
Giuliano Buffelli, Professore incaricato presso l'Università di Bergamo
Vincenzo Fusco, Avvocato in Bergamo
Note di variazione IVA: anticipazione dei termini di emissione in presenza di procedure concorsuali
2 Giugno 2021
La misura opera, infatti, sull’art. 26 del D.p.r. n. 633/1972, nel quale vien inserito il nuovo comma 3-bis, in virtù del quale il cedente/prestatore ha diritto di operare la variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta (attraverso l’emissione di nota di credito) “anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, da parte del cessionario o committente:
a) a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale o dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, o dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267;
Quanto agli istituti pre-concorsuali, come già indicato nel precedente comma 3-bis, la variazione in diminuzione può essere operata:
Viene quindi uniformata la disciplina IVA a quella delle imposte sui redditi (art. 101, co. 5, TUIR), sicché si farà riferimento al medesimo momento sia per emettere nota di variazione ai fini IVA, sia per rilevare la deducibilità fiscale delle perdite su crediti.
Una volta emessa la nota di variazione nei confronti del cessionario/committente assoggettato a procedura concorsuale, il nuovo comma 5 dispone che non vi è l’obbligo per quest’ultimo di procedere alla registrazione, come invece accade negli altri casi di variazioni dell’art. 26, compresi i casi di cui agli artt. 182-bis e 67, terzo comma, lett. d), legge fall.
Il nuovo comma 5-bis, inoltre, stabilisce che se successivamente agli eventi che danno luogo al diritto alla variazione in diminuzione dell’IVA, sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo, il cessionario/committente che abbia assolto all’obbligo di registrazione ha diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione in aumento.
9 Giugno 2021 18:44
La disposizione qui investigata, siccome modificata, ha l’indubbio pregio di fissare in maniera espressa e chiara un principio di rilevantissima portata sistematica e pratica.
Essa trova applicazione alle procedure “avviate” a decorrere dall’entrata in vigore della novella normativa. Il tema che si pone riguarda le procedure già in corso: ci si domanda se la norma sia effettivamente innovativa o possa rivestire carattere interpretativo, assunta l’esigenza di leggere anche il vecchio testo in conformità ai principi sistematici e comunitari.
A tal proposito, è appena il caso di rammentare l’impostazione consolidata dell’Agenzia delle Entrate fino ad ora: quanto alla procedura di fallimento, la nota di variazione in diminuzione può essere emessa soltanto dopo la chiusura della procedura fallimentare, e in particolare alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto finale (oppure, in assenza, alla scadenza del termine per opporre reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento): ciò perché in tale momento si realizzerebbe la “condizione di infruttuosità” cui pone riferimento l’art. 26, co. 2, per le procedure concorsuali e le procedure individuali.
Ebbene, tale impostazione non appare pienamente convincente.
Per le ragioni che seguono, settoriali e sistematiche.
A. L’interpretazione letterale. Sotto un primo profilo, perché sembra forzare il dato letterale posto dall’art. 26, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, che palesava una importante circostanza: in relazione alla fattispecie in esame, quale ipotesi che legittima l’emissione di una nota di variazione in diminuzione, la disposizione non disciplina espressamente il dies a quo, ossia il momento a partire dal quale la nota di variazione può essere emessa. Vi è quindi una prima, forte, motivazione di interpretazione letterale.
B. I principi generali e comunitari dell’Iva. Non bastasse: sotto un secondo profilo, la predetta interpretazione erariale si pone in significativo disallineamento, vuoi rispetto ai principi sistematici che governano l’Iva, vuoi rispetto ai principi fissati dalla più evoluta giurisprudenza comunitaria (ex pluribus: Corte di Giustizia causa C-246/16, sentenza 23 novembre 2017).
Più nel dettaglio, con la soluzione sostenuta l’Amministrazione finanziaria finisce con applicare l’Iva su una base imponibile rappresentata da un corrispettivo che non è stato mai ricevuto dal fornitore-creditore, e che mai verosimilmente si riceverà (in tutto o in parte), con l’effetto per l’Amministrazione, contrario allo spirito e al sistema della normativa europea Iva, di avere riscosso a titolo di Iva un importo mai percepito dal fornitore-creditore.
E significa, evidentemente, violare tanto il fulcro portante dell’Iva, ossia il “principio di neutralità”, quanto uno dei principi fondamentali della normativa europea (e, dunque, anche del sistema Iva), ossia il “principio di proporzionalità”.
