Saggio
Riflessioni sulla tutela d’urgenza del diritto di accesso alla documentazione sociale ex art. 2476, 2° comma, c.c.*
Ignazio Zingales, Associato di diritto processuale civile
31 Marzo 2018
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Sommario:
La norma, con riguardo alle società a responsabilità limitata, stabilisce, come è noto, che «i soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione».
Ci si trova, come evidenziato dalla giurisprudenza, di fronte ad un diritto potestativo di controllo [1] (esercitabile anche, ma non necessariamente, al fine di verificare la sussistenza di ragioni idonee a fondare eventuali azioni di revoca o di responsabilità dell’amministratore [2]), «che si esplica nel potere di chiedere in visione i libri e tutta la documentazione [3] afferenti la gestione della società» [4] [5]; un diritto potestativo avente natura autonoma [6] (e come tale tutelabile in un apposito giudizio di cognizione) e che si estende anche «alla possibilità di estrarre copia della documentazione sociale [7], con il solo limite della buona fede e previo versamento dei relativi costi» [8].
Il tutto, però, «senza pregiudizio per la funzionalità dell’attività gestoria [9] e per la riservatezza della documentazione stessa» [10], e con l’idea di fondo che «resta (...) affidata alla tutela risarcitoria l’eventuale uso anomalo dei documenti e delle informazioni ricevute (...) all’esito del richiesto accesso, ove queste vengano redirette ad altri fini e soggetti» [11].
Stante il consolidamento in giurisprudenza di tali soluzioni, in questa sede non si affronterà la materia sotto il profilo sostanziale, ma si analizzeranno esclusivamente alcuni aspetti processuali.
Sebbene, invero, anche su tale versante la materia de qua sia stata abbondantemente arata dai giudici di merito, residuano ancora alcuni profili, parzialmente rimasti in ombra, che, a mio avviso, meritano di essere posti in evidenza.
Il riferimento riguarda, principalmente, tre questioni.
La prima attiene alla individuazione della natura degli obblighi che il diritto sostanziale pone a carico della società.
La seconda concerne la possibilità o meno di riconoscere natura anticipatoria alle misure cautelari adottabili.
L’ultima, infine, inerisce al tema della eseguibilità, diretta o indiretta, dei provvedimenti d’urgenza resi; problematica, questa, su cui, come è evidente, si misura il tasso di effettività della tutela giurisdizionale erogabile.
Questo approdo ermeneutico si fonda, in primo luogo, sul condivisibile presupposto dell’assenza, nel vigente sistema, di rimedi cautelari tipici idonei a presidiare in modo pieno ed efficace il diritto all’informazione de quo e, dunque, a soddisfare la pretesa azionata dal socio che non partecipa all’amministrazione [12].
Se è vero, infatti, che il legislatore non si è preoccupato di tipizzare uno strumento specificamente volto alla tutela del diritto cristallizzato, a livello sostanziale, nell’art. 2476, 2° comma, c.c., è altrettanto vero che tale tutela – pienamente realizzabile solo attraverso la concessione di un provvedimento la cui esecuzione sfoci nella visione (e nell’ottenimento di copia) della documentazione richiesta – non può essere garantita dal sequestro giudiziario di cui all’art. 670, n. 2, c.p.c. [13].
Detto sequestro mira invero, ontologicamente e funzionalmente, a salvaguardare la possibilità che un documento venga utilizzato nel giudizio di merito come elemento di prova, e, dunque, a garantire in via immediata non la consultazione del documento, ma il diritto alla prova nel processo [14]. E ciò, disinnescando, attraverso la custodia temporanea del bene, il rischio di alterazione o di distruzione dello stesso, e dunque una tipologia di periculum in mora ben diversa da quella prospettabile in sede di tutela d’urgenza ex art. 700 c.p.c.
Proprio quest’ultimo riferimento consente di introdurre alcune considerazioni relative ai presupposti cautelari, ovvio essendo che, anche nella materia de qua, l’erogazione – a favore del socio che lamenti la violazione del diritto consacrato nell’art. 2476, 2° comma, c.c. – della tutela d’urgenza è subordinata alla sussistenza, nella fattispecie concreta, del fumus boni iuris e del periculum in mora.
Quanto al primo requisito, è evidente come – salve ipotesi particolari, quali, ad esempio, quelle che si concretizzano in presenza di richieste di ostensione documentale volte palesemente a fini antisociali o a turbare o ad ostacolare l’attività di gestione –, il semplice mancato accoglimento dell’istanza di accesso presentata da un socio (non amministratore) determini la fondatezza del ricorso [15].
