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Giovanni La Croce, Dottore Commercialista in Milano

IL CRAM DOWN TRIBUTARIO INCENTIVO A VIOLARE I PRECETTI DELL'ART. 2086 C.C.

24 Novembre 2024

 Parafrasando l'amico professore Marcello Gualtieri possiamo affermare che l'economia reale, prima o poi, presenta il conto dei comportamenti irrazionali, anche se posti in essere dallo Stato. Qualunque Stato, inteso come operatore economico, è soggetto, infatti, alle stesse regole di qualsiasi altro operatore di mercato: in questo senso non si dovrebbero sussidiare imprese decotte senza una logica selettiva. Il contributo 110% insegna. 
 
Per sgombrare il campo da ogni equivoco ideologico è giusto chiarire che sin dalla scrittura della monografia La Transazione Fiscale, redatta per la rivista Il Fallimento nell'ormai lontanissimo 2010, ho sempre sostenuto che fosse ineludibile definire, ex art. 97 Cost.,  le regole di condotta della PA nelle situazioni d'insolvenza commerciale e privata. 

Avevo, però, affermato, già in quell'occasione, che fosse necessario intervenire all'interno delle norme che regolano la riscossione dei tributi erariali e non all'interno del corpo di leggi concorsuali o, come il lessico del politicamente corretto oggi pretende, di "regolazione della crisi". 
 
Dunque, sì alla transazione fiscale come regola di condotta vincolata dalla legge, ma non come esautoramento dei poteri della PA. L'accettazione della falcidia da parte dell'Agenzia a condizioni di legge, informata intorno al principio/ necessità di contrastare l'evasione, e non rimessa al giudice. 
 
Ma veniamo al punto della questione che il mainstream regolarmente elude, facendo leva sul concetto, declinato in salsa kantiana, della "continuità d'impresa bene in sé". 
 
Su cosa, sarete curiosi di sapere, non si confronta il mainstream
 
Semplice, sui fondamentali economico-patrimoniali dell'impresa che non paga le imposte che trattiene ad altri o che esige per conto dello Stato da altri: Irpef e Iva. 
 
Tali imposte, come noto a tutti, non costituiscono una componente negativa del conto economico per nessuna impresa, sicché, salvo eccezioni rarissime intorno alle quali non si dovrebbe mai costruire una norma a carattere generale come quella del cram down, l'impresa che si finanzia con IVA e Irpef  è un'impresa economicamente decotta, quando non è un'impresa criminale, cioè non è affatto quell'impresa che secondo il primo considerando della Direttiva Insolvency doveva essere meritevole dell'attenzione dei legislatori nazionali: l'impresa economicamente sana ma sovraindebitata. 

Detto ciò, facciamo un passo temporale all'indietro e cerchiamo di comprendere come si possa generare il debito verso lo Stato vis a vis all'obbligo che incombe sugli amministratori ex art. 2086 c.c. di intercettare tempestivamente la crisi, dato che se la crisi fosse intercettata tempestivamente l'entità dei crediti erariali non potrebbe che essere, giocoforza, modesta. 
 
Se, come ho sopra sostenuto - ma mi aspetto in questo di essere contraddetto - al mancato pagamento di IVA e ritenute corrisponde un conto economico deficitario, dovrebbe essere indubbio che il mancato riversamento allo Stato di quelle somme incassate da altri contribuenti sia il segnale più evidente dell'esistenza di una crisi che avrebbe già da tempo preteso, ex art. 2086 c. c., il ricorso a uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il suo superamento e il recupero della continuità aziendale. 
 
Dovrebbe essere, quindi, impedito all'imprenditore di continuare l'impresa finanziandosi con le imposte altrui di cui è esattore per conto della collettività o, quantomeno, non dovrebbe essergli consentito, poi, come gli è al contrario consentito oggi, di cavarsela a buon mercato grazie al cram down. 
 
Infatti, più elevato sarà il debito erariale, ossia più tempo sarà passato dal primo mancato pagamento e più alto sarà il risparmio: quell'imprenditore dovrà pagare all'Erario solo le imposte nella misura del 50/60%, a seconda del peso degli altri creditori; nessuna sanzione e nessun interesse saranno dovuti. 
 
Ritorniamo ancora ex ante: quale migliore forma di finanziamento dei propri fabbisogni, dunque, di quella che l'imprenditore può così ottenere automaticamente, senza dover dimostrare il proprio merito creditizio, tramite il mancato pagamento di Irpef e IVA ? 
 
Non sarà chiamato a pagare le sanzioni, non pagherà gli interessi che avrebbe dovuto pagare alla banca e quando dovrà saldare il conto lo farà al 50/60% del capitale. Non solo, ma potrà chiedere anche una dilazione tra i 6 e 10 anni. 
 
Si tratta di un'opportunità, quella appena descritta, che non sfuggirà certo, non solo alle imprese economicamente decotte sin dalla nascita, ma anche a quelle che entrando in crisi necessiteranno di un sostegno finanziario per far girare il proprio circolante che otterranno a costo zero, anzi con un beneficio automatico futuro anche contro il volere del creditore penalizzato. 
 
Nella sostanza, per più tempo l'imprenditore aggirerà gli obblighi dell'art. 2086 c.c., maggiori saranno i vantaggi che potrà conseguire ricorrendo ad un AdR con cram down, che avrà diritto di ottenere, salvo i casi di frodi tributarie, senza se e senza ma, al semplice ricorrere di tre condizioni: 
(i) il soddisfacimento del 50/60% non sia ottenibile dall'AdE con la liquidazione giudiziale;
(ii) il credito erariale non superi l'80% della debitoria complessiva; 
(ii) i mancati pagamenti non superino il lustro (sic!). 

E qui, in quest'ultima apparente limitazione, che troviamo l'incentivo più pericoloso ad eludere il disposto dell'art. 2086 c.c. 
 
L'imprenditore che per 4 anni non avrà pagato IVA e Irpef, potrà, infatti, ottenere, senza il necessario consenso dell'AdE, uno sconto del 50/40% del proprio debito per sole imposte, nulla dovendo per sanzioni e interessi, nonostante l'art.  2086 c.c  gli avrebbe imposto il ricorso a uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale già tre anni e mezzo prima. 
 
In sostanza per più lungo tempo l'imprenditore si sottrarrà ai precetti dell'art 2086 c.c. maggiori saranno i vantaggi che lo stesso potrà ottenere grazie al cram down. 
 
Tramutare in maniera equilibrata il debito finanziario e commerciale in debito tributario sarà l'arma vincente del futuro ristrutturatore di successo. Una falla questa nel sistema della riscossione che diventerà una voragine con il passare del tempo, non appena il mercato se ne renderà conto. 
 
Difronte ad una simile opportunità è, infatti, inimmaginabile - siamo il popolo dotato di maggior inventiva al mondo - che i consulenti più arguti e attrezzati non mettano presto a punto modelli matematici dilatori dell'emersione della crisi dei loro clienti con cui ottenere un vero e proprio aiuto di Stato senza il quale la ristrutturazione non sarebbe altrimenti possibile. 
 
Personalmente ho già sviluppato qualche idea su ciò che si potrà fare; idee che, però, non intendo rendere pubbliche per non contribuire alla propagazione di condotte non etiche. Non le chiamerei illecite, perché è la legge a consentirle. 

Il comparto dei sub appalti e delle imprese subalterne sarà sempre quello dove i fenomeni più pervasivi potranno generarsi più frequentemente, spingendo l'impresa dominante a scaricare le proprie inefficienze, come, per altro, già oggi avviene, sull'impresa dominata, ma con l'opportunità, tutta nuova, quella di poter gestire l'insolvenza di questa a buon mercato evitandone il fallimento (ops…la liquidazione giudiziale) e così di lustro in lustro. 
 
Oggi si sta muovendo solo una parte superficiale del manto nevoso che domani si trasformerà, però, in una valanga disastrosa per i conti pubblici. Senza contare gli effetti distorsivi sulla concorrenza che tenderanno ad indebolire quelle imprese che le imposte incassate da altri le riversano allo Stato, imprese che saranno, per ciò, sempre più poste in una prospettiva critica. 

Ma questi sono ragionamenti da economia politica. 

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