In tale ottica, è quasi superfluo rammentare che il “principio di neutralità” impone che un soggetto passivo Iva (imprenditore o lavoratore autonomo) che ha realizzato un’operazione imponibile, per la quale viene emessa fattura con Iva poi versata all’Erario, non deve mai sopportare l’onere dell’Iva, neanche temporaneamente, dovendo essa incidere sempre e solo sul consumatore finale: nel caso di specie l’anticipo di pagamento dell’Iva a causa dell’inadempimento del debitore-cliente, e la soluzione dell’Agenzia delle Entrate di posticipare l’emissione della nota di variazione – attraverso cui è possibile il recupero dell’Iva versata – al momento della chiusura del fallimento, che può avvenire dopo molti anni, comporta un onere rilevante che incide, violandolo, sul principio di neutralità.
Per altro – ed importante – verso, il “principio di proporzionalità” – che entra in gioco con riferimento alla facoltà riconosciuta agli Stati membri, dall’art. 90, par. 2, di derogare all’obbligo di emissione della nota di variazione nella ipotesi di “mancato pagamento in tutto o in parte” – impone agli Stati membri di adottare, fra le molte, la soluzione meno “invasiva” per i contribuenti in relazione all’obiettivo da perseguire (sul tema si consideri anche la approfondita lettura fornita dalla recentissima Circolare Assonime del 7 giugno 2021, n. 17).
Nel caso di specie, in presenza di una ipotesi connotata da una “incertezza intrinseca” – qual è il “mancato pagamento in tutto o in parte” a seguito dell’apertura di una procedura concorsuale – l’obiettivo di garantire l’emissione di una nota di variazione quando l’Iva è irrecuperabile può essere utilmente perseguito anche in presenza di una ragionevole e oggettiva impossibilità di recupero, che nel fallimento discende dall’apertura della procedura per l’esistenza di uno stato di insolvenza ed è corroborabile attingendo alla sicuramente copiosa e puntuale documentazione degli Organi fallimentari.
C. La più evoluta giurisprudenza comunitaria e domestica. La ricostruzione sin qui affacciata trova conferma nella già evocata sentenza della Corte di Giustizia, 23 novembre 2017, causa C-246/16, riguardante proprio l’interpretazione dell’art. 26, co. 2, d.p.r. n. 633/72, nel caso di debitore sottoposto a fallimento.
In tale caso (e dovendo sintetizzare) la Corte di Giustizia ha cristallizzato il seguente principio generale: l’art. 11, parte C, par. 1, della “VI Direttiva” – il cui contenuto, come si è detto, è stato trasfuso nell’attuale art. 90, paragrafi 1 e 2, della direttiva “rifusione” – “deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell’imposta sul valore aggiunto all’infruttuosità di una procedura concorsuale qualora una tale procedura possa durare più di dieci anni”.
E’ appena il caso di ricordare che il principio che assegna rilevanza all’ avvio della procedura, quale momento che fa sorgere il diritto all’emissione della nota di accredito è stato, infine, di recente affermato dalla stessa Suprema Corte, proprio con riferimento all’omologa del concordato preventivo, nella sentenza n. 18837 dell’11 settembre 2020.
Ancora, e per altro verso, non va sottaciuta la sentenza, sempre del Giudice di legittimità, 16 novembre 2020, n. 25896, che ha pienamente sposato i principi fissati dalla Corte di Giustizia: “quanto alle procedure concorsuali, alla luce della giurisprudenza unionale l’applicabilità dell’ art. 26 del d.P.R. n. 633/72 non necessita della certezza dell’irrecuperabilità derivante dall’ infruttuosità della procedura. La Corte di giustizia (con sentenza 23 novembre 2017, causa C-246/16, Di Maura), con riferimento giustappunto alla normativa italiana, ha difatti stabilito che l’art. 11, parte C, par. 1, comma 2, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell’iva all’infruttuosità di una procedura concorsuale qualora una tale procedura possa durare più di dieci anni. Si costringerebbero altrimenti gli imprenditori italiani a sopportare, nei casi di mancato pagamento di una fattura, uno svantaggio in termini di liquidità rispetto ai loro concorrenti di altri Stati membri, idoneo a compromettere l’obiettivo di armonizzazione fiscale perseguito dalla sesta direttiva”. Così, addivenendo a fissare il seguente principio di diritto: “In tema di iva, è illegittima la pretesa del fisco di ottenere l’imposta dal cedente o dal prestatore che non abbia fatto ricorso al meccanismo previsto dall’art.26 del d.P.R. n. 633/72 per mancato pagamento a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose, qualora questo meccanismo sia stato utilizzato dal cessionario o committente, e sia stato eliminato in tempo utile il rischio di perdita di gettito per l’erario”.
Il tutto faceva presagire, quindi, che la giurisprudenza si stesse avviando a negare la validità del consolidato orientamento dell’Agenzia delle Entrate.
9 Giugno 2021 18:45
D. L’auspicata coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento tributario (tra imposte indirette e quelle indirette). Sotto un ulteriore profilo, e ricercando un’auspicata razionalità e coerenza sistematica del Legislatore domestico, si osserva che, in caso di mancato pagamento della fattura a causa di “procedure concorsuali”, il nostro sistema tributario consente di recuperare l’imposta sui redditi e l’Iva che hanno gravato sul credito relativo al corrispettivo in principio perduto.
E infatti, per un verso, il “ricavo” generato dal corrispettivo che ha concorso a formare la base imponibile Ires (se il fornitore è una società di capitali o un ente commerciale) o Irpef (se il fornitore è un imprenditore individuale) – è “sterilizzato” dalla possibilità di dedurre l’importo del corrispettivo come “perdita su crediti” (art. 101, co. 5 e 5-bis, Tuir); per altro verso, l’“Iva a debito” assolta sul corrispettivo, ancorché non incassata, è “sterilizzata” dal “credito Iva” derivante dall’emissione della “nota di variazione in diminuzione” (art. 26, co. 2).
In relazione al medesimo documento, ossia la fattura, e in relazione al medesimo evento sopravvenuto, ossia la procedura concorsuale, il nostro sistema tributario contempla la medesima reazione: il fornitore non deve rimanere inciso da alcuna delle imposte versate all’Erario a fronte di una fattura emessa e contabilizzata, ma non incassata, a causa del sopravvenire di una procedura concorsuale.
Ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva vi è, dunque, una perfetta congruenza di regole, al verificarsi di una “procedura concorsuale”, a seguito del perfezionamento civilistico, contabile e fiscale di un’operazione a carattere commerciale.
Se è vera questa premessa – ed è vera – la disciplina ai fini delle imposte sui redditi delle “perdite su crediti”, nello specifico caso di procedure concorsuali, costituisce, in sede interpretativa, una significativa “leva” sistematica, per l’individuazione della soluzione corretta ai fini dell’Iva.
Infatti, dalla normativa evocata, se ne ricava che, ai fini delle imposte sui redditi, in caso di procedure concorsuali la “perdita su crediti” è automaticamente deducibile a partire dal momento dell’apertura della procedura e non oltre il periodo di imposta in cui avviene (o doveva avvenire) la cancellazione del credito dal bilancio d’esercizio.
E. Ulteriori approdi giurisprudenziali. Infine – e sempre lavorando “di sponda”, nell’auspicata coerenza tra i comparti delle imposte dirette ed indirette – pare meritevole di menzione la recentissima ordinanza della Corte di Cassazione n. 15218, 1 giugno 2021.
Essa assegna valenza sostanzialmente interpretativa all’art. 101, co. 5-bis del Tuir e all’art. 13, co. 3, del d. lgs. n. 147/2015 (che, lo si ricorda, a fronte della laconicità del testo precedente, ha espressamente precisato che il momento di avvio delle procedure concorsuali rappresenta solo il momento di avvio della possibilità di svalutare il credito).
Riducendo all’osso l’interpretazione della Suprema Corte: anche prima del 2015, ove il debitore sia assoggettato a fallimento o ad altre procedure concorsuali ed istituti assimilati (ex art. 101 co. 5 del Tuir), la deduzione della perdita su crediti è consentita nel periodo di imputazione a bilancio, entro la “finestra temporale” che decorre dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento sino al periodo d’imposta in cui, secondo l’appropriata applicazione dei principi contabili, si deve procedere alla cancellazione del credito stesso dal bilancio.
Per l’effetto, dovrebbe assumersi “sgretolato” l’orientamento secondo cui, fino al 2014, la perdita andava dedotta interamente (e solo e solamente) nell’esercizio di apertura della procedura, come individuato dall’art. 101 comma 5 del Tuir.
In definitiva e in altre, sintetiche, parole - se vogliamo più semplicistiche - l’ordinanza n. 15218/2021 ha il pregio di affermare che l’esercizio di apertura della procedura rappresenta solo il dies a quo per la deducibilità.
Dal momento che il Supremo Collegio attribuisce valore interpretativo a tale modifica, ecco che criteri di ragionevolezza e logicità indurrebbero a applicare analoga portata anche alla novellazione che ha interessato l’art. 26 Iva, riducendo quindi la valenza del riferimento alla “apertura” delle procedure riportato nel secondo comma del citato articolo 18.
Renato Bogoni – Emanuele Artuso