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Luca Filipponi, Avvocato in Padova

I contratti bancari pendenti nella composizione negoziata: effetto impositivo o libera discrezionalità dell’intermediario?

3 Febbraio 2024

Con provvedimento del Tribunale di Padova, 25 settembre 2023, est. Dott.ssa Rossi, a cui è stata data una certa risonanza, nell’ambito di un ricorso ex art. 18 – 19 CCII per la conferma delle misure protettive richieste da una Società in composizione negoziata della crisi, il Giudice decideva per la conferma delle misure richieste, esprimendosi inoltre su una questione interpretativa di particolare importanza delle disposizioni di cui all’art. 16, comma 5 e all’art. 18, comma 5 CCII, sollevata da un creditore bancario costituitosi nel procedimento. 

Nel caso concreto, la Società in composizione negoziata della crisi aveva richiesto agli Istituti di credito coinvolti nella c.n.c. di continuare ad erogare “nuova finanza” nella forma di nuove anticipazioni bancarie (altrimenti non potendosi definire l’immissione di nuovo circolante, ancorché nell’ambito di fidi precedentemente concessi), nei limiti dell’importo già utilizzato alla data di presentazione della domanda di c.n.c. e nelle more tornato potenzialmente disponibile. 

Il creditore bancario, nelle proprie difese svolte in vista dell’udienza fissata ex art. 19, comma 3 CCII, aveva dato atto di essersi già avvalso della facoltà di sospendere gli affidamenti ex art. 16, comma 5 CCII per motivazioni – di cui si dava conto – connesse alla vigilanza prudenziale, sostenendo peraltro che, secondo una coerente interpretazione sistematica del codice della crisi, l’art. 18, comma 5 CCII circa gli effetti dell’eventuale conferma delle misure protettive, non avrebbe potuto prevalere rispetto al disposto dell’art. 16, comma 5 CCII e avere l’effetto di imporre al creditore Banca di continuare ad erogare finanziamenti, impedendo il rifiuto della prestazione nei contratti pendenti.  

La diversa tesi, peraltro, a parere di chi scrive, condurrebbe a risultati paradossali e non accettabili, fra i quali l’impossibilità di dare applicazione al disposto dell’art. 16, comma 5 CCII ogni qual volta il debitore depositi, contestualmente alla domanda di accesso alla composizione negoziata, l’istanza di applicazione di misure protettive ex art. 18-19 CCII.

Il provvedimento del Tribunale patavino, massimato e commentato anche ne “Il Diritto della Crisi” in data 16 novembre 2023, accoglieva, tuttavia, la diversa tesi secondo la quale “ove l’imprenditore si sia avvalso delle misure protettive, il creditore bancario deve sottostare all’esercizio unilaterale dei diritti derivanti dai contratti sottoscritti, anche laddove questi siano contratti di finanziamento che non hanno trovato completa esecuzione”, salvo il limite degli inadempimenti successivi. 

Tale provvedimento veniva impugnato attraverso il reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. e art. 19 CCII, sia in merito alla soluzione interpretativa fornita dal primo Giudice, quanto in merito all’esistenza dei concreti presupposti per imporre ai creditori - secondo la valutazione della gravosità del sacrificio - le suddette limitazioni alla facoltà di sospendere/rifiutare l’adempimento, oggetto della domanda di conferma delle misure protettive. 

Il Tribunale di Padova pronunciandosi in composizione collegiale in ordine al suddetto reclamo ha adottato un provvedimento di cessata materia del contendere, fondato - di fatto – sulla intervenuta rinuncia della Società a richiedere alla specifica Banca reclamante nuovo circolante sotto forma di anticipazioni bancarie nei limiti dell’accordato già utilizzato e resosi nelle more nuovamente disponibile. 

La dibattuta questione interpretativa dell’art. 16, comma 5 e dell’art. 18, comma 5 CCII - ossia la facoltà del creditore bancario di sottrarsi all’adempimento dei contratti pendenti nel contesto delle misure protettive, per ragioni connesse al rispetto degli obblighi di vigilanza prudenziale - è rimasta, invece, sostanzialmente non decisa dal Tribunale, che, in punto spese da regolarsi secondo il principio della soccombenza virtuale, ne stabiliva la compensazione stante l’assenza di precedenti giurisprudenziali noti in materia e l’esistenza di contrapposte tesi dottrinarie. 

Trattando di queste ultime, vale forse la pena rimarcare che la tesi – dallo scrivente non condivisa – secondo la quale nemmeno le ragioni di vigilanza prudenziale potrebbero giustificare la sospensione/revoca dei contratti pendenti, nonostante l’aggravamento economico della posizione dell’Istituto di credito (causato dalla necessità di appostare maggiori accantonamenti, per effetto della classificazione deteriore del cliente che coinvolge anche le richieste di nuovi finanziamenti), sul presupposto che tale maggiore onerosità per la banca possa compensarsi con la revisione delle condizioni economiche dell’utilizzo del credito, pare difficilmente sostenibile, da un lato perché le norme non disciplinano alcun meccanismo di revisione di tali condizioni, d’altro lato perché la normativa antiusura (non derogata) imporrebbe un argine all’aumento dei tassi di interesse, che difficilmente potrebbero dunque compensare il “peso” dei maggiori accantonamenti (dell’ordine del 50 - 60% almeno, per la classificazione a UTP). 

La tesi, per contro, che si ritiene più coerente secondo una interpretazione sistematica, consiste, invero, nel qualificare l’art. 16, comma 5 CCII quale norma speciale (applicabile solo al creditore bancario) rispetto a quella di cui all’art. 18, comma 5 CCII, onde consentire all’intermediario finanziario di decidere liberamente e discrezionalmente se sospendere/ revocare, ovvero proseguire nell’adempimento del contratto pendente, attesa la stringente normativa di vigilanza prudenziale finalizzata alla tutela del patrimonio della Banca, posto a garanzia della raccolta del risparmio. 

Trattandosi di materia complessa che offre tuttora numerosi spunti di approfondimento, si auspica l’emersione di un orientamento che attui un necessario contemperamento tra le esigenze del creditore bancario, e, d’altra parte, la necessità di garantire all’impresa in crisi la nuova finanza, che attualmente, nel contesto della c.n.c.,  e degli strumenti di risoluzione della crisi, appare di difficile attuazione, anche in ipotesi di autorizzazione ex artt. 22 - 99 CCII stante la assenza dell’auspicata armonizzazione tra la normativa di vigilanza prudenziale e quella incentivante del sostegno alla crisi da parte del Sistema Bancario di cui alla Direttiva Insolvency.
Andrea Fontana, dottore commercialista

3 Febbraio 2024 17:46

Il Giudice unico del Tribunale di Padova, nel decreto del 25/9/2023, nell’interpretare l’art. 16, comma 5, c.c.i.i., ha correttamente assunto e ritenuto i principi (unionali e generali del c.c.i.i.) per cui la banca (proprio perché intermediario creditizio vigilato), proprio per effetto delle stesse misure protettive concesse all’imprenditore dal Tribunale (valutata dall’Esperto e comunque ritenuta la risanabilita’), molto semplicemente non può revocare o sospendere - in odio all’imprenditore che chiede ritualmente (e se merita) la protezione per negoziare con i creditori la soluzione alla crisi dell’impresa (in cui … tutti i creditori sono coinvolti) - gli affidamenti (già accordati e operativi) che, allora, proprio per dovere creditizio (art. 5 t.u.b.), non avrebbe dovuto accordare o avrebbe dovuto ben prima revocare o dispendete, ma deve invece la stessa banca partecipare al concorso anche sostanziale e operativo, dinamico e relazionale con tutti gli altri interlocutori aziendali, che siano creditori o meno, i quali (ex art. 18, comma 5, c.c.i.i.) mica possono revocare o sospendere le proprie prestazioni per lo svolgimento attuale e futuro dei rapporti pendenti, nemmeno in caso di inadempienze pregresse dell’imprenditore!!! Molto semplicemente.
Galizzi Angelo, Dottore Commercialista in Bergamo

7 Febbraio 2024 12:11

Il Giudice unico del Tribunale di Padova, nel decreto del 25/9/2023, nell’interpretare l’art. 16, comma 5, c.c.i.i., ha correttamente assunto e ritenuto i principi (unionali e generali del c.c.i.i.) per cui la banca (proprio perché intermediario creditizio vigilato), proprio per effetto delle stesse misure protettive concesse all’imprenditore dal Tribunale (valutata dall’Esperto e comunque ritenuta la risanabilita’), molto semplicemente non può revocare o sospendere - in odio all’imprenditore che chiede ritualmente (e se merita) la protezione per negoziare con i creditori la soluzione alla crisi dell’impresa (in cui … tutti i creditori sono coinvolti) - gli affidamenti (già accordati e operativi) che, allora, proprio per dovere creditizio (art. 5 t.u.b.), non avrebbe dovuto accordare o avrebbe dovuto ben prima revocare o dispendete, ma deve invece la stessa banca partecipare al concorso anche sostanziale e operativo, dinamico e relazionale con tutti gli altri interlocutori aziendali, che siano creditori o meno, i quali (ex art. 18, comma 5, c.c.i.i.) mica possono revocare o sospendere le proprie prestazioni per lo svolgimento attuale e futuro dei rapporti pendenti, nemmeno in caso di inadempienze pregresse dell’imprenditore!!! Molto semplicemente.
Purtroppo, la “diatriba” nasce proprio dall’impossibilità di equiparare il creditore bancario (intermediario creditizio vigilato) agli altri creditori non bancari, a causa delle normative (unionali ed interne) di vigilanza prudenziale che coinvolgono solo il primo a differenza dei secondi. E il combinato disposto degli artt. 16 c. 5 e 18 c. 5 CCII contribuisce ad accrescere il fraintendimento di fondo.

La normativa in materia di concessione e monitoraggio prestiti (EBA LOM: LOan and Monitoring) impone infatti al creditore bancario un continuo e costante monitoraggio dello stato di salute dell’impresa (con ottica forward looking), richiedendo agli intermediari proiezioni realistiche e affidabili sulla capacità dell’impresa di restare solvibile (equilibrio patrimoniale e economico/finanziario).

È chiaro che la circostanza, rappresentata dall’accesso alla composizione negoziata e la richiesta di misure protettive ex art. 18 c.c.i.i., integra i cosiddetti “SICR” (significant increase in credit risk), ossia eventi in grado di incidere negativamente sul rischio di credito, comportando necessità di classificazione a stage deteriori, ai sensi del principio contabile IFRS 9, con conseguenti obblighi sia in termini di necessità di rilevanti accantonamenti a conto economico (35-50%), che di assorbimenti a patrimonio. 

E pertanto a fronte dell’equiparazione della nuova finanza “ex nunc” (concessione di nuovi finanziamenti) e di quella “in progress” (mantenimento delle linee a suo tempo deliberate) - che determinano entrambe la messa a disposizione della raccolta di risparmio - ove si sostenesse la tesi del divieto per il creditore bancario di sospendere il sostegno economico all’impresa in crisi, senza possibilità di appellarsi all’art. 16, c. 5, si imporrebbe a tale creditore un sacrificio non facilmente sostenibile e, di sicuro, non coerente con i principi stessi imposti dall’Unione europea, e quindi in violazione proprio  della normativa  vincolante dell’art.5 TUB “sana e prudente gestione dei soggetti vigilati”.

Appare pertanto del tutto auspicabile, se non imprescindibile, un’opportuna armonizzazione – attraverso adeguati correttivi – tra direttive di vigilanza bancaria e il CCII (le considerazioni che precedono valgono anche per gli artt. 99 e 101); in carenza di un percorso che favorisca questa direzione, le concrete possibilità di addivenire a risanamenti aziendali, con il mantenimento dei valori dell’impresa (anche) attraverso il supporto del sistema creditizio (valore “mezzo”), sono destinate a rimanere poco più che una chimera.

 

 

Andrea Fontana, dottore commercialista

11 Febbraio 2024 20:17

Purtroppo, la “diatriba” nasce proprio dall’impossibilità di equiparare il creditore bancario (intermediario creditizio vigilato) agli altri creditori non bancari, a causa delle normative (unionali ed interne) di vigilanza prudenziale che coinvolgono solo il primo a differenza dei secondi. E il combinato disposto degli artt. 16 c. 5 e 18 c. 5 CCII contribuisce ad accrescere il fraintendimento di fondo.

La normativa in materia di concessione e monitoraggio prestiti (EBA LOM: LOan and Monitoring) impone infatti al creditore bancario un continuo e costante monitoraggio dello stato di salute dell’impresa (con ottica forward looking), richiedendo agli intermediari proiezioni realistiche e affidabili sulla capacità dell’impresa di restare solvibile (equilibrio patrimoniale e economico/finanziario).

È chiaro che la circostanza, rappresentata dall’accesso alla composizione negoziata e la richiesta di misure protettive ex art. 18 c.c.i.i., integra i cosiddetti “SICR” (significant increase in credit risk), ossia eventi in grado di incidere negativamente sul rischio di credito, comportando necessità di classificazione a stage deteriori, ai sensi del principio contabile IFRS 9, con conseguenti obblighi sia in termini di necessità di rilevanti accantonamenti a conto economico (35-50%), che di assorbimenti a patrimonio. 

E pertanto a fronte dell’equiparazione della nuova finanza “ex nunc” (concessione di nuovi finanziamenti) e di quella “in progress” (mantenimento delle linee a suo tempo deliberate) - che determinano entrambe la messa a disposizione della raccolta di risparmio - ove si sostenesse la tesi del divieto per il creditore bancario di sospendere il sostegno economico all’impresa in crisi, senza possibilità di appellarsi all’art. 16, c. 5, si imporrebbe a tale creditore un sacrificio non facilmente sostenibile e, di sicuro, non coerente con i principi stessi imposti dall’Unione europea, e quindi in violazione proprio  della normativa  vincolante dell’art.5 TUB “sana e prudente gestione dei soggetti vigilati”.

Appare pertanto del tutto auspicabile, se non imprescindibile, un’opportuna armonizzazione – attraverso adeguati correttivi – tra direttive di vigilanza bancaria e il CCII (le considerazioni che precedono valgono anche per gli artt. 99 e 101); in carenza di un percorso che favorisca questa direzione, le concrete possibilità di addivenire a risanamenti aziendali, con il mantenimento dei valori dell’impresa (anche) attraverso il supporto del sistema creditizio (valore “mezzo”), sono destinate a rimanere poco più che una chimera.

 

 

In sintesi, in caso di protezione, richiesta dall’imprenditore in composizione negoziata (c.n.c.) e confermata dal tribunale, sul comma 5 dell’art. 16 c.c.i.i. prevale il comma 5 dell’art. 18 dello stesso c.c.i.i.: comma “quinto”, chi arriva prima ha vinto. La banca, ex art. 5 t.u.b. (e anche ex artt. 2035, 1375 e 1175 c.c.), deve revocare prima le linee di credito (prima che l’imprenditore affidato acceda alla c.n.c.), se ritiene non sussistere il merito creditizio: è infatti contrario ai principi di lealtà, buona fede e correttezza (di cui al c.c.i.i.) farlo dopo, in danno/sperequazione agli/rispetto agli altri creditori e interlocutori aziendali coinvolti nell’impresa in crisi, sulla base dei principi costituzionali di solidarietà, eguaglianza e ordine pubblico economico.
Giovanni La Croce, Dottore commercialista

12 Febbraio 2024 9:41

In sintesi, in caso di protezione, richiesta dall’imprenditore in composizione negoziata (c.n.c.) e confermata dal tribunale, sul comma 5 dell’art. 16 c.c.i.i. prevale il comma 5 dell’art. 18 dello stesso c.c.i.i.: comma “quinto”, chi arriva prima ha vinto. La banca, ex art. 5 t.u.b. (e anche ex artt. 2035, 1375 e 1175 c.c.), deve revocare prima le linee di credito (prima che l’imprenditore affidato acceda alla c.n.c.), se ritiene non sussistere il merito creditizio: è infatti contrario ai principi di lealtà, buona fede e correttezza (di cui al c.c.i.i.) farlo dopo, in danno/sperequazione agli/rispetto agli altri creditori e interlocutori aziendali coinvolti nell’impresa in crisi, sulla base dei principi costituzionali di solidarietà, eguaglianza e ordine pubblico economico.
Hanno ragione, a mio parere, Angelo Galizi e l’avv. Luca Filipponi.

Il quinto comma dell’art. 16 è certamente norma speciale rispetto al pari comma dell’art. 18, diversamente non avrebbe avuto ragione d’essere.

Ne discutiamo, semplicemente perché la toponomastica del costrutto normativo ha prima regolato l’eccezione rispetto alla regola generale, ingenerando, così - purtroppo non è l’unico caso - una certa confusione.

La ratio del quinto comma dell’art. 16 risponde a diverse esigenze: (i) il finanziamento di una impresa in crisi richiede maggiori accantonamenti di capitale; (ii) il rischio di perdita deve essere valutato secondo le regole imposte da BCE, e non può essere corso violandole; (iii) il profilo di rischio, secondo tali regole, non può incrementarsi. 

Lasciamo un momento in disparte l’utilizzo delle linee autoliquidanti e soffermiamoci sulle linee di pura cassa, quali lo scoperto di c/c, la bondistica, le garanzie di firma.
Mi pare difficilmente revocabile in dubbio la circostanza che la disciplina di vigilanza prudenziale imponga alla banca una decisione ponderata. Di qui il rifiuto motivato, di cui al successivo periodo.

Sulle linee autoliquidanti il discorso è più articolato, ma non cambia il principio di fondo. Su questo fronte sarà la motivazione del diniego a fare da discriminante, imponendosi alla banca maggiori precisazioni, ad esempio: non corretto utilizzo precedente della linea; eccessiva rischiosità del portafoglio, etc. …

Pur nella sua disarticolazione il sistema, però, regge. Nel senso che il diniego falsamente motivato della banca trova rimedio, non nelle misure protettive, richiamate dal quinto comma dell’art. 18, bensì in una specifica misura cautelare ad hoc da parte del tribunale, chiamato a valutare la rispondenza del rifiuto alla causa della disciplina della vigilanza prudenziale.
Nessun automatismo, dunque, tra misure protettive e mantenimento operativo delle linee di credito, ma neppure piena libertà al creditore bancario di rifiutarlo.
Artuso Emanuele Bogoni Renato, Dottori Commercialisti in Padova

16 Febbraio 2024 9:41

Le considerazioni che precedono si rivelano particolarmente penetranti e foriere di molteplici ed eterogenei spunti di riflessione, con toni che esprimono le diverse sensibilità professionali verso un tema (id est, quello della qualificazione dei c.d. “autoliquidanti” ed il loro trattamento in seno alla composizione negoziata) da ritenersi cruciale, in quanto coinvolge i principali attori della crisi, ossia il debitore, i creditori finanziari ed il Tribunale. 

Qualche premessa. Nell’affrontare la questione, convengono alcune precisazioni di base.
La prima: il credito autoliquidante, pur latore di caratteristiche peculiarissime ed essendo principalmente connotato dalla “flessibilità”, deve comunque ascriversi al novero dei “finanziamenti”. In concreto, quindi, con l’affidamento “autoliquidante” la banca si assume l’impegno di erogare finanza, all’interno di un certo plafond, a fronte della presentazione di “carta commerciale”.
La seconda: va identificato il contesto ordinamentale e normativo di riferimento.
In ciò, si deve considerare che l’art. 19, Codice Crisi, prevede, con riguardo alle misure protettive e cautelari, un ruolo centrale da parte del Tribunale, in quanto la decisione viene assunta ad esito di un procedimento celebrato sul principio del contraddittorio, per quanto “essenziale”. 
Infatti (i) vengono sentite le parti, (ii) l’esperto esprime il proprio parere e, (iii) se occorre, viene nominato un ausiliario, (iv) oltre che possono essere ottenute informazioni dai creditori e (v) possono essere sentiti i terzi, laddove le misure possano incidere sui loro diritti. 
Ex art. 19, co. 4, par quindi di poter scorgere una natura “polifonica” del procedimento, governato sotto l’egida attiva e “di sintesi” del Tribunale, ad esito del quale la composizione viene individuata quale strumento idoneo a superare la crisi e garantire la continuità d’impresa.
Movendo da qui, la presenza di normativa, anche di carattere Unionale, che regolamenta il credito e la stabilità del mercato (in ragione dell’obbligo di sana e prudente gestione) non pare riservare maggiori tutele alle banche, quanto, piuttosto, pare porre maggiori oneri a loro carico, dovendosi uniformare agli obblighi del bonus argentarius.
Come segue.
Uno sguardo alla giurisprudenza, tra bonus argentarius e contratto sociale. Questo aspetto è invero assai trattato dalla giurisprudenza, anche di legittimità, e su ciò conviene soffermarsi. Infatti, l’attività bancaria, con riferimento tanto alle contrattazioni volte all’accesso ed all’esercizio del credito ed alla raccolta del risparmio, quanto, più in generale, ad ogni tipologia di atto o di operazione posta in essere, richiede un grado di diligenza “qualificato” (quella, appunto, del c.d. bonus argentarius, perimetrato nell’ambito del principio normativo di cui all’art. 1176 c.c.); ciò, stante l’alto grado di professionalità dei soggetti agenti. 
Perciò, l’ordinamento appresta guarentigie particolari, erette su un peculiare sistema di autorizzazioni, di vigilanza e di trasparenza, in uno con un articolato e stringente assetto sanzionatorio: insomma, la funzione economico-sociale dell’attività bancaria impone una stretta riserva di operatività, presidiata anche da norme di carattere penale. 
L’esigenza di un alto grado di prudenza e di attenzione trova giustificazione nell’interesse pubblicistico sotteso: oltre alla Costituzione, il T.U.B., e poi il Codice Civile e quello Penale, integrano le fondamenta normative, su cui si innesta l’attività della Banca d’Italia. 
Di questo substrato sostanziale, procedurale e sanzionatorio fornisce un indefettibile apporto esegetico la giurisprudenza. Infatti, la Corte di Cassazione (ad esempio con le sentenze 15 aprile 1992, n. 4571; 8 gennaio 1997, n. 72; 27 settembre 2001, n. 12093), ha statuito il principio secondo cui il comportamento della banca deve essere giudicato in modo più rigoroso e specifico rispetto ad un soggetto “ordinario”, richiedendo un grado elevato di diligenza necessario per evitare il verificarsi di eventi dannosi per la clientela. 
In questo ambito va valutato il comportamento delle banche nella concessione, nella gestione del rapporto di credito e, in particolare, nel momento in cui questo sia oggetto di interruzione. Di particolare rilievo, in proposito, risultano i principi enunciati in merito alla c.d. “rottura brutale” del credito, che è integrata dall’arbitraria decisione della banca di negare al cliente la concessione o la prosecuzione del credito concesso, e di imporre alla controparte il rientro repentino dalla propria esposizione debitoria: trattasi di una condotta che, oltre a danneggiare direttamente la propria controparte contrattuale, potrebbe diventare la causa stessa del suo dissesto. 
Talvolta, infatti, la prassi bancaria ha registrato comportamenti illegittimi ed arbitrari, tali da esporre l’affidato ad evidenti pregiudizi, costringendolo ad una improvvisa e repentina crisi di liquidità e, conseguentemente, all’insolvenza. 
Si noti che il comportamento censurato in questa ipotesi è contrassegnato dal rispetto “formale” degli accordi pattizi, ma da un impiego “sostanziale” da parte della banca delle proprie prerogative contrattuali non in buona fede o, quanto meno, non secondo la qualificata diligenza che deve essere utilizzata dal bonus argentarius, concretando comportamenti idonei a creare difficoltà finanziarie (e conseguenti danni) a clienti che meriterebbero, invece, il mantenimento della linea creditoria.
Tra le pronunce più recenti, spicca Cass. 20 dicembre 2020, n. 29317, e di analogo tenore, ex multis, Cass. 14 luglio 2000, n. 9321; 21 maggio 1997, n. 4538; 24 agosto 2016, n. 17291.
A supporto di quanto fin qui illustrato, si consideri altresì il filone esegetico che incasella la concessione del credito nell’ambito della responsabilità da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., da cui derivano, a carico delle parti, reciproci obblighi di correttezza, di buona fede, di protezione e di informazione, giusta, inter alia, gli artt. 1175 e 1375 c.c. (cfr., per tale ricostruzione, quanto statuito in maniera cristallina dalla recentissima Cass. 30 giugno 2021, n. 18610, la quale attinge anche a precedenti pronunce, quali Cass. 12 luglio 2016, n. 14188; Cass. 25 luglio 2018, n. 19775; Cass. SS UU, 28 aprile 2020, n. 8236, nonché Cons. Stato, ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5). Ancora, in merito agli obblighi di condotta in buona fede a cui è tenuto l’intermediario, è significativa Cass. 10 aprile 2015, n. 7181.
Il “contratto sociale”, quindi, può essere definito come un rapporto in cui un soggetto, pur in assenza di un contratto, ma in forza delle sue qualità tecniche e professionali, è gravato di obblighi di protezione verso un altro soggetto, il quale, a sua volta, nutre verso il primo un legittimo affidamento all’osservanza di prescrizioni. Elementi caratterizzanti della figura sono, quindi, l’assenza di specifiche prescrizioni contrattuali, un principio di affidamento e una relazione qualificata idonea a produrre obblighi di protezione. Se ne ricava quindi che la valenza generale del dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede risulta “rafforzata”, più pregnante, laddove tra i consociati si instaurino momenti relazionali socialmente o giuridicamente qualificati, ed in specie ove l'elemento ricorrente, che contribuisce a qualificare il rapporto come fonte di specifici doveri di correttezza, è rappresentato dal peculiare status professionale ricoperto e dall’esigenza di rafforzamento della tutela dei soggetti a rischio, in situazioni in ci il pericolo di lesione di interessi giuridicamente tutelati è elevato. 
In pillole: la banca ha una sorta di “dovere sociale” verso il soggetto cui eroga denaro.
Le disposizioni in materia di composizione negoziata. Su questo terreno generale, riposano poi le indefettibili disposizioni speciali ritagliate per la composizione negoziata.
In tal senso, ci sembra di poter stressare la funzione dell’art. 16, co. 5 che, al contempo, (i) sia impone alla banca – e non ai creditori generici – di partecipare alle trattative in modo attivo ed informativo, (ii) sia dispone che l’accesso all’istituto non costituisce ex se causa di sospensione e revoca degli affidamenti, se non in base alla disciplina di vigilanza prudenziale. 
Ci pare, poi, che l’art. 18, co. 5 – secondo il quale i creditori nei cui confronti operano le misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno all’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza apposita – debba operare in un quadro di reciprocità, quanto a lealtà, buona fede e correttezza, tra debitore e creditore. Ciò, secondo una prospettiva di equilibrio e ragionevolezza, anche a carico del creditore bancario ed anche nell’ambito dei “plafond” (rectius dei contratti) autoliquidanti.
In prima approssimazione, quindi, ci sembra che l’applicazione di questa disposizione debba necessariamente poter coinvolgere il ceto bancario, proprio perché il fine di conservare la continuità dell’impresa rappresenta un valore cardine del codice della crisi, peraltro corroborato, nell’ambito delle misure cautelari, dal parere dell’esperto sulla funzionalità delle misure ad “assicurare il buon esito delle trattative”. Si tratta, ad evidenza, di elementi che ispireranno il Tribunale nel proprio giudizio e, da un punto di vista concreto, dovrebbero confortare le prospettive di recupero dei creditori (rafforzando, indirettamente, la sana e prudente gestione delle banche creditrici), rispetto ad una mancata partecipazione al procedimento di ristrutturazione.
Tale disposizione, quindi, pare rappresentare l’approdo naturale per chiedere anche il supporto del ceto bancario (in coerenza al principio della par condicio tra i creditori), nell’ambito delle linee di affidamento autoliquidanti concesse, rispetto ad altri meccanismi, pur potenzialmente utilizzabili, quali l’applicazione di misure cautelari. Le stesse, in effetti non rappresentano un numerus clausus, un catalogo, ecc., essendo tratteggiate, volta per volta, dalla nascente giurisprudenza. Trattasi, quindi, di perimetro a “geometria variabile”, che può essere immaginato con una certa ampiezza. In ogni caso, si può forse affermare che, anche la giurisprudenza che si è dimostrata favorevole alle stesse con specifico riferimento agli affidamenti bancari (Trib. Parma, 10 luglio 2022, nonché il recentissimo Trib. Verona, 22 gennaio 2024), ha valorizzato il caso concreto, il contesto, non potendo certo assurgere a dogma o buona prassi la sospensione de qua, risultando semmai atipica. Tuttavia, a fronte di un meccanismo tipizzato, che prevede la possibilità di mantenere i rapporti contrattuali in essere a carico dei vari creditori, ci sembra improprio dover attingere all’armamentario delle misure cautelari per coinvolgere anche le banche, in par condicio, con gli altri creditori, nel mantenimento dei rapporti in essere.
Tanto chiarito, per i crediti maturati all’avvio di un meccanismo di gestione della crisi, secondo il dogma della par condicio, in linea di principio i creditori dovrebbero essere trattati nello stesso modo tra loro, pertanto: (i) il fornitore di merce può subire le falcidie o i ritardi di pagamento (salvo legittime prelazioni), (ii) del pari il “fornitore di denaro” può subire le falcidie o i ritardi di pagamento (ancora, salvo legittime prelazioni).
In questo quadro, si riscontra certo una significativa deviazione, ossia la disposizione recata dall’art. 97, co. 14, Codice Crisi, che – in materia di contratti pendenti nel concordato preventivo – ritaglia una disciplina di estremo favore verso la banca, cui è consentito (in estrema sintesi e semplificazione) la riscossione diretta nei confronti dei terzi debitori della parte finanziata. 
Tuttavia, nell’ambito della composizione negoziata non figurano guarentigie di tal tenore a favore dei creditori bancari (e a danno degli altri creditori…); in tal senso, a nostro avviso, in presenza della concessione di misure protettive (i) se insiste un contratto di fornitura, chi eroga il servizio o vende il bene dovrà proseguire nel regolare adempimento delle obbligazioni contrattuali future, (ii) del pari, se è in essere un affidamento autoliquidante, la banca dovrà continuare ad erogare il denaro secondo le pattuizioni contrattuali.
Per l’effetto, stante il quadro generale e soprattutto quello specifico così delineati, a nostro avviso la pronuncia oggetto di commento il Tribunale di Padova ha operato una corretta ed equilibrata applicazione dei predetti principi.
Renato Bogoni – Emanuele Artuso
Paolo Rinaldi, Partner & Managing Director AlixPartners

16 Febbraio 2024 10:58

Le considerazioni che precedono si rivelano particolarmente penetranti e foriere di molteplici ed eterogenei spunti di riflessione, con toni che esprimono le diverse sensibilità professionali verso un tema (id est, quello della qualificazione dei c.d. “autoliquidanti” ed il loro trattamento in seno alla composizione negoziata) da ritenersi cruciale, in quanto coinvolge i principali attori della crisi, ossia il debitore, i creditori finanziari ed il Tribunale. 

Qualche premessa. Nell’affrontare la questione, convengono alcune precisazioni di base.
La prima: il credito autoliquidante, pur latore di caratteristiche peculiarissime ed essendo principalmente connotato dalla “flessibilità”, deve comunque ascriversi al novero dei “finanziamenti”. In concreto, quindi, con l’affidamento “autoliquidante” la banca si assume l’impegno di erogare finanza, all’interno di un certo plafond, a fronte della presentazione di “carta commerciale”.
La seconda: va identificato il contesto ordinamentale e normativo di riferimento.
In ciò, si deve considerare che l’art. 19, Codice Crisi, prevede, con riguardo alle misure protettive e cautelari, un ruolo centrale da parte del Tribunale, in quanto la decisione viene assunta ad esito di un procedimento celebrato sul principio del contraddittorio, per quanto “essenziale”. 
Infatti (i) vengono sentite le parti, (ii) l’esperto esprime il proprio parere e, (iii) se occorre, viene nominato un ausiliario, (iv) oltre che possono essere ottenute informazioni dai creditori e (v) possono essere sentiti i terzi, laddove le misure possano incidere sui loro diritti. 
Ex art. 19, co. 4, par quindi di poter scorgere una natura “polifonica” del procedimento, governato sotto l’egida attiva e “di sintesi” del Tribunale, ad esito del quale la composizione viene individuata quale strumento idoneo a superare la crisi e garantire la continuità d’impresa.
Movendo da qui, la presenza di normativa, anche di carattere Unionale, che regolamenta il credito e la stabilità del mercato (in ragione dell’obbligo di sana e prudente gestione) non pare riservare maggiori tutele alle banche, quanto, piuttosto, pare porre maggiori oneri a loro carico, dovendosi uniformare agli obblighi del bonus argentarius.
Come segue.
Uno sguardo alla giurisprudenza, tra bonus argentarius e contratto sociale. Questo aspetto è invero assai trattato dalla giurisprudenza, anche di legittimità, e su ciò conviene soffermarsi. Infatti, l’attività bancaria, con riferimento tanto alle contrattazioni volte all’accesso ed all’esercizio del credito ed alla raccolta del risparmio, quanto, più in generale, ad ogni tipologia di atto o di operazione posta in essere, richiede un grado di diligenza “qualificato” (quella, appunto, del c.d. bonus argentarius, perimetrato nell’ambito del principio normativo di cui all’art. 1176 c.c.); ciò, stante l’alto grado di professionalità dei soggetti agenti. 
Perciò, l’ordinamento appresta guarentigie particolari, erette su un peculiare sistema di autorizzazioni, di vigilanza e di trasparenza, in uno con un articolato e stringente assetto sanzionatorio: insomma, la funzione economico-sociale dell’attività bancaria impone una stretta riserva di operatività, presidiata anche da norme di carattere penale. 
L’esigenza di un alto grado di prudenza e di attenzione trova giustificazione nell’interesse pubblicistico sotteso: oltre alla Costituzione, il T.U.B., e poi il Codice Civile e quello Penale, integrano le fondamenta normative, su cui si innesta l’attività della Banca d’Italia. 
Di questo substrato sostanziale, procedurale e sanzionatorio fornisce un indefettibile apporto esegetico la giurisprudenza. Infatti, la Corte di Cassazione (ad esempio con le sentenze 15 aprile 1992, n. 4571; 8 gennaio 1997, n. 72; 27 settembre 2001, n. 12093), ha statuito il principio secondo cui il comportamento della banca deve essere giudicato in modo più rigoroso e specifico rispetto ad un soggetto “ordinario”, richiedendo un grado elevato di diligenza necessario per evitare il verificarsi di eventi dannosi per la clientela. 
In questo ambito va valutato il comportamento delle banche nella concessione, nella gestione del rapporto di credito e, in particolare, nel momento in cui questo sia oggetto di interruzione. Di particolare rilievo, in proposito, risultano i principi enunciati in merito alla c.d. “rottura brutale” del credito, che è integrata dall’arbitraria decisione della banca di negare al cliente la concessione o la prosecuzione del credito concesso, e di imporre alla controparte il rientro repentino dalla propria esposizione debitoria: trattasi di una condotta che, oltre a danneggiare direttamente la propria controparte contrattuale, potrebbe diventare la causa stessa del suo dissesto. 
Talvolta, infatti, la prassi bancaria ha registrato comportamenti illegittimi ed arbitrari, tali da esporre l’affidato ad evidenti pregiudizi, costringendolo ad una improvvisa e repentina crisi di liquidità e, conseguentemente, all’insolvenza. 
Si noti che il comportamento censurato in questa ipotesi è contrassegnato dal rispetto “formale” degli accordi pattizi, ma da un impiego “sostanziale” da parte della banca delle proprie prerogative contrattuali non in buona fede o, quanto meno, non secondo la qualificata diligenza che deve essere utilizzata dal bonus argentarius, concretando comportamenti idonei a creare difficoltà finanziarie (e conseguenti danni) a clienti che meriterebbero, invece, il mantenimento della linea creditoria.
Tra le pronunce più recenti, spicca Cass. 20 dicembre 2020, n. 29317, e di analogo tenore, ex multis, Cass. 14 luglio 2000, n. 9321; 21 maggio 1997, n. 4538; 24 agosto 2016, n. 17291.
A supporto di quanto fin qui illustrato, si consideri altresì il filone esegetico che incasella la concessione del credito nell’ambito della responsabilità da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., da cui derivano, a carico delle parti, reciproci obblighi di correttezza, di buona fede, di protezione e di informazione, giusta, inter alia, gli artt. 1175 e 1375 c.c. (cfr., per tale ricostruzione, quanto statuito in maniera cristallina dalla recentissima Cass. 30 giugno 2021, n. 18610, la quale attinge anche a precedenti pronunce, quali Cass. 12 luglio 2016, n. 14188; Cass. 25 luglio 2018, n. 19775; Cass. SS UU, 28 aprile 2020, n. 8236, nonché Cons. Stato, ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5). Ancora, in merito agli obblighi di condotta in buona fede a cui è tenuto l’intermediario, è significativa Cass. 10 aprile 2015, n. 7181.
Il “contratto sociale”, quindi, può essere definito come un rapporto in cui un soggetto, pur in assenza di un contratto, ma in forza delle sue qualità tecniche e professionali, è gravato di obblighi di protezione verso un altro soggetto, il quale, a sua volta, nutre verso il primo un legittimo affidamento all’osservanza di prescrizioni. Elementi caratterizzanti della figura sono, quindi, l’assenza di specifiche prescrizioni contrattuali, un principio di affidamento e una relazione qualificata idonea a produrre obblighi di protezione. Se ne ricava quindi che la valenza generale del dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede risulta “rafforzata”, più pregnante, laddove tra i consociati si instaurino momenti relazionali socialmente o giuridicamente qualificati, ed in specie ove l'elemento ricorrente, che contribuisce a qualificare il rapporto come fonte di specifici doveri di correttezza, è rappresentato dal peculiare status professionale ricoperto e dall’esigenza di rafforzamento della tutela dei soggetti a rischio, in situazioni in ci il pericolo di lesione di interessi giuridicamente tutelati è elevato. 
In pillole: la banca ha una sorta di “dovere sociale” verso il soggetto cui eroga denaro.
Le disposizioni in materia di composizione negoziata. Su questo terreno generale, riposano poi le indefettibili disposizioni speciali ritagliate per la composizione negoziata.
In tal senso, ci sembra di poter stressare la funzione dell’art. 16, co. 5 che, al contempo, (i) sia impone alla banca – e non ai creditori generici – di partecipare alle trattative in modo attivo ed informativo, (ii) sia dispone che l’accesso all’istituto non costituisce ex se causa di sospensione e revoca degli affidamenti, se non in base alla disciplina di vigilanza prudenziale. 
Ci pare, poi, che l’art. 18, co. 5 – secondo il quale i creditori nei cui confronti operano le misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno all’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza apposita – debba operare in un quadro di reciprocità, quanto a lealtà, buona fede e correttezza, tra debitore e creditore. Ciò, secondo una prospettiva di equilibrio e ragionevolezza, anche a carico del creditore bancario ed anche nell’ambito dei “plafond” (rectius dei contratti) autoliquidanti.
In prima approssimazione, quindi, ci sembra che l’applicazione di questa disposizione debba necessariamente poter coinvolgere il ceto bancario, proprio perché il fine di conservare la continuità dell’impresa rappresenta un valore cardine del codice della crisi, peraltro corroborato, nell’ambito delle misure cautelari, dal parere dell’esperto sulla funzionalità delle misure ad “assicurare il buon esito delle trattative”. Si tratta, ad evidenza, di elementi che ispireranno il Tribunale nel proprio giudizio e, da un punto di vista concreto, dovrebbero confortare le prospettive di recupero dei creditori (rafforzando, indirettamente, la sana e prudente gestione delle banche creditrici), rispetto ad una mancata partecipazione al procedimento di ristrutturazione.
Tale disposizione, quindi, pare rappresentare l’approdo naturale per chiedere anche il supporto del ceto bancario (in coerenza al principio della par condicio tra i creditori), nell’ambito delle linee di affidamento autoliquidanti concesse, rispetto ad altri meccanismi, pur potenzialmente utilizzabili, quali l’applicazione di misure cautelari. Le stesse, in effetti non rappresentano un numerus clausus, un catalogo, ecc., essendo tratteggiate, volta per volta, dalla nascente giurisprudenza. Trattasi, quindi, di perimetro a “geometria variabile”, che può essere immaginato con una certa ampiezza. In ogni caso, si può forse affermare che, anche la giurisprudenza che si è dimostrata favorevole alle stesse con specifico riferimento agli affidamenti bancari (Trib. Parma, 10 luglio 2022, nonché il recentissimo Trib. Verona, 22 gennaio 2024), ha valorizzato il caso concreto, il contesto, non potendo certo assurgere a dogma o buona prassi la sospensione de qua, risultando semmai atipica. Tuttavia, a fronte di un meccanismo tipizzato, che prevede la possibilità di mantenere i rapporti contrattuali in essere a carico dei vari creditori, ci sembra improprio dover attingere all’armamentario delle misure cautelari per coinvolgere anche le banche, in par condicio, con gli altri creditori, nel mantenimento dei rapporti in essere.
Tanto chiarito, per i crediti maturati all’avvio di un meccanismo di gestione della crisi, secondo il dogma della par condicio, in linea di principio i creditori dovrebbero essere trattati nello stesso modo tra loro, pertanto: (i) il fornitore di merce può subire le falcidie o i ritardi di pagamento (salvo legittime prelazioni), (ii) del pari il “fornitore di denaro” può subire le falcidie o i ritardi di pagamento (ancora, salvo legittime prelazioni).
In questo quadro, si riscontra certo una significativa deviazione, ossia la disposizione recata dall’art. 97, co. 14, Codice Crisi, che – in materia di contratti pendenti nel concordato preventivo – ritaglia una disciplina di estremo favore verso la banca, cui è consentito (in estrema sintesi e semplificazione) la riscossione diretta nei confronti dei terzi debitori della parte finanziata. 
Tuttavia, nell’ambito della composizione negoziata non figurano guarentigie di tal tenore a favore dei creditori bancari (e a danno degli altri creditori…); in tal senso, a nostro avviso, in presenza della concessione di misure protettive (i) se insiste un contratto di fornitura, chi eroga il servizio o vende il bene dovrà proseguire nel regolare adempimento delle obbligazioni contrattuali future, (ii) del pari, se è in essere un affidamento autoliquidante, la banca dovrà continuare ad erogare il denaro secondo le pattuizioni contrattuali.
Per l’effetto, stante il quadro generale e soprattutto quello specifico così delineati, a nostro avviso la pronuncia oggetto di commento il Tribunale di Padova ha operato una corretta ed equilibrata applicazione dei predetti principi.
Renato Bogoni – Emanuele Artuso
Intervengo brevemente con i miei 2 cents su un argomento che merita ben più spazio di queste poche righe.
Mi pare che nella disamina dell'accesso al credito non sia stato dato uno spazio adeguato riguardo la valutazione sulla sussistenza di concreti presupposti di risanabilità che deve essere condotta da parte del singolo istituto.
Laddove il risanamento si ottenga infatti solo grazie alla adesione del ceto bancario ad una manovra che possa prevedere - ad esempio - moratoria, conversione, stralcio, e qualora la manovra proposta dal debitore ai creditori finanziari sia ritenuta non condivisibile da questi ultimi, pare difficile ritenere risanabile la crisi.
Se la banca non approverebbe la proposta del debitore, e dunque - consequenzialmente - dovesse ipotizzare, allo stato, la non risanabilità dell'impresa, ben farebbe a non erogare, conformemente a quanto peraltro prevedono le istruzioni di vigilanza. Questo anche in presenza di misure protettive, che nulla possono riguardo alla protezione della banca dalle conseguenze che inevitabilmente essa potrebbe dover  affrontare in un successivo dissesto per aver erogato credito in mancanza dei relativi presupposti.
Manca infatti un coordinamento tra l'art. 24 e l'art. 18, che non viene richiamato dal primo (il quale allo stato fa salvi i soli finanziamenti prededucibili, non quelli astrattamente enforced dal medesimo tribunale in sede civile ex art. 18).
C'è spesso poca attenzione riguardo alla adeguatezza della manovra rispetto alla debitoria e alla cash capacity del debitore. 
Una composizione negoziata che in via prospettica non trovi l'adesione dei creditori difficilmente potrà peraltro essere difesa dall'esperto in sede di udienza di conferma delle misure protettive, posto che l'esperto si avveda di queste circostanze dirimenti in tema di consenso degli intermediari rispetto a qualunque apparato contrattuale proposto dal debitore. Il Tribunale, infatti, dovrà valutare la capacità di consenso della manovra rispetto ai creditori, non solo il Piano e le alternative concretamente disponibili.
Giovanni La Croce, dottore commercialista

16 Febbraio 2024 19:09

Le considerazioni che precedono si rivelano particolarmente penetranti e foriere di molteplici ed eterogenei spunti di riflessione, con toni che esprimono le diverse sensibilità professionali verso un tema (id est, quello della qualificazione dei c.d. “autoliquidanti” ed il loro trattamento in seno alla composizione negoziata) da ritenersi cruciale, in quanto coinvolge i principali attori della crisi, ossia il debitore, i creditori finanziari ed il Tribunale. 

Qualche premessa. Nell’affrontare la questione, convengono alcune precisazioni di base.
La prima: il credito autoliquidante, pur latore di caratteristiche peculiarissime ed essendo principalmente connotato dalla “flessibilità”, deve comunque ascriversi al novero dei “finanziamenti”. In concreto, quindi, con l’affidamento “autoliquidante” la banca si assume l’impegno di erogare finanza, all’interno di un certo plafond, a fronte della presentazione di “carta commerciale”.
La seconda: va identificato il contesto ordinamentale e normativo di riferimento.
In ciò, si deve considerare che l’art. 19, Codice Crisi, prevede, con riguardo alle misure protettive e cautelari, un ruolo centrale da parte del Tribunale, in quanto la decisione viene assunta ad esito di un procedimento celebrato sul principio del contraddittorio, per quanto “essenziale”. 
Infatti (i) vengono sentite le parti, (ii) l’esperto esprime il proprio parere e, (iii) se occorre, viene nominato un ausiliario, (iv) oltre che possono essere ottenute informazioni dai creditori e (v) possono essere sentiti i terzi, laddove le misure possano incidere sui loro diritti. 
Ex art. 19, co. 4, par quindi di poter scorgere una natura “polifonica” del procedimento, governato sotto l’egida attiva e “di sintesi” del Tribunale, ad esito del quale la composizione viene individuata quale strumento idoneo a superare la crisi e garantire la continuità d’impresa.
Movendo da qui, la presenza di normativa, anche di carattere Unionale, che regolamenta il credito e la stabilità del mercato (in ragione dell’obbligo di sana e prudente gestione) non pare riservare maggiori tutele alle banche, quanto, piuttosto, pare porre maggiori oneri a loro carico, dovendosi uniformare agli obblighi del bonus argentarius.
Come segue.
Uno sguardo alla giurisprudenza, tra bonus argentarius e contratto sociale. Questo aspetto è invero assai trattato dalla giurisprudenza, anche di legittimità, e su ciò conviene soffermarsi. Infatti, l’attività bancaria, con riferimento tanto alle contrattazioni volte all’accesso ed all’esercizio del credito ed alla raccolta del risparmio, quanto, più in generale, ad ogni tipologia di atto o di operazione posta in essere, richiede un grado di diligenza “qualificato” (quella, appunto, del c.d. bonus argentarius, perimetrato nell’ambito del principio normativo di cui all’art. 1176 c.c.); ciò, stante l’alto grado di professionalità dei soggetti agenti. 
Perciò, l’ordinamento appresta guarentigie particolari, erette su un peculiare sistema di autorizzazioni, di vigilanza e di trasparenza, in uno con un articolato e stringente assetto sanzionatorio: insomma, la funzione economico-sociale dell’attività bancaria impone una stretta riserva di operatività, presidiata anche da norme di carattere penale. 
L’esigenza di un alto grado di prudenza e di attenzione trova giustificazione nell’interesse pubblicistico sotteso: oltre alla Costituzione, il T.U.B., e poi il Codice Civile e quello Penale, integrano le fondamenta normative, su cui si innesta l’attività della Banca d’Italia. 
Di questo substrato sostanziale, procedurale e sanzionatorio fornisce un indefettibile apporto esegetico la giurisprudenza. Infatti, la Corte di Cassazione (ad esempio con le sentenze 15 aprile 1992, n. 4571; 8 gennaio 1997, n. 72; 27 settembre 2001, n. 12093), ha statuito il principio secondo cui il comportamento della banca deve essere giudicato in modo più rigoroso e specifico rispetto ad un soggetto “ordinario”, richiedendo un grado elevato di diligenza necessario per evitare il verificarsi di eventi dannosi per la clientela. 
In questo ambito va valutato il comportamento delle banche nella concessione, nella gestione del rapporto di credito e, in particolare, nel momento in cui questo sia oggetto di interruzione. Di particolare rilievo, in proposito, risultano i principi enunciati in merito alla c.d. “rottura brutale” del credito, che è integrata dall’arbitraria decisione della banca di negare al cliente la concessione o la prosecuzione del credito concesso, e di imporre alla controparte il rientro repentino dalla propria esposizione debitoria: trattasi di una condotta che, oltre a danneggiare direttamente la propria controparte contrattuale, potrebbe diventare la causa stessa del suo dissesto. 
Talvolta, infatti, la prassi bancaria ha registrato comportamenti illegittimi ed arbitrari, tali da esporre l’affidato ad evidenti pregiudizi, costringendolo ad una improvvisa e repentina crisi di liquidità e, conseguentemente, all’insolvenza. 
Si noti che il comportamento censurato in questa ipotesi è contrassegnato dal rispetto “formale” degli accordi pattizi, ma da un impiego “sostanziale” da parte della banca delle proprie prerogative contrattuali non in buona fede o, quanto meno, non secondo la qualificata diligenza che deve essere utilizzata dal bonus argentarius, concretando comportamenti idonei a creare difficoltà finanziarie (e conseguenti danni) a clienti che meriterebbero, invece, il mantenimento della linea creditoria.
Tra le pronunce più recenti, spicca Cass. 20 dicembre 2020, n. 29317, e di analogo tenore, ex multis, Cass. 14 luglio 2000, n. 9321; 21 maggio 1997, n. 4538; 24 agosto 2016, n. 17291.
A supporto di quanto fin qui illustrato, si consideri altresì il filone esegetico che incasella la concessione del credito nell’ambito della responsabilità da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., da cui derivano, a carico delle parti, reciproci obblighi di correttezza, di buona fede, di protezione e di informazione, giusta, inter alia, gli artt. 1175 e 1375 c.c. (cfr., per tale ricostruzione, quanto statuito in maniera cristallina dalla recentissima Cass. 30 giugno 2021, n. 18610, la quale attinge anche a precedenti pronunce, quali Cass. 12 luglio 2016, n. 14188; Cass. 25 luglio 2018, n. 19775; Cass. SS UU, 28 aprile 2020, n. 8236, nonché Cons. Stato, ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5). Ancora, in merito agli obblighi di condotta in buona fede a cui è tenuto l’intermediario, è significativa Cass. 10 aprile 2015, n. 7181.
Il “contratto sociale”, quindi, può essere definito come un rapporto in cui un soggetto, pur in assenza di un contratto, ma in forza delle sue qualità tecniche e professionali, è gravato di obblighi di protezione verso un altro soggetto, il quale, a sua volta, nutre verso il primo un legittimo affidamento all’osservanza di prescrizioni. Elementi caratterizzanti della figura sono, quindi, l’assenza di specifiche prescrizioni contrattuali, un principio di affidamento e una relazione qualificata idonea a produrre obblighi di protezione. Se ne ricava quindi che la valenza generale del dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede risulta “rafforzata”, più pregnante, laddove tra i consociati si instaurino momenti relazionali socialmente o giuridicamente qualificati, ed in specie ove l'elemento ricorrente, che contribuisce a qualificare il rapporto come fonte di specifici doveri di correttezza, è rappresentato dal peculiare status professionale ricoperto e dall’esigenza di rafforzamento della tutela dei soggetti a rischio, in situazioni in ci il pericolo di lesione di interessi giuridicamente tutelati è elevato. 
In pillole: la banca ha una sorta di “dovere sociale” verso il soggetto cui eroga denaro.
Le disposizioni in materia di composizione negoziata. Su questo terreno generale, riposano poi le indefettibili disposizioni speciali ritagliate per la composizione negoziata.
In tal senso, ci sembra di poter stressare la funzione dell’art. 16, co. 5 che, al contempo, (i) sia impone alla banca – e non ai creditori generici – di partecipare alle trattative in modo attivo ed informativo, (ii) sia dispone che l’accesso all’istituto non costituisce ex se causa di sospensione e revoca degli affidamenti, se non in base alla disciplina di vigilanza prudenziale. 
Ci pare, poi, che l’art. 18, co. 5 – secondo il quale i creditori nei cui confronti operano le misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno all’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza apposita – debba operare in un quadro di reciprocità, quanto a lealtà, buona fede e correttezza, tra debitore e creditore. Ciò, secondo una prospettiva di equilibrio e ragionevolezza, anche a carico del creditore bancario ed anche nell’ambito dei “plafond” (rectius dei contratti) autoliquidanti.
In prima approssimazione, quindi, ci sembra che l’applicazione di questa disposizione debba necessariamente poter coinvolgere il ceto bancario, proprio perché il fine di conservare la continuità dell’impresa rappresenta un valore cardine del codice della crisi, peraltro corroborato, nell’ambito delle misure cautelari, dal parere dell’esperto sulla funzionalità delle misure ad “assicurare il buon esito delle trattative”. Si tratta, ad evidenza, di elementi che ispireranno il Tribunale nel proprio giudizio e, da un punto di vista concreto, dovrebbero confortare le prospettive di recupero dei creditori (rafforzando, indirettamente, la sana e prudente gestione delle banche creditrici), rispetto ad una mancata partecipazione al procedimento di ristrutturazione.
Tale disposizione, quindi, pare rappresentare l’approdo naturale per chiedere anche il supporto del ceto bancario (in coerenza al principio della par condicio tra i creditori), nell’ambito delle linee di affidamento autoliquidanti concesse, rispetto ad altri meccanismi, pur potenzialmente utilizzabili, quali l’applicazione di misure cautelari. Le stesse, in effetti non rappresentano un numerus clausus, un catalogo, ecc., essendo tratteggiate, volta per volta, dalla nascente giurisprudenza. Trattasi, quindi, di perimetro a “geometria variabile”, che può essere immaginato con una certa ampiezza. In ogni caso, si può forse affermare che, anche la giurisprudenza che si è dimostrata favorevole alle stesse con specifico riferimento agli affidamenti bancari (Trib. Parma, 10 luglio 2022, nonché il recentissimo Trib. Verona, 22 gennaio 2024), ha valorizzato il caso concreto, il contesto, non potendo certo assurgere a dogma o buona prassi la sospensione de qua, risultando semmai atipica. Tuttavia, a fronte di un meccanismo tipizzato, che prevede la possibilità di mantenere i rapporti contrattuali in essere a carico dei vari creditori, ci sembra improprio dover attingere all’armamentario delle misure cautelari per coinvolgere anche le banche, in par condicio, con gli altri creditori, nel mantenimento dei rapporti in essere.
Tanto chiarito, per i crediti maturati all’avvio di un meccanismo di gestione della crisi, secondo il dogma della par condicio, in linea di principio i creditori dovrebbero essere trattati nello stesso modo tra loro, pertanto: (i) il fornitore di merce può subire le falcidie o i ritardi di pagamento (salvo legittime prelazioni), (ii) del pari il “fornitore di denaro” può subire le falcidie o i ritardi di pagamento (ancora, salvo legittime prelazioni).
In questo quadro, si riscontra certo una significativa deviazione, ossia la disposizione recata dall’art. 97, co. 14, Codice Crisi, che – in materia di contratti pendenti nel concordato preventivo – ritaglia una disciplina di estremo favore verso la banca, cui è consentito (in estrema sintesi e semplificazione) la riscossione diretta nei confronti dei terzi debitori della parte finanziata. 
Tuttavia, nell’ambito della composizione negoziata non figurano guarentigie di tal tenore a favore dei creditori bancari (e a danno degli altri creditori…); in tal senso, a nostro avviso, in presenza della concessione di misure protettive (i) se insiste un contratto di fornitura, chi eroga il servizio o vende il bene dovrà proseguire nel regolare adempimento delle obbligazioni contrattuali future, (ii) del pari, se è in essere un affidamento autoliquidante, la banca dovrà continuare ad erogare il denaro secondo le pattuizioni contrattuali.
Per l’effetto, stante il quadro generale e soprattutto quello specifico così delineati, a nostro avviso la pronuncia oggetto di commento il Tribunale di Padova ha operato una corretta ed equilibrata applicazione dei predetti principi.
Renato Bogoni – Emanuele Artuso
Prendo a spunto l'intervento di Paolo Rinaldi che superando, da buon emiliano, l'astrattezza del dibattito lo ha chiuso (siam mica qui a pettinare le bambole), per aggiungere una semplice osservazione sull'assetto normativo.

Se la disposizione del 5 comma dell'art. 16, in tema di facoltà/obbligo di revoca degli affidamenti in forza della necessità di rispettare i dettami della disciplina di vigilanza prudenziale, fosse neutralizzabile da parte del debitore semplicemente ricorrendo alle misure protettive generiche di cui all'art. 18, per via del disposto del suo 5 comma, verrebbe meno l'obbligo per la banca di rispettare le regole di vigilanza.

In soldoni, ben più dei due cent di Paolo Rinaldi, l'art. 18 supererebbe l'imperatività delle regole della vigilanza bancaria, proprio laddove l'argentarius dovrebbe essere più vigile. Un ossimoro!

Che si debba ricorrere alle, più eccezionali - in quanto prive di qualsiasi automatismo - misure cautelari lo spiega la circostanza che la discussione avanti al giudice dovrà avere ad oggetto se la banca abbia meno informato la propria decisione alle regole di vigilanza, potendo il giudice imporre alla medesima di continuare a erogare credito solo se le nuove erogazioni rispettassero tali regole .

Ma ve lo immaginate un giudice che, concedendo le misure protettive - se questo fosse, ma non lo è (tali misure ex 1° co. art. 16,  proteggono solo il patrimonio), l'ambito delle medesime - impone alla banca di violare le regole di vigilanza?

La misura cautelare, invece, colpirebbe il comportamento della banca tenuto in violazione di tali regole.

Chiudo con un aforismo: "Bonum argentarium est, si legem BCE observat".
Angelo Galizzi, dottore commercialista in Bergamo

16 Febbraio 2024 22:37

Prendo a spunto l'intervento di Paolo Rinaldi che superando, da buon emiliano, l'astrattezza del dibattito lo ha chiuso (siam mica qui a pettinare le bambole), per aggiungere una semplice osservazione sull'assetto normativo.

