Qualora l’obbligazione della debitrice principale fosse garantita da coobbligati solidali o da fideiussori, si pone il dubbio che, seppure il Tribunale imponesse una soluzione di cram down per un importo minore di quello dovuto, il creditore previdenziale o l’Agenzia delle Entrate potrebbero rivalersi per la differenza contro uno di questi ultimi.
Il punto è stabilire se nel seno del nostro ordinamento esista un aggancio normativo che consenta - ottenuta la soluzione negoziata o attraverso la transazione o per l’effetto del cram down - la ricaduta liberatoria anche per gli obbligati solidali o fideiussori.
Quanto al concordato preventivo esso è escluso; ciò è stabilito espressamente dall’art. 184 primo comma: Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all'articolo 161. Tuttavia essi conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso.
Si vedano le conseguenze, per quanto stabilito in proposito, descritte dal Tribunale di Roma: “Dalla mera lettura del disposto dell’arte. 184 legge fallimentare si evince chiaramente che il rapporto fideiussorio, che intercorre tra il garante ed il creditore garantito è totalmente estraneo al debitore principale. Da ciò ne discende che da una parte il fideiussore sarà tenuto al pagamento dell'intero debito (o della residua parte di esso), se il debitore principale non sia in grado di pagare, dall'altra acquisirà, ai sensi del disposto di cui agli 1949 c.c. e 115, comma 2, l.f., un diritto di surroga nelle ragioni del creditore; diritto che, tuttavia, non lo esenterà dalla falcidia che ogni creditore subisce per effetto del concordato”[5].
Se la conseguenza per i garanti- fideiussori o coobbligati solidali- è chiara nel seno del concordato preventivo, bisogna stabilire, invece, se lo sia altrettanto adamantina anche nell’ambito della ristrutturazione del debito ex art. 182 bis.
Dunque dobbiamo indagare se l’effetto esdebitatorio di cui all’esito della ristrutturazione del debito ex art. 182 bis, possa coinvolgere anche altri soggetti, diversi dal debitore proponente.
Indichiamo l’esito per poi costruire tutto il dibattito dottrinale, anche alla luce dei lavori preparatori, cui il legislatore è pervenuto.
Esso è nel seno del Codice della Crisi e dell’insolvenza nel disposto normativo di cui all’art. 59 primo comma: “Ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione si applica l'articolo 1239 del codice civile”.
Dunque se l’organo giurisdizionale il Tribunale impone la soluzione, il creditore pubblico dissenziente comunque vi ha prestato adesione, seppure coattivamente, all’accordo di ristrutturazione che costituisce la cornice nel quale si cala la transazione ed il cram down: quale sarà in questo caso il destino dei garanti?
A Commento di tale disposizione è stato recentemente scritto: “la regola posta da questa norma è abbastanza chiara: la remissione accordata al debitore da un creditore aderente produce effetto anche nei confronti del fideiussore del debitore ai sensi dell'art. 1239 c.c., per il quale «La remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori». È però da ritenere che a questa regola debba essere data una portata molto più ampia di quanto risulti dalla lettera della disposizione: e questo sia sotto il profilo oggettivo sia sotto quello soggettivo.
Nel senso, sotto il profilo oggettivo, che l'intero nuovo regolamento dei rapporti creditori-debitore consacrato dagli accordi di ristrutturazione, e quindi non solo le remissioni, ma anche le dilazioni, ecc., è destinato a produrre effetti nei confronti dei fideiussori; e nel senso, sotto il profilo soggettivo, che questi effetti sono destinati a prodursi non solo nei confronti dei fideiussori, ma anche in quelli dei condebitori - si ricordi, rispetto a questi ultimi, l'art. 1301 c.c., ai sensi del quale «la remissione a favore di uno dei debitori in solido libera anche gli altri debitori» - e degli obbligati in via di regresso.
In altre parole, la regola di cui stiamo parlando si pone come regola opposta e speculare rispetto a quella sancita per il concordato preventivo dall'art. 184 co. 1, ult. parte, per il quale i creditori, pur a fronte del vincolo nascente dal concordato omologato, «conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso» (regola replicata, per il concordato liquidatorio giudiziale, dall'art. 248, co. 2 Codice, richiamato dall'art. 314, co. 5, riguardante il concordato nella liquidazione coatta; e replicata, altresì, per il concordato minore, dall'art. 79, co. 5)”[6].
