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Saggio

Se la falcidia del cram down libera i fideiussori ed i coobbligati solidali nel seno della ristrutturazione del debito, ex art. 182 bis*

Biagio Riccio, Avvocato in Napoli

12 Luglio 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il cram down, come noto, rende possibile la falcidia per il creditore pubblico -Agenzia delle Entrate o Ente previdenziale - di subire una consistente diminuzione del credito, per intervento del Tribunale.
Il quesito che ci poniamo e se il creditore pubblico, subita la falcidia, possa agire per la differenza nei confronti dei coobbligati solidali ex lege o fideiussori. Si pensi alle coobbligazioni solidali per le cooperative di lavoro a beneficio dell’Inps.
La questione ha un altro angolo prospettico: se la soluzione coatta, decretata dall’organo giurisdizionale mediante cram down, di imporre per i creditori pubblici un importo minore di quello preteso nominalmente, possa contenere un effetto esdebitatorio anche per i garanti ed i fideiussori, che non devono, in altri termini, rispondere con il proprio patrimonio per la differenza del dovuto, ma ne siano definitivamente liberati, nel seno della ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis L. fall. 
Riproduzione riservata
1 . Il cram down nella legislazione-art. 3 decreto legge 7 ottobre 2020 n. 125-che supera l’impostazione inquisitoriale del R.D 1942 n. 267
Si deve convenire che al cospetto della crisi pandemica il legislatore, in tema di riforme di diritto fallimentare, si è significativamente attivato, cercando di offrire un apparato normativo per fronteggiare le difficoltà delle aziende.
Si è approdati ad una legislazione non più inquisitoriale - quella fallimentare di cui al Regio Decreto obiettivamente contro il debitore e con preferenza della sola massa creditoria- con il contestuale varo, in ragione della crisi, di un sistema di norme( art. 3 decreto legge 7 ottobre 2020 n.215) che potesse tutelare la parte più debole della relazione contrattuale e salvare la sua azienda con i sottesi livelli occupazionali.
Il cram down si inserisce in questo quadro: la legge 27 novembre 2020, n. 159, che ha convertito il Decreto Legge 7 ottobre 2020, n. 125, ha introdotto infatti importanti novità alla legge fallimentare, anticipando, attraverso le modifiche apportate agli articoli 180, 182 bis e 182 ter, l.fall., l’entrata in vigore delle disposizioni relative alla transazione fiscale e contributiva previste dall’art. 48, comma 5, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14).
Come espressamente chiarito dal legislatore, l’intervento di cui alla legge n. 159/2020 di conversione del D.L. 125/2020 “risponde all’esigenza di far fronte alla situazione di crisi economica determinata dall'emergenza legata all’epidemia da Covid-19, agevolando, ove possibile, l’accesso delle imprese a procedure concorsuali minori al fine di scongiurarne il dissesto”. In tale contesto, il nuovo cram down fiscale e contributivo muove dalla consapevolezza che spesso l’inerzia del creditore istituzionale costituisca un ostacolo ai piani e ai progetti delle soluzioni alternative alla liquidazione, quand’anche foriere di scenari più convenienti per i creditori pubblici.
Con riferimento al concordato preventivo, il comma quarto dell’art. 180, l.fall., come novellato (da primo) dal D.L. 125/2020, attribuisce al Tribunale il potere di omologare il concordato preventivo anche in “mancanza di voto” da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali e assistenziali, quando l’adesione da parte dei predetti enti è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all’articolo 177 l.fall., e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione dell’attestatore, la proposta di soddisfacimento del Fisco e/o degli enti previdenziali è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
Analogamente, per quanto concerne gli accordi di ristrutturazione, al comma quarto dell’art. 182 bis, l.fall., è stata inserita la possibilità per il Tribunale di omologare l’accordo in “mancanza di adesione” dell’Erario e degli enti di previdenza obbligatoria, quando la predetta adesione sia decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale del 60% dei creditori aderenti, richiesta dal primo comma del medesimo art. 182 bis ai fini della conclusione degli accordi.
Di recente è nuovamente intervenuto il legislatore sul tema del cram down fiscale e previdenziale.
In particolare, il D.L. n. 118 del 24 agosto 2021 ha previsto, all’art. 20, comma 1, lett. a), che le parole “il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto” siano sostituite con “il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione”.
Tale intervento legislativo pare che abbia posto fine all’acceso dibattito circa l’applicazione del nuovo istituto soltanto in caso di mancanza di voto ovvero anche in caso di diniego espresso da parte del creditore pubblico, derivante dalla differente formulazione della norma prevista per il concordato preventivo (“mancanza di voto”) rispetto agli accordi di ristrutturazione dei debiti (“mancanza di adesione”).
Il cram down fiscale e previdenziale è ammesso perciò non soltanto in caso di silenzio da parte dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali, bensì anche nell’ipotesi di diniego espresso dai creditori pubblici qualificati.
Tuttavia deve essere chiarito che attraverso il cram down non solo viene tenuta in considerazione la dovuta pretesa della Pubblica Amministrazione-fiscale e contributiva- perché si ottiene un risultato migliore della liquidazione giudiziale, in quanto si consegue effettivamente parte del carico imponibile e contributivo, ma si conferisce una seria opportunità di uscire dalla crisi al debitore proponente.
