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Rapporti gestori e crisi di impresa nella società Benefit

Simonetta Ronco, Professore aggregato di diritto commerciale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Genova

27 Agosto 2024

Il codice della crisi di impresa e dell'insolvenza ha concretizzato una sostanziale rivoluzione nell'ambito dell'organizzazione interna dell'impresa e del management, introducendo o rafforzando norme che pongono al centro del sistema aziendale l'adeguatezza degli assetti societari e misure utili alla rilevazione tempestiva della crisi. Si tratta di un importante cambio di prospettiva per molti aspetti, in quanto il tema della realizzazione degli scopi benefit e quello della gestione (attuale e prospettica) di eventuali fenomeni di crisi e di insolvenza sono solo apparentemente lontani, risultando invece molto più interconnessi di quanto si possa pensare. In questo studio si proverà a formulare qualche riflessione in argomento. 

The CCII has brought about a substantial revolution in the internal organization of the company and management, introducing or strengthening rules that place the adequacy of corporate structures and measures useful for timely detection of the crisis. This is an important change of perspective in many respects, as the issue of the realization of benefit objectives and that of the management (current and prospective) of possible crisis and insolvency phenomena are only apparently distant, proving to be much more interconnected than expected. you might think. In this study we will try to formulate some reflections on the topic. 
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1 . Introduzione della società Benefit nell’ordinamento italiano e prime riflessioni sul collegamento con il CCII
L’introduzione nell’ordinamento italiano di alcune linee guida per la costituzione della società benefit risale alla legge di stabilità 2016[1]: i commi da 376 a 384 dell’unico articolo della legge, infatti, hanno fornito gli elementi distintivi essenziali di una struttura societaria che, seppure già da tempo prevista e disciplinata in numerosi Stati degli USA[2], nel nostro ordinamento non aveva suscitato particolare interesse. Il pacchetto di disposizioni che hanno provato a traslare la struttura della società benefit in Italia ha visto la luce in seguito ad un progetto di legge a iniziativa del Senatore Mauro del Barba e, sostanzialmente, mira ad aumentare gli effetti positivi e diminuire quelli negativi nell’ambiente in cui la singola società opera[3], andando a collocarsi in quel filone che è ormai comunemente conosciuto come imprenditorialità etica. 
Si tratta di una ispirazione certamente non nuova nel sistema economico italiano, se solo si pensa a quante iniziative legislative e interpretative sono state prese negli ultimi anni per valorizzare l’ambiente e la persona in quanto motori e al contempo fine ultimo dell’agire economico. Persona che viene intesa non più in senso consumeristico, ma come protagonista di una filosofia economica dalle caratteristiche etiche e multifunzionali, scaricando l’attività economica dalle connotazioni meramente lucrative e caricandola di implicazioni che vanno bel al di là della semplice logica del profitto[4]. E, del resto, se, fino ad un recente passato, vi è stata una rigida ripartizione tra società /attività di impresa (for profit) e altro ente collettivo/attività non profit, oggi (e non solo in seguito all’introduzione della società benefit, ma anche di una serie di schemi normativi relativi a soggetti collettivi a carattere non prevalentemente imprenditoriale, nonché alla riforma organica del Terzo Settore), tutti o quasi i soggetti collettivi possono esercitare attività di impresa. 