Non si profilerebbero problemi di costituzionalità della norma dell’art. 18 ultima parte ripreso di sana pianta anche dalla disposizione dell’’art. 117 del Codice della crisi e dell’insolvenza, perché la mancata previsione dell’effetto esdebitatorio nel concordato è una dimostrazione tangibile e rafforzata per la necessità di ottenere un sicuro consenso dei creditori. Proprio la giurisprudenza di recente conio si è mossa in tal senso:” la Suprema Corte ha affermato, in più occasioni, l'identità di ratio delle due norme, ovvero quella di favorire l'accettazione della proposta concordataria da parte dei creditori (v. ad es. Cass., sent. n. 23275/2006) escludendo, quale necessario ed imprescindibile corollario, che l'effetto esdebitatorio del concordato possa essere esteso ai coobbligati trattandosi di disciplina degli effetti normativamente stabiliti dalla Legge Fallimentare (in proposito di recente v. Cass., sent. n. 22382/2019). Ne consegue che i creditori dell'imprenditore in crisi conservano, a prescindere dal contenuto della proposta concordataria e dalla sua integrale esecuzione, impregiudicati i propri diritti nei confronti dei coobbligati del debitore, dei suoi fideiussori e degli eventuali obbligati in via di regresso.
In particolare, con la citata pronuncia n. 22382/2019 la Corte ha espressamente affermato che "la disposizione dell'art. 184 comma 2 L. Fall. costituisce una deroga espressa al principio della comunicabilità degli effetti favorevoli tra i condebitori previsto dall'art. 1301 c.c. per la remissione volontaria e dall'art. 1941 c.c. per la fideiussione, considerata costituzionalmente legittima, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., dell'art. 184 (o dell'art. 135) legge fall. … tale disciplina trova fondamento nella finalità di favorire l'accettazione della proposta concordataria da parte dei creditori. Deve pertanto escludersi che l'effetto esdebitatorio del concordato possa essere esteso ai coobbligati in forza di patto espresso inserito nella proposta, trattandosi di disciplina degli effetti del concordato normativamente stabilita e dunque sottratta, a differenza di quanto previsto dalla disposizione dell'art. 184 u.c. legge fall., alla disponibilità delle parti."[7]
L'art. 20, comma 1, lett. f), del D.L. n. 118/2021 - applicabile ai procedimenti per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti introdotti successivamente al 25 agosto 2021 - ha inserito l'art. 182-decies del R.D. n. 267/1942, la cui formulazione letterale coincide con l'art. 59 del D.Lgs. n. 14/2019, anticipandone, pertanto, l'entrata in vigore ordinaria, formalmente prevista per il 15 luglio 2022.
Ciò implica che nel seno del Regio decreto, l’attuale normativa fallimentare, è diritto vigente: 182 decies. Ai nostri fini interessa il primo ed il secondo comma: Ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione si applica l'articolo 1239 del codice civile.
Nel caso in cui l'efficacia degli accordi sia estesa ai creditori non aderenti, costoro conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso.
Tale nuova norma della Legge fallimentare stabilisce, al comma 1, che ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione dei debiti si applica l'art. 1239 c.c., secondo cui la remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori.
Ma del resto già la dottrina ha convenuto che la ristrutturazione del debito ex art. 182 bis avesse un effetto novativo.
Ha in proposito scritto Giovanni Bruno: “Con l'accordo di ristrutturazione dei debiti le parti, al fine di evitare la disgregazione dei complessi aziendali che conseguirebbe al conclamarsi dell'insolvenza e la conseguente compromissione dell'attivo patrimoniale determinata anche dai costi di una procedura concorsuale, perseguono l'obiettivo di un riassetto patrimoniale e finanziario dell'impresa in crisi. Questo riassetto patrimoniale e finanziario risulta incompatibile con la continuazione di tutti i precedenti rapporti obbligatori e produce effetti che vanno oltre la semplice modificazione negoziale dei rapporti originari in quanto determina una nuova composizione di interessi tra l'imprenditore in crisi ed i creditori aderenti. Essendo il rapporto che si crea con l'adesione di ciascun creditore incompatibile con le primitive obbligazioni originarie, non si pone alcun problema di manifestazione estrinseca dell'animus novandi.
Le operazioni di ristrutturazione dei debiti, infatti, implicano un riassetto finanziario che comporta la ridefinizione delle passività nel loro complesso. Il programma di ristrutturazione produce effetti incompatibili con le singole obbligazioni originarie e richiede una ripartizione dei sacrifici tra le varie categorie dei creditori aderenti. Ciascun creditore dell'impresa in crisi, allorquando si trova di fronte alla scelta se perseguire, sino all'estrema ratio della liquidazione giudiziale, l'esecuzione coattiva del proprio credito oppure aderire all'accordo di ristrutturazione, è consapevole che nel secondo caso si produrranno modifiche significative delle garanzie patrimoniali dell'impresa in crisi; pertanto, dopo aver valutato anche il trattamento riservato dal programma di ristrutturazione ai creditori concorrenti, se presta adesione all'accordo ne accetta il rischio. Una volta omologato, poi, l'accordo di ristrutturazione sostituisce l'obbligazione originaria ed il nuovo rapporto assume, così, un titolo diverso.