Particolari questioni problematiche non si rinvengono nemmeno sul versante del periculum in mora.
La giurisprudenza ha messo in evidenza che «il procrastinarsi dell’ingiustificato diniego all’accesso agli atti opposto al socio ricorrente lede il suo diritto di informativa necessario a rendere pieno, effettivo ed efficace l’esercizio del suo potere di controllo in ordine all’intera gestione sociale (...), rendendo pertanto urgente provvedere in ordine alla condanna cautelare della società a consentire a breve l’effettivo espletamento di tale diritto, essendo evidente che l’attesa necessaria per far valere tale diritto in sede cognitoria ordinaria potrebbe costringere il socio a sopportare le eventuali illegittimità gestionali medio tempore compiute» [16]. Rischio, quest’ultimo, da neutralizzare in tempi rapidi, ove si consideri anche l’inidoneità – stante la non monetizzabilità ex post di tutti gli effetti pregiudizievoli sull’attività sociale determinati dagli atti di mala gestio compiuti dagli amministratori negligenti – di eventuali azioni risarcitorie a ristorare in modo pienamente soddisfacente gli interessi azionabili dai soci [17].
In questo quadro, e senza particolari riserve, si è così giunti ad affermare esplicitamente che il periculum in mora che abilita all’attivazione della tutela d’urgenza è in re ipsa; soluzione che viene offerta ora sottolineando che «il diritto al controllo ispettivo risulta per sua natura vanificato se assoggettato ai tempi di un giudizio di cognizione, che nella migliore delle ipotesi si parametrano a cadenze superiori a quelle degli esercizi sociali» [18], ora catalogando il diritto all’informazione de quo tra i «diritti a contenuto non patrimoniale ma a funzione patrimoniale» [19].
Scrutato il panorama giurisprudenziale sui temi dell’ammissibilità della tutela ex art. 700 c.p.c. e della configurabilità dei relativi presupposti, l’analisi può, adesso, virare verso le prime due (delle tre) problematiche indicate in premessa: a) l’una concernente l’individuazione della natura degli obblighi sostanziali che gravano sulla società a fronte del diritto di accesso ex art. 2476, 2° comma, c.c.; b) l’altra riguardante la possibilità o meno di riconoscere natura anticipatoria alle misure d’urgenza volte a garantire la piena e concreta estrinsecazione di tale diritto all’informazione; questione la cui soluzione rileva – a mente dell’art. 669 octies, 6° comma e 8° comma, c.p.c. [20] – in ordine alla ultrattività o meno dell’efficacia della misura cautelare in caso di mancato inizio del giudizio di merito o di estinzione dello stesso.
Ebbene, scandagliando il quadro giurisprudenziale, è possibile osservare come le ordinanze ex art. 700 c.p.c. adottate (nei confronti delle società a responsabilità limitata resistenti) a tutela del predetto diritto contengano solitamente i seguenti comandi:
2. ordine di mettere a disposizione del ricorrente la documentazione richiesta (ordine, questo, come è facile notare, dal contenuto sostanzialmente identico a quello sub 1 [22]) e di consentire di estrarne copia [23];
3. ordine di consegnare al ricorrente copia della documentazione richiesta [24];
4. ordine di depositare presso un ausiliario (nominato ai sensi dell’art. 68, 1° comma, c.p.c. [25]) la documentazione richiesta, concedendo alla parte ricorrente un termine per la disamina della stessa [26].
Ci si trova, così, di fronte a diversi modelli di statuizioni condannatorie; così come diversi appaiono gli obblighi che il diritto sostanziale pone, nella materia de qua, a carico della società.
Sotto quest’ultimo profilo, è innegabile che, a primo impatto, la lettera dell’art. 2476, 2° comma, c.c. evochi un obbligo di pati [27].
Gli organi sociali devono, invero, “tollerare” che il socio non amministratore (o un professionista di sua fiducia) acceda, al fine di procedere alla consultazione, nel luogo dove sono custoditi i documenti sociali.
Il mero accesso nei locali della società non è, tuttavia, sufficiente per la realizzazione dell’interesse tutelato dalla norma.
Il raggiungimento del risultato a cui anela il socio postula, invero, anche un comportamento attivo degli organi societari; un comportamento che si estrinseca vuoi nel “mostrare” e nel “mettere a disposizione” dell’avente diritto (offrendoli in visione) i documenti (oggetto della richiesta) custoditi nei locali della società, vuoi nel compimento delle operazioni materiali volte alla riproduzione (ove richiesta) degli stessi.
