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Antonio Pezzano, Avvocato in Firenze

Una nuova pronuncia delle SS.UU. in tema di fallimento omisso medio?

13 Febbraio 2023

Una recente decisione  del Tribunale di Prato (v. in questa Rivista Trib. Prato, 17 gennaio 2023) è occasione propizia  per tornare su un argomento  che mi ha sempre appassionato sul piano sistematico:  l’ammissibilità - o meno -  del fallimento omisso medio.
 
Nella fattispecie decisa dal giudice toscano vi è stato, per così dire,  un salto di qualità, atteso che si è giunti  alla  liquidazione giudiziale omisso medio rispetto ad un concordato preventivo ante CCII.
 
Orbene, a parte gli aspetti di regime intertemporale [1] ciò che colpisce è l’adesivo, il pienamente adesivo richiamo alle SS.UU. 4696/2022 ad opera del giudice pratese, quando invece, come vedremo fra un attimo, ben poteva essere scoperto l’errore documentale in cui è incorso il S.C. 
 
Come noto, le SS.UU. hanno riconosciuto l’ammissibilità dell’omisso medio fallimentare, assumendo perciò che i “fatti sopravvenuti” richiamati dalle SS.UU. 9935/2015 afferiscono agli inadempimenti successivi delle originarie obbligazioni ristrutturate [2] ritenendo, al contempo, non possibile far tesoro esegetico dell’art. 119 CCII e segnatamente del relativo comma 7 introdotto dal D. Lgs. 147/2020  (“Il tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale solo a seguito della risoluzione del concordato, salvo che lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo.”).
 
Anzi, si può dire che sul punto la S.C. ha forse effettuato uno dei suoi sforzi argomentativi maggiori, ben conscia, ovviamente, dei propri insegnamenti circa la ricorribilità al CCII per interpretare la l. fall. allorché vi sia continuità  tra le due discipline (cfr., ex multis, SS. UU. 12476/2020).
 
Ci sembra importante riportare qui in calce [3] tale passaggio motivazionale delle SS.UU. 4696/2022, che, come potrà leggersi, poggia, e non poco, sulla relazione legis, che secondo la SC conforterebbe la tesi che vi sia piena discontinuità tra vecchia (art. 186 l. fall.)  e nuova disciplina (art.119 CCII) e quindi quest’ultima non potrebbe mai utilizzarsi per interpretare la prima.

(segue nel primo commento)
 
                                                             

[1]  Cioè che risulti corretto che quell’unica procedura concorsuale/unica crisi, insorta durante la l. fall., possa poi essere regolata dal CCII, ma fatta eccezione per l’art. 119, co. 7, in tema di divieto di pronuncia di L. G. omisso medio (“salvo che lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo”).

[2] "...l'omologazione del concordato rende improcedibili le istanze di fallimento già presentate e rimuove lo stato di insolvenza, rendendo possibile la presentazione di nuove istanze solo per fatti sopravvenuti o per la risoluzione o l'annullamento del concordato”.

[3] "6.3 Il legislatore del d.lvo 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza) ha stabilito quanto segue: “Risoluzione del concordato. 1. Ciascuno dei creditori e il commissario giudiziale, su istanza di uno o piu' creditori, possono richiedere la risoluzione del concordato per inadempimento. 2. Al procedimento e' chiamato a partecipare l'eventuale garante. 3. Il concordato non si puo' risolvere se l'inadempimento ha scarsa importanza. 4. Il ricorso per la risoluzione deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dal concordato. 5. Le disposizioni che precedono non si applicano quando gli obblighi derivanti dal concordato sono stati assunti da un terzo con liberazione immediata del debitore. 6. Il procedimento e' regolato ai sensi degli articoli 40 e 41. 7. Il Tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale solo a seguito della risoluzione del concordato, salvo che lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo.”. Quest’ultima previsione (co. 7^), quella più calzante al problema in esame, è stata introdotta dal primo intervento integrativo e correttivo di cui al d.lvo 147/2020. E’ scontato che si tratti di disposizione qui non applicabile, dal momento che il Codice della Crisi non è ancora vigente avendo subito, come è noto, vari rinvii; d’altra parte, la disposizione in esame non potrebbe governare la presente fattispecie neppure se esso fosse – per ipotesi – già in vigore, visto il regime transitorio previsto nell’art.390, co. 1^ e l'assoggettamento delle procedure pendenti alla disciplina previgente. Ciò non toglie che si tratti di una fonte che costituisce già oggi parte integrante del corpus legislativo dell'ordinamento, così che il ricorso ad essa in funzione interpretativa non può ritenersi aprioristicamente inibito.
Soccorre, esattamente in termini, quanto stabilito da queste Sezioni Unite – chiamate a pronunciarsi sulla proponibilità dell’azione revocatoria ordinaria tra procedure fallimentari - nella sentenza n. 12476/20 cit., nella quale si legge che la pretesa di rinvenire nel CCII norme destinate a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare oggi ancora vigente può sì ammettersi, ma “se (e solo se) si possa configurare - nello specifico segmento - un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro”. Analogamente, Cass.SSUU n.8504/21 (in tema di impugnazione del rigetto della proposta di trattamento dei crediti tributari avanzata nell'ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex artt. 182 bis e ter l.fall.) ha riaffermato l’utilità interpretativa del ‘codice della crisi’ qualora ricorra, nello specifico segmento considerato,un ambito di continuità tra i due regimi (v. anche Cass.SSUU n.35954/21).
Dunque è proprio in applicazione di questo indirizzo che va negata, nel caso qui in esame, qualsivoglia influenza ermeneutica a quanto prescritto dall’art.119 CCII in ordine al fatto che il Tribunale possa dichiarare aperta la liquidazione giudiziale (salvo che lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo) “solo a seguito della risoluzione del concordato”.
E’ infatti evidente il difetto di quel requisito di continuità di regime che si è detto essere essenziale per il recupero della valenza interpretativa postuma. Basti considerare che la nuova disciplina della risoluzione del concordato attribuisce la legittimazione a chiedere quest’ultima, oltre che ai creditori, anche al commissario giudiziale, seppure su istanza di uno o più creditori. Vale a dire, ad un organo della procedura che – nell’assetto attuale della fase esecutiva – è privo di legittimazione in materia, risultando in realtà investito di sole funzioni di vigilanza e segnalazione, non di azione. Nella stessa relazione illustrativa al CCII la disciplina viene descritta in termini dichiaratamente innovativi: “l'articolo 119 sulla risoluzione del concordato contiene una rilevante novità rispetto all'attuale disciplina, in quanto dispone che la legittimazione ad agire per la risoluzione spetti non soltanto ai creditori ma anche al commissario giudiziale ove un creditore gliene faccia richiesta (...)”.Non è certo questa la sede per ricostruire gli esatti contorni di questa disposizione, soprattutto per quanto concerne i poteri di sindacato ed autonoma valutazione riconoscibili al commissario giudiziale che si trovi sollecitato ad agire giudizialmente per la risoluzione da parte di uno o più creditori. Preme invece qui osservare come il regime sopravvenuto introduca un'innovazione che va al di là del mero ampliamento del novero dei soggetti legittimati, per assumere carattere sistematico in quanto involgente il ruolo del commissario giudiziale nella fase esecutiva del concordato. Ed è ancora la Relazione illustrativa a chiarire come l’innovazione sia stata ritenuta necessaria per imprimere una svolta ad uno stato di cose - evidentemente indotto dall’attuale regime, nel quale la risoluzione ex art.186 l.fall. viene dai creditori percepita come rimedio giudiziale inutilmente defatigante e dispendioso in un quadro di già conclamata insoddisfazione - caratterizzato dalla presenza di un numero elevatissimo di concordati preventivi dormienti; cioè di “procedure concordatarie che si prolungano per anni ineseguite in quanto i creditori, spesso scoraggiati dall'andamento della procedura e preoccupati dei costi per l'avvio di un procedimento giudiziale, non si vogliono assumere l'onere di chiederne giudizialmente la risoluzione” (ivi).Non va poi sottaciuto l’ulteriore elemento di soluzione di continuità intrinseco allo stesso raccordo tra risoluzione e fallimento, là dove nella disciplina complessiva risultante dall’art.119 cit. (che per altri aspetti ricalca pedissequamente l’attuale formulazione dell’art.186 l.fall.) viene poi introdotta (co. 7) una previsione che, subordinando la liquidazione giudiziale alla risoluzione, si pone per ciò solo in opposto avviso rispetto al diritto vivente oggi individuabile nella giurisprudenza di legittimità sul punto.
Neppure per questa via interpretativa di tipo evolutivo risulta dunque possibile introdurre nell’ordinamento, in via sostanzialmente pretoria, una condizione di fallibilità-procedibilità che, per le indicate ragioni, non è oggi rinvenibile
 

 
 
Antonio Pezzano, Avvocato in Firenze

13 Febbraio 2023 11:22

(segue dal blog " Una nuova pronuncia delle SS. UU. in tema di fallimento omisso medio?")

Orbene, a parte condividersi - o meno - la ritenuta discontinuità tra le due discipline [4] ciò che, oggettivamente, non è condivisibile è quanto affermato dalla S.C. circa il contenuto della relazione legis. 

E tra un attimo vedremo che la circostanza assume un rilevanza decisiva.
 
Difatti, sicuramente per il turbinio di modifiche legislative, e conseguenti relazioni, gli Ermellini Uniti non si sono avveduti  che, oltre il D. Lgs. 14/2019 (la cui r.l. la S.C. ha puntualmente richiamato), anche la  modifica del citato comma 7 dell’art. 119, ex  D. Lgs. 147/2020, ha  una sua relazione illustrativa.
 
E come, se ce l’ha!
 
Prima di riportare tale decisiva r.l., ci sembra importante ricordare che il Legislatore Delegante all’art. 2 comma 1, lett. m) L. 155/17 si era preoccupato di invitare il Legislatore Delegato a  dirimere i contrasti interpretativi.
 
Ed ora, passiamo al decisivo passaggio della relazione al D. Lgs. 147/20, sub relativo art. 18, che è sfuggito alla S.C. : “ È stato introdotto, inoltre, il comma 7 che, al fine di dirimere un contrasto interpretativo non sopito neppure successivamente agli interventi della Corte di cassazione (ve n’è traccia, ad esempio, in Cass. n. 26002/2019), stabilisce che l’apertura della liquidazione giudiziale presuppone la risoluzione del concordato preventivo, fatta eccezione per il caso in cui lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo e dunque a debiti non qualificabili come concorsuali all’interno della prima procedura.”
 
Dunque, con il predetto comma 7, si è chiarito, sia che l’omisso medio non può aver patria nel ns sistema (vecchio o nuovo che sia), sia che solo i debiti insorti successivamente alla crisi regolata con il c.p. possono considerarsi “fatti sopravvenuti” generanti una nuova insolvenza e quindi non necessitanti di alcuna previa risoluzione dell’antecedente c.p. [5]
 
Errore, come accennavamo, sicuramente involontario, ma ci pare indubbio che ora una nuova valutazione di legittimità sull’omisso medio si appalesa sicuramente opportuna, oltre che, nelle more, ben possibile per i giudici di merito discostarsi motivatamente dalle SS.UU. 4696/2022. 

                                                                               
[4] Come, sommessamente, non condivido, visto che nulla di fondo è mutato rispetto al passato, solo per aver dato ai creditori - ma sempre e solo ai creditori, rimasti dunque unici soggetti legittimati ad invocare la risoluzione del c.p. - la possibilità di risparmiare le spese del necessario ricorso, affidandolo, se ed in quanto lo desiderino, al loro mero delegato/procuratore  C.G., che infatti, autonomamente, continua a non rivestire alcuna legittimazione.

[5] Tanto si ritenga norma di interpretazione autentica e/o norma che abbia attuato il predetto precetto della Legge Delega. 
Difatti, in ogni caso risulta evidente che è disposizione che conferma che la disciplina del 119 CCII si pone in continuità rispetto al regime passato sulla risoluzione del cp di cui all’art. 186 l. fall..