’occhiello” del nuovo Codice e la “punta di diamante” della disciplina degli accordi di ristrutturazione[4].
2 . Nozione di ADR
Molto si è discusso, nel recente passato[5], circa la natura degli accordi di ristrutturazione dei debiti. Pur se il meccanismo di conclusione contrattuale dell’accordo fra il debitore ed i propri stakeholders avrebbe, in effetti, potuto far propendere per l’impossibilità di guardare all’istituto in termini di procedura concorsuale, tale conclusione risultando rafforzata dalla possibile deroga ai principi della graduazione dei crediti, di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c., nondimeno la S.C. ha negli ultimi anni decisamente inserito l’ADR all’interno dei famosi “centri concentrici” della concorsualità, così come ridefiniti dalla nota Cass. n. 9087/2018. Se già, in effetti, le decisioni “gemelle” rese da Cass. n. 1182/2018 e 1896/2018, pubblicate nel gennaio 2018, avevano affermato la natura prededucibile del credito del professionista che ha assistito alla predisposizione dell’accordo a seguito della dichiarazione di fallimento, è in particolare alla citata sentenza n. 9087/2018 che si deve la piena affermazione della natura concorsuale dell’istituto dell’ADR[6]. Affermazione ribadita anche dalla decisione Cass. n. 16347/2018, laddove ha affermato ancora la natura prededucibile del credito da finanziamento (realizzato attraverso la costituzione di una garanzia personale) funzionale alla esecuzione dell’accordo di ristrutturazione e successivamente non più messa in discussione (ad es. per farne dipendere le analogie circa lo spettro valutativo del giudizio di omologazione dell’ADR e quello concordatario).
In particolare, la citata giurisprudenza del 2018 ha ridefinito gli indici indicatori della concorsualità attraverso più blandi presupposti consistenti:
a) Nell’adozione di forme di pubblicità della domanda cui si collegano effetti protettivi del patrimonio del debitore;
b) Nel coinvolgimento dei creditori, non necessariamente espresso con il voto o riguardante tutti i creditori, ma anche attraverso il consenso di una porzione, sia pure considerevole, del ceto creditorio;
c) Nell’intervento del tribunale, con funzione di vigilanza ed omologazione, così da rendere efficace erga omnes la ristrutturazione concordata. 
Sarebbe certamente ozioso diffondersi in questa sede su questa diatriba, pur se di per sé non puramente tassonomica. Basti qui considerare che per chi crede, come il sottoscritto, che si possa parlare a pieno titolo di una procedura concorsuale laddove anche i creditori non consenzienti, e quindi indipendentemente dalla loro volontà, sono chiamati in qualche misura a subire gli effetti della ristrutturazione grazie all’intervento del tribunale, come avviene nel concordato con il principio di maggioranza, certamente simile aspetto si ravvisa nel meccanismo della “estensione degli effetti” proprio dell’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa, la cui natura concorsuale non può quindi – almeno a parere dello scrivente - essere ancora rimessa in discussione[7].
3 . ADR ad efficacia estesa: il quorum
Venendo ad alcuni aspetti problematici dell’ADR ad efficacia estesa, occorre in primo luogo chiedersi se il maccanismo dell’estensione possa servire unicamente a raggiungere l’unanimità all’interno della singola categoria presa in considerazione o se, contemporaneamente, la stessa possa essere invocata per surrogare un iniziale mancato raggiungimento del quorum del 60% richiesto dall’art. 57.
Ad avviso dello scrivente questa seconda soluzione è da respingere.