Conseguentemente, la riconducibilità esclusivamente agli obblighi di pati non risulta pienamente appagante, presupponendo il soddisfacimento dell’interesse tutelato anche l’adempimento, da parte della società, di prestazioni che – sebbene non si traducano nella costruzione di un’opera – appaiono, a mio avviso, nondimeno sussumibili nel genus degli obblighi di fare [28].
Se, da un lato, può, allora, dirsi che frammenti di obblighi di pati e frammenti di obblighi di fare si mescolano insieme fino a comporre l’obbligo complessivo a carico della società, dall’altro, nella ricostruzione che qui si propone, va, invece, esclusa la configurabilità di obblighi di consegna. Conclusione, questa, che costituisce ineluttabile conseguenza del fatto che il socio richiedente non è titolare di un diritto (reale o personale di godimento) sui documenti originali (diritto a cui corrisponderebbe un obbligo di consegna, con il conseguente trasferimento, dall’obbligato all’avente diritto, del potere di fatto sugli stessi [29]), ma del diritto di visionare i documenti originali (e di ottenerne copia), e, dunque, di un diritto la cui realizzazione non è subordinata all’acquisizione, da parte del socio, del possesso o della detenzione dei beni.
Alla luce delle suesposte considerazioni, può così osservarsi come la conclusione che qui si veicola non sia antinomica rispetto ai provvedimenti cautelari sub nn. 1), 2), 3) e 4), ben potendo gli ordini in essi contenuti (compresi quelli di consegnare copia della documentazione richiesta [30] e quelli di depositare detta documentazione presso un ausiliario del giudice) essere eseguiti nelle forme previste per gli obblighi di fare[31].
In questo quadro, dette misure cautelari appaiono anticipatorie [32] rispetto agli effetti delle sentenze di accoglimento pronunciabili all’esito di giudizi di merito (da prospettare nell’istanza cautelare ante causam [33] ) introdotti da domande aventi, quale petitum immediato, l’accertamento del diritto de quo e l’adozione di capi condannatori la cui esecuzione (spontanea o coattiva) garantisca l’accesso alla documentazione della società.
Ed infatti – fermo rimanendo, ovviamente, che solo la proposizione della domanda di merito e la coltivazione del relativo processo potrebbero consentire di approdare ad una pronunzia avente autorità di cosa giudicata (risultato, questo, invece non raggiungibile con la sola attivazione del procedimento cautelare [34]) –, sotto il profilo ontologico, il primario “bene della vita” (a cui aspira il socio) ottenibile all’esito dei suddetti giudizi di merito – vale a dire la possibilità di accedere alla (e di ottenere copia della) documentazione – non si differenzia da quello conseguibile in via d’urgenza.
Si vuole, cioè, dire che, nella materia in esame, l’esecuzione (spontanea o coattiva) del comando contenuto nei provvedimenti cautelari de quibus permette di acquisire un risultato pratico – contemplato dalla norma sostanziale (l’art. 2476, 2° comma, c.c.) – identico a quello derivabile dalla esecuzione (spontanea o coattiva) della sentenza di condanna pronunciabile all’esito di un eventuale giudizio di merito; identici essendo i comportamenti che possono, in questo campo, essere imposti dai provvedimenti d’urgenza e dalle sentenze di condanna [35].
In altri termini, i suindicati provvedimenti d’urgenza “dettano” (senza, però, alcuna idoneità al giudicato) un regolamento del rapporto sostanziale non dissimile da quello delineabile nella pronunzia di merito; un regolamento idoneo a garantire, in entrambi i segmenti processuali (quello cautelare e quello di merito), una identica utilità pratica.
Le misure cautelari ex art. 700 c.p.c. di cui trattasi possono, dunque, essere ricondotte all’interno del genus dei provvedimenti anticipatori. Il che consente di affermare con certezza [36] : a) che la mancata instaurazione o l’estinzione del giudizio di merito non determinano il venir meno dell’efficacia della pronunzia cautelare adottata; b) che il giudice, nell’emettere dette misure prima dell’inizio della causa di merito, deve provvedere, a mente dell’art. 669 octies, 7° comma, c.p.c., sulle spese del procedimento cautelare [37].