Del resto, in sede comunitaria, la presenza della finalità lucrativa sia in senso oggettivo che in senso soggettivo è stata sempre riconosciuta poco influente al fine dell’applicazione di quel fondamentale aspetto dello statuto dell’impresa che è la disciplina antitrust: posto infatti che una definizione legislativa di impresa manca sia nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sia nella legge antitrust italiana, la nozione operativa di impresa che si è affermata a livello unionista è desumibile da una vasta congerie di decisioni dalle quali si possono certamente ricavare alcuni tratti comuni e ricorrenti, ma dalle quali si trae anche la netta impressione di un rifiuto, opposto dalla giurisprudenza, alla tentazione di elaborare rigidi criteri definitori, per non incappare nell’impasse di un vero e proprio conflitto tra diritto comunitario e diritto interno. Infatti, un orientamento ormai consolidato di origine comunitaria ritiene applicabile la disciplina antitrust anche a soggetti indubitabilmente svolgenti compiti la cui natura non è quella imprenditoriale nel senso fatto palese dal nostro art. 2082 c.c. quando, per la posizione dominante che occupano sul mercato, siano in grado di impedire ad altri operatori di svolgere con maggiore efficacia la stessa attività[5]. In questa ottica, appunto, l’idea di impresa prescinde dalle connotazioni proprie dell’art. 2082 per privilegiare, ai fini dell’applicazione prima degli artt. 101 e 102 TFUE, e poi della legge 287/90, elementi a prevalente contenuto economico, più idonei a consentire una valutazione dell’influenza che sugli assetti concorrenziali di un mercato può essere esercitata da un determinato soggetto. 
Per introdurre il tema della disciplina della società benefit così come concepita dalla legge italiana, occorre ricordare che dirette destinatarie di queste disposizioni sono principalmente quelle società for profit che volontariamente dichiarino di perseguire finalità di beneficio comune, pur senza rinunziare all’obiettivo del profitto. Infatti, le attività non profit organizzate in forma di impresa, a cominciare dalle cooperative sociali e dalle imprese sociali, hanno già nel DNA la natura di utilità sociale, e quindi non appaiono in prima battuta necessitate a vestire nuovi panni. Nelle intenzioni del legislatore del 2015 c’era invece l’obiettivo di approntare un humus normativo che incoraggiasse imprese tradizionalmente for profit a sviluppare un impatto sociale positivo, inserendosi in sistemi di creazione del valore o di innovazione miranti a trasformare la loro capacità produttiva in sviluppo sociale, anche in considerazione della sempre più rilevante commistione tra mission aziendale, condotta dei vertici, ambiente e normativa penale, commistione spesso consacrata in testi normativi che disciplinano la responsabilità amministrativa della società, piuttosto che la responsabilità per ecoreati, piuttosto che il rating di legalità[6]. 
Questo può accadere, però, soltanto attraverso una progressiva acquisizione da parte degli interpreti della capacità di ampliare e rendere elastica la rete di soggetti coinvolti nell’attività e soprattutto gli obiettivi della stessa, valorizzando la trasversalità delle varie discipline sull’organizzazione, sui poteri degli amministratori, sulla soluzione dei conflitti di interesse, sull’incidenza della scelta degli obiettivi e della mission e infine sulla stabilità economica della società. 
Proprio su questo ultimo aspetto occorre soffermarsi, per sottolineare quanto sia rilevante l’individuazione degli elementi fondamentali da tenere in considerazione per valutare i risultati della mission aziendale, e soprattutto da un lato il processo che permette di realizzare l’impatto sociale (a prescindere da ciò che accade dal lato degli eventuali profitti); dall’altro il business management, che deve al contempo implementare la catena del valore e rendere trasparenti i processi interni all’azienda[7]. 
In questo senso dobbiamo ricordare che il codice della crisi di impresa e dell'insolvenza entrato in vigore il 15 luglio 2022 ha concretizzato una sostanziale rivoluzione proprio nell'ambito dell'organizzazione interna dell'impresa e del management. Con il codice della crisi e dell'insolvenza infatti sono entrate in vigore una serie di norme che pongono al centro del sistema aziendale l'adeguatezza degli assetti societari e le misure della rilevazione tempestiva della crisi. Si tratta di un importante cambio di prospettiva in quanto, a ben vedere, gli aspetti della gestione e della realizzazione degli scopi (di lucro e benefit) da un lato e il tema della gestione (attuale e prospettica) di eventuali fenomeni di crisi e di insolvenza dall’altro sono solo apparentemente lontani, risultando invece molto più interconnessi di quanto si possa pensare. Il collegamento tra la sostenibilità di un obiettivo benefit e il rischio emerge anche tra le righe dell'articolo 2086 del codice civile, recentemente modificato dal codice della crisi, che introduce in capo all'imprenditore il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, e gli impone di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale[8]. 
L'obbligo dell'istituzione di adeguati assetti spetta all'organo amministrativo anche per le società responsabilità limitata, tanto che il codice dell'insolvenza ha espressamente esteso a queste ultime l'articolo 2381 c.c., specificando che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile deve essere adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa con obbligo per gli amministratori di riferire al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione, nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate. In questo senso il codice della crisi costituisce quindi un elemento di collegamento tra la normativa del Codice civile sulle società e l'appendice ad essa, costituita dalla disciplina delle società benefit, laddove si preoccupa di costruire un orizzonte di politica manageriale che tenga in stretta considerazione la compatibilità tra gestione della società, obiettivi di lucro, e obiettivi benefit
Tornando al testo delle norme relative alla società benefit, il comma 376, al fine di dare una prima definizione di società benefit stabilisce che “Le disposizioni previste dai commi dal presente al 382 hanno lo scopo di promuovere la costituzione e favorire la diffusione di società, di seguito denominate società benefit, che nell’esercizio di un’attività economica, oltre allo scopo di dividere gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune, e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente, nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse”. È dunque da sottolineare che l’obiettivo benefit non è l’oggetto esclusivo dell’attività di impresa, bensì solo una parte di esso: il comma 377 precisa, infatti, che le finalità benefiche devono essere specificamente indicate nell’oggetto sociale della società benefit e devono essere perseguite mediante una gestione volta al bilanciamento tra gli interessi dei soci e quelli dei soggetti esterni sui quali si riversa il beneficio. 
È questo, direi, senza dubbio, il cuore della filosofia di base della società benefit, che, anche se ancora oggi, a distanza di parecchi anni dalla sua introduzione nel nostro ordinamento, non ha trovato una specifica disciplina (ma forse non era nemmeno questo l’intento del legislatore), fa del bilanciamento tra scopo di lucro e finalità di beneficio comune il punto cruciale attorno al quale si costruisce un istituto i cui contorni sono ancora rimessi alla piena discrezionalità dell’organo amministrativo, che ne assume la responsabilità verso i soci e in qualche modo anche verso i terzi beneficiari[9]. E, in questo senso, la predisposizione, da parte della società benefit, di un’organizzazione interna funzionale rispetto alle sue specifiche finalità e, in particolare, l’individuazione di regole volte a favorire un corretto svolgimento del bilanciamento tra l’interesse dei soci e quello degli stakeholders, sono decisamente pre-condizioni rispetto alla realizzazione effettiva dello scopo “duale” caratterizzante tale fattispecie societaria[10]. 
Si tratta a questo punto di capire come si intrecciano i due aspetti peculiari della dualità dello scopo e del bilanciamento degli interessi, e del ruolo degli amministratori nelle condotte gestorie che soddisfino o meno tali interessi, alla luce del rilevante problema della possibilità di una crisi o di una situazione di insolvenza. Senza dimenticare che, sebbene l’adozione di adeguati assetti organizzativi rientri tra le tipiche competenze dell’organo amministrativo, non sembrerebbe però potersi escludere che un ruolo determinante sia svolto anche dai soci, i quali, quantomeno nel momento in cui istituiscono le basi organizzative della società o addivengono ad una loro modifica, creano anche i presupposti della loro adeguatezza. 
2 . Gli interessi in gioco nella società benefit e la loro tutela
Un primo aspetto utile in questo studio è quello relativo al concetto di portatori di interesse, concetto menzionato, come ho già accennato, nel comma 376 della l. 208 del 2015. Quello di Stakeholder è un concetto frequentemente utilizzato in dottrina e in giurisprudenza, e si allinea con quanto correntemente ritenuto anche da una parte preminente di studiosi statunitensi, secondo cui per stakeholder si intende “any group or individual who can affect or is affected by the achievement of the organisation’s objectives”[11]. Una siffatta impostazione è espressa in modo chiaro dal progressivo consolidamento del principio del “enlightened shareholder value”, che incarna una sorta di compromesso tra l’approccio che privilegia l’interesse del socio e l’approccio che invece privilegia un interesse più allargato, quello degli stakeholders, appunto, cioè di tutti i soggetti che in qualche modo sono interessati all’attività della società. La normativa nazionale sulle società benefit, a questo proposito precisa che “per altri portatori di interessi si intendono il soggetto o i gruppi di soggetti coinvolti, direttamente o indirettamente, nell’attività della società benefit, quali lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, creditori, pubblica amministrazione, e società civile”.  
Il beneficio di cui parla la legge può essere sia di tipo economico che di tipo morale, oppure ancora “comune”.
Questo ultimo aggettivo, nella sua indeterminatezza, pone in luce un implicito riferimento a quella politica di impresa eticamente rilevante che trova la sua migliore estrinsecazione in azioni positive che, affiancando la logica del mero profitto, contribuiscano al benessere collettivo, nel senso che vengono perseguiti contemporaneamente sia l’interesse degli stakeholder che quello dei soci[12]. Il tema del beneficio comune si collega chiaramente con il dibattito a livello europeo sulla responsabilità sociale dell'impresa e mira a sollecitare un sostanziale impegno delle imprese per il rispetto dei diritti umani e dell'ambiente in tutta la loro sfera di influenza. A partire dal 2010, infatti, la Commissione europea ha intrapreso un percorso di promozione, al fine di sviluppare strumenti di RSI in linea con il lavoro del rappresentante speciale delle Nazioni Unite. Documento fondamentale in questo senso fu la comunicazione della commissione europea al Parlamento Europeo “Una rinnovata strategia per la responsabilità sociale d'impresa 2011- 2014”, adottata nell'ottobre 2011, che ha posto le basi politiche e gli strumenti da adottare da quel momento in poi. Inoltre, l'Unione Europea elaborò una strategia di coinvolgimento delle aziende nel progetto di responsabilità sociale delle imprese pubblicando il Libro verde sulla RSI che fornisce le coordinate in base alle quali si muove l'Unione Europea in materia, a partire dall'individuazione dei portatori di interesse e di tutti coloro che sono in qualche modo implicati nelle azioni dell'azienda. Le imprese vengono quindi incoraggiate ad adottare un approccio che integri gli aspetti finanziari, commerciali e sociali, elaborando in tal modo una strategia di lungo periodo che minimizzi i rischi collegati alle incertezze. È importante anche aggiungere che un numero sempre maggiore di consumatori rivolge la propria attenzione a prodotti e servizi che non solo hanno una qualità e un costo appropriati, ma che sono capaci di generare esternalità positive, con un allineamento degli acquisti ai propri valori etici e morali. E negli ultimi trent'anni è aumentato in maniera significativa anche il numero degli investitori che, seguendo strategie di investimento sostenibile e responsabile, hanno iniziato a valutare le performance non solo finanziarie dell'impresa[13]. 
Il comma 377 specifica poi che le finalità di beneficio comune devono essere indicate nell’oggetto sociale della società benefit e sono perseguite mediante una gestione volta al bilanciamento delle finalità stesse con l’interesse dei soci e con l’interesse di coloro sui quali l’attività sociale può avere un impatto. Quello del bilanciamento degli interessi è tema classico e mai abbastanza dibattuto e se ne parlerà più avanti, ma al momento è interessante rilevare come il riferimento al bilanciamento degli interessi rimandi a un altro problema, quello della possibilità di un conflitto degli interessi stessi all’interno della società, conflitto che può ulteriormente acuirsi nel momento in cui le risorse fornite dal patrimonio sociale siano o divengano insufficienti a soddisfare le istanze di tutti, creditori compresi.  In questo senso, pare ragionevole pensare che la gestione della società benefit debba essere condotta in modo da soddisfare le esigenze dei soci attraverso il raggiungimento del beneficio degli stakeholders. In caso contrario, infatti, lo scopo benefit risulterebbe completamente annullato in favore dello scopo egoistico degli shareholders, rendendo privo di valore il contenuto dell’oggetto sociale della società benefit. Sotto il profilo più specifico degli obiettivi benefit individuati dalle imprese italiane, è possibile affermare che la metodologia applicata prende in considerazione, (partendo da un’analisi delle condizioni del sistema in cui si opera, dei limiti ambientali e degli impatti sulle persone), l’intero ciclo di vita di un prodotto o di un servizio, e individua, attraverso un approccio di progettazione denominato backcasting, strumenti e azioni socialmente corretti per agire efficacemente nel rispetto dei principi della sostenibilità e dell’ambiente.