Si ricordi, in proposito, quanto stabilito dalla Corte Costituzionale in tema di infalcidiabilità dell’Iva in modo da comprendere che ridurre la pretesa fiscale e contributiva è un interesse anche per il debitore: “La possibilità di prospettare un pagamento anche parziale dell’obbligazione tributaria, pur se assistita da prelazione, a fronte della grave situazione debitoria del proponente, non adeguatamente supportata da un patrimonio tale da assicurare l’effettività della riscossione anche coattiva della relativa pretesa, garantisce il male minore sia per il privato debitore, sia per l’Amministrazione Finanziaria: il primo, attraverso tale decurtazione, può evitare azioni liquidatorie complessive, se del caso anche protraendo l’attività economica sino a quel momento svolta, acquisendo anche il diritto alla esdebitazione; la seconda realizza il miglior risultato possibile alla luce della condizioni patrimoniali e finanziarie del contribuente, evitando di far ricadere sulla comunità l’onere delle conseguenze finanziarie correlate ad una escussione fortemente posta in dubbio quanto alle effettive possibilità di recuperare il credito in termini più favorevoli rispetto al quantum proposto dal debitore”.[1]
Se valgono queste premesse il cram down non apparirà come una soluzione imposta dal Tribunale all’Ente fiscale o previdenziale riottoso solo per profilare una soluzione migliore della liquidazione giudiziale, ma come un esito significativamente condiviso che contemperi entrambi gli interessi-quello del creditore pubblico e quello del debitore-perché si preferisce la composizione della crisi all’alternativa fallimentare.
Si abbandona definitivamente l’assetto originario della legge fallimentare del ’42, nel quale l’imprenditore insolvente veniva percepito quale soggetto colpevole, da punire ed escludere quanto prima dal mercato ed in cui le procedure concorsuali avevano un carattere prettamente punitivo e sanzionatorio, con primaria finalità liquidatoria.
In tale sistema, il rimedio concordatario era riservato all’imprenditore “onesto ma sfortunato”, sottoposto ad un giudizio etico di meritevolezza. Nel corso degli anni, le principali crisi economiche mondiali che il tessuto imprenditoriale ha dovuto affrontare ed il perdurante clima di recessione hanno intimamente inciso sulla disciplina concorsuale, che sempre più ha inteso favorire la gestione e soluzione negoziale della crisi d’impresa e ha visto nella liquidazione del patrimonio aziendale una extrema ratio.
Il creditore pubblico deve pertanto subire la falcidia per garantire la sussistenza dell’impresa che è una realtà non solo per il suo creatore ai fini del profitto che intende realizzare (il proprietario e l’imprenditore), ma anche degli altri attori-gli operai, gli impiegati, i dirigenti-. Siamo alla prospettazione del bene impresa così come delineato dalla migliore dottrina di diritto commerciale nel suo intrinseco valore costituzionale, alla luce dell’art. 41 ed art. 3.
Se lo Stato (il Welfare State) deve contribuire con i suoi aiuti e provvidenze a stimolare ed indirizzare l’attività economica privata affinché essa abbia un’utilità sociale e tale prospettiva si consegue anche per la tutela del lavoro (art. 4) e per il perseguimento di quel percorso delineato dal Costituente ai fini della realizzazione di un’uguaglianza sostanziale (art. 3), non può quello stesso Stato, quando sia creditore o per imposte non pagate o per contributi previdenziali non adempiuti, essere persecutore come un Leviatano.
Il cram down, se non c’è l’adesione motivata dell’Ente che si sottrae a qualsiasi ipotesi di transazione compositiva, proprio alla luce dei valori costituzionali diventa una soluzione coattiva, ma ragionata che fa prevalere l’interesse alla tutela dell’impresa, superiore a quello del favor fisci e del creditore previdenziale.
Così scriveva nel lontano 2009 un valente giurista: “in una prospettiva di “priorità” nella scala degli interessi coinvolti nella crisi dell’impresa, può ritenersi che la tesi, ormai prevalente, in ordine alla configurazione della “transazione fiscale” come sub-procedimento nel concordato preventivo e l’assoggettabilità anche delle pretese del Fisco alle regole delle maggioranze, concretizzano la preferenza non solo verso soluzioni concordate delle crisi, ma la pratica affermazione della prevalenza delle ragioni complessive dell’”impresa” (dipendenti, creditori, fornitori) su quelle tipicamente appartenenti all’Amministrazione finanziaria. Un “costo” sopportabile, cioè, e non contrastante con i principi costituzionali, in considerazione della riconosciuta efficienza delle soluzioni concordate, rispetto ai costi diretti ed indiretti di una procedura meramente liquidatoria, che comunque non assicurerebbe una piena soddisfazione delle pretese tributarie[2].
