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Anna Ghedini, Giudice Delegato del Tribunale di Ferrara

Il cram down fiscale, il concordato in continuità, l'omologa senza approvazione con il solo voto della classe ex art. 112, comma 2, lett. d) CCII.

11 Marzo 2024

Molto schematicamente: il primo dubbio è quello posto dall’inciso che apre l’art. 88 CCII.

Taluni ritengono che questo inciso comporti che il cram down fiscale non si possa fare nel concordato in continuità.

Mi pare conclusione ultronea: lo stesso comma 2 bis dell’art. 88 CCII menziona i due diversi parametri di convenienza che l’attestatore deve assumere per la relazione di convenienza rispetto alla alternativa liquidatoria e menziona espressamente il concordato in continuità rendendo esplicito che il meccanismo opera anche in tale ipotesi.

Certamente l’elemento di dubbio nasce dal comma successivo, laddove la legge subordina il cram down alla rilevanza del voto dell’Erario per la formazione della maggioranza di cui al comma 1 dell’art. 109 (che si riferisce al concordato liquidatorio) e non fa cenno al comma 5 del medesimo articolo che disciplina le regole di approvazione del concordato in continuità.

Certamente, qui come in tutto il codice, la cattiva scrittura ed il mancato coordinamento, persino tra commi dello stesso articolo non agevolano il povero operatore del diritto che, prima ancora di capire se è d’accordo con il nuovo istituto, vorrebbe almeno capire come funziona.

Speriamo nel correttivo.

Proseguendo: io non trovo una ratio ragionevole per escludere il cram down fiscale nel concordato in continuità, al fine di raggiungere le maggioranze di cui all’art. 109, comma 5 CCII. 

La ratio dell’istituto, ovvero di contrastare il rischio di un voto espresso ( o addirittura non espresso) che vada contro l’interesse dell’Erario (assumendo naturalmente che il criterio che l’Erario deve assumere per la decisione sia esclusivamente quello della non deteriorità del trattamento rispetto alla liquidazione giudiziale), è valida sia per il concordato liquidatorio che per quello in continuità, anzi soprattutto per quest’ultimo nel quale il legislatore scommette esaltando, a fianco della tutela dei creditori, il valore della salvaguardia della continuità aziendale.

E qui si pone un’altra questione, la più scottante: cosa vuole dire l’incipit dell’art. 88 CCII?

Vuole forse dire che il meccanismo dell’art. 88 CCII riguarda il cram down fiscale ai fini di raggiungere l'approvazione del concordato mentre resta salva (in caso di mancata approvazione) la possibilità, per il debitore di chiedere la omologa senza approvazione (o coatta o forzosa che dir si voglia) se ricorrono le condizioni di cui all’art. 112, comma 2 lett. d) CCII?

Sappiamo, anche qui in esito a faticose e impegnative discussioni, che il concordato in continuità può essere omologato, pur se non approvato dai creditori, se ricorrono le condizioni di cui al secondo comma dell’art. 112. 

Ovvero che sia stato approvato dalla maggioranza, o da una classe composta di privilegiati o - ecco il punto - da una classe  di creditori che sarebbe stata trattata meglio se ai flussi della continuità si fosse applicata la APR invece della RPR, e ciò nonostante ha votato a favore - unica fra tutte - (certo qui il sospetto è che qualcuno le abbia fatto un regalino sottobanco: si sa, a pensare male si fa danno ma ci si prende spesso).

Ebbene, ci si chiede, il meccanismo ex art. 88, comma 2 bis CCII può essere invocato non già solo per raggiungere la approvazione della proposta, ma anche per ottenere il voto positivo della classe in the money laddove essa fosse composta dall’Erario?

La ipotesi è quella di un concordato in continuità disapprovato da tutti i creditori compreso l’Erario, con la inclusione dell’Erario in una classe che ha le caratteristiche di quella sopra descritta (in the money): la possibilità, o utilizzando il cram down o la sentenza  a S.U. della S.C. 8504 del 2021 (ipotesi quest’ultima che mi pare molto in salita), di trasformare il voto dell’Erario in positivo perché’ la proposta gli conviene, consentirebbe in tal caso alla omologa della proposta se il rigoroso controllo sui profili di ammissibilità, sulla corretta formazione delle classi e sul rispetto delle regole di distribuzione del ricavato ha avuto esito positivo.

E’ ovvio che in questa ricostruzione la fase della omologa è centrale e potente il controllo giudiziale, al punto da potersi considerare la fase di apertura quasi inutile.

E’ forse questo che vuole dire l’inciso iniziale dell’art. 88 CCII?

