L’esame del complesso panorama giurisprudenziale stimola una riflessione: dottrina e giurisprudenza di merito hanno espresso nel tempo posizioni ben argomentate a sostegno della tesi restrittiva che esclude la natura privilegiata dei crediti in esame, su cui tuttavia la Suprema Corte non si è pronunciata, neppure in occasione delle più recenti decisioni.
Sebbene i giudici di merito abbiano addotto solidi argomenti nel senso della natura chirografaria dei crediti restitutori, la giurisprudenza di legittimità non sembra avere sempre risposto in modo puntuale alle conclusioni espresse dai Tribunali di merito, avendo pretermesso quelli che appaiono argomenti assai persuasivi.
Procedendo con ordine, non appare del tutto condivisibile l’approdo secondo cui è possibile riconoscere natura privilegiata a tutti crediti restitutori originati dalla revoca di un intervento di sostegno pubblico sotto forma di garanzia in quanto compresi nell’art. 9, comma 5, D.Lgs. n. 123/1998: se è vero che al fine di adottare una interpretazione estensiva di una norma istitutiva del privilegio deve aversi riguardo alla sua struttura[59], è anche vero che il ricorso a tale tecnica interpretativa è espressamente circoscritto alle sole cause di prelazione previste dal c.c.[60], atteso il loro carattere generale e la loro rispondenza ad un criterio di equità (art. 3 Cost.), con esclusione delle norme settoriali istitutive di singoli privilegi, che presentano natura di ius singulare.
Già sotto tale primo profilo sembra auspicabile che la Suprema Corte, in futuro, prenda perlomeno in esame i rilievi critici concernenti i presupposti dell’interpretazione estensiva, per sciogliere il dubbio posto dai giudici di merito e tutt’oggi insoluto[61].
Desta inoltre qualche perplessità l’assimilazione tra gli istituti della surroga e del regresso, in merito ai quali non vi è uniformità di vedute neppure in seno alla stessa giurisprudenza di legittimità, che in alcune occasioni sembra sovrapporre i rapporti sostanziali dai quali essi traggono origine[62], in altre invece sembra voler prescindere dalla questione[63], affermando che il privilegio sorge, ex lege, in capo al garante, senza che rilevi un eventuale trasferimento del credito dal creditore originario al garante.
A ben vedere, per l’orientamento largamente maggioritario le due azioni sono complementari ed attengono a rapporti diversi[64]: mentre l’azione di regresso guarda al rapporto tra garante e debitore principale, ristabilendo l’equilibrio patrimoniale tra le parti, la surrogazione concerne il diverso rapporto tra garante e creditore originario, ed attribuisce al primo (garante) il vantaggio ulteriore di avvalersi, contro il debitore, delle garanzie accessorie del credito originario. E’ vero che, nella prassi, i due istituti possono cumularsi in capo al medesimo soggetto (come avviene, ad esempio, nella fideiussione), cionondimeno il regresso ha la sua fonte nel rapporto tra solvens e debitore, e il diritto alla restituzione nasce al momento del pagamento (secondo lo schema dell’acquisto del diritto a titolo originario), mentre la surroga presuppone la continuazione dell’originaria posizione di credito in capo al solvens (secondo lo schema dell’acquisto del diritto a titolo derivativo). [65]
Ciò premesso, un’applicazione rigorosa della disciplina di diritto comune porterebbe ad escludere che i crediti in parola abbiano natura privilegiata: se infatti si condivide l’orientamento, di legittimità, che assimila surroga e regresso, si deve escludere che l’azione di regresso – al pari della surroga - possa conferire al credito del garante natura privilegiata, laddove quello del garantito fosse chirografario. Invero, se il credito di regresso è il medesimo credito originariamente vantato dalla banca erogante, non vi sono ragioni per ritenere che esso muti la propria natura solo perché azionato dal garante nei confronti del debitore principale, a ciò ostando l’applicazione di un meccanismo analogo a quello che l’art. 1203 c.c. detta per la surrogazione.
Né appare convincente l’argomento, pure sostenuto dai giudici di legittimità[66], secondo cui il credito (nella specie di SACE S.p.A.) nasca privilegiato sin dall'origine, come a dire che il medesimo credito è chirografario per la banca e privilegiato per il garante. Premesso che il privilegio è una qualità che il credito acquista nella fase genetica e che trova ragione unicamente nella peculiare causa che lo caratterizza, e non già nella condotta del titolare del rapporto obbligatorio, non sembra ammissibile che si lasci all’iniziativa del garante il potere di incidere, addirittura dopo l’apertura del concorso, sulla massa passiva[67].
Inoltre, e qui il punctum dolens dell’iter argomentativo della Suprema Corte, anche a voler ammettere che, in astratto, il credito di regresso possa godere, per volontà della legge o dei privati, di una causa di prelazione che originariamente non aveva, l’operatività del privilegio incontrerebbe, in concreto, un sicuro limite nei principi dettati dalla disciplina concorsuale.
Sul punto, è cristallino il Tribunale di Udine[68], laddove afferma che il credito da regresso ha natura concorsuale[69] (se, come accaduto nel caso esaminato, la garanzia è escussa dopo la presentazione della domanda di concordato) e che pertanto debbono applicarsi le disposizioni della L. Fall. in tema di postergazione del credito di regresso e di cristallizzazione della massa passiva al momento dell’apertura della procedura.
Con riguardo al primo profilo, dalla lettura delle norme che regolano le obbligazioni solidali nel fallimento si ricava che il legislatore non ammette che ad un creditore chirografario subentri un creditore privilegiato[70].
Nel dettaglio, l’art. 61, cpv., L. Fall.[71] (che disciplina i pagamenti parziali effettuati dopo il fallimento) stabilisce che se il comune creditore non è stato integralmente soddisfatto prima del fallimento, il credito del coobbligato solvente è postergato. La norma[72], corrispondente ad una fattispecie frequente nella prassi[73], è stata costantemente interpretata nel senso che i pagamenti parziali eseguiti in pendenza di fallimento, anche se eccedenti la quota del solvens nei rapporti interni[74], legittimano l’esercizio del diritto di regresso solo dopo che il creditore originario sia stato integralmente soddisfatto[75].
Tale postergazione, giustificata dal fatto che il creditore originario è legittimato a tenere ferma la domanda di ammissione al passivo per l’intero, nonostante i pagamenti parziali medio tempore ricevuti, sembrerebbe logicamente incompatibile con il privilegio, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di legittimità; e ciò è ancor più vero se si considera che il solvens, non ammesso a partecipare al concorso, ha a disposizione speciali forme di tutela preventiva[76], che mal si conciliano con la titolarità di un credito privilegiato.
Del resto, anche il successivo art. 62 L. Fall. – che disciplina il caso del pagamento parziale effettuato prima dell’apertura della procedura – dopo aver disposto che il creditore originario, solo in parte soddisfatto, possa concorrere nel passivo del debitore per il residuo non riscosso[77], così come il coobbligato avente diritto di regresso[78], stabilisce a tutela del medesimo creditore originario che la quota di riparto spettante al solvens venga assegnata al primo fino alla concorrenza di quanto ancora dovutogli (3 comma).
Sempre a tutela del creditore originario, l’art. 63 L. Fall. dispone la postergazione del credito di regresso rispetto alla posta attiva del creditore originario garantito da pegno/ipoteca; quest’ultimo, infatti, benché chirografario, ha diritto di soddisfarsi in via prioritaria sul ricavato della vendita dei beni dati in garanzia, con la conseguenza che il solvens è collocato in posizione gradata rispetto al primo.
Con riferimento al secondo profilo, è noto che nel momento in cui prende avvio il procedimento di fallimento o di concordato, si cristallizzano le masse attive e passive (artt. 42 e 168 L. Fall.). Il patrimonio del debitore viene segregato a favore dei creditori anteriori (art. 184 L. Fall.) rispetto ai quali il concordato è obbligatorio e al contempo si cristallizza la massa passiva nella quale deve figurare il debito chirografario verso la banca erogante: la sorte di quel credito - e cioè l'avvenuta soddisfazione da parte del garante - non può incidere sui diritti preesistenti dei terzi, pena, altrimenti la violazione della disciplina concorsuale e, per attenta dottrina[79], anche dell’art. 9, comma 5, D.Lgs. n. 123/1998, nella parte in cui fa salvi “i diritti preesistenti di terzi”[80].
Nello stesso senso si può menzionare anche l’art. 2916 n. 3 c.c.[81], che stabilisce, per le procedure di espropriazione individuale, che nella distribuzione del ricavato non si tenga conto dei privilegi per crediti sorti dopo il pignoramento. Il principio trova applicazione anche in ambito concorsuale, in cui la cristallizzazione del patrimonio[82] segue alla pubblicazione del ricorso per concordato o della sentenza dichiarativa di fallimento: è da tale momento che il privilegio di cui all'art. 9 non è opponibile ai creditori, pena, altrimenti, l’alterazione del principio della par condicio creditorum.
Nessuna delle norme richiamate sembra essere stata esaminata dai giudici di legittimità, i quali sembrano non avere tenuto in considerazione, da un lato, la peculiare situazione che si crea quando le pretese dei diversi coobbligati si realizzano nel fallimento, e non già sul piano della soddisfazione meramente individuale, e, dall’altro, che gli artt. 61 – 63 L. Fall. hanno un ambito applicativo assai ampio, che comprende ogni vincolo di solidarietà passiva a prescindere dalla circostanza che l’obbligazione sia stata assunta nell’interesse esclusivo di uno solo dei coobbligati[83].