Recentemente le sezioni unite in tema di transazione fiscale si sono espresse proprio nell’accentuare l’interesse alla conservazione del bene impresasu quello tipico del Fisco di realizzare la sua pretesa, a prescindere dall’effetto pernicioso per quest’ultimo se si dovesse preferire la soluzione fallimentare a quella della salvaguardia della realtà imprenditoriale: “Vi è poi da osservare che, come detto, inserita la transazione fiscale all’interno della disciplina generale delle procedure concorsuali con il D.Lgs. n. 5 del 2006, la novella della L. n. 232 del 2016, art. 1, comma 81, ha indubbiamente accentuato tale posizione sistematica con la previsione dell’obbligatorietà (“esclusivamente mediante la proposta”) del sub-procedimento di “trattamento dei crediti tributari” nell’ambito della “procedura madre” di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti... In altri termini, la transazione fiscale “obbligatoria” rappresenta l’esigenza di bilanciare appunto i due interessi (quello concorsuale e quello fiscale, n.d.a.) sicché l’ampia discrezionalità riconosciuta all’amministrazione finanziaria nello stipulare accordi transattivi concorsuali è appunto bilanciata dal sindacato giudiziale sul diniego di accettazione della proposta transattiva, con sindacato del giudice ordinario rispetto a quello tributario, a tutela della conservazione dell’impresa”[3].
È stato sostenuto l’assunto secondo cui “la transazione fiscale, si pone come istituto che opera un bilanciamento tra l’interesse “concorsuale” privato del debitore al superamento della crisi mediante soluzioni negoziali – al fine di evitare la liquidazione e dispersione del proprio patrimonio e di consentire una ricollocazione nel circuito del sistema economico e sociale – e la tutela dell’interesse erariale, specificamente tutelato dal giudizio di “convenienza economica” compiuto nel rispetto dei canoni di economicità ed efficienza che devono connotare l’azione di esazione della Pubblica Amministrazione”[4].
Si dovrà perciò concludere che il cram down può rappresentare non solo l’obiettivo di offrire un risultato più satisfattivo di quello fallimentare, ma anche lo strumento che renda possibile la persistenza dell’impresa nel circuito reddituale, perché si producano beni e servizi e si tutelino anche gli interessi sottesi di altri attori (maestranze, fornitori, creditori, impiegati, dirigenti, operai) nell’ambito di un ordine, a presidio del quale vi sono valori costituzionali: i creditori pubblici non possono sottrarsi.
2 . La liberazione dei coobbligati ex lege;se il creditore pubblico dovrà coattivamente subire per effetto del cram down una falcidia del suo credito. L’effetto novativo dell’art. 182 bis nel seno del CCII. La problematica interpretazione dell’art. 182 decies
Qualora l’obbligazione della debitrice principale fosse garantita da coobbligati solidali o da fideiussori, si pone il dubbio che, seppure il Tribunale imponesse una soluzione di cram down per un importo minore di quello dovuto, il creditore previdenziale o l’Agenzia delle Entrate potrebbero rivalersi per la differenza contro uno di questi ultimi.
Il punto è stabilire se nel seno del nostro ordinamento esista un aggancio normativo che consenta - ottenuta la soluzione negoziata o attraverso la transazione o per l’effetto del cram down - la ricaduta liberatoria anche per gli obbligati solidali o fideiussori.
Quanto al concordato preventivo esso è escluso; ciò è stabilito espressamente dall’art. 184 primo comma: Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all'articolo 161. Tuttavia essi conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso. 
Si vedano le conseguenze, per quanto stabilito in proposito, descritte dal Tribunale di Roma: “Dalla mera lettura del disposto dell’arte. 184 legge fallimentare si evince chiaramente che il rapporto fideiussorio, che intercorre tra il garante ed il creditore garantito è totalmente estraneo al debitore principale. Da ciò ne discende che da una parte il fideiussore sarà tenuto al pagamento dell'intero debito (o della residua parte di esso), se il debitore principale non sia in grado di pagare, dall'altra acquisirà, ai sensi del disposto di cui agli 1949 c.c. e 115, comma 2, l.f., un diritto di surroga nelle ragioni del creditore; diritto che, tuttavia, non lo esenterà dalla falcidia che ogni creditore subisce per effetto del concordato”[5].
Se la conseguenza per i garanti- fideiussori o coobbligati solidali- è chiara nel seno del concordato preventivo, bisogna stabilire, invece, se lo sia altrettanto adamantina anche nell’ambito della ristrutturazione del debito ex art. 182 bis.
Dunque dobbiamo indagare se l’effetto esdebitatorio di cui all’esito della ristrutturazione del debito ex art. 182 bis, possa coinvolgere anche altri soggetti, diversi dal debitore proponente.
Indichiamo l’esito per poi costruire tutto il dibattito dottrinale, anche alla luce dei lavori preparatori, cui il legislatore è pervenuto.
Esso è nel seno del Codice della Crisi e dell’insolvenza nel disposto normativo di cui all’art. 59 primo comma: “Ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione si applica l'articolo 1239 del codice civile”.
Dunque se l’organo giurisdizionale il Tribunale impone la soluzione, il creditore pubblico dissenziente comunque vi ha prestato adesione, seppure coattivamente, all’accordo di ristrutturazione che costituisce la cornice nel quale si cala la transazione ed il cram down: quale sarà in questo caso il destino dei garanti?
A Commento di tale disposizione è stato recentemente scritto: “la regola posta da questa norma è abbastanza chiara: la remissione accordata al debitore da un creditore aderente produce effetto anche nei confronti del fideiussore del debitore ai sensi dell'art. 1239 c.c., per il quale «La remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori». È però da ritenere che a questa regola debba essere data una portata molto più ampia di quanto risulti dalla lettera della disposizione: e questo sia sotto il profilo oggettivo sia sotto quello soggettivo.
 Nel senso, sotto il profilo oggettivo, che l'intero nuovo regolamento dei rapporti creditori-debitore consacrato dagli accordi di ristrutturazione, e quindi non solo le remissioni, ma anche le dilazioni, ecc., è destinato a produrre effetti nei confronti dei fideiussori; e nel senso, sotto il profilo soggettivo, che questi effetti sono destinati a prodursi non solo nei confronti dei fideiussori, ma anche in quelli dei condebitori - si ricordi, rispetto a questi ultimi, l'art. 1301 c.c., ai sensi del quale «la remissione a favore di uno dei debitori in solido libera anche gli altri debitori» - e degli obbligati in via di regresso.
In altre parole, la regola di cui stiamo parlando si pone come regola opposta e speculare rispetto a quella sancita per il concordato preventivo dall'art. 184 co. 1, ult. parte, per il quale i creditori, pur a fronte del vincolo nascente dal concordato omologato, «conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso» (regola replicata, per il concordato liquidatorio giudiziale, dall'art. 248, co. 2 Codice, richiamato dall'art. 314, co. 5, riguardante il concordato nella liquidazione coatta; e replicata, altresì, per il concordato minore, dall'art. 79, co. 5)”[6].
Non si profilerebbero problemi di costituzionalità della norma dell’art. 18 ultima parte ripreso di sana pianta anche dalla disposizione dell’’art. 117 del Codice della crisi e dell’insolvenza, perché la mancata previsione dell’effetto esdebitatorio nel concordato è una dimostrazione tangibile e rafforzata per la necessità di ottenere un sicuro consenso dei creditori. Proprio la giurisprudenza di recente conio si è mossa in tal senso:” la Suprema Corte ha affermato, in più occasioni, l'identità di ratio delle due norme, ovvero quella di favorire l'accettazione della proposta concordataria da parte dei creditori (v. ad es. Cass., sent. n. 23275/2006) escludendo, quale necessario ed imprescindibile corollario, che l'effetto esdebitatorio del concordato possa essere esteso ai coobbligati trattandosi di disciplina degli effetti normativamente stabiliti dalla Legge Fallimentare (in proposito di recente v. Cass., sent. n. 22382/2019). Ne consegue che i creditori dell'imprenditore in crisi conservano, a prescindere dal contenuto della proposta concordataria e dalla sua integrale esecuzione, impregiudicati i propri diritti nei confronti dei coobbligati del debitore, dei suoi fideiussori e degli eventuali obbligati in via di regresso.
In particolare, con la citata pronuncia n. 22382/2019 la Corte ha espressamente affermato che "la disposizione dell'art. 184 comma 2 L. Fall. costituisce una deroga espressa al principio della comunicabilità degli effetti favorevoli tra i condebitori previsto dall'art. 1301 c.c. per la remissione volontaria e dall'art. 1941 c.c. per la fideiussione, considerata costituzionalmente legittima, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., dell'art. 184 (o dell'art. 135) legge fall. … tale disciplina trova fondamento nella finalità di favorire l'accettazione della proposta concordataria da parte dei creditori. Deve pertanto escludersi che l'effetto esdebitatorio del concordato possa essere esteso ai coobbligati in forza di patto espresso inserito nella proposta, trattandosi di disciplina degli effetti del concordato normativamente stabilita e dunque sottratta, a differenza di quanto previsto dalla disposizione dell'art. 184 u.c. legge fall., alla disponibilità delle parti."[7]
L'art. 20, comma 1, lett. f), del D.L. n. 118/2021 - applicabile ai procedimenti per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti introdotti successivamente al 25 agosto 2021 - ha inserito l'art. 182-decies del R.D. n. 267/1942, la cui formulazione letterale coincide con l'art. 59 del D.Lgs. n. 14/2019, anticipandone, pertanto, l'entrata in vigore ordinaria, formalmente prevista per il 15 luglio 2022.
Ciò implica che nel seno del Regio decreto, l’attuale normativa fallimentare, è diritto vigente: 182 decies. Ai nostri fini interessa il primo ed il secondo comma: Ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione si applica l'articolo 1239 del codice civile.
Nel caso in cui l'efficacia degli accordi sia estesa ai creditori non aderenti, costoro conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso.
Tale nuova norma della Legge fallimentare stabilisce, al comma 1, che ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione dei debiti si applica l'art. 1239 c.c., secondo cui la remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori.
Ma del resto già la dottrina ha convenuto che la ristrutturazione del debito ex art. 182 bis avesse un effetto novativo. 
Ha in proposito scritto Giovanni Bruno: “Con l'accordo di ristrutturazione dei debiti le parti, al fine di evitare la disgregazione dei complessi aziendali che conseguirebbe al conclamarsi dell'insolvenza e la conseguente compromissione dell'attivo patrimoniale determinata anche dai costi di una procedura concorsuale, perseguono l'obiettivo di un riassetto patrimoniale e finanziario dell'impresa in crisi. Questo riassetto patrimoniale e finanziario risulta incompatibile con la continuazione di tutti i precedenti rapporti obbligatori e produce effetti che vanno oltre la semplice modificazione negoziale dei rapporti originari in quanto determina una nuova composizione di interessi tra l'imprenditore in crisi ed i creditori aderenti. Essendo il rapporto che si crea con l'adesione di ciascun creditore incompatibile con le primitive obbligazioni originarie, non si pone alcun problema di manifestazione estrinseca dell'animus novandi.