a) Vi è in primo luogo un elemento letterale: l’art. 61 prevede l’applicazione della propria disciplina al caso in cui gli effetti dell’accordo vengano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria, così lasciando letteralmente intendere che qui si stanno estendendo ad alcuni soggetti i soli effetti di un accordo che – per altra via ordinaria – deve già essere suscettibile di produrre i propri effetti nei confronti dei creditori aderenti, il che richiede, come vuole in linea generale l’art. 57 CCII proprio il raggiungimento di tante adesioni pari ad almeno il 60% dei crediti complessivamente intesi;
Vi è poi un elemento sistematico: laddove il legislatore ha ritenuto di abbassare il quorum del 60% previsto in via ordinaria quale presupposto necessario per la omologazione dell’ADR lo ha fatto, come ad es. nel caso dell’accordo agevolato di cui all’art. 60 che parla appunto dei casi in cui è possibile ridurre alla metà “la percentuale di cui all’art. 57”; mentre nell’art. 61 gli unici riferimenti alle percentuali riguardano quelle all’interno della categoria, presupponendo il meccanismo di estensione che l’accordo depositato sia omologabile, salvo l’operare del meccanismo di estensione interna alla singola (una o più per il vero) categoria; anche laddove il legislatore è più recentemente intervenuto con un meccanismo incentivante, previsto all’ art. 23 comma 2, per il caso in cui la conclusione dell’ADR sia preceduta dalla fase delle trattative nel corso della composizione negoziata, l’incentivazione è stata espressamente limitata alla “percentuale di cui all’articolo 61, comma 2, lett. c) – prevedendo che la maggioranza qualificata del 75% interna alla categoria di cui si vuole operare l’estensione possa scendere al 60% - confermando come il legislatore intenda questa percentuale come nettamente distinta da quella dell’art. 57. In altri termini, l’estensione è un meccanismo coattivo che opera a livello di singola categoria, nel rispetto dei presupposti che, come si vedrà, sono espressamente e puntualmente indicati dall’art. 61, il quale presuppone che – ancor prima – si sia raggiunto un consenso vero, effettivo, con tanti creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, misura che segna il perimetro della stessa attestazione riguardante gli estranei e la possibilità di ritenere di essere di fronte ad un accordo perfezionato di cui è possibile chiedere l’omologazione. 
3.1 . La continuità
La versione originaria dell’art. 61 CCII faceva riferimento alla possibilità che “i creditori (venissero) soddisfatti in misura significativa o prevalente dal ricavato della continuità aziendale. Tale previsione rendeva vantaggioso l’istituto, nel momento in cui era sufficiente che la porzione di continuità del piano desse flussi “significativi” e non necessariamente maggioritari o prevalenti rispetto a quanto ricavabile da cessioni o aspetti liquidatori del piano medesimo.
Tale fattore di elasticità era poi caduto, ricollegandosi l’operatività dell’istituto al concetto di continuità delineato dall’art. 84, che, come noto, richiedeva una prevalenza necessaria, sia pure temperata da una presunzione iuris et de jure fondata sul dato occupazionale.
Rivisto dal D.Lgs. n. 83/2022 il concetto di continuità in una logica unionale, in modo da non prevedere più alcuna limitazione dimensionale, basandosi piuttosto, fondamentalmente, sulla continuità diretta (che gli stati membri sono autorizzati ad estendere alla continuità indiretta)[8], oggi il rinvio al concetto di continuità di cui all’art. 84 CCII rende i presupposti applicativi dell’istituto amplissimi, al punto da rendere del tutto residuali le ipotesi liquidatorie[9].
Restano certamente alcuni dubbi. Da un lato la traduzione nazionale della direttiva ha comportato l’inserimento di una formula di chiusura del secondo comma dell’art. 84 che consente di includervi una continuità “a qualunque altro titolo”. L’ipotesi comunitaria, tuttavia, sembra riguardare una continuità “definitivamente” indiretta, ossia basata sulla cessione (cui può in effetti equipararsi il conferimento) dell’azienda in esercizio), ossia su di un turnaround effettivo e completo, non su ipotesi in qualche modo “spurie” che consentano una separazione fra gestione e titolarità (come nel caso dell’usufrutto che la norma nazionale pure contempla), o addirittura puramente transitorie (si pensi al caso, non soltanto di scuola, in cui occorra qualificare un piano fondato su un affitto transitorio, magari pluriennale, con successiva retrocessione dell’azienda in favore del concedente e destinazione ai creditori dei soli flussi derivanti dal godimento dell’azienda da parte dell’affittuario).