Alla medesima conclusione si dovrebbe, peraltro, approdare anche nell’ipotesi in cui il ricorrente – nell’indicare gli elementi della domanda di merito nel corpo di una istanza cautelare ante causam diretta ad ottenere una misura la cui esecuzione si risolva nell’immediata visione dei documenti della società – prospetti l’esperimento non solo di una azione volta alla tutela del diritto di accesso alla documentazione sociale, ma anche di una azione di responsabilità contro l’amministratore della società.
In questo caso, nel giudizio di merito risulterebbero cumulate due domande diverse (che, in teoria, avrebbero potuto anche introdurre distinti giudizi di cognizione sfociabili in diversi giudicati), riguardanti due diritti sostanziali differenti ed autonomi [38], entrambi riconosciuti dall’art. 2476 c.c.
Ne consegue che la sussistenza o meno del carattere della anticipatorietà nelle misure sub nn. 1), 2), 3) e 4) andrebbe verificata non certo guardando unitariamente alle due cause (cumulabili, o anche già cumulate, nello stesso processo), ma con esclusivo riferimento all’azione di merito concernente la tutela del diritto all’informazione, e dunque scindendo idealmente le due diverse domande.
Ed in quest’ottica, alla luce di quanto osservato in precedenza, non vi sarebbero ragioni ostative al riconoscimento, anche nella fattispecie de qua, della natura anticipatoria delle menzionate misure ex art. 700 c.p.c.; misure che, dunque, risulterebbero anche qui svincolate dalla instaurazione e dalla coltivazione del giudizio di merito.
A risultati diversi si dovrebbe, invece, pervenire qualora fosse chiesto e concesso – in correlazione ad un giudizio di merito (futuro o già pendente) di accertamento del diritto all’informazione – un provvedimento d’urgenza meramente dichiarativo [39] della sussistenza di detto diritto [40].
In questo caso, ponendo al centro del ragionamento quella che è la finalità dell’azione di accertamento, andrebbe ritenuto che il provvedimento cautelare de quo non sia pienamente anticipatorio rispetto agli effetti della eventuale sentenza di merito. L’esperimento dell’azione di accertamento mira, infatti, a rendere certa la situazione giuridica dedotta in giudizio; la certezza de qua costituisce, tuttavia, un risultato che può essere conseguito solo con la formazione della cosa giudicata e non in esito alla cognizione cautelare [41].
Conseguentemente, se il socio aspira esclusivamente ad un riconoscimento – munito del crisma della certezza – dell’esistenza del proprio diritto all’informazione, appare oltremodo azzardato ritenere anticipatorio un provvedimento cautelare che – accertando, solo in termini di mera probabilità, la configurabilità di detto diritto – non possa ontologicamente garantire quella certezza giuridica costituente l’unico “bene della vita” rivendicato dal ricorrente [42].
Questo dato va ora messo in correlazione con la tesi – formulata da una parte della giurisprudenza [43] – secondo cui, nella materia de qua, verrebbero in rilievo obblighi infungibili.
Tale conclusione, ai fini che qui rilevano, non è certo priva di conseguenze.
Ed invero, così opinando, si dovrebbe giungere ad affermare che all’inottemperanza della misura d’urgenza non possa seguire una fase di attuazione coattiva del dictum cautelare adottato.
La soluzione – che riduce, e non di poco, il tasso di effettività della tutela erogabile – non è però convincente.
E non lo è perché l’infungibilità, pur costituendo fenomeno dai confini non certi, risulta comunque intrinsecamente legata vuoi alla libertà – della sfera personale [44] o di impresa [45] – del soggetto obbligato, vuoi alla natura di quest’ultimo [46] e delle attività da svolgere al fine di soddisfare l’interesse tutelato dall’ordinamento [47]. E qui non mi pare che una eventuale esecuzione in via coattiva delle misure sub nn. 1), 2), 3) e 4) possa conculcare la natura o incomprimibili libertà del soggetto destinatario dell’ordine del giudice. Né, tantomeno, mi pare che vengano in rilievo attività non surrogabili.
Tale attuazione coattiva può, invero, realizzarsi attraverso prestazioni – quali: l’accesso presso i locali della società in cui sono custoditi i documenti; l’apprensione materiale della documentazione da mettere a disposizione del socio, ovvero da consegnare in copia a quest’ultimo, ovvero ancora da depositare presso un ausiliario; e, infine, l’eventuale riproduzione dei documenti – che possono essere eseguite, senza alcuna menomazione degli spazi di libertà garantiti dall’ordinamento all’obbligato [48], da un soggetto terzo, quale l’ufficiale giudiziario (eventualmente assistito dalla forza pubblica) nominato, con il precipuo scopo di operare in sostituzione dell’obbligato, dal giudice della cautela ai sensi dell’art. 669 duodecies c.p.c.