Le operazioni di ristrutturazione dei debiti, infatti, implicano un riassetto finanziario che comporta la ridefinizione delle passività nel loro complesso. Il programma di ristrutturazione produce effetti incompatibili con le singole obbligazioni originarie e richiede una ripartizione dei sacrifici tra le varie categorie dei creditori aderenti. Ciascun creditore dell'impresa in crisi, allorquando si trova di fronte alla scelta se perseguire, sino all'estrema ratio della liquidazione giudiziale, l'esecuzione coattiva del proprio credito oppure aderire all'accordo di ristrutturazione, è consapevole che nel secondo caso si produrranno modifiche significative delle garanzie patrimoniali dell'impresa in crisi; pertanto, dopo aver valutato anche il trattamento riservato dal programma di ristrutturazione ai creditori concorrenti, se presta adesione all'accordo ne accetta il rischio. Una volta omologato, poi, l'accordo di ristrutturazione sostituisce l'obbligazione originaria ed il nuovo rapporto assume, così, un titolo diverso.
Il nuovo rapporto obbligatorio che si viene a creare a seguito del sopravvenire della situazione di crisi dell'impresa debitrice, esprime un nuovo assetto di interessi tra le parti. L'accordo di ristrutturazione dei debiti realizza interessi esterni e sopravvenuti rispetto alla vicenda originaria ed il contenuto del nuovo rapporto non deve essere necessariamente connotato da equivalenza economica rispetto all'obbligazione originaria.
In questo contesto, all'interesse dell'imprenditore corrisponde quello dei creditori che ritengono di gestire la sopravvenienza (crisi dell'impresa) attraverso l'adesione al programma di ristrutturazione patrimoniale-finanziario, mentre i titolari di un interesse contrario possono opporsi all'omologazione entro trenta giorni dalla pubblicazione dell'accordo nel registro delle imprese (art. 48 c.c.i.).
Il programma di ristrutturazione, una volta ottenuto il consenso definitivo dei creditori, costituirà l'oggetto dell'accordo di ristrutturazione, ovvero di un contratto di diritto privato che costituisce lo strumento di attuazione del piano e che è caratterizzato, come abbiamo evidenziato, da effetti novativi.
Tuttavia, a differenza del piano attestato di risanamento che può considerarsi come un accordo con obbligazioni del solo imprenditore proponente e che non produce direttamente alcun effetto novativo nei rapporti tra crediti e debiti, con l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione si realizza proprio quel fenomeno novativo disciplinato dal codice civile all'art. 1230. Se, dunque, con il piano attestato di risanamento il programma negoziale è volto alla soddisfazione di tutti i creditori, l'accordo di ristrutturazione produce un mutamento della struttura debitoria dell'impresa. Tale mutamento è funzionale alla rigenerazione degli assets strategici ed alla liquidazione di quelli ritenuti non più funzionali.
Ed è proprio per la funzione novativa degli accordi di ristrutturazione che rileva l'interesse del debitore (imprenditore in crisi).
Ebbene, se da un lato, nel diritto delle obbligazioni, si è sempre posta l'attenzione sull'interesse del creditore che deve essere soddisfatto attraverso la prestazione da eseguire (1174 c.c.), dall'altro lato va assegnato particolare rilievo all'interesse del debitore a liberarsi tempestivamente dal vincolo tramite l'adempimento”[8]. 
L’effetto novativo non è di poco conto, perché involge l’assetto delle garanzie, per la sua ineludibile ricaduta: “La transazione avente efficacia novativa del rapporto in ordine al quale era insorto conflitto tra le parti ha effetto estintivo delle garanzie reali originariamente prestate, salvo che i contraenti non abbiano convenuto di conservarle anche in relazione al nuovo contratto, ma, in tale caso, il patto opera esclusivamente "inter partes", occorrendo, ai fini della conservazione di garanzie prestate da terzi, il necessario consenso del garante; peraltro, la novazione dell'obbligazione garantita determina l'estinzione anche delle garanzie personali, ove non espressamente mantenute, sia "accessorie", in considerazione del nesso di dipendenza che lega la obbligazione di garanzia a quella principale, sia "autonome" in considerazione del nesso indissolubile che lega la causa concreta di garanzia autonoma alla esistenza del rapporto garantito”[9].
Il riferimento normativo si rinviene nell’art. 1232 c.c.: a fondamento dell'estinzione delle garanzie dell'obbligazione originaria è da porsi il noto principio di accessorietà: le vicende del rapporto accessorio di garanzia non possono, infatti, non seguire quelle del rapporto obbligatorio principale.
Benché la lettera dell'art. 1232 c.c. faccia esclusivo riferimento ai privilegi, al pegno ed alle ipoteche, la dottrina non dubita che detta disposizione sia suscettibile di un'interpretazione estensiva[10], in forza della quale deve ritenersi che - verificatasi l'estinzione dell'obbligazione originaria - venga meno ogni altro profilo accessorio di tale obbligazione.
La norma ha un’applicazione anche nel seno della remissione del debito ex art. 1239 c.c.: essa è espressione del principio secondo cui l'estinzione dell'obbligazione principale comporta automaticamente l'estinzione delle garanzie fideiussorie.
In tema specifico di coobbligazione solidale si spiega l’effetto di cui all’art. 1300 c.c., a tenor del quale La novazione [c.c. 1230] tra il creditore e uno dei debitori in solido libera gli altri debitori.
La norma in commento disciplina il caso specifico in cui la novazione - modo di estinzione dell'obbligazione diverso dall'adempimento (artt. 1230 ss.) - sia posta in essere da uno dei condebitori in solido: da ciò consegue, secondo la regola generale, la liberazione di tutti i condebitori[11].
Quanto al secondo comma la migliore dottrina[12] ha stigmatizzato il difficile confronto nascente in ragione della lettura dell’art. 182 decies, tra l’effetto dell’esdebitazione per i creditori aderenti e non aderenti: va in altre parole soppesato questo troncone della recente disposizione normativa. “Nel caso in cui l'efficacia degli accordi sia estesa ai creditori non aderenti, costoro conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso”.
È stato autorevolmente sostenuto: “si può iniziare col dire che gli accordi di ristrutturazione, secondo la tesi più convincente, non paiono sottoposti all’art. 184, 1° comma, l.f. neppure nella parte in cui dispone che restino «impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso. Pertanto, nella misura in cui l’accordo, segnatamente, abbia un contenuto remissorio, l’estinzione (totale o parziale) del debito dell’imprenditore verso gli aderenti, non potrà non riflettersi sui rapporti obbligatori che mettono capo ai singoli coobbligati o fideiussori, secondo le regole dettate per la solidarietà comune (art. 1301 c.c.). Il creditore, aderendo alla falcidia propostagli, ne accetta dunque le conseguenze anche rispetto ai propri rapporti con i debitori dell’imprenditore”[13].
Ma si rifletta per quanto sostenuto recentemente da Filippo Lamanna, direttore scientifico della rivista “Il Fallimentarista” e Presidente del Tribunale di Novara: si deve considerare “la genesi e la causa dell’effetto esdebitatorio che si produce negli accordi di ristrutturazione dei debiti, da un lato, e nel concordato preventivo dall’altro.
Gli accordi di ristrutturazione sono ordinari negozi stipulati fra le parti. E dunque è del tutto conseguente che ad essi si applichi la disciplina del codice civile, applicabile in materia di obbligazioni e contratti. Due regole di tal genere, fra le tante, merita richiamare: quelle contenute negli articoli 1239 comma 1 e 1301 comma 1 codice civile. La prima stabilisce che la remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori e la seconda che la remissione a favore di uno dei debitori in solido libera anche gli altri debitori.
In sostanza si verifica - in utilibus - la comunicazione (ossia l’estensione) degli effetti esdebitatori riguardanti il debitore principale anche a favore dei coobbligati e fideiussori, i quali restano liberati a loro volta nella stessa misura in cui resta liberato il debitorie principale. Le suddette regole non sono che l’applicazione di principi generali: l’estinzione dell’obbligazione comporta la liberazione anche dei coobbligati e delle garanzie accessorie che l’assistono. Va rimarcato che tali regole però nascono nell’ambito dei rapporti obbligatori di carattere negoziale ed esse non necessariamente possono trovare applicazione nei casi in cui l’effetto remissorio/esdebitatorio non derivi da una libera manifestazione della volontà del creditore. Nel concordato preventivo l’accordo con i creditori si raggiunge non attraverso la stipula di negozi ma con l’espressione di un voto”[14].
E’ stato sostenuto autorevolmente che “va esclusa per gli accordi di ristrutturazione l’applicabilità della norma dettata in materia di concordato preventivo nella quale si prevede la conservazione da parte dei creditori di tutti i diritti verso i garanti (art. 184, comma 1 l. fall.) . In tal caso dovranno applicarsi le norme di volta in volta scaturenti dal tipo di pattuizione in concreto contenuta nell’accordo: ad esempio, l’art. 1300 c.c. per l’effetto novativo, l’art. 1301 c.c. per l’effetto remissorio, l’art 1304 c.c. per quello transattivo. Va sottolineato a tal proposito che è possibile che nella prassi si registri uno specifico coinvolgimento dei garanti negli accordi proprio al fine di favorire la massima chiarezza sulla persistenza della garanzia.[15]
Si caldeggia in tale alveo l’assunto secondo cui “l’art. 20 d.l. n. 118 del 2021 ha introdotto l’art. 182-decies lf (destinato a confluire nel cci), dedicato ai coobbligati e ai soci illimitatamente responsabili. Si prevede che ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione si applica l'articolo 1239 cc, sulla liberazione dei fideiussori in caso di remissione del debito. Questa regola sarebbe comunque discesa dal sistema civilistico.[16]
3 . L’effetto del cram down per il creditore pubblico con l’interpretazione analogica dell’art. 182 septies
Il dubbio secondo cui i creditori non aderenti possano comunque ottenere la soddisfazione della loro pretesa, aggredendo i coobbligati solidali, come fa presumere un troncone dell’art. 182 decies, si può superare sulla base di un duplice argomento.
1. In primo luogo se per effetto del cram down si aderisce all’accordo seppure coattivamente per intercessione dell’organo giurisdizionale, il creditore pubblico non può più definirsi un creditore non aderente. L’effetto del cram down fa diventare ex post il creditore riottoso e recalcitrante un creditore adesivo, che dunque perde lo status di creditore non aderente. Infatti l’adesione spinta e coatta del cram down, non si dimentichi, sulla base di numerosi precedenti giurisprudenziali, di recente conio, ha reso possibile il conseguimento di maggioranze e dunque l’omologazione: trattasi di un effetto primordiale e primigenio che fa sorgere l’omologazione e perciò può considerarsi che l’aderenza del creditore pubblico è costitutiva, coessenziale, consustanziale senza della quale la procedura di omologazione non nasce affatto. Ecco allora che, perduto lo status di creditore non aderente, si diventa (per effetto del cram down) creditore aderente costitutivo. Se vale quest’assunto il creditore pubblico Agenzie delle Entrate oppure Ente Previdenziale non può essere classificato come creditore non aderente e non si applica ad essi il secondo comma dell’art. 182 decies.
2. Ma vi è di più: in sede di 182 septies è possibile estendere accordi a creditori non aderenti, perché si consegua la convenzione di moratoria con intermediari finanziari recalcitranti. Si rimarchi il dato che il legislatore ha statuito il principio secondo cui il debitore in sede di piano ex art. 182 bis possa chiedere che “gli effetti dell'accordo siano estesi anche ai creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria”. È vero che siamo nell’ambito della convenzione di moratoria con intermediari finanziari, ma può essere possibile che analogicamente l’organo giurisdizionale in sede di cram down, imponga l’adesione del creditore non aderente con sottesa rinuncia ad agire per la differenza non riscossa contro i coobbligati solidali. Si vuol sostenere che, alla stessa guisa di quanto disposto dall’art. 182 septies, se il Tribunale, in ultima analisi su richiesta del debitore può estendere gli accordi a creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria, anche per i creditori pubblici può adoperare lo stesso metro comportamentale.
La fonte del ragionamento dell’estensione analogica dell’art. 182 septies al secondo comma dell’art. 182 decies, è desumibile da un significativo sforzo dottrinale di questo tenore; con l’art. 182 septies “il legislatore avrebbe introdotto una deroga alla normale e fisiologica efficacia inter partes del contratto. Se così è, l'effetto che si produce nei confronti dei creditori estranei può essere stato valutato dall'ordinamento come tendenzialmente "favorevole" in relazione all'ambito di incidenza della previsione normativa e, in ogni caso, non contrasta con la regola sulla relatività degli effetti del contratto: in questo senso, il legislatore, con la deroga introdotta al principio generale di intangibilità del terzo, ha ritenuto nella specie meritevole di maggiore tutela l'interesse ad agevolare ulteriormente la soluzione alternativa alla crisi d'impresa rispetto al tempestivo adempimento al creditore non aderente”[17].
Con l’omologazione si conferisce un effetto legale ad un accordo scritto tra privati e quell’effetto legale allarga e rende possibile la sua efficacia anche a soggetti terzi, secondo modalità imposte dall’organo giurisdizionale che intendono salvare l’azienda, comprimendo un interesse privato- del creditore non aderente- che ha un valore minore rispetto a quello preminente e collettivo dell’organismo imprenditoriale da tutelarsi. In altri termini non si ha “nessun problema di efficacia del vincolo contrattuale verso i terzi, bensì effetto legale connesso all'omologazione dell'accordo di ristrutturazione. E tanto vale anche per gli effetti legali che derivano, volta a volta e con differente ampiezza, dalla pubblicazione o dall'omologazione del negozio di ristrutturazione.
Più chiaramente, la disciplina contenuta negli artt. 182 bis ss. l.fall. non si riferisce ai soli accordi di ristrutturazione, bensì agli effetti che gli stessi producono con la pubblicazione od omologazione; essi si sovrappongono agli effetti negoziali in senso stretto, in quanto derivano da una fattispecie procedimentale che si compone del negozio di ristrutturazione al quale si aggiunge l'elemento della pubblicazione o dell'omologazione.
La regolamentazione del negozio di ristrutturazione è cioè rimessa ai privati, ma l'accordo, una volta che venga pubblicato e successivamente omologato, si arricchisce di una serie di regole dettate dal legislatore (cc.dd. effetti legali), che ne allargano l'efficacia soggettiva al fine di garantire l'efficienza ed appetibilità dello strumento.
È come se si determinasse un concorso di regole di fonte convenzionale - che vincolano solo i paciscenti e rappresentano gli effetti tipicamente contrattuali conseguenti alla (mera) stipulazione dell'accordo - con regole di fonte legale, che estendono la loro efficacia anche a soggetti estranei agli stipulanti.
Pertanto, la previsione di un differimento nel pagamento dei creditori estranei può spiegarsi nell'articolazione del procedimento nel quale è inserito l'accordo raggiunto tra debitore e creditori e leggersi quale effetto da riconnettere al negozio di ristrutturazione omologato.
È quindi l'elemento procedimentale dell'omologazione (così come della pubblicazione) a qualificare in modo peculiare l'accordo di ristrutturazione, sì da consentire allo stesso di produrre effetti ulteriori e diversi rispetto a quelli che discendono dal negozio in sé e per sé considerato, avulso dal procedimento giudiziale”[18].