Il nuovo rapporto obbligatorio che si viene a creare a seguito del sopravvenire della situazione di crisi dell'impresa debitrice, esprime un nuovo assetto di interessi tra le parti. L'accordo di ristrutturazione dei debiti realizza interessi esterni e sopravvenuti rispetto alla vicenda originaria ed il contenuto del nuovo rapporto non deve essere necessariamente connotato da equivalenza economica rispetto all'obbligazione originaria.
In questo contesto, all'interesse dell'imprenditore corrisponde quello dei creditori che ritengono di gestire la sopravvenienza (crisi dell'impresa) attraverso l'adesione al programma di ristrutturazione patrimoniale-finanziario, mentre i titolari di un interesse contrario possono opporsi all'omologazione entro trenta giorni dalla pubblicazione dell'accordo nel registro delle imprese (art. 48 c.c.i.).
Il programma di ristrutturazione, una volta ottenuto il consenso definitivo dei creditori, costituirà l'oggetto dell'accordo di ristrutturazione, ovvero di un contratto di diritto privato che costituisce lo strumento di attuazione del piano e che è caratterizzato, come abbiamo evidenziato, da effetti novativi.
Tuttavia, a differenza del piano attestato di risanamento che può considerarsi come un accordo con obbligazioni del solo imprenditore proponente e che non produce direttamente alcun effetto novativo nei rapporti tra crediti e debiti, con l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione si realizza proprio quel fenomeno novativo disciplinato dal codice civile all'art. 1230. Se, dunque, con il piano attestato di risanamento il programma negoziale è volto alla soddisfazione di tutti i creditori, l'accordo di ristrutturazione produce un mutamento della struttura debitoria dell'impresa. Tale mutamento è funzionale alla rigenerazione degli assets strategici ed alla liquidazione di quelli ritenuti non più funzionali.
Ed è proprio per la funzione novativa degli accordi di ristrutturazione che rileva l'interesse del debitore (imprenditore in crisi).
Ebbene, se da un lato, nel diritto delle obbligazioni, si è sempre posta l'attenzione sull'interesse del creditore che deve essere soddisfatto attraverso la prestazione da eseguire (1174 c.c.), dall'altro lato va assegnato particolare rilievo all'interesse del debitore a liberarsi tempestivamente dal vincolo tramite l'adempimento”[8].
L’effetto novativo non è di poco conto, perché involge l’assetto delle garanzie, per la sua ineludibile ricaduta: “La transazione avente efficacia novativa del rapporto in ordine al quale era insorto conflitto tra le parti ha effetto estintivo delle garanzie reali originariamente prestate, salvo che i contraenti non abbiano convenuto di conservarle anche in relazione al nuovo contratto, ma, in tale caso, il patto opera esclusivamente "inter partes", occorrendo, ai fini della conservazione di garanzie prestate da terzi, il necessario consenso del garante; peraltro, la novazione dell'obbligazione garantita determina l'estinzione anche delle garanzie personali, ove non espressamente mantenute, sia "accessorie", in considerazione del nesso di dipendenza che lega la obbligazione di garanzia a quella principale, sia "autonome" in considerazione del nesso indissolubile che lega la causa concreta di garanzia autonoma alla esistenza del rapporto garantito”[9].
Il riferimento normativo si rinviene nell’art. 1232 c.c.: a fondamento dell'estinzione delle garanzie dell'obbligazione originaria è da porsi il noto principio di accessorietà: le vicende del rapporto accessorio di garanzia non possono, infatti, non seguire quelle del rapporto obbligatorio principale.
Benché la lettera dell'art. 1232 c.c. faccia esclusivo riferimento ai privilegi, al pegno ed alle ipoteche, la dottrina non dubita che detta disposizione sia suscettibile di un'interpretazione estensiva[10], in forza della quale deve ritenersi che - verificatasi l'estinzione dell'obbligazione originaria - venga meno ogni altro profilo accessorio di tale obbligazione.
La norma ha un’applicazione anche nel seno della remissione del debito ex art. 1239 c.c.: essa è espressione del principio secondo cui l'estinzione dell'obbligazione principale comporta automaticamente l'estinzione delle garanzie fideiussorie.
