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Gianfranco Benvenuto, Avvocato in Milano

RIVISITAZIONE DEL REQUISITO SOGGETTIVO NELLE PROCEDURE DI COMPOSIZONE DELLE CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO

10 Ottobre 2022

Il legislatore con il D. lgs. 17 giugno 2022 n. 83 ha varato il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (di seguito: CCII), che disciplina (tra gli altri) gli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento introdotti dagli artt. 65 a 83 nonché la procedura di liquidazione rubricata “liquidazione controllata” regolata dagli artt. 268 a 277, archiviando così la L 3/2012 che trova ancora applicazione solo per le procedure aperte prima del 15 luglio 2022 (cfr art 390 CCII).

Sul versante delle condizioni per accedere al sovraindebitamento, il CCII registra una nuova definizione del requisito oggettivo e l’elencazione analitica delle figure di sovraindebitati con conservazione, solo in termini residuali, della definizione ricavata, per sottrazione, dalla estraneità alla liquidazione giudiziale.
 
Una lettura delle disposizioni di nuova introduzione permette però di cogliere possibili variabili alla portata del requisito soggettivo che, ancorché immutato nella sua definizione, si espone a letture differenti rispetto al passato in conseguenza alla scelta del legislatore di assegnare il Concordato Minore a tutte le figure di sovraindebitati elencate nell’art. 2, co. 1, lett. c), con l’eccezione del consumatore a cui è riservata la procedura di Ristrutturazione dei Debiti.

Ricordiamo che la definizione di “Consumatore” recepita dal CCII all’art. 2, co. 1, lett. e) prevede: “la persona che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale commerciale artigiana o professionale eventualmente svolta anche se socio di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV, e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali”.
La giurisprudenza interpreta la nozione di consumatore richiamandosi alla sentenza di Cassazione n. 1869/2016 che ne ha dato la seguente definizione: “debitore, persona fisica, che risulti aver contratto obbligazioni per far fronte ad esigenze personali o familiari senza riflessi diretti in un’attività di impresa o professionale propria”.

Sino allo scorso 15 luglio, il debitore persona fisica che avesse debiti con un’origine anche solo indiretta collegata ad un’attività di impresa o professionale (in base al principio di Cassazione secondo cui la qualità del debitore principale attrae quella del fideiussore: cfr Cass 25212/2011), aveva la possibilità di rivolgere ai creditori una proposta di accordo ex art. 10 L. 3/12 sottoponendola al loro voto.

Con l’introduzione del CCII questa opzione potrebbe essere esclusa: infatti riservando alla nozione di “consumatore” il perimetro che siamo abituati a riconoscerle, si confina in una area di frontiera tra le due procedure di sovraindebitamento il debitore persona fisica che sia stato in passato imprenditore o professionista e che abbia, dunque, conservato debiti derivanti da dette attività, con il rischio di vederlo respinto da entrambe.

L’art. 74 CCII propone due ipotesi di Concordato Minore di cui la prima “in continuità” e la seconda “liquidatoria”, quest’ultima ammessa però solo alla condizione che il debitore contribuisca alla soddisfazione dei creditori con un apporto di finanza esterna.

Il piccolo imprenditore o il professionista accumunati dalla cessazione dell’attività, in quanto ontologicamente estranei alla proposta concordataria in continuità, dovrebbero orientarsi necessariamente alla soluzione liquidatoria che, tuttavia, impone, come già visto, l’apporto di risorse esterne (per di più sostanziose).

Quest’ultima condizione costituisce però un ostacolo insormontabile all’adesione anche al modello liquidatorio del concordato minore, in quanto le risorse esterne, che si collocano necessariamente al di fuori del perimetro patrimoniale del debitore, restano anche al di fuori della loro stessa portata, salvo formare nuovo debito (contrario allo stesso spirito della legge) o il caso di improbabili donazioni che sfuggono alla volontà e alla progettualità del debitore.

Questa figura di debitore persona fisica è, infatti, vincolata dal perimetro del suo stesso patrimonio già interamente conferito al soddisfacimento dei creditori al quale occorre aggiungere un apporto ulteriore sul cui reperimento, tuttavia, non può fare alcun ragionevole affidamento.

È evidente come la norma sia stata scritta sulla base di un modello societario che può far leva (eventualmente) sulle risorse dei soci o dell’amministratore, intanto ed in quanto abbiano a ciò interesse, mentre le figure prese qui in esame, rebus sic stantibus, non possono fare altro che promuovere una procedura di liquidazione controllata.

Ma vi è un ulteriore ostacolo alla presentazione di una domanda di Concordato minore da parte di un imprenditore o professionista cessato: l’art. 33 co. 4 CCII ne vieta il ricorso all’imprenditore cancellato dal registro delle imprese il quale, dunque, privo di strumenti alternativi di soluzione del debito non potrà che orientarsi verso la liquidazione controllata ex art 268 e ss. CCII.

La soluzione a tale problema che rappresenta un vulnus tra gli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento, potrebbe essere offerta attraverso un semplice ampliamento interpretativo della nozione di consumatore compatibile con la lettera della norma che nella descrizione della figura del consumatore fotografa la situazione debitoria della persona fisica che nel presente “agisce” per scopi estranei all’attività imprenditoriale pur avendola “eventualmente” svolta nel passato.

La nozione di consumatore a cui siamo affezionati (e nel cui ambito è stata pronunciata la sentenza di Cassazione 1869/2016) trae origine da una definizione presente nella L. 3/2012 anteriore alla novella dell’art 4 ter D.L. 137/2020 che la ancorava alla persona fisica “che ha assunto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriali”.