Dall’altro, l’affitto d’azienda, di cui pure il S.C. aveva affermato la compatibilità con soluzioni della crisi in continuità (indiretta)[10],  è oggi compatibile con la continuità, nel caso in cui sia anteriore alla domanda, solo se stipulato “in funzione” della presentazione del ricorso, ciò che deve quantomeno indurre a dubbi di qualificazione, allorché il contratto di affitto appaia assai risalente ovvero, quando fra la conclusione dell’affitto e la presentazione del ricorso, vi sia stato un significativo mutamento della situazione di insolvenza, essendo intervenuti elementi di discontinuità rilevanti.
Più in generale, poi, resta il problema dell’accertamento di una reale continuità che, pur non generando flussi maggioritari, non deve neppure divenire strumento indiretto di abuso del “tipo”, come si verifica quando la continuità appaia “impalpabile” o addirittura fittizia, volendo esclusivamente “lucrare” la più favorevole disciplina codicistica prevista per le ristrutturazioni che consentono la prosecuzione – diretta o indiretta – dell’attività di impresa[11].
3.2 . Le categorie
L’art. 61 CCII parla – ma in questo caso riprende una terminologia già usata dal previgente art. 182 septies L. fall. – di categorie di creditori (rectius di crediti) formate sulla scorta di posizioni giuridiche ed interessi economici connotati da “omogeneità”.
Il quesito se il concetto di “categoria” sia sovrapponibile a quello di “classe”, pur se non deve essere sopravvalutato, non è neppure del tutto ininfluente. Attraverso la distinzione dei creditori in classi non è infatti possibile, nel concordato preventivo, pervenire ad una violazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione, che anche nel concordato in continuità in effetti è solo parzialmente derogabile attraverso il ricorso all’RPR e per la sola parte che costituisce il c.d. surplus concordatario. Inoltre, nel concordato troviamo oggi ipotesi di classi obbligatorie, all’art. 85 CCII, oltre che un generale dovere di classamento dei creditori nel concordato con continuità aziendale.
Tali principi non appaiono però estensibili allo strumento in esame, neppure analogicamente, stante il diverso procedimento di formazione del consenso e la libertà di manovra concessa all’imprenditore, nel caso di ADR ad efficacia estesa.
La categoria va quindi intesa come raggruppamento o insieme omogeno, sia per interessi economici che per posizioni giuridiche dei crediti riuniti al suo interno, rappresentando certamente un qualcosa di vicino ma non identico al concetto di “classe”, che consente di non estendere all’ADR ad efficacia estesa, neppure in via analogica, quanto previsto dall’art. 85. Al contempo, come per la classe, la valutazione di omogeneità può essere oggetto di un accertamento officioso da parte del giudice che, chiamato a disporre l’estensione degli effetti alla classe “recalcitrante”, non potrebbe rigettare tale richiesta a seguito di una verifica officiosa che porti ad accertare che la stessa, ad esempio, ricomprende crediti fra loro irriducibilmente diversi, tali da denotare la modalità arbitraria ed artificiosa con cui la categoria è stata individuata.
3.3 . Buona fede ed altri presupposti dell’estensione
Chi scrive ritiene che le condizioni elencate dall’art. 61 al fine di consentire l’”estensione” degli effetti siano sostanzialmente “condizioni” di accoglimento della domanda, che il debitore istante deve necessariamente dimostrare e di cui il tribunale può accertare l’inesistenza, anche attraverso una indagine officiosa. I presupposti sono i seguenti: 
- tutti i creditori appartenenti alla categoria – in particolare l’accertamento riguarderà i non aderenti per evidenti ragioni di protezione ed eccezione alla regola pacta tertiis nec nocent nec prosunt di cui all’art. 1372 e 1411 c.c. -  devono essere stati informati dell'avvio delle trattative e messi in condizione di parteciparvi in buona fede, ricevendo complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull'accordo e sui suoi effetti; 
- l'accordo non deve avere carattere liquidatorio, ma deve prevedere la prosecuzione dell'attività d'impresa in via diretta o indiretta ai sensi dell'articolo 84 CCII;
- i crediti dei creditori aderenti appartenenti alla categoria devono rappresentare la maggioranza qualificata del 75% di tutti i creditori appartenenti alla categoria (in altri termini proprio il raggiungimento di simile maggioranza qualificata fa presumere al legislatore, nel concorso degli altri presupposti, che il diniego del residuo 25% sia stato dettato da motivi capricciosi ed immeritevoli di tutela giuridica);
- la norma precisa che un creditore può essere titolare di crediti inseriti in più di una categoria, così rimarcando come il raggruppamento debba avvenire per criteri oggettivi più che soggettivi; 
- i creditori non aderenti per cui si chiede l’estensione degli effetti dell'accordo devono risultare soddisfatti in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale; 
- il debitore deve aver notificato l'accordo, la domanda di omologazione e i documenti allegati ai creditori nei confronti dei quali chiede di estendere gli effetti dell'accordo.