Questo ragionamento può essere posto a presidio dell’intervento di cram down del Giudice che, per salvare l’impresa, estenda l’efficacia dell’accordo raggiunto con l’agenzia delle Entrate o anche con l’Ente previdenziale, con liberazione dei coobbligati solidali, altrimenti diventa inutile qualsiasi sforzo, se ci si potrà rivalere su questi ultimi. 
L’analogia che affonda nell’art. 182 septies la si può inquadrare come categoria, condizione presupponente: il cram down abbia per intercessione dell’organo giurisdizionale un effetto novativo, con la ricaduta della liberazione degli obbligati solidali.
“In sede di omologazione di un accordo di ristrutturazione con banche ed intermediari finanziari, con richiesta di estensione degli effetti dell'accordo a creditori finanziari non aderenti ex art. 182 septies, comma 2, l.fall., compete al tribunale, anche in assenza di opposizioni, il controllo circa: i) la omogeneità di posizione giuridica e interessi economici dei creditori non aderenti rispetto a quelli degli aderenti appartenenti alla stessa categoria; ii) la completezza del compendio informativo messo a disposizione dei creditori non aderenti, che deve comprendere informazioni aggiornate circa la situazione patrimoniale, economico e finanziaria del proponente nonché sull'accordo ed i suoi effetti; iii) la possibilità per i creditori non aderenti di partecipare alle trattative; iv) il soddisfacimento di questi ultimi in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili”[19].
Se il creditore non aderente diventa per effetto del cram down un creditore aderente, dovrà necessariamente liberare anche i garanti, che dunque nella ristrutturazione del debito ex art. 182 bis - a differenza che per il concordato preventivo di cui all’art. 184 l.f. - conseguiranno anch’essi l’effetto esdebitatorio.
Non si spiegherebbe la diversità di norme tra il concordato preventivo e la ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis.

Note:

[1] 
Corte Costituzionale, sent. n. 245/2019.
[2] 
G. Fauceglia, La transazione fiscale e la domanda di concordato preventivo in Diritto Fall., 2009, 6, 20487.
[3] 
Cass. Civ., Sezioni Unite, in parte motiva n. 8504/2021. 
[4] 
A. Del Bene, Giudice della sezione specializzata di imprese Tribunale di Napoli, in Gazzetta Forense, novembre-dicembre 2021, pagina 1006.
[5] 
Tribunale Roma sez. IV, 24/06/2020, n. 9093.
[6] 
A. Nigro e D. Vattermoli, Il diritto della Crisi e delle Imprese. Accordi di ristrutturazione, piani di risanamento e convenzioni di moratoria. Dalla Legge fallimentare al Codice della Crisi, a cura di Giuseppe Ferri jr e Daniele Vattermoli. Pisa, 2021, pagg. 91-93.
[7] 
Corte d'Appello Milano, Sez. III, Sent., 09/03/2022, n. 791 in parte motiva.
[8] 
G.Bruno, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti; in Contratto e Impresa, 2021, 2, 436. 
[9] 
Cass. civ. Sez. III Sent., 31/03/2017, n. 8342.
[10] 
Zaccaria, Novazione, in Digesto civ., XII, Torino, 1995, 288. Nel medesimo senso cfr.: Bianca, Diritto civile, IV, Milano, 1993, 457; Di Prisco, Novazione, in Tratt. Rescigno, 9, I, 2a ed., Torino, 1999, 355, nt. 41; Nobili, Le obbligazioni, Milano, 2008, 153; Zaccaria, 288; Caputo, La novazione, in Fava (a cura di), Le obbligazioni, II, Milano, 2008, 859; Lambrini, 502; in particolare, sono destinate ad estinguersi le garanzie personali (Nobili, 153), obbligazioni accessorie (Bianca, Diritto civile, IV, Milano, 1990, 474; Breccia, Le obbligazioni, Milano, 1991, 715). 
[11] 
Rubino, Delle obbligazioni alternative, solidali, divisibili ed indivisibili, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 1285-1320, Bologna-Roma, 1968, 257; Giorgianni, Obbligazione solidale e parziaria, in NN.D.I., XI, Torino, 1965, 682.
[12] 
A. Nigro e D. Vattermoli, Il diritto della crisi delle Imprese capitolo V: i fideiussori, i coobbligati ed i soci illimitatamente responsabili negli accordi di ristrutturazione da pagina 91 a pag. 103 Pacina Giuridica 2021.
[13] 
S. Delle Monache, Profili dei “nuovi” accordi di ristrutturazione dei debiti. in www.judicium.it 
[14] 
F. Lamanna (a cura di), Il Civilista. Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano 2019, volume II, pagg. 91-92. 
[15] 
E. Capobianco, Accordi stragiudiziali per la soluzione della crisi di impresa; profili funzionali e strutturali e conseguenze dell’inadempimento del debitore in Banca Borsa e Titoli di credito fascicolo 3 del 2010 pagina 295 e seguenti.
[16] 
F. Di Marzio, Crisi, Contratti e ristrutturazioni, 19 novembre 2021, in www.dirittodellacrisi.it
[17] 
L. Follieri, Accordi di ristrutturazione dei debiti ed efficacia giuridica, in Contratti 2015, 12, 1164.
[18] 
Follieri, loc. cit.
[19] 
Tribunale di Roma, 11/12/2017. 

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