Conseguente a tale definizione era l’esclusione dal piano del consumatore del debitore persona fisica che avesse debiti con radici nell’attività imprenditoriale e professionale.

L’attuale definizione è invece inclusiva della fattispecie qui commentata e messa in pericolo dall’attuale normativa, in quanto è capace di abbracciare qualunque persona fisica che al momento dell’accesso allo strumento di regolazione della crisi da sovraindebitamento, sia obiettivamente spogliato della veste di imprenditore o professionista e ciò indipendentemente dal proprio diverso passato dal quale abbia ancora ereditato debiti.

Accedendo a questa interpretazione più inclusiva anche l’ex imprenditore o l’ex professionista potrebbero chiedere l’ammissione alla Ristrutturazione dei debiti; infatti i creditori non avrebbero motivo di trattare il debitore in termini differenti rispetto alla figura del consumatore “tradizionale” poiché, comunque, costui è uscito dal circuito economico facendo venire meno l’interesse al voto sulla convenienza del concordato.

Anche la Ristrutturazione dei Debiti in ogni caso riserva ai creditori un trattamento non inferiore rispetto a quello che ricaverebbero dalla liquidazione e, dunque, l’esigenza di escludere da questa opzione l’ex professionista o ex imprenditore per relegarli alla sola liquidazione risulta priva di motivazione economica esponendoli solo a possibili rappresaglie personali che nulla hanno da spartire con lo spirito della legge di favorire un fresh start del debitore.

Occorre aggiungere che questa soluzione permette anche all’ex imprenditore o ex professionista di mettere in sicurezza la propria abitazione come qualsiasi altro consumatore con il quale condivide, peraltro, le stesse fragilità economiche.

Astorre Mancini, Avvocato

24 Ottobre 2022 7:35

Indubbiamente l'interpretazione offerta dal collega Benvenuto consentirebbe di superare un possibile profilo di violazione della Direttiva Insolvency, che pure auspicava che il debitore potesse superare il proprio stato di sovraindebitamento accedendo ad un un'unica procedura regolatoria.
L’impostazione suggerita mi pare sia stata proposta da Tribunale di Napoli Nord 16 marzo 2021, in www.tribunale.napolinord.giustizia.it, per cui “in base alla ratio legislativa che conforma la procedura si deve ritenere che la qualifica di consumatore deve riconoscersi, in via alternativa, al soggetto: a) che non ha mai svolto l’attività di imprenditore; b) che svolge l’attività di impresa, come i soci di società di persone, che voglia regolare con il piano solo i debiti strumentali al soddisfacimento di interessi personali; c) che ha svolto l’attività di impresa e che non la svolga in futuro e che voglia regolare con il piano sia debiti inerenti la pregressa attività economica sia debiti personali. Invero, in questo caso solo si giustifica l’esclusione del voto dei creditori non ricorrendo la necessità dell’approvazione degli stessi per la permanenza nel mercato del soggetto sovraindebitato”.
L'alternativa è quella di intendere l'ultimo comma dell'art. 33 CCII riferito esclusivamente all'imprenditore collettivo, non anche alla persona fisica: è ovvio che riguardo questi la cancellazione dal Registro Imprese non ha alcun effettivo estintivo del soggetto debitore, per cui dovrebbe essere ammesso all'ex-imprenditore individuale di accedere al concordato minore liquidatorio, ferme le difficoltà di reperimento delle risorse già rilevate nell'articolo.
Peraltro, nelle Relazione Illustrativa all'art. 33 CCII si è chiarito che l'ultimo comma è stato inserito "per risolvere una questione che si era posta nel regime attuale".
Tale riferimento sembra rinviare alla ratio sottesa ad un orientamento giurisprudenziale risalente, ribadito anche recentemente, radicatosi proprio in relazione all'imprenditore collettivo, per cui “al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cui, entro l'anno dalla cancellazione, sia domandato il fallimento, non è consentito di presentare ricorso per ammissione al concordato preventivo. Quest'ultima procedura, infatti, diversamente dalla prima (che ha finalità solo liquidatorie) tende alla risoluzione della crisi di impresa, sicché l'intervenuta e consapevole scelta di cessare l'attività imprenditoriale (necessario presupposto della cancellazione) ne preclude "ipso facto" l'utilizzo, per insussistenza del bene al cui risanamento essa dovrebbe mirare; né l'istanza concordataria può essere intesa come uno dei mezzi attraverso i quali si esplica il diritto di difesa del fallendo in sede di istruttoria prefallimentare” (Cass. 19 luglio 2021 n.20616, est. Ferro; Cass. 2020/12045; Cass. 2015/20186).
Diversamente, come giustamente osservato in dottrina, dovrebbe concludersi che nell’impianto del nuovo Codice la permanenza dell’iscrizione nel Registro Imprese diviene una condizione imprescindibile per l’accesso (anche) al concordato minore.
Daniele Capolupo, Avvocato in Vercelli

12 Dicembre 2022 8:30

Concordo con l'interpretazione del Collega Benvenuto e del Collega Mancini.

Aggiungo che la stessa interpretazione potrebbe valere anche per il socio di S.r.l. che ha rilasciato fideiussioni personali per i debiti della società.

Al socio fideiussore che non può accedere al concordato minore per i noti motivi e nemmeno alla ristrutturazione dei debiti del consumatore verrebbe preclusa qualsiasi soluzione di ristrutturazione del proprio debito e non potrebbe a fare altro che richiedere la liquidazione controllata.

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