Si tratta di presupposti che devono essere dimostrati dal debitore che richiede l’estensione e sottoposti a controlli che possono essere condotti anche in modo officioso, pur se quello relativo al soddisfacimento, avuto riguardo ad una interpretazione eurounitaria della disposizione, potrà essere soddisfatto in chiave deduttiva dal debitore, anche avvalendosi naturalmente al riguardo dell’attestazione allegata al piano ed all’accordo, impregiudicato un più approfondito accertamento nell’ipotesi di opposizione da parte del creditore estraneo di cui si predichi l’assoggettamento al trattamento accettato dalla maggioranza del 75% interna alla classe (si ricorda nuovamente che detta percentuale scende al 60% nel caso in cui l’accordo sia stato preceduto dalla composizione negoziata che si sia conclusa favorevolmente, avendo dato atto l’esperto del suo raggiungimento positivo).
Sul concetto di buona fede non sembra ultroneo il riferimento ad una recente decisione del Tribunale di Firenze, sia pure condotta con riguardo a tale stato soggettivo nel corso delle trattative della composizione negoziata, da declinarsi – mutatis mutandis – rispetto al bagaglio informativo fornito ai creditori nei cui confronti si pretende l’estensione degli effetti pur in mancanza del loro consenso[12].
4 . Possibili criticita’: spossessamento “minore” ed ADR?
L’art. 46 CCII, con rubrica letteralmente limitata agli “Effetti della domanda di accesso al concordato preventivo” dispone che “Dopo il deposito della domanda di accesso al concordato preventivo, anche ai sensi dell'articolo 44, e fino al decreto di apertura di cui all'articolo 47, il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale. In difetto di autorizzazione gli atti sono inefficaci e il tribunale dispone la revoca del decreto di cui all'articolo 44, comma 1”.
Pur se la formulazione non è delle migliori, può probabilmente ritenersi, in via interpretativa, che la norma sia applicabile anche ad un ricorso “prenotativo” nel quale non vi sia una espressa opzione (che sarebbe peraltro revocabile fino alla scadenza del termine concesso) per lo strumento dell’accordo, stante l’affinità degli effetti processuali discendenti fra domanda ex art. 40 e 44. Nondimeno, la formulazione della disposizione dell’art. 46 pone il dubbio se la stessa sia applicabile al diverso caso in cui il debitore, invece che ricorrere alla domanda con riserva, utilizzi lo strumento del preaccordo di cui all’art. 54 comma 3 CCII che, infatti, prende il posto dell’istituto già previsto dall’art. 182 bis, comma 6 e 7 L. fall., così da lasciare un maggior margine di manovra in capo all’imprenditore, fra cui anche la mancata nomina del commissario giudiziale. Nel caso di intervento correttivo, appare perciò opportuno forse distinguere le due ipotesi e comunque ricorrere ad una migliore formulazione della norma.
Da notare che l’art. 54, comma 5, disciplina la c.d. “passerella” (ossia il mantenimento degli effetti della domanda prenotativa mediante deposito di uno strumento diverso da quello preannunciato) solo se il termine per il deposito è stato concesso ex art. 44, comma 1, lett. a). A differenza, quindi, del previgente art. 182 bis L. fall. non è prevista simile possibilità in caso di ricorso al preaccordo pur se anche qui, potrebbe verificarsi il caso in cui il debitore confidi nel raggiungimento dell’ADR e, nel corso delle trattative successive, si renda conto di tale impossibilità, trovandosi nella necessità di ricorrere al concordato preventivo.