Ma allora il modello cui si attaglia il nostro concordato in continuità non è più quello di un istituto a base negoziale, ma di un concordato coatto che prescinde dal voto dei creditori (e sarebbe meglio allora eliminare il simulacro dell’art. 109 comma 5, che non serve a nulla se non a creare confusione) e che spetta al giudice fare passare in nome della non deteriorità rispetto alla liquidazione e della salvaguardia della continuità aziendale.

Un po’ come nel diritto statunitense, ma peccato che là vi sia un giudizio di meritevolezza che impedisce al debitore che ha evaso il fisco per anni e forse lo anche frodato, che ha distratto o dissipato i beni di accedere a questo strumento.

Forse, se davvero si volesse creare questo tipo di concordato dove i creditori nulla contano e vengono espropriati del loro diritto in nome della convenienza e della tutela dei valori aziendali, un tipo di concordato dove si può pagare niente o quasi nulla ai creditori (tanto tutto è meglio della liquidazione) cedendo la azienda a terzi ( che magari sono i cugini del debitore) e ripartire puliti di tutti i debiti, allora forse, dico forse, bisognerebbe reintrodurre un qualche veglio di meritevolezza.

Ciò tenendo conto che, diversamente dal modello nordamericano, in Italia la sanzione penale, specie nei reati di bancarotta concordataria, funziona proprio male, tranne che in alcune procure: ma si sa, l’Italia è lunga e stretta e fatti di tribunali e procure piccole.

Certo: esiste anche un’altra lettura, quella fatta propria dal T. di Lucca con provvedimento del 18.7.23, in forza della quale il voto positivo della classe in the money deve essere un voto veramente positivo e non frutto di una fictio iuris.

Sommessamente credo che il legislatore volesse dire (certamente male) con l’incipit dell’art. 88 CCII proprio quello che a molti di noi non piace, ovvero che anche per avere il voto positivo della unica classe ex lett. d) comma 2 art. 112 si può usare il cram down se quel voto dell’Erario è contrario alla sua convenienza.

Il fatto che a molti di noi non piaccia non conta nulla, o conta poco: credo che saremmo più sereni se almeno la legge ci dicesse chiaramente cosa vuole dire.

E per questo confidiamo nel correttivo
Salvo Leuzzi, Magistrato presso la Corte di Cassazione

11 Marzo 2024 17:27

Una duplice premessa: 1. l’art. 88 non è un esempio di chiarezza; 2. nell'approccio alle norme del Codice la lettera va costantemente filtrata e mediata con la sistematica.
Non c’è dubbio – taluno sia portato a coltivarlo sulla base del dato testuale dell'incipit dell'art. 88 – che il cram down fiscale possa impiegarsi in funzione dell’omologa del concordato in continuità con ristrutturazione trasversale dei debiti.
Vediamo perché. L'art. 88, comma 2 prevede espressamente che un professionista indipendente debba attestare la convenienza del concordato in continuità, sub specie di trattamento non deteriore; il riferimento alla continuità è dunque inequivoco.
Inoltre, l'ultima parte del comma 2-bis dell'art. 88 rimanda alla necessità, ai fini della omologazione forzosa del concordato, della non connotazione non deteriore del soddisfacimento apparecchiato per il creditore pubblico in rapporto allo scenario liquidatorio; il pensiero corre proprio al concordato in continuità, posto che la natura deleteria del trattamento profilato è immaginabile soltanto in relazione a tale recinto.
Provo, peraltro, a chiarire perché, a mio parere, l'art. 88, comma 2-bis operi anche in ipotesi di cross class ex art. 112, comma 2, CCII.
L’art. 88, comma 1, regola in via pressoché esclusiva il trattamento dei crediti fiscali quale che sia la declinazione – liquidatoria o continuativa – del concordato. 
L’art. 112, comma 2, dal canto suo, nasce come norma sulle modalità dell’omologazione; essa non contempla un regime specifico in tema di trattamento dei crediti fiscali, ma s’incarica di fissare soltanto alcune condizioni per l'omologa del concordato in continuità che abbia registrato un dissenso di classi. 
Dopo di che, siccome il legislatore della “Seconda Commissione” è intervenuto su un’impalcatura codicistica già consolidata, ha ritenuto di innestare (alla bisogna) proprio nell’art. 112 anche una disposizione – una sola, ma di non poco momento – sul trattamento, occasionata dall’impellenza di far virare il sistema repentinamente verso la RPR, cara a ad alcuni: in caso di ristrutturazione trasversale va, infatti, rispettata anche la condizione sub lett. b) della norma, ergo il valore di liquidazione si distribuisce in ossequio alle cause di prelazione, secondo la absolute priority rule, mentre quello eccedente può essere distribuito secondo la relative priority rule.
Nondimeno, il punto rimane uno e rimane identico: non vi è ragione per cui le regole di distribuzione del valore debbano ostare al cram down fiscale e contributivo in caso di continuità aziendale, anche in ipotesi di ricorso alla ristrutturazione trasversale dei debiti. 
La ratio del cram down fiscale è, del resto, eloquente: scongiurare la riottosità dell’erario – qualora ingiustificata sulla scorta delle risorse economiche astrattamente distribuibili e conseguibili – rispetto a ipotesi concordatarie suscettibili di tenere insieme, contemperandoli, la ragion fiscale e altri interessi rilevanti, se non addirittura equiordinati, tra i quali svetta la c.d. “viability”, ossia la continuità e sostenibilità dell’impresa, che è uno dei mantra del legislatore unionale.
In tal senso, l'incipit del comma 1 dell'art. 88, “tiene fermo”, a mio parere, proprio il compendio di regole dettate dall'art. 112 comma 2, abbinandolo – non potrebbe essere altrimenti, pena l’urto frontale dell’istituto del cram down fiscale con la Direttiva 1023 del 2019 – alla trama di regole di cui al comma 2-bis dell'art. 88. 
In altre parole, l’art. 88 “tiene fermo” - si potrebbe dire, lo postula - il nucleo di regole sulla ristrutturazione trasversale, rendendo l’istituto del cram down fiscale allineato alla Direttiva.
Ed allora l’omologazione forzosa del concordato in continuità si presta ad essere pronunciata ai sensi dell'art. 88, comma 2-bis e, qualora difetti l’unanimità delle classi, nonostante il cram down, “anche” sulla base delle regole scandite dall'art. 112, comma 2, CCII, che valgono in aggiunta e/o in parallelo.
Ora, l’art. 88 s’incentra su tre presupposti: mancata adesione dell’erario; posizione determinante dell’erario per il raggiungimento delle maggioranze; convenienza per l’erario del soddisfacimento prospettato.
Nessun dubbio che il tribunale possa sindacare, in ogni caso, la scelta contraria espressa dal creditore pubblico, chiarendo perché non la condivida in rapporto all'orizzonte liquidatorio. Il baricentro del nuovo sistema è il Giudice e non il voto; il parametro di raffronto costante è l’assenza di pregiudizio (se non si paga uno scotto maggiore rispetto alla liquidazione giudiziale, tendenzialmente la soluzione alternativa ad essa è meritevole di raggiungere il placet); la finalità immanente all'ordinamento concorsuale è ora quella del bilanciamento fra l’interesse egoistico del singolo creditore (più che del ceto creditorio) e l’esigenza di salvaguardia del going concern e dell'attività economica finché si può.
Ed allora, se l’erario non aderisce ed è determinante ai fini dell’approvazione, viene in apice l’art. 109, comma 5, che rimanda – guarda caso – proprio all'art. 112, comma 2, sicché il concordato in continuità è approvato se tutte le classi votano favorevolmente oppure, se non si approda all'unanimità e il debitore insiste comunque l'omologazione, è sufficiente che la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, se la proposta è approvata da almeno una classe di creditori “maltrattati”, ossia che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
L'adesione dell'amministrazione finanziaria deve, quindi, essere determinante per il raggiungimento di una delle percentuali o condizioni di approvazione previste dalle norme che ho richiamato. Naturalmente, detta indole determinante non sussisterà e non si farà luogo a cram down fiscale, ove, pur a fronte del “niet” del creditore erariale, il concordato possa ritenersi già "convalidato"  per via di una delle condizioni di cui al ridetto art. 112, comma 2, lett. d).
In ultima analisi, il cram down di cui all'art. 88, comma 2-bis, CCII può, dunque, essere adoperato per conseguire l'unanimità delle classi ex art. 109, comma 5. Se, a seguito del cram down, tale unanimità rimane una chimera, ma si ottengono, comunque, le diverse maggioranze di cui all'art. 112, comma 2, lett. d), CCII, l'omologazione può avvenire se ricorrono pure tutte le altre condizioni per la ristrutturazione trasversale dei debiti di cui allo stesso art. 112 che, appunto, l’incipit del comma 1 dell'art. 88 CCII “tiene ferme” e – se mi si passa l’espressione – “in caldo”.
In quest'ultimo caso è, dunque, anche indispensabile che: il valore di liquidazione sia distribuito secondo la scala delle prelazioni; il plusvalore da continuità sia distribuito in guisa che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano globalmente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso rango e più vantaggioso rispetto a quello delle classi sotto ordinate.
Se si porta a corollario questo schema di ragionamento non è peregrino ipotizzare che il cram down fiscale sia utilizzabile per raggiungere l'approvazione "in supplenza" da parte del tribunale in luogo dell'erario recalcitrante. Quest'ultimo non sconterebbe un danno rispetto alla soddisfazione che sortirebbe nell'alveo virtuale della liquidazione giudiziale ed allora la viability può essere preservata. 
E' ragionevole attendersi che se questo corollario è azzardato, sul punto il Decreto Correttivo faccia chiarezza.
LUIGI BOTTAI, AVVOCATO

25 Marzo 2024 17:52

Una duplice premessa: 1. l’art. 88 non è un esempio di chiarezza; 2. nell'approccio alle norme del Codice la lettera va costantemente filtrata e mediata con la sistematica.
Non c’è dubbio – taluno sia portato a coltivarlo sulla base del dato testuale dell'incipit dell'art. 88 – che il cram down fiscale possa impiegarsi in funzione dell’omologa del concordato in continuità con ristrutturazione trasversale dei debiti.
Vediamo perché. L'art. 88, comma 2 prevede espressamente che un professionista indipendente debba attestare la convenienza del concordato in continuità, sub specie di trattamento non deteriore; il riferimento alla continuità è dunque inequivoco.
Inoltre, l'ultima parte del comma 2-bis dell'art. 88 rimanda alla necessità, ai fini della omologazione forzosa del concordato, della non connotazione non deteriore del soddisfacimento apparecchiato per il creditore pubblico in rapporto allo scenario liquidatorio; il pensiero corre proprio al concordato in continuità, posto che la natura deleteria del trattamento profilato è immaginabile soltanto in relazione a tale recinto.
Provo, peraltro, a chiarire perché, a mio parere, l'art. 88, comma 2-bis operi anche in ipotesi di cross class ex art. 112, comma 2, CCII.
L’art. 88, comma 1, regola in via pressoché esclusiva il trattamento dei crediti fiscali quale che sia la declinazione – liquidatoria o continuativa – del concordato. 
L’art. 112, comma 2, dal canto suo, nasce come norma sulle modalità dell’omologazione; essa non contempla un regime specifico in tema di trattamento dei crediti fiscali, ma s’incarica di fissare soltanto alcune condizioni per l'omologa del concordato in continuità che abbia registrato un dissenso di classi. 
Dopo di che, siccome il legislatore della “Seconda Commissione” è intervenuto su un’impalcatura codicistica già consolidata, ha ritenuto di innestare (alla bisogna) proprio nell’art. 112 anche una disposizione – una sola, ma di non poco momento – sul trattamento, occasionata dall’impellenza di far virare il sistema repentinamente verso la RPR, cara a ad alcuni: in caso di ristrutturazione trasversale va, infatti, rispettata anche la condizione sub lett. b) della norma, ergo il valore di liquidazione si distribuisce in ossequio alle cause di prelazione, secondo la absolute priority rule, mentre quello eccedente può essere distribuito secondo la relative priority rule.
Nondimeno, il punto rimane uno e rimane identico: non vi è ragione per cui le regole di distribuzione del valore debbano ostare al cram down fiscale e contributivo in caso di continuità aziendale, anche in ipotesi di ricorso alla ristrutturazione trasversale dei debiti. 
La ratio del cram down fiscale è, del resto, eloquente: scongiurare la riottosità dell’erario – qualora ingiustificata sulla scorta delle risorse economiche astrattamente distribuibili e conseguibili – rispetto a ipotesi concordatarie suscettibili di tenere insieme, contemperandoli, la ragion fiscale e altri interessi rilevanti, se non addirittura equiordinati, tra i quali svetta la c.d. “viability”, ossia la continuità e sostenibilità dell’impresa, che è uno dei mantra del legislatore unionale.
In tal senso, l'incipit del comma 1 dell'art. 88, “tiene fermo”, a mio parere, proprio il compendio di regole dettate dall'art. 112 comma 2, abbinandolo – non potrebbe essere altrimenti, pena l’urto frontale dell’istituto del cram down fiscale con la Direttiva 1023 del 2019 – alla trama di regole di cui al comma 2-bis dell'art. 88. 
In altre parole, l’art. 88 “tiene fermo” - si potrebbe dire, lo postula - il nucleo di regole sulla ristrutturazione trasversale, rendendo l’istituto del cram down fiscale allineato alla Direttiva.
Ed allora l’omologazione forzosa del concordato in continuità si presta ad essere pronunciata ai sensi dell'art. 88, comma 2-bis e, qualora difetti l’unanimità delle classi, nonostante il cram down, “anche” sulla base delle regole scandite dall'art. 112, comma 2, CCII, che valgono in aggiunta e/o in parallelo.
Ora, l’art. 88 s’incentra su tre presupposti: mancata adesione dell’erario; posizione determinante dell’erario per il raggiungimento delle maggioranze; convenienza per l’erario del soddisfacimento prospettato.
Nessun dubbio che il tribunale possa sindacare, in ogni caso, la scelta contraria espressa dal creditore pubblico, chiarendo perché non la condivida in rapporto all'orizzonte liquidatorio. Il baricentro del nuovo sistema è il Giudice e non il voto; il parametro di raffronto costante è l’assenza di pregiudizio (se non si paga uno scotto maggiore rispetto alla liquidazione giudiziale, tendenzialmente la soluzione alternativa ad essa è meritevole di raggiungere il placet); la finalità immanente all'ordinamento concorsuale è ora quella del bilanciamento fra l’interesse egoistico del singolo creditore (più che del ceto creditorio) e l’esigenza di salvaguardia del going concern e dell'attività economica finché si può.
Ed allora, se l’erario non aderisce ed è determinante ai fini dell’approvazione, viene in apice l’art. 109, comma 5, che rimanda – guarda caso – proprio all'art. 112, comma 2, sicché il concordato in continuità è approvato se tutte le classi votano favorevolmente oppure, se non si approda all'unanimità e il debitore insiste comunque l'omologazione, è sufficiente che la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, se la proposta è approvata da almeno una classe di creditori “maltrattati”, ossia che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
L'adesione dell'amministrazione finanziaria deve, quindi, essere determinante per il raggiungimento di una delle percentuali o condizioni di approvazione previste dalle norme che ho richiamato. Naturalmente, detta indole determinante non sussisterà e non si farà luogo a cram down fiscale, ove, pur a fronte del “niet” del creditore erariale, il concordato possa ritenersi già "convalidato"  per via di una delle condizioni di cui al ridetto art. 112, comma 2, lett. d).
In ultima analisi, il cram down di cui all'art. 88, comma 2-bis, CCII può, dunque, essere adoperato per conseguire l'unanimità delle classi ex art. 109, comma 5. Se, a seguito del cram down, tale unanimità rimane una chimera, ma si ottengono, comunque, le diverse maggioranze di cui all'art. 112, comma 2, lett. d), CCII, l'omologazione può avvenire se ricorrono pure tutte le altre condizioni per la ristrutturazione trasversale dei debiti di cui allo stesso art. 112 che, appunto, l’incipit del comma 1 dell'art. 88 CCII “tiene ferme” e – se mi si passa l’espressione – “in caldo”.
In quest'ultimo caso è, dunque, anche indispensabile che: il valore di liquidazione sia distribuito secondo la scala delle prelazioni; il plusvalore da continuità sia distribuito in guisa che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano globalmente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso rango e più vantaggioso rispetto a quello delle classi sotto ordinate.
Se si porta a corollario questo schema di ragionamento non è peregrino ipotizzare che il cram down fiscale sia utilizzabile per raggiungere l'approvazione "in supplenza" da parte del tribunale in luogo dell'erario recalcitrante. Quest'ultimo non sconterebbe un danno rispetto alla soddisfazione che sortirebbe nell'alveo virtuale della liquidazione giudiziale ed allora la viability può essere preservata. 
E' ragionevole attendersi che se questo corollario è azzardato, sul punto il Decreto Correttivo faccia chiarezza.
Assistiamo a plurime opposizioni all'omologa e reclami dell'Agenzia delle Entrate, che dimostra di non tollerare affatto il cram down.
L'interpretazione da Voi offerta sembra dirimente, atteso che consente di conciliare sia l'art. 88 che l'art. 112, 2° comma (che taluno aveva invece ritenuto alternativi).
Il ragionamento da Voi svolto, peraltro, trova un addentellato anche in un arresto della Suprema Corte che, in anticipo sul Codice della Crisi, aveva mostrato trattarsi (nell'applicabilità della RPR rispetto alla consolidata APR dell'art. 160 cpv. l.f.) di una regola anticipatrice di quella dell'odierno art. 88 CCI.

In particolare, Cass. civ., sez. I, n. 17155/2022, ha chiarito "funditus" il rapporto sussistente tra la L. Fall., art. 182-ter, comma 1, e la L. Fall., art. 160, comma 2:
"3.3. - Invero, la L. Fall., art. 160, comma 2, laddove impone che "il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione", viene tradizionalmente interpretato come norma traspositiva, già in fase di ammissione del concordato preventivo, del criterio di matrice nordamericana della c.d. absolute priority rule, per cui una classe di grado inferiore non può ricevere alcun soddisfacimento se quella di grado poziore non sia stata integralmente soddisfatta; regola per vero non sempre applicata nel diritto interno fino alle sue estreme conseguenze nei riguardi dei soci, ai fini della loro "permanenza" nel capitale sociale (al di là del loro possibile ruolo di creditori postergati di cui si sono occupate ad esempio Cass. 16348/2018 e 20649/2019, con riguardo al rimborso dei finanziamenti ex art. 2467 c.c.)".
[...]
"Chiaramente, lo spettro di tali possibilità sarà più ampio in presenza di un concordato preventivo c.d. in continuità aziendale, nella misura in cui la prosecuzione dell'attività imprenditoriale generi risorse aggiuntive rispetto al valore di liquidazione dei beni (c.d. surplus o plusvalore da continuità), al netto delle diverse interpretazioni circa il perimetro di applicabilità del principio per cui "il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri" (art. 2740 c.c.).

3.4. - Invece la L. Fall., art. 182-ter, comma 1, nel prescrivere assai più elasticamente che, "se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie", elimina la condizione preclusiva dell'integrale soddisfazione dei crediti di rango superiore ai fini del soddisfacimento di quelli di rango inferiore; il che significa che ai crediti tributari e contributivi può essere applicata, in luogo della c.d. absolute priority rule, la c.d. relative priority rule, sia pure in forma diversa e più favorevole rispetto a quella successivamente declinata come regola di default nell'art. 11, par. 1, lett. c), della direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, che infatti consente solo un trattamento "più favorevole" delle classi di rango poziore, laddove la L. Fall., art. 182-ter, come visto, consente anche un trattamento semplicemente pari a quello della classe di rango inferiore.

Una disciplina "rinforzata" è invece riservata ai crediti tributari o contributivi di natura chirografaria (tali divenuti "anche a seguito di degradazione per incapienza", come ha aggiunto del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125, art. 3, convertito con modificazioni dalla L. 27 novembre 2020, n. 248), per i quali "il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole".
[...]

Se, dunque, il trattamento dei crediti tributari è soggetto alla RPR già da prima dell'entrata in vigore del CCI, non si vede per quale ragione non debba valere oggi - nel nuovo regime normativo e solo per i c.p. in continuità - l'assoggettamento di quei crediti anche al principio di ristrutturazione trasversale imposto dall'art. 11 della Direttiva e recepito nell'art. 112, 2° comma, CCI unitamente al mantenimento della regola speciale di cui all'art. 88 CCI (proprio in virtù dell'inciso di apertura "fermo restando", che non equivale a "salvo quanto previsto").

Peraltro, l'unico aspetto da approfondire è quello segnalato dalla Dr.ssa Ghedini del precedente di Trib. Lucca 18.7.23, per il quale il voto positivo della classe maltrattata ex art. 112 cpv. lett. d) deve essere un voto veramente positivo e non frutto di una fictio iuris.
A tal fine, parrebbe andare nella direzione corretta Trib. Spoleto 29.12.2023, che ha distinto tra le seguenti ipotesi:
(i) il cram down fiscale non è applicabile, in quanto superfluo, ogni qualvolta, indipendentemente da esso, il concordato può essere omologato, nonostante il voto contrario del Fisco, a seguito del già avvenuto raggiungimento del voto favorevole nella maggioranza delle classi ovvero in virtù del voto favorevole della classe “svantaggiata” (o “interessata” a seconda dell’orientamento) di cui alla seconda parte della lettera d) del già citato comma 2 dell’art. 112 CCII;
(ii) il cram down fiscale non è applicabile, in quanto inutile, ogni qualvolta, indipendentemente da esso, il concordato non può essere comunque omologato, perché, a prescindere dal voto del Fisco, non può essere conseguita l’approvazione da parte della maggioranza delle classi e manca il voto favorevole della classe “svantaggiata” (o “interessata” a seconda dell’orientamento);
(iii) il cram down fiscale è applicabile quando, solo grazie ad esso, la proposta può risultare approvata dalla maggioranza delle classi di creditori, ovvero anche nel caso in cui, pure in assenza di tale maggioranza, la classe dei crediti tributari (o contributivi) rappresenti la classe “svantaggiata” (o “interessata”).


anna ghedini, GD Ferrara

23 Aprile 2024 10:28

Assistiamo a plurime opposizioni all'omologa e reclami dell'Agenzia delle Entrate, che dimostra di non tollerare affatto il cram down.
L'interpretazione da Voi offerta sembra dirimente, atteso che consente di conciliare sia l'art. 88 che l'art. 112, 2° comma (che taluno aveva invece ritenuto alternativi).
Il ragionamento da Voi svolto, peraltro, trova un addentellato anche in un arresto della Suprema Corte che, in anticipo sul Codice della Crisi, aveva mostrato trattarsi (nell'applicabilità della RPR rispetto alla consolidata APR dell'art. 160 cpv. l.f.) di una regola anticipatrice di quella dell'odierno art. 88 CCI.

In particolare, Cass. civ., sez. I, n. 17155/2022, ha chiarito "funditus" il rapporto sussistente tra la L. Fall., art. 182-ter, comma 1, e la L. Fall., art. 160, comma 2:
"3.3. - Invero, la L. Fall., art. 160, comma 2, laddove impone che "il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione", viene tradizionalmente interpretato come norma traspositiva, già in fase di ammissione del concordato preventivo, del criterio di matrice nordamericana della c.d. absolute priority rule, per cui una classe di grado inferiore non può ricevere alcun soddisfacimento se quella di grado poziore non sia stata integralmente soddisfatta; regola per vero non sempre applicata nel diritto interno fino alle sue estreme conseguenze nei riguardi dei soci, ai fini della loro "permanenza" nel capitale sociale (al di là del loro possibile ruolo di creditori postergati di cui si sono occupate ad esempio Cass. 16348/2018 e 20649/2019, con riguardo al rimborso dei finanziamenti ex art. 2467 c.c.)".
[...]
"Chiaramente, lo spettro di tali possibilità sarà più ampio in presenza di un concordato preventivo c.d. in continuità aziendale, nella misura in cui la prosecuzione dell'attività imprenditoriale generi risorse aggiuntive rispetto al valore di liquidazione dei beni (c.d. surplus o plusvalore da continuità), al netto delle diverse interpretazioni circa il perimetro di applicabilità del principio per cui "il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri" (art. 2740 c.c.).

3.4. - Invece la L. Fall., art. 182-ter, comma 1, nel prescrivere assai più elasticamente che, "se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie", elimina la condizione preclusiva dell'integrale soddisfazione dei crediti di rango superiore ai fini del soddisfacimento di quelli di rango inferiore; il che significa che ai crediti tributari e contributivi può essere applicata, in luogo della c.d. absolute priority rule, la c.d. relative priority rule, sia pure in forma diversa e più favorevole rispetto a quella successivamente declinata come regola di default nell'art. 11, par. 1, lett. c), della direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, che infatti consente solo un trattamento "più favorevole" delle classi di rango poziore, laddove la L. Fall., art. 182-ter, come visto, consente anche un trattamento semplicemente pari a quello della classe di rango inferiore.

Una disciplina "rinforzata" è invece riservata ai crediti tributari o contributivi di natura chirografaria (tali divenuti "anche a seguito di degradazione per incapienza", come ha aggiunto del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125, art. 3, convertito con modificazioni dalla L. 27 novembre 2020, n. 248), per i quali "il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole".
[...]

Se, dunque, il trattamento dei crediti tributari è soggetto alla RPR già da prima dell'entrata in vigore del CCI, non si vede per quale ragione non debba valere oggi - nel nuovo regime normativo e solo per i c.p. in continuità - l'assoggettamento di quei crediti anche al principio di ristrutturazione trasversale imposto dall'art. 11 della Direttiva e recepito nell'art. 112, 2° comma, CCI unitamente al mantenimento della regola speciale di cui all'art. 88 CCI (proprio in virtù dell'inciso di apertura "fermo restando", che non equivale a "salvo quanto previsto").

Peraltro, l'unico aspetto da approfondire è quello segnalato dalla Dr.ssa Ghedini del precedente di Trib. Lucca 18.7.23, per il quale il voto positivo della classe maltrattata ex art. 112 cpv. lett. d) deve essere un voto veramente positivo e non frutto di una fictio iuris.
A tal fine, parrebbe andare nella direzione corretta Trib. Spoleto 29.12.2023, che ha distinto tra le seguenti ipotesi:
(i) il cram down fiscale non è applicabile, in quanto superfluo, ogni qualvolta, indipendentemente da esso, il concordato può essere omologato, nonostante il voto contrario del Fisco, a seguito del già avvenuto raggiungimento del voto favorevole nella maggioranza delle classi ovvero in virtù del voto favorevole della classe “svantaggiata” (o “interessata” a seconda dell’orientamento) di cui alla seconda parte della lettera d) del già citato comma 2 dell’art. 112 CCII;
(ii) il cram down fiscale non è applicabile, in quanto inutile, ogni qualvolta, indipendentemente da esso, il concordato non può essere comunque omologato, perché, a prescindere dal voto del Fisco, non può essere conseguita l’approvazione da parte della maggioranza delle classi e manca il voto favorevole della classe “svantaggiata” (o “interessata” a seconda dell’orientamento);
(iii) il cram down fiscale è applicabile quando, solo grazie ad esso, la proposta può risultare approvata dalla maggioranza delle classi di creditori, ovvero anche nel caso in cui, pure in assenza di tale maggioranza, la classe dei crediti tributari (o contributivi) rappresenti la classe “svantaggiata” (o “interessata”).


credo che la questione che,  da incompetente, ho sollevato sia uno degli snodi  cruciali del CP.
e temo o spero  ( dipende dal contenuto dell'intervento) che sia uno dei temi di intervento del correttivo, che dovrebbe essere prossimo.
sicuramente il nuovo legislatore interverra'  sull'incipit dell'88 e altrettanto sicuramente sul secondo comma dell'art. 112  lett. d) ( almeno sulla punteggiatura).
rebus sic stantibus  io sono fermamente convinta che il senso del famigerato secondo comma sia quello di consentire la omologa senza approvazione  purche', oltre alla ricorrenza delle circostanze pleonastiche di cui alle lettere precedenti alla d),  vi sia la approvazione ( ma approvazione vera non frutto di una fictio) di una classe che rappresenti creditori che sarebbero stati trattati meglio se anche al surplus concordatario fosse stata applicata la APR.
ma la approvazione della classe deve essere reale e non frutto del cram down.
sul punto segnalo la ben motivata sentenza del tribunale di Larino del 19.3.24 pubblicata su questo sito est. D'Alonzo.
altra sentenza sul punto e' Trib. Mantova 14.3.24 est. Bernardi.
Certamente l'orientamento seguito da T. Lucca, ormai nota,  ed anche da T. Milano 30.11.23, che esclude, per effetto dell'incipit dell'88 ma anche per il richiamo solo alla maggioranza del 109 comma 1 e non comma 5, tronca in radice il problema.

ma io vorrei approfondire un poco la questione della applicabilita' della lett d) art. 112 comma 2 CCI al Cp in continuita' indiretta : in quest'ultimo ( v. Trib. Mantova e la nota sentenza T Roma est. Miccio) l'attivo che si propone di distribuire  e' tutto ricavato della liquidazione.
di fatto,  da questo punto di vista,  il ricavato e' tutto valore di liquidazione e va distribuito con APR ai sensi dell'art. 84.
quindi mi chiedo e vi chiedo: ma come e' possibile ipotizzare una classe di maltrattati ( o come la si voglia chiamare) in un cp in continuita'? lo stesso interrogativo se lo pone T. MAntova.
a mio parere,  la omologa  di cui discutiamo non si puo' fare in generale per il CP in c indiretta.
se questa fosse la soluzione il problema interpretativo dell'art. 88 in combinato disposto con l'art. 112 secondo comma si ridimensiona di molto, e la conseguenza e' che la maggioranza dei CP proposti ( poiche' il liquidatorio e' morto, e la continuita' indiretta e' rarissima e presuppone una impresa ancora in parte sana) si trovano di fronte a grandi difficolta'. se poi riteniamo che il cram down sia inapplicabile ( non la transazione fiscale ma solo il cram down quale sistema per ottenere la maggioranza) allora difficilmente un cp passera', a prescindere dal superamento delle altre previsioni di legge.
quanto al voto delle agenzie fiscali: e' vero che spesso gli uffici ( anche e soprattutto nelle procedure di sovraindebitamento) giustificano il voto negativo ( o,  nelle procedure maggio, il silenzio)  con la mancata meritevolezza. e sovente, nel merito, ha ragione: molto spesso i debitori che vogliono accedere al CP in cont. indiretta ( magari con affitto ponte blindato a favore di una newco...)  hanno evaso il fisco e sovente lo hanno frodato, per decine di milioni di euro.
ed allora, lo ripropongo ma so bene che non si fara' mai, avrebbe senso compensare la strada spianata che si e' offerta a tale debitore in sede concordataria  ( basta che la nonna metta diecimila euro di finanza esterna da distribuire come si vuole ed il gioco e' fatto) con uno sbarramento soggettivo all'accesso alla procedura.
quello che il legislatore sta consentendo (sia pure con norme non coordinate e spesso contrastanti, al punto da renderle inidonee allo scopo) e' una esdebitazione del grande evasore fiscale, e spesso colpevole di bancarotta fiscale, facendo passare il messaggio che fare impresa senza pagare le tasse va bene.
mi replicherete: ma il resto c'e' anche in caso di concordato.
si e' vero ma intanto per gli ADR c'e' solo se si e' operato il cram down, e soprattutto tutti sappiamo che il Paese e' fatto di piccoli e medi tribunali,  e di piccole e medie procure, dove le indagini sui reati commessi dal debitore in concordato non sono molto praticate. la impunibilita' e' di fatto.
speri di avere suscitato dubbi di qualche interesse
anna ghedini


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