In tema specifico di coobbligazione solidale si spiega l’effetto di cui all’art. 1300 c.c., a tenor del quale La novazione [c.c. 1230] tra il creditore e uno dei debitori in solido libera gli altri debitori.
La norma in commento disciplina il caso specifico in cui la novazione - modo di estinzione dell'obbligazione diverso dall'adempimento (artt. 1230 ss.) - sia posta in essere da uno dei condebitori in solido: da ciò consegue, secondo la regola generale, la liberazione di tutti i condebitori[11].
Quanto al secondo comma la migliore dottrina[12] ha stigmatizzato il difficile confronto nascente in ragione della lettura dell’art. 182 decies, tra l’effetto dell’esdebitazione per i creditori aderenti e non aderenti: va in altre parole soppesato questo troncone della recente disposizione normativa. “Nel caso in cui l'efficacia degli accordi sia estesa ai creditori non aderenti, costoro conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso”.
È stato autorevolmente sostenuto: “si può iniziare col dire che gli accordi di ristrutturazione, secondo la tesi più convincente, non paiono sottoposti all’art. 184, 1° comma, l.f. neppure nella parte in cui dispone che restino «impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso. Pertanto, nella misura in cui l’accordo, segnatamente, abbia un contenuto remissorio, l’estinzione (totale o parziale) del debito dell’imprenditore verso gli aderenti, non potrà non riflettersi sui rapporti obbligatori che mettono capo ai singoli coobbligati o fideiussori, secondo le regole dettate per la solidarietà comune (art. 1301 c.c.). Il creditore, aderendo alla falcidia propostagli, ne accetta dunque le conseguenze anche rispetto ai propri rapporti con i debitori dell’imprenditore”[13].
Ma si rifletta per quanto sostenuto recentemente da Filippo Lamanna, direttore scientifico della rivista “Il Fallimentarista” e Presidente del Tribunale di Novara: si deve considerare “la genesi e la causa dell’effetto esdebitatorio che si produce negli accordi di ristrutturazione dei debiti, da un lato, e nel concordato preventivo dall’altro.
Gli accordi di ristrutturazione sono ordinari negozi stipulati fra le parti. E dunque è del tutto conseguente che ad essi si applichi la disciplina del codice civile, applicabile in materia di obbligazioni e contratti. Due regole di tal genere, fra le tante, merita richiamare: quelle contenute negli articoli 1239 comma 1 e 1301 comma 1 codice civile. La prima stabilisce che la remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori e la seconda che la remissione a favore di uno dei debitori in solido libera anche gli altri debitori.
In sostanza si verifica - in utilibus - la comunicazione (ossia l’estensione) degli effetti esdebitatori riguardanti il debitore principale anche a favore dei coobbligati e fideiussori, i quali restano liberati a loro volta nella stessa misura in cui resta liberato il debitorie principale. Le suddette regole non sono che l’applicazione di principi generali: l’estinzione dell’obbligazione comporta la liberazione anche dei coobbligati e delle garanzie accessorie che l’assistono. Va rimarcato che tali regole però nascono nell’ambito dei rapporti obbligatori di carattere negoziale ed esse non necessariamente possono trovare applicazione nei casi in cui l’effetto remissorio/esdebitatorio non derivi da una libera manifestazione della volontà del creditore. Nel concordato preventivo l’accordo con i creditori si raggiunge non attraverso la stipula di negozi ma con l’espressione di un voto”[14].
E’ stato sostenuto autorevolmente che “va esclusa per gli accordi di ristrutturazione l’applicabilità della norma dettata in materia di concordato preventivo nella quale si prevede la conservazione da parte dei creditori di tutti i diritti verso i garanti (art. 184, comma 1 l. fall.) . In tal caso dovranno applicarsi le norme di volta in volta scaturenti dal tipo di pattuizione in concreto contenuta nell’accordo: ad esempio, l’art. 1300 c.c. per l’effetto novativo, l’art. 1301 c.c. per l’effetto remissorio, l’art 1304 c.c. per quello transattivo. Va sottolineato a tal proposito che è possibile che nella prassi si registri uno specifico coinvolgimento dei garanti negli accordi proprio al fine di favorire la massima chiarezza sulla persistenza della garanzia.[15]
Si caldeggia in tale alveo l’assunto secondo cui “l’art. 20 d.l. n. 118 del 2021 ha introdotto l’art. 182-decies lf (destinato a confluire nel cci), dedicato ai coobbligati e ai soci illimitatamente responsabili. Si prevede che ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione si applica l'articolo 1239 cc, sulla liberazione dei fideiussori in caso di remissione del debito. Questa regola sarebbe comunque discesa dal sistema civilistico.[16]