4.1 . Criticita’: transazione fiscale
L’art. 63 CCII, disciplina l’istituto della transazione fiscale nell’ADR. Premesso che la norma non richiede che vi sia continuità e che, quindi, l’istituto appare utilizzabile anche quando alla base dell’accordo di ristrutturazione vi sia un piano liquidatorio, l’applicazione concreta di tale disposizione ha immediatamente posto diverse difficoltà che qui in estrema sintesi si ricordano[13]:
a) Il comma 2 bis in tema di cram down giudiziale non rinvia all’art. 61 e, secondo una interpretazione letterale da respingere, si potrebbe pensare che lo stesso non sia utilizzabile nel caso di ADR ad efficacia estesa; piuttosto dovrebbe ritenersi che la norma abbia voluto distinguere la specificità del controllo giudiziale in caso di dissenso dell’amministrazione finanziaria, previdenziale o assistenziale, intendendo solo esprimere il concetto che lo stesso non può essere surrogato dal meccanismo dell’estensione ex art. 61, comma 2, lett. c);
b) La stessa disposizione richiede una valutazione di convenienza, mentre se si vuole mantenere lo stesso metro di giudizio dell’art. 88 CCII - a sua volta mutuato dalla citata Direttiva n. 1023/2019 - nel caso di piano in continuità basterebbe che la proposta non arrechi pregiudizio all’amministrazione finanziaria, ossia non risulti deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria; tale distonia introduce un possibile disincentivo non giustificato all’utilizzo dell’ADR in presenza di debito fiscale, pur a fronte di soluzioni che contemplano il mantenimento dell’attività aziendale e dell’occupazione;
c) Alcune decisioni di merito ritengono che in caso di cram down sia applicabile analogicamente quanto previsto dall’art. 88, comma 1, secondo e terzo periodo in tema di trattamento[14], ma se tale meccanismo presuppone la formazione di classi ed il necessario rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione, probabilmente i presupposti per l’applicazione analogica non sussistono, essendo già previsto un meccanismo specifico di controllo per l’ipotesi di mancato consenso e di surroga del medesimo; inoltre nel caso dell’ADR il vincolo – salvo cram down – si fonda sul consenso negoziale e non sul meccanismo di voto a maggioranza;
d) Il meccanismo protettivo dell’art. 44 prevede che il termine max di 60 gg. concesso ai sensi della lett. a) non possa essere prorogato in presenza di domande per l’apertura della liquidazione giudiziale: tale dato risulta non allineato con il termine di 90 gg. concesso alle amministrazioni finanziarie, previdenziali o assistenziali per aderire o meno alla proposta di transazione, al fine di maturare un silenzio-diniego che rende praticabile il cram down previsto dal già citato comma 2 bis; tale discrasia è superabile solo con operazioni interpretative che potrebbero giustificare comunque una modifica del dato letterale dell’art. 44, comma 1, lett. a); in attesa del “correttivo” può comunque proporsi una lettura di tale norma che porti a leggere che la proroga del termine concesso dal giudice per il deposito del piano è impedita solo da una precedente domanda di apertura della liquidazione giudiziale, non da una istanza sopravvenuta: infatti la ratio della norma è quella di impedire possibili abusi dell’imprenditore che procrastini inutilmente la trattazione della iniziale domanda liquidatoria, ma non può essere reinterpretata – quasi come una eterogenesi dei fini – al fine di consentire al creditore di divenire arbitro dei tempi della ristrutturazione sol che depositi, dopo una preventiva domanda con riserva del debitore che stia affrontando tempestivamente la propria crisi, una successiva istanza di liquidazione giudiziale[15].
5 . L’incertezza normativa
Con la legge di conversione 10 agosto 2023, n. 103 (del D.L. 13 giugno 2023, n. 69), intitolato a “Disposizioni transitorie in materia di crisi d'impresa in coerenza con i principi dettati dalla direttiva (UE) 2019/1023)” si è stabilito in modo del tutto inusitato l’inapplicabilità di quanto previsto dall’ultimo periodo del comma 2 e dell’intero comma 2 bis del già citato art. 63 CCII, “fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo integrativo o correttivo dell'articolo 63 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, da adottare ai sensi dell'articolo 1 della legge 8 marzo 2019, n. 20, o della legge 22 aprile 2021, n. 53”[16].