Se la disposizione del 5 comma dell'art. 16, in tema di facoltà/obbligo di revoca degli affidamenti in forza della necessità di rispettare i dettami della disciplina di vigilanza prudenziale, fosse neutralizzabile da parte del debitore semplicemente ricorrendo alle misure protettive generiche di cui all'art. 18, per via del disposto del suo 5 comma, verrebbe meno l'obbligo per la banca di rispettare le regole di vigilanza.

In soldoni, ben più dei due cent di Paolo Rinaldi, l'art. 18 supererebbe l'imperatività delle regole della vigilanza bancaria, proprio laddove l'argentarius dovrebbe essere più vigile. Un ossimoro!

Che si debba ricorrere alle, più eccezionali - in quanto prive di qualsiasi automatismo - misure cautelari lo spiega la circostanza che la discussione avanti al giudice dovrà avere ad oggetto se la banca abbia meno informato la propria decisione alle regole di vigilanza, potendo il giudice imporre alla medesima di continuare a erogare credito solo se le nuove erogazioni rispettassero tali regole .

Ma ve lo immaginate un giudice che, concedendo le misure protettive - se questo fosse, ma non lo è (tali misure ex 1° co. art. 16,  proteggono solo il patrimonio), l'ambito delle medesime - impone alla banca di violare le regole di vigilanza?

La misura cautelare, invece, colpirebbe il comportamento della banca tenuto in violazione di tali regole.

Chiudo con un aforismo: "Bonum argentarium est, si legem BCE observat".
Beh, l’oggettività dei commenti di PR e GLC non lascia spazio ad ulteriori, reiterate, considerazioni (che fanno leva su un articolato che si presta a fraintendimenti unicamente per coloro che trovano comodo coglierne le pieghe solo in una determinata direzione -  laddove appare inconfutabile l’equivalenza della finanza in progress con quella ex nunc, sancita dalla Cassazione con la sent. 18610/21 -).
Vorrei vedere se coloro che insistono affinché la  banca debba erogare  a prescindere, per il sol fatto dell’accesso alla CN di un’impresa con risibili prospettive di risanabilità (quanto sostiene l’esperto - spesso non all’altezza -  a beneficio del giudice per una corretta valutazione circa la concessione delle misure protettive non è vangelo!) fossero risparmiatori che affidano i loro denari alla banca costretta ad erogare…..
Per concludere, mi pare pretestuoso insistere sull’equivoco derivante da un articolato solo in apparente contraddizione e cronologicamente mal posto. 

Artuso Emanuele Bogoni Renato, Dottori Commercialisti in Padova

19 Febbraio 2024 15:46

L’approfondito dibattito promosso dagli amici e colleghi conferma la vivacità e magmaticità del tema.
Proviamo ora ad aggiungere qualche ulteriore considerazione, procedendo telegraficamente per punti, proprio cogliendo i numerosi elementi offerti negli interventi precedenti.
In primo luogo, ci pare possa affermarsi una sorta di “bilanciata simmetria”, ossia che, se la normativa in tema di tutela del patrimonio non risulta superabile con le misure protettive, non dovrebbe esserlo neppure con le misure cautelari. Su questo specifico aspetto non entriamo ora, tuttavia rileviamo solo che già diversi Tribunali si sono espressi a favore dell’applicabilità di uno o dell’altra misura (e anche autorevolmente il dottor La Croce). In altri termini, il potere o c’è o non c’è, non potendo ragionevolmente valere solo in un senso (misure cautelari) ma non nell’altro (misure protettive).
Un tale assetto pare quindi combinarsi, integrarsi, non cozzare con prescrizioni sovranazionali.
In secondo luogo: va messo il focus sul fatto che la composizione negoziata, negli intendimenti del Legislatore, costituisce strumento approntato a beneficio di imprese in pre-crisi ed imprese in crisi (si ritiene, peraltro, che la stessa possa essere estesa alle imprese in insolvenza “reversibile”, concetto delicatissimo e scivoloso su cui ora non è possibile entrare, perché porterebbe in parte “fuori tema” ed in ogni caso darebbe il via ad altre pluralità di opinioni tra chi ritiene tale estensione corretta e chi no…). 
Quale “mantra” dell’istituto, ad ogni buon conto, vi è che l’applicazione virtuosa della composizione negoziata dovrebbe riguardare imprese concretamente risanabili, in una effettiva e genuina prospettiva di riorganizzazione. 
Non dobbiamo farci influenzare dall’utilizzo distorto dell’istituto (purtroppo, sino ad ora non infrequentemente impiegato in molti casi di decozione): l’intervento del Tribunale, d’altro canto, serve proprio ad escludere dalle misure protettive procedimenti non meritevoli!
Su questo punto merita indugiare: nel procedimento vi è l’intervento del Giudice, con provvedimento emesso ad esito di un contraddittorio canonizzato ex lege, avvalendosi del supporto di documentazione e di pareri (quello dell’esperto e, se ritenuto necessario, dell’ausiliario) che certifica l’opportunità di accordare le misure protettive. A fronte di questa pluralità, eterogeneità e comunque autorevolezza di partecipazione, sembra ragionevole escludere che, necessariamente, la prosecuzione dell’attività dell’impresa possa rivelarsi maggiormente dannosa (almeno da quanto si può prevedere ex ante) per la banca, rispetto ad un’interruzione del supporto finanziario, che potrebbe portare, in molti casi, proprio al default del progetto, con le prevedibili conseguenze negative per tutti i creditori. 
Proprio qui si innesta un tassello fondamentale, in punto di “procedimento polifonico”: si noti bene che nel contraddittorio la banca potrà e dovrà far valere i propri eventuali dubbi sui possibili effetti delle misure e della procedura verso la patrimonialità della banca, in modo che il giudice possa assumere le sue determinazioni anche considerando. e ponderando, tale aspetto. 
D’altro canto, a nostro avviso, il Legislatore ha voluto scongiurare – proprio perché già verificatosi in passato – il seguente fenomeno patologico: fino a pochi istanti prima le banche affidano tranquillamente (talvolta… distrattamente!) l’impresa; poi, proprio nel momento in cui si avvia il procedimento virtuoso di riorganizzazione, c’è l’abbandono da parte di alcuni creditori finanziari. Quante volte, nell’esperienza professionale, abbiamo visto le banche minori o anche non minori (alcune banche tendono, purtroppo, ad adottare comportamenti opportunistici in modo apodittico) che lasciavano strumentalmente il tavolo, contando sugli altri creditori che dovevano farsi carico anche dei loro comportamenti non di buona fede? Appare quindi pernicioso e contrario alla ratio legis l’automatismo “composizione negoziata à revoca degli affidamenti” per un asserito ossequio alle disposizioni di vigilanza prudenziale.
D’altro canto, in base alla norma, i pregressi inadempimenti non potranno giustificare risoluzioni o sospensioni: i fornitori con contratti di somministrazione dovranno continuare a fornire; i fornitori che hanno contratti di fornitura aperti dovranno continuare a fornire; i professionisti con contratti di durata dovranno continuare a prestare la propria attività… forse che le banche costituiscono creditori “diversi”? Ma non sarebbe questa una inaccettabile ed ingiustificata alterazione della par condicio?
Piuttosto, va rilevato che proprio grazie a questa continuità, l’impresa potrà portare avanti il proprio progetto di risanamento. Le banche non possono non essere coinvolte nella continuità “di fornitura” per i contratti pendenti (come ora individuati anche dall’art. 97, co. 14, Codice Crisi) perché: (i) se tutti gli altri creditori continuano a fornire, ma le banche risolvono opportunisticamente, ciò potrebbe generare una carenza nel ciclo finanziario che da solo potrebbe far saltare il progetto, (ii) non si vede come solo le banche, in violazione di un comportamento di buona fede che deve accomunare tutti i creditori, in par condicio, possano abbandonare il tavolo.
Paolo Rinaldi, Partner & Managing Director AlixPartners