Si vuole, cioè, dire che l’assetto di interessi delineato nel provvedimento d’urgenza può inverarsi attraverso il compimento, da parte dell’ufficiale giudiziario, di attività materiali che, non implicando prestazioni di natura necessariamente personale dell’obbligato e non incidendo su scelte riguardanti la gestione della compagine societaria e la direzione degli affari sociali, non comprimono né quelle intangibili sfere di libertà che trovano nell’art. 13 Cost. la più alta consacrazione, né quegli ambiti di autonomia, altrettanto intangibili, che connotano il diritto di impresa riconosciuto dall’art. 41 Cost.
Ambiti di autonomia, questi ultimi, che non vengono erosi o intaccati ove si consideri che l’intervento sostitutivo – che conduce al soddisfacimento della pretesa, di carattere meramente informativo, del socio – non si traduce in una forma di ingerenza, non postulando l’esecuzione coattiva del provvedimento cautelare alcuna determinazione riguardante l’amministrazione (in senso stretto) della società e l’attuazione dell’oggetto sociale.
Peraltro, e per concludere, la tesi della eseguibilità coattiva delle misure cautelari in esame si giustifica anche in un’ottica di costi-benefici. L’esecuzione diretta, infatti, non solo non determina alcun grave “sacrificio” per la società, ma anzi – garantendo la piena realizzazione del diritto all’informazione del socio e consentendo, di conseguenza, una valutazione dell’operato dell’amministratore suffragata da dati concreti – assume, in una prospettiva più ampia, una vera e propria funzione di protezione della vita della società.
E fin qui per quanto attiene alla eseguibilità diretta degli ordini de quibus. Volgendo, adesso, per un attimo lo sguardo all’attuale sistema di esecuzione indiretta, ci si può, tuttavia, rendere conto di come la pretesa azionata dal ricorrente possa essere più rapidamente conseguita attraverso l’impiego, già in fase cautelare, dello strumento disciplinato nell’art. 614 bis c.p.c. [49] [50].
Ed invero, a seguito dell’intervento legislativo attuato con il D.L. 27 giugno 2015, n. 83, conv. in L. 6 agosto 2015, n. 132, nessun dubbio può residuare oggi in merito all’applicabilità, pure nel settore delle obbligazioni fungibili, del predetto art. 614 bis[51] (la cui rubrica, peraltro, a seguito di detto intervento, non contiene più alcun esplicito riferimento alle obbligazioni infungibili [52]).
Tale articolo, come è noto, ha introdotto nel sistema [53] una misura di “coercizione indiretta” (e così risulta qualificata anche nella rubrica), concedendo al giudice la possibilità, ove richiesto dalla parte interessata, di fissare, «con il provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro» [54] (e “salvo che ciò sia manifestamente iniquo”), una «somma di denaro [55] dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento».
L’utilità di tale congegno è di palmare evidenza anche con riferimento alla materia in esame.
Ed invero, il meccanismo – peraltro già sperimentato nelle controversie de quibus sul presupposto (a mio avviso, errato) della infungibilità degli obblighi di informazione di cui trattasi [56] – non solo non presenta controindicazioni, ma accresce di molto la possibilità di una sollecita realizzazione dell’interesse tutelato dall’art. 2476, 2° comma, c.c.
E tanto basta per auspicarne un impiego sempre più diffuso.
* Edito in Il Diritto fallimentare e delle società commerciali 3-4/2018
Note:
Una diversa soluzione è stata, invece, offerta dal Tribunale di Catania (con una pronunzia – non edita – poi riformata in sede di reclamo da Trib. Catania, ord. 3 marzo 2006, cit.) che ha optato per l’utilizzabilità, nella materia de qua, del sequestro probatorio ex art. 670, n. 2, c.p.c. e per la conseguente inammissibilità del ricorso allo strumento cautelare atipico di cui all’art. 700 c.p.c.
È interessante notare come in quest’ultima pronunzia citata si sia provveduto non solo ad autorizzare il ricorrente (e/o i professionisti da questi incaricati) ad accedere, per la consultazione (e l’estrazione di copia) dei documenti richiesti, nei locali adibiti alla custodia degli stessi, ma anche a designare un ufficiale giudiziario (abilitato, ex art. 68, 3° comma, c.p.c., ad avvalersi, ove necessario, della forza pubblica) con l’incarico di vigilare sul corretto compimento delle operazioni autorizzate.