Certamente la finalità della norma transitoria è stata quella di impedire – in attesa di considerazioni di sistema – la proponibilità di forme di transazione fiscale che offrivano all’Erario soddisfacimenti da “vecchi prefissi telefonici”[17].
E tuttavia, non può non sottolinearsi come una disciplina transitoria di tale rilevanza, unitamente alla sospensione temporanea - condizionata nell’an ma non nel quando – dell’applicabilità di una disposizione codicistica, crei certamente incertezza in tutti gli operatori economici e giuridici che a vario titolo si occupano di crisi di impresa, nonché in capo agli stessi uffici delle P.A. coinvolte.
In via transitoria, il cram down è attualmente così regolato dall’art. 1 bis della citata legge n. 103/2023, stabilendo che il giudice debba svolgere una serie di controlli più penetranti di quelli codicistici:
a) l’accordo non deve avere carattere liquidatorio (si limita quindi lo stesso ambito di applicazione dell’istituto ordinario della transazione fiscale);
b) l'adesione deve risultare determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui agli articoli 57, comma 1, e 60, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (verifica già prevista con le problematiche di cui al par. precedente);
c) il credito complessivo vantato dagli altri creditori aderenti agli accordi di ristrutturazione deve essere pari ad almeno un quarto dell'importo complessivo dei crediti (il legislatore vuole qui evitare che la transazione da sola sostenga un accordo che non abbia avuto alcun seguito fra i creditori o, peggio, riguardi una crisi esclusivamente nascente dal mancato pagamento di tributi e contributi obbligatori); 
d) la proposta di soddisfacimento dell'amministrazione finanziaria o degli enti citati, tenuto conto delle risultanze della relazione del professionista indipendente, deve essere conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria e tale circostanza costituisce oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale in sede di omologa;
e) il soddisfacimento dei crediti dell'amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie deve risultare almeno pari al 30 per cento dell'ammontare dei rispettivi crediti, inclusi sanzioni e interessi (soglia minima prima non prevista e fondata esclusivamente sul concetto di convenienza);
f) quando, invece, l'ammontare complessivo dei crediti rappresentato dagli aderenti sia inferiore a un quarto dell'importo complessivo dei crediti, allora la percentuale necessaria di soddisfacimento dei crediti dell'amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie sale al 40 per cento dell'ammontare dei rispettivi crediti, inclusi sanzioni e interessi, e la dilazione di pagamento richiesta non può eccedere il periodo di dieci anni, fermo restando il pagamento dei relativi interessi di dilazione in base al tasso legale vigente nel corso di tale periodo.
Le percentuali di soddisfacimento dei crediti erariali, a fronte di un dato letterale che parla espressamente di “rispettivi crediti” fa propendere, pur se l’interpretazione non è così certa, per la tesi che in caso di diversi debiti, sia fiscali che contributivi, la percentuale di soddisfacimento debba per ciascuno di essi raggiungere la soglia indicata, senza che sia possibile operare una semplice media (ad es. una percentuale più alta al credito erariale ed una più bassa “sotto soglia” a quello fiscale, ma con una media fra i due di almeno il 30 o 40 per cento, a seconda dei casi).
Infine, da segnalare come l’entrata in vigore di questa disciplina transitoria sia stata collegata al D.L. n. 69/2023: in questo modo di fatto la norma finisce per operare in modo retroattivo, applicandosi alle proposte di transazione depositata dal 13/06/2023, in un momento nel quale la disposizione non era ancora stata introdotta, né gli operatori potevano attendersene l’entrata in vigore, con buona pace dei principi dell’affidamento che dovrebbero connotare i rapporti fra contribuente ed amministrazione finanziaria.
Il quadro che ne esce, nonostante la finalità della normativa transitoria, appare incerto. 
Ora, come ha scritto un noto Autore[18], il mondo contemporaneo ha certamente infranto il circuito logico fra certezza della legge e certezza della sentenza che della prima rappresenta, in modo impersonale ed oggettivo, la traduzione nel caso concreto. E, tuttavia, l’incertezza normativa, in uno con la conseguente scarsa prevedibilità delle decisioni giudiziarie, un solo risultato ottiene: quello della ripulsa degli operatori per strumenti giuridici visti come inaffidabili o tali da generare effetti imprevisti o risultati negativi distanti da quelli inizialmente sperati. Vi è quindi da auspicare che la stagione degli interventi asistematici ed emergenziali possa concludersi e che, salvo alcuni ritocchi su errori di formulazione o di imprecisa traduzione interna di concetti o istituti unionali, possa aprirsi una feconda fase di metabolizzazione delle importanti novità che hanno rivoluzionato il settore della crisi di impresa e dell’insolvenza, nella quale un costruttivo maturare delle esperienze ed il dialogo fra accademia, magistratura e pratici possa delineare in modo più fermo le coordinate applicative del nuovo Codice.

Note:

[1] 
Scritto tratto dall’intervento tenuto a Reggio Emilia, in data 20/10/2023, su “Criticità persistenti e prospettive future degli accordi”, nel corso del Convegno “Gli accordi di ristrutturazione dei debito nel Codice della crisi: attualità e prospettive”.
[2] 
Per un primo inquadramento, C. Silocchi, La nuova scommessa degli accordi di ristrutturazione, in Dirittodellacrisi.it, 2020.
[3] 
Poiché negli ADR l’accordo si fonda sul consenso negoziale anche in deroga all’ordine delle cause di prelazione, in questo istituto sarebbe addirittura possibile, ad esempio, attribuire ad un creditore un importo superiore al suo credito, mentre tale limite è previsto nel concordato preventivo, in tema di ristrutturazione trasversale ex art. 112, comma 2, lett. c) CCII.
[4] 
N. Abriani, Gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, in Dirittodellacrisi.it.
[5] 
In tema M. Arato, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra la giurisprudenza della Cassazione e il Codice della Crisi e dell'Insolvenza, in Ilcaso.it, 2018; M. Fabiani, Dal codice della crisi d'impresa agli accordi di ristrutturazione senza passare da Saturno, in Ilcaso.it, 2018; ivi ulteriori riferimenti bibliografici.
[6] 
In motivazione si legge che: “dovrebbe prendersi atto che la sfera della concorsualità può essere oggi ipostaticamente rappresentata come una serie di cerchi concentrici, caratterizzati dal progressivo aumento dell’autonomia delle parti man mano che ci si allontana dal nucleo (la procedura fallimentare) fino all’orbita più esterna (gli accordi di ristrutturazione dei debiti), passando attraverso le altre procedure di livello intermedio, quali la liquidazione degli imprenditori non fallibili, le amministrazioni straordinarie, le liquidazioni coatte amministrative, il concordato fallimentare, il concordato preventivo, gli accordi di composizione della crisi da sovraindebitamento degli imprenditori non fallibili, gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e le convenzioni di moratoria (con la precisazione che la L. Delega n. 155 del 2017, art. 5, comma 1, lett. a), per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, intende estendere queste ultime “procedure” anche a creditori diversi da banche e intermediari finanziari)”.
[7] 
Per l’affermazione della natura concorsuale del concordato semplificato, vds. da ultimo Cass., sez. I, 12 aprile 2023, n. 9730, secondo cui “se è vero che la composizione negoziata esprime un istituto degiurisdizionalizzato, di tipo essenzialmente negoziale e volontario, lo stesso non può dirsi del concordato semplificato, il quale è accessibile unicamente in caso di esito negativo delle trattative ed è sicuramente annoverabile nell'ambito delle procedure concorsuali”.
[8] 
L’art. 2, comma 1, n. 1 della Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 prevede espressamente il significato di «ristrutturazione»: misure che intendono ristrutturare le attività del debitore che includono la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore, quali la vendita di attività o parti dell'impresa, e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale, come pure eventuali cambiamenti operativi necessari, o una combinazione di questi elementi.
[9] 
In forza dei commi 2 e 3 dell’art. 84 CCII: “La continuità aziendale tutela l'interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro. La continuità aziendale può essere diretta, con prosecuzione dell'attività d'impresa da parte dell'imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta, se è prevista dal piano la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell'azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo. 
Nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta. La proposta di concordato prevede per ciascun creditore un'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”.
[10] 
Secondo la nota Cass. 19 novembre 2018 n. 29742, “Il concordato con continuità aziendale disciplinato dall'art. 186-bis l.f. è configurabile anche quando l'azienda sia già stata affittata o sia destinata ad esserlo, rivelandosi indifferente la circostanza che, al momento dell'ammissione alla suddetta procedura concorsuale o del deposito della relativa domanda, l'azienda sia esercitata dal debitore o, come nell'ipotesi dell'affitto della stessa, da un terzo, in quanto il contratto d'affitto - recante, o meno, l'obbligo dell'affittuario di procedere, poi, all'acquisto dell'azienda (rispettivamente, affitto cd. ponte oppure cd. puro) - può costituire uno strumento per giungere alla cessione o al conferimento dell'azienda senza il rischio della perdita dei suoi valori intrinseci, primo tra tutti l'avviamento, che un suo arresto, anche momentaneo, rischierebbe di produrre in modo irreversibile”.
[11] 
Su tale rischio, vds. da ultimo Cass., Sez. 1, 21 luglio 2023, n. 21864, secondo cui “La causa tipica del concordato in continuità non ricorre qualora, al momento della domanda, l’attività d’impresa risulti insussistente in quanto cessata, giustificandosi l’accesso a tale procedura solo in funzione del mantenimento in vita dell’attività e dei valori aziendali”.
[12] 
Trib. Firenze, 31 agosto 2022 ha ritenuto che “ Il requisito dello svolgimento in buona fede delle trattative e quello della non praticabilità delle soluzioni individuate ai sensi dell’art. 23, commi 1 e 2, lett. b), CCII postulano, stante l'assenza nella procedura di concordato semplificato della fase della votazione dei creditori, sia che in sede di trattative vi stata una effettiva e completa interlocuzione con i creditori interessati dal piano di risanamento (non tutti necessariamente, fermo restando che quelli non coinvolti devono ricevere regolare soddisfazione) e, quindi, che i creditori abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’imprenditore, nonché sulle misure per il risanamento proposte, e che abbiano potuto esprimersi su di esse; sia che le trattative si siano svolte con la sottoposizione ai creditori di una (o più) proposte con le forme di tali soluzioni (ipotesi cui soltanto il citato art. 23 c. 1 ricollega la conclusione delle trattative con l’esito positivo del superamento della situazione di cui all’art. 12 CCII); sia infine che sia stata fornita ai creditori una comparazione del soddisfacimento loro assicurato dalle predette soluzioni con quello che avrebbero potuto ottenere dalla liquidazione giudiziale”.
[13] 
Per ulteriori riferimenti cfr. ANDREANI, Transazione Fiscale: Come cambia a seguito del Codice della Crisi e della Direttiva Insolvency, in Dirittodellacrisi.it.
[14] 
Dove è previsto che “Se il credito tributario e contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie. Se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, anche a seguito di degradazione per incapienza, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri crediti chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei crediti rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole”.
[15] 
Nel senso indicato nel testo cfr. Trib. S.M. Capua Vetere, 31 maggio 2023 in Dirittodellacrisi.it; diverso percorso argomentativo, pur apprezzabile al fine di superare il dato letterale dell’art. 44, anche in Trib. Ferrara, 28 giugno 2023.
[16] 
Una prima analisi in V. Morelli, Transazione fiscale negli ADR: quali sono le percentuali di rimborso dei creditori qualificati, in Ipsoa.it, sez. crisi d’impresa, 2023.
[17] 
Il casus belli è probabilmente rappresentato dalla decisione di Trib. Reggio Calabria, del 09/06/2023, che ha omologato forzosamente un accordo di ristrutturazione dei debiti e di transazione su crediti tributari e previdenziali, rispetto al quale erano pervenute le opposizioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, dell’INPS e dell’INAIL e da cui risulta che l’Agenzia delle Entrate avesse motivato il diniego affermando che “la proposta dell’abbattimento del 95% delle imposte dovute, oltre all’azzeramento di sanzioni e interessi, appare talmente spropositata che non necessita di esami minuziosi e approfonditi per far evidenziare la non convenienza per l’Erario”.
[18] 
N. Irti, Un diritto incalcolabile, Torino, 2016.

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