20 Febbraio 2024 8:19

L’approfondito dibattito promosso dagli amici e colleghi conferma la vivacità e magmaticità del tema.
Proviamo ora ad aggiungere qualche ulteriore considerazione, procedendo telegraficamente per punti, proprio cogliendo i numerosi elementi offerti negli interventi precedenti.
In primo luogo, ci pare possa affermarsi una sorta di “bilanciata simmetria”, ossia che, se la normativa in tema di tutela del patrimonio non risulta superabile con le misure protettive, non dovrebbe esserlo neppure con le misure cautelari. Su questo specifico aspetto non entriamo ora, tuttavia rileviamo solo che già diversi Tribunali si sono espressi a favore dell’applicabilità di uno o dell’altra misura (e anche autorevolmente il dottor La Croce). In altri termini, il potere o c’è o non c’è, non potendo ragionevolmente valere solo in un senso (misure cautelari) ma non nell’altro (misure protettive).
Un tale assetto pare quindi combinarsi, integrarsi, non cozzare con prescrizioni sovranazionali.
In secondo luogo: va messo il focus sul fatto che la composizione negoziata, negli intendimenti del Legislatore, costituisce strumento approntato a beneficio di imprese in pre-crisi ed imprese in crisi (si ritiene, peraltro, che la stessa possa essere estesa alle imprese in insolvenza “reversibile”, concetto delicatissimo e scivoloso su cui ora non è possibile entrare, perché porterebbe in parte “fuori tema” ed in ogni caso darebbe il via ad altre pluralità di opinioni tra chi ritiene tale estensione corretta e chi no…). 
Quale “mantra” dell’istituto, ad ogni buon conto, vi è che l’applicazione virtuosa della composizione negoziata dovrebbe riguardare imprese concretamente risanabili, in una effettiva e genuina prospettiva di riorganizzazione. 
Non dobbiamo farci influenzare dall’utilizzo distorto dell’istituto (purtroppo, sino ad ora non infrequentemente impiegato in molti casi di decozione): l’intervento del Tribunale, d’altro canto, serve proprio ad escludere dalle misure protettive procedimenti non meritevoli!
Su questo punto merita indugiare: nel procedimento vi è l’intervento del Giudice, con provvedimento emesso ad esito di un contraddittorio canonizzato ex lege, avvalendosi del supporto di documentazione e di pareri (quello dell’esperto e, se ritenuto necessario, dell’ausiliario) che certifica l’opportunità di accordare le misure protettive. A fronte di questa pluralità, eterogeneità e comunque autorevolezza di partecipazione, sembra ragionevole escludere che, necessariamente, la prosecuzione dell’attività dell’impresa possa rivelarsi maggiormente dannosa (almeno da quanto si può prevedere ex ante) per la banca, rispetto ad un’interruzione del supporto finanziario, che potrebbe portare, in molti casi, proprio al default del progetto, con le prevedibili conseguenze negative per tutti i creditori. 
Proprio qui si innesta un tassello fondamentale, in punto di “procedimento polifonico”: si noti bene che nel contraddittorio la banca potrà e dovrà far valere i propri eventuali dubbi sui possibili effetti delle misure e della procedura verso la patrimonialità della banca, in modo che il giudice possa assumere le sue determinazioni anche considerando. e ponderando, tale aspetto. 
D’altro canto, a nostro avviso, il Legislatore ha voluto scongiurare – proprio perché già verificatosi in passato – il seguente fenomeno patologico: fino a pochi istanti prima le banche affidano tranquillamente (talvolta… distrattamente!) l’impresa; poi, proprio nel momento in cui si avvia il procedimento virtuoso di riorganizzazione, c’è l’abbandono da parte di alcuni creditori finanziari. Quante volte, nell’esperienza professionale, abbiamo visto le banche minori o anche non minori (alcune banche tendono, purtroppo, ad adottare comportamenti opportunistici in modo apodittico) che lasciavano strumentalmente il tavolo, contando sugli altri creditori che dovevano farsi carico anche dei loro comportamenti non di buona fede? Appare quindi pernicioso e contrario alla ratio legis l’automatismo “composizione negoziata à revoca degli affidamenti” per un asserito ossequio alle disposizioni di vigilanza prudenziale.
D’altro canto, in base alla norma, i pregressi inadempimenti non potranno giustificare risoluzioni o sospensioni: i fornitori con contratti di somministrazione dovranno continuare a fornire; i fornitori che hanno contratti di fornitura aperti dovranno continuare a fornire; i professionisti con contratti di durata dovranno continuare a prestare la propria attività… forse che le banche costituiscono creditori “diversi”? Ma non sarebbe questa una inaccettabile ed ingiustificata alterazione della par condicio?
Piuttosto, va rilevato che proprio grazie a questa continuità, l’impresa potrà portare avanti il proprio progetto di risanamento. Le banche non possono non essere coinvolte nella continuità “di fornitura” per i contratti pendenti (come ora individuati anche dall’art. 97, co. 14, Codice Crisi) perché: (i) se tutti gli altri creditori continuano a fornire, ma le banche risolvono opportunisticamente, ciò potrebbe generare una carenza nel ciclo finanziario che da solo potrebbe far saltare il progetto, (ii) non si vede come solo le banche, in violazione di un comportamento di buona fede che deve accomunare tutti i creditori, in par condicio, possano abbandonare il tavolo.
Proseguo in questo interessantissimo dialogo, ringraziando gli amici per i contributi precedenti, per precisare che la giurisprudenza di legittimità e di merito pare mostrare una attenzione certamente diversa (sia in sede penale che civile) tra banche e altri creditori nel caso di immeritato sostegno finanziario: in tale sede, non riesco a ravvisare una par condicio come quella invocata da Renato Bogoni, essendo invece presenti fattispecie specifiche di illecito rinvenibili solo a carico delle banche. (le quali, peraltro, a differenza del normale fornitore, hanno ulteriori paletti operativi di carattere regolamentare cui non possono sottrarsi).
Quanto sopra per riaffermare che la banca ha una responsabilità diversa, e che riguarda la corretta erogazione del credito. Responsabilità che non pare eliminata da alcuna disposizione del CCII nemmeno quelle della esenzione da revocatoria e da bancarotta. Ora, certamente l'imprenditore virtuoso può presentare piani che presentano pagamenti alle banche con struttura bullet a 5 anni, ma si tratta di proposte irricevibili dal punto di vista del creditore, il quale si troverebbe costretto a passare a perdita il 100% del credito dopo meno di tre anni dall'inizio del Piano, e a subire conseguenze economiche non compensate in alcun modo.
Di fronte a proposte irricevibili, è normale che il creditore finanziario da un lato chieda la revisione della proposta (rectius una manovra potabile), e dall'altro lato ritenga molto elevato il rischio di default conseguente al mancato accordo, e dunque sospenda la prestazione creditizia proprio per proteggersi dalle conseguenze a suo carico.
Il Tribunale deve quindi scrutinare sia la buona fede delle proposte del debitore (che devono contenere quindi una equità di sacrificio economico, ed essere in grado di contemperare gli interessi legittimi di tutte le parti, e non solamente essere migliori dell'alternativa liquidatoria), sia la capacità di quest'ultimo di intercettare il consenso delle controparti interessate alla ristrutturazione.
Solo dopo che questo scrutinio sia positivo si potrà valutare se ci sono o meno i presupposti per imporre la prestazione creditizia, diversamente si rischia di tenere in vita forzosamente imprese al solo scopo di pervenire a concordato liquidatorio semplificato che - ancorchè richiedibile dal debitore - non potrebbe essere ammesso proprio per un vizio di buona fede iniziale.
Approfitto per ringraziare il Blog Diritto della Crisi perchè ci offre l'opportunità di un confronto tra noi - in attesa di proseguire queste interessantissime conversazioni in luoghi più ameni, tipicamente nei ristori a valle di prestigiosi convegni davanti a un calice di quelli buoni.


Luca Filipponi, Avvocato

21 Febbraio 2024 12:51

Proseguo in questo interessantissimo dialogo, ringraziando gli amici per i contributi precedenti, per precisare che la giurisprudenza di legittimità e di merito pare mostrare una attenzione certamente diversa (sia in sede penale che civile) tra banche e altri creditori nel caso di immeritato sostegno finanziario: in tale sede, non riesco a ravvisare una par condicio come quella invocata da Renato Bogoni, essendo invece presenti fattispecie specifiche di illecito rinvenibili solo a carico delle banche. (le quali, peraltro, a differenza del normale fornitore, hanno ulteriori paletti operativi di carattere regolamentare cui non possono sottrarsi).
Quanto sopra per riaffermare che la banca ha una responsabilità diversa, e che riguarda la corretta erogazione del credito. Responsabilità che non pare eliminata da alcuna disposizione del CCII nemmeno quelle della esenzione da revocatoria e da bancarotta. Ora, certamente l'imprenditore virtuoso può presentare piani che presentano pagamenti alle banche con struttura bullet a 5 anni, ma si tratta di proposte irricevibili dal punto di vista del creditore, il quale si troverebbe costretto a passare a perdita il 100% del credito dopo meno di tre anni dall'inizio del Piano, e a subire conseguenze economiche non compensate in alcun modo.
Di fronte a proposte irricevibili, è normale che il creditore finanziario da un lato chieda la revisione della proposta (rectius una manovra potabile), e dall'altro lato ritenga molto elevato il rischio di default conseguente al mancato accordo, e dunque sospenda la prestazione creditizia proprio per proteggersi dalle conseguenze a suo carico.
Il Tribunale deve quindi scrutinare sia la buona fede delle proposte del debitore (che devono contenere quindi una equità di sacrificio economico, ed essere in grado di contemperare gli interessi legittimi di tutte le parti, e non solamente essere migliori dell'alternativa liquidatoria), sia la capacità di quest'ultimo di intercettare il consenso delle controparti interessate alla ristrutturazione.
Solo dopo che questo scrutinio sia positivo si potrà valutare se ci sono o meno i presupposti per imporre la prestazione creditizia, diversamente si rischia di tenere in vita forzosamente imprese al solo scopo di pervenire a concordato liquidatorio semplificato che - ancorchè richiedibile dal debitore - non potrebbe essere ammesso proprio per un vizio di buona fede iniziale.
Approfitto per ringraziare il Blog Diritto della Crisi perchè ci offre l'opportunità di un confronto tra noi - in attesa di proseguire queste interessantissime conversazioni in luoghi più ameni, tipicamente nei ristori a valle di prestigiosi convegni davanti a un calice di quelli buoni.


Mi permetto di aggiungere al contributo di Paolo Rinaldi, che condivido integralmente, un paio di precisazioni.
La prima riguarda il concetto di finanziamento a sostegno del risanamento dell’impresa in crisi, in relazione al quale sia il sistema bancario, che la giurisprudenza (per tutte la sentenza Cass. civ. n. 18610/21) non distinguono più tra finanziamento in progress (rectius, mantenimento delle linee deliberate anteriormente all’apertura della composizione negoziata della crisi) e finanziamento ex nunc (nuovo finanziamento).
Tali finanziamenti, rebus sic stantibus, ed attesi i paletti operativi di carattere regolamentare cui la Banca deve attenersi, debbono classificarsi come “credito deteriorato”, e pertanto non vi è chi non veda come le conseguenze di tale classificazione (sia in termini economici, sia in termini di rischio di concessione abusiva,  sia in termini di NPE ratio) non consentano, a mio modo di vedere, di imporre alcuna prestazione creditizia, ma semmai di adottare il percorso della richiesta di  autorizzazione del Tribunale ex art. 22 CCII su presupposti ulteriori rispetto al mero buon esito delle trattative di cui all’art. 18 C.C.I.I. (con l’evidente conseguenza di rendere discrezionale la decisione della Banca di aderire alla richiesta del Finanziamento).
Un’ultima provocazione, a cui sembra non resistere la tesi che prevede la possibilità di imporre la prestazione creditizia alle Banche ex art. 18, c. 5: se per ipotesi (non distante dalla realtà) l’impresa richiedesse le misure protettive contestualmente all’istanza di nomina dell’esperto, che sorte avrebbe la disposizione di cui all’art. 16 c.5 ultimo periodo?
Non vedo l’ora di trovarmi a valle di un prestigioso convegno davanti ad un calice … !!

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