Ed anche in questa pronunzia (si veda la nota precedente) si è provveduto – oltre ad autorizzare il socio (e/o i professionisti da questi incaricati) ad accedere, per la consultazione (e l’estrazione di copia) della documentazione richiesta, nei locali della società – a designare un ufficiale giudiziario (abilitato, ex art. 68, 3° comma, c.p.c., ad avvalersi, ove necessario, della forza pubblica) con l’incarico di guidare le operazioni autorizzate.
In generale, sulla eseguibilità ai sensi degli artt. 612 ss. c.p.c. (esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare) della sentenza di «condanna alla messa a disposizione o al rilascio delle informazioni rappresentate dal documento», cfr., in dottrina, A. PROTO PISANI, Note in tema di diritto sostanziale e di diritto processuale all’esibizione, in Riv. dir. proc., 1996, p. 577, e B. FICCARELLI, Esibizione di documenti e discovery, Torino, 2004, p. 302.
Questo il testo del predetto art. 669 duodecies c.p.c.: «Salvo quanto disposto dagli articoli 677 e seguenti in ordine ai sequestri, l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro avviene nelle forme degli articoli 491 e seguenti in quanto compatibili, mentre l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare il quale ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà o contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti. Ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito».
G. ARIETA-F. DE SANTIS, Diritto processuale societario, Padova, 2004, pp. 385-386; R. TISCINI, I nova del procedimento cautelare societario: la cosiddetta strumentalità attenuata e il cosiddetto giudizio abbreviato, in Giur. it., 2004, pp. 2212-2213; M. FABIANI, Il rito cautelare societario (contraddizioni e dubbi irrisolti), in Riv. dir. proc., 2005, p. 1185 ss.; C. CARIGLIA, L’ordinanza cautelare di sospensione dell’efficacia della delibera condominiale in seguito alla riforma dell’art. 1137 c.c., in Giusto proc. civ., 2013, p. 1180 ss.; L. QUERZOLA, Tutela cautelare e dintorni: contributo alla nozione di «provvedimento anticipatorio», in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, p. 798 ss.; L. QUERZOLA, La tutela anticipatoria fra procedimento cautelare e giudizio di merito, Bologna, 2006, p. 18 ss.; C. DELLE DONNE, L’attuazione delle misure cautelari, Roma, 2012, p. 5 ss.; U. COREA, Autonomia funzionale della tutela cautelare anticipatoria, in Riv. dir. proc., 2006, p. 1265; S.A. VILLATA, Impugnazioni di delibere assembleari e cosa giudicata, Milano, 2006, p. 503 ss.; E. DALMOTTO, Articolo 669 octies c.p.c. – Provvedimento di accoglimento, in Le recenti riforme del processo civile. Commentario, diretto da S. CHIAR- LONI, Bologna, 2007, p. 1245 ss.; F. CARBONARA, Limiti oggettivi dell’«anticipazione» giuridica, «strumentalità attenuata» ed ulteriori riflessioni in tema di provvedimenti cautelari nel nuovo rito societario, in L. LANFRANCHI-A. CARRATTA (a cura di), op. cit., p. 373 ss.; M. COMASTRI, Sub art. 669 octies c.p.c., in A. BRIGUGLIO-B. CAPPONI (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, Padova, 2007, p. 176 ss.; L. GUAGLIONE, in F. CIPRIANI-G. MONTELEONE (a cura di), La riforma del processo civile, Padova, 2007, p. 483 ss.
Dubbi sulla possibilità di riconoscere una utilità funzionale alla tutela cautelare dichiarativa vengono, invece, espressi da G. SAMORÌ, La tutela cautelare dichiarativa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1995, p. 949 ss., e da L. BACCAGLINI, Provvedimento d’urgenza e anticipazione dell’effetto di accertamento della pronuncia di merito. Una questione non ancora sopita, in Resp. civ. prev., 2005, p. 830 ss. In giurisprudenza, per l’affermazione dell’incompatibilità della tutela di mero accertamento con la struttura e la funzione dei provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., cfr., tra le altre, Corte App. Torino, ord. 9 giugno 2000, in Dir. ind., 2002, p. 276.
[I]. «Con il provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico o privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409».
[II]. «Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile».