Come detto, il nuovo art. 180, comma 4, L. fall. prevede, al sussistere delle condizioni ivi indicate - decisività ai fini delle maggioranze e convenienza della proposta -, che il Tribunale omologhi il concordato “anche in mancanza di voto”.
Il riformato art. 182 ter, comma 4, L. fall. prevede, sul versante degli accordi di ristrutturazione, che il Tribunale omologhi l’accordo “anche in mancanza di adesione”.
Con riferimento agli accordi ex art. 182 bis L. fall., si ha “mancata adesione” alla proposta sia ove l’ente pubblico manifesti di non accettarla, sia ove lo stesso non esprima alcun intendimento.
Nel contesto degli accordi, il silenzio determina l’effetto della “mancata adesione” alla proposta in conformità alle regole “negoziali” che informano – sotto il profilo del consenso – l’istituto, per quanto lo stesso sia caratterizzato da marcati profili di concorsualità.
In ambito di ADR, pertanto, secondo la formulazione della norma, il Tribunale, sussistendo le condizioni di legge, può omologare l’accordo anche in presenza di mancata adesione da parte dell’ufficio erariale e/o contributivo, vuoi per inerzia, vuoi per diniego espresso.[16]
Quanto sopra appare coerente con la ratio delle nuove norme: superare eventuali, immotivate resistenze da parte degli enti pubblici rispetto a soluzioni conciliative più “convenienti” rispetto alle alternative liquidatorie.
Sul punto, già la Relazione illustrativa al Codice della crisi, sub art. 48, ricorda che “al fine di superare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate, spesso registrate nella prassi, è previsto che il tribunale possa omologare gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria quando l’adesione […]”.
Con riferimento al concordato, il legislatore ha impiegato la locuzione “mancanza di voto”.
Il riferimento al “voto” è appropriato considerato che la proposta di trattamento contenuta nella domanda concordataria è regolata dal meccanismo del voto, ex art. 174 ss. L. fall.
La locuzione “anche in mancanza di voto” dà tuttavia adito ad incertezze, potendosi leggere, alternativamente, l’espressione in oggetto, come:
i) mancanza di esercizio di voto;
ii) mancanza di voto favorevole.
Nel primo caso, il rimedio del cram down sarebbe applicabile solo ove l’ente pubblico non esprima il voto nei termini di legge; nel secondo caso, il giudizio di convenienza avrebbe luogo ove anche i creditori statali esprimano voto contrario alla proposta di trattamento.
Se negli accordi il “silenzio” equivale a mancata adesione in base al principio consensualistico, in ambito di concordato il silenzio pur determina effetti sostanziali di diniego, in applicazione della regola ex art. 178, comma 4, L. fall. (cd. silenzio-rifiuto).
L’art. 3, comma 1 bis, lett. a), D.L. n. 125/2020, per quanto disponga in funzione dell’omologa del concordato (art. 180 L. fall.), produce, sotto il profilo sostanziale, effetti derogatori rispetto alle regole che informano l’approvazione della proposta.
Del resto, sotto il profilo semantico, l’avverbio “anche”, posto prima della locuzione “in mancanza di voto”, consente di ritenere che la valutazione comparativa ai fini della convenienza – ove il voto sia determinante – possa trovar attuazione sia nel caso in cui l’ente esprima voto contrario, sia nel caso in cui lo stesso rimanga “silente”.
Sul tema, recentemente, il Tribunale di La Spezia ha statuito che il cram down, al sussistere delle condizioni di legge, può trovare applicazione anche laddove l’ente impositore abbia manifestato di non aderire ad una proposta di trattamento del credito fiscale formulata dal debitore in sede di accordo di composizione della crisi, ex L. n. 3/2012.
Secondo il foro ligure, la novella in tema di ristrutturazione “forzosa” dei crediti fiscali rappresenta una diretta applicazione “dell’art. 97 della Costituzione, ovvero del principio di buon andamento nel senso di efficienza della pubblica amministrazione”. [17]
Il nuovo art. 12, comma 3 quater, L. n. 3/2012 consente, pertanto, all’autorità giudiziaria, al sussistere delle condizioni ivi indicate, di convertire, ipso iure, il voto negativo espresso dall’ente pubblico alla proposta di trattamento in voto positivo.
Passando al profilo della “decisività” del voto/accordo ai fini del raggiungimento dei quorum per l’omologazione della proposta, si rileva quanto segue.
L’art. 3, comma 1 bis, lett. a), D.L. n. 125/2020 ha previsto che il Tribunale omologhi il concordato, al sussistere delle altre condizioni, quando il voto dell’ente pubblico sia “determinante” ai fini del raggiungimento delle maggioranze ex art. 177 L. fall.
L’art. 3, comma 1 bis, lett. b), D.L. n. 125/2020 ha previsto, al pari, che il Tribunale omologhi l’accordo di ristrutturazione quando l’adesione pubblica sia “decisiva” ai fini del raggiungimento della percentuale ex art. 182-bis, comma 1, L. fall.
Infine, l’art. 4 ter, comma 1, lett. f), D.L. n. 137/2020 ha previsto che il Tribunale omologhi l’accordo di composizione quando l’adesione dell’ente erariale sia “decisiva” ai fini del raggiungimento della percentuale ex art. 11, comma 2, L. n. 3/2012.
Al di là della differenza lessicale, da ritenersi irrilevante, fra gli aggettivi “determinante” e “decisiva”, un approfondimento merita il profilo della “cogenza” di tale requisito, la cui sussistenza è necessaria affinché le norme sul cram down possano trovare applicazione.
Tale condizione è integrata ove le maggioranze previste per l’approvazione/omologazione del concordato, degli ADR e degli accordi di composizione siano raggiunte (anche) qualora vi si imputi - tramite conversione “adesiva”- il credito di titolarità dell’ente pubblico avente diritto al voto.
Non si tratta, pertanto, di “sterilizzare” il voto contrario ovvero la mancata adesione da parte degli enti pubblici ai fini della determinazione dei quorum previsti dalle singole norme di legge.
In questo caso, il debitore, una volta che la posizione creditoria dell’ente fosse estromessa dal computo dei crediti, “dovrebbe” raggiungere: i) con riferimento al concordato, la maggioranza dei voti computati in relazione ai crediti aventi diritto al voto diversi da quelli erariali/contributivi, oltreché la maggioranza delle altre classi; ii) con riferimento ad ADR ed accordi di composizione, la percentuale del 60% dei crediti diversi da quelli degli enti pubblici.
Si ritiene, al contrario, che in base alle nuove norme possa essere operata la “conversione” del diniego degli enti pubblici in adesione alla proposta, andando i crediti di titolarità degli enti pubblici ad integrare i quorum previsti ai fini dell’omologazione delle procedure.
Sarà dunque “sufficiente”, per il debitore, raggiungere:
- la maggioranza dei voti computati su tutti i crediti aventi diritto al voto (inclusi i voti pubblici “convertiti” in favorevoli), nonché la maggioranza di tutte le classi di creditori, con riferimento al concordato preventivo;
- la percentuale del sessanta percento determinata su una base costituita da tutti i crediti (ivi inclusi i crediti di titolarità degli enti pubblici, “convertiti” in adesioni), con riferimento agli ADR ed agli accordi di composizione della crisi.
Resta ferma per gli enti pubblici che subissero il cram down la facoltà di opporsi all’omologazione della proposta secondo le singole norme previste dalla legge fallimentare e dalla L. n. 3/2012, rimanendo dunque, sotto questo profilo, creditori “dissenzienti”.