di Giuseppe Angiolillo, Avvocato in Mantova
Il Tribunale di Verona (Trib. Verona, 18 dicembre 2020, Est. Pagliuca) ed il Tribunale di Parma (Trib. Parma, 28 febbraio 2021, Est. Vernizzi) si pronunciano - nell’ambito di procedure rette dalla normativa antecedente alla entrata in vigore del comma 1-bis dell’art. 8 l. 3/2012, introdotto, con decorrenza a far tempo dal 25.12.2020, dalla legge 176/2020 - in senso favorevole alla inopponibilità alle procedure di sovraindebitamento del contratto di cessione del quinto dello stipendio a garanzia del finanziamento.
Nei casi decisi, si trattava in particolare di procedure di liquidazione del patrimonio ex art. 14-ter l. 32/12 e di piani del consumatore ex art. 12-bis l. 3/2012.
Se, in materia di piano del consumatore, la sentenza di Parma non fa che anticipare, in via interpretativa, principi poi entrati in vigore poche settimane dopo, particolare attenzione meritano invece due temi.
Anzitutto le pronunce muovono dalla constatazione della natura concorsuale delle procedure di cui alla l. 3/2012, per trarne la conclusione della applicabilità analogica di alcuni princìpi elaborati in materia fallimentare, così proseguendo nella opportuna inversione di rotta rispetto a quella sorta di disapplicazione giurisprudenziale che ha salutato i primi anni di vigenza della legge 3/2012.
Particolare interesse desta poi, nel nuovo quadro normativo, la applicabilità del principio di inopponibilità della cessione anche alla procedura di liquidazione del patrimonio di cui all’art. 14-bis l. 3/2012.
Va ricordato che l’art. 4-ter comma 1, lettera d), del D.L. 28.10.2020, n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 ha inserito nell’art. 8 della legge 3/2012 il nuovo comma 1-bis, il quale dispone che: “la proposta di piano del consumatore può prevedere anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione e delle operazioni di prestito su pegno, salvo quanto previsto dall’art. 7, comma 1, secondo periodo.”.
A sua volta, tale ultima norma dispone che:“… i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi.”.
Resta dunque da comprendere se, alla luce della riforma - che ha previsto la ristrutturazione del debito derivante dal contratto di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio solo nell’ambito del piano del consumatore - possa confermarsi tale orientamento, che ritiene inopponibile la cessione del quinto dello stipendio nella liquidazione del patrimonio o se, invece, l’entrata in vigore la riforma imponga ora di applicare il principio per cui “ubi lex voluit dixit ubi nolui, tacuit” e dedurne che la previsione della possibilità di ristrutturazione solo nell’ambito del piano del consumatore conferisca alla stessa natura di disposizione speciale, insuscettibile come tale di applicazione analogica alle altre procedure.
L’argomento è sicuramente suggestivo, ma non convince ed è proprio quanto espresso dalle due pronunce in commento a dimostrarlo.
Infatti, nella fattispecie non si tratta di applicare analogicamente una disposizione che deroga a principi generali ed operare così una inammissibile violazione dell’art. 14 delle preleggi, posto che in realtà il rapporto tra regola ed eccezione si pone in questo caso in termini rovesciati.
In materia concorsuale è infatti sicuramente espressione di un principio generale quanto disposto dall’art. 42, comma 2, l. fall. secondo il quale sono ricompresi nel fallimento i beni che pervengono al fallito durante la procedura.
La cessione del quinto dello stipendio costituisce cessione di credito futuro, che acquista efficacia al momento in cui il credito medesimo viene ad esistenza e non si sottrae, dunque, con riferimento ai ratei di stipendio maturati in corso di procedura, alla attrazione alla massa fallimentare disposta dalla disposizione citata.
Da ultimo, il Tribunale di Verona affronta, con senso pratico, altresì il tema dalla infelice formulazione dell’art. 14-quinquies, comma 2, lett. b della legge 3/2012, che prevede che l’inibitoria dei procedimenti esecutivi e cautelari e della acquisizione di diritti di prelazione nella procedura di liquidazione del patrimonio abbia efficacia solo: “sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo”, dal quale parrebbe derivare il venir meno della protezione del patrimonio durante la fase liquidatoria.
L’argomento del Tribunale muove dalla constatazione delle finalità concorsuali della procedura di liquidazione, le quali verrebbero evidentemente frustrate dalla la possibilità lasciata ai creditori di promuovere esecuzioni individuali e dalla evidenza che, nella procedura di liquidazione dei beni di cui alla l. 3/2012, contrariamente a quanto enunciato dalla disposizione citata, non è in realtà previsto alcun provvedimento di omologa.
Secondo il Tribunale di Verona, dunque, per dare alla previsione normativa un senso che sia compatibile con il conseguimento delle sue finalità, non se ne può che trarre la conclusione che il riferimento al provvedimento di omologa sia frutto di un errore legislativo, che deve esser corretto in via interpretativa facendo riferimento al provvedimento di chiusura della liquidazione.
La formulazione dell’art. 14-quinquies appare evidentemente mutuata dall’art. 168 l. fall., il quale dispone l’automatic stay solo sino alla definitività del provvedimento di omologazione.
Tuttavia, non appare possibile alcun parallelismo: se, sul piano formale, nel concordato preventivo esiste un giudizio di omologazione, che invece manca nella procedura di liquidazione dei beni prevista dalla legge 3/2012, dal punto di vista sostanziale, l’art. 168 l.fall. va coordinato con il successivo art. 184, il quale dispone che, una volta omologato, il concordato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all'articolo 161.
Tale obbligatorietà supera l’automatic stay ed arriva ad operare sul piano dei diritti sostanziali di ciascun creditore, quale diretta conseguenza dell’esito positivo del procedimento di approvazione del concordato preventivo.
La liquidazione dei beni, viceversa, viene aperta a prescindere dalla volontà dei creditori, i cui diritti sostanziali restano dunque immutati e sono destinati a poter essere nuovamente azionati - ove non intervenga un provvedimento di esdebitazione - al termine della procedura. Pertanto, le esigenze della liquidazione concorsuale non possono che essere tutelate sul piano della sospensione delle azioni esecutive individuali.
Resta da comprendere per quale motivo il legislatore, che è di recente intervenuto sulla materia con la legge 176/2020, non abbia colto l’occasione per rimediare all’evidente mancanza di coordinamento.