In considerazione del fatto che la legge richiede che nell’ambito dell’oggetto sociale vengano indicati sia l’attività economica specifica della società sia l’obiettivo benefit che la stessa, al contempo, si propone di raggiungere, non sfugge che tale ulteriore obiettivo non può essere indicato in modo generico o approssimativo, facendo semplicemente riferimento alla dizione letterale della legge, ma deve presentare delle caratteristiche individuanti ben precise, deve offrire degli elementi che contestualizzino tale attività for benefit indicando ambito territoriale, attività e soggetti direttamente interessati. L’indicazione, comunque, potrà avvenire sia nell’atto costitutivo originario, quando la costituzione della società è costituzione di una società benefit, sia successivamente, con una modifica dell’atto costitutivo originario. È chiaro, naturalmente, che in entrambi i casi, la modifica dell’atto costitutivo/contratto sociale, potrà avvenire solo al termine di un processo di valutazione quantitativa e qualitativa delle performance sociali e ambientali. Tale valutazione dovrà essere fondata sulla presenza di specifici requisiti richiesti dalla legge o da essa estrapolati. Il legislatore, quindi, mette l’accento sul fatto che una cosa sono le società che, pur conservando l’oggetto sociale che già si sono date, possono perseguire parallelamente finalità di beneficio comune per questioni di immagine o per scelte gestionali fondate sulla convinzione che si possa trarne un vantaggio economico (e in questi casi non è necessaria alcuna modifica dell’atto costitutivo), e un’altra cosa sono quelle società che nascono come benefit o che lo diventano in seguito alla modifica dell’atto costitutivo o dello statuto. Queste ultime, però, non solo possono (come le prime), perseguire anche finalità di beneficio comune, ma devono farlo[14]. 
Lo scopo del legislatore è stato quindi quello di creare un segmento di mercato nel quale collocare imprese alle quali sia istituzionalmente riconosciuta la possibilità di svolgere in modo stabile e permanente un’attività economica con fine di lucro che abbia un impatto positivo su determinate categorie di soggetti.                               
3 . I problemi di governance e il bilanciamento degli interessi
I commi 380 e 381 della legge 208/2015, si occupano di definire i termini in cui il perseguimento del beneficio altrui incide sulla governance societaria. Il comma 380 in particolare stabilisce che “La società benefit è amministrata in modo da bilanciare l’interesse dei soci, il perseguimento delle finalità di beneficio comune e gli interessi delle categorie indicate nel comma 376, conformemente a quanto previsto dallo statuto. La società benefit, fermo quanto disposto dalla disciplina di ciascun tipo di società prevista dal codice civile, individua il soggetto o i soggetti responsabili cui affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle suddette finalità”. Il successivo comma 381 sancisce poi che l’inosservanza degli obblighi di cui al comma precedente può costituire inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge e dallo statuto. In caso di inadempimento degli obblighi di cui al comma 380 si applica quanto disposto dal Codice civile in tema di responsabilità degli amministratori[15]. 
Le imprese vengono quindi incoraggiate ad adottare un approccio che integri gli aspetti finanziari, commerciali e sociali, elaborando in tal modo una strategia di lungo periodo che minimizzi i rischi collegati alle incertezze, poiché la responsabilità sociale delle imprese ha implicazioni di grande rilievo per tutti gli attori della vita economica e sociale e per i pubblici poteri, che dovrebbero tenerne conto nelle loro attività e in considerazione del fatto che numerosi Stati membri dell’UE ne hanno riconosciuto l’importanza e hanno adottato misure attive per promuoverla. 
Del resto, le tematiche della responsabilità sociale dell'impresa e della sostenibilità sono ormai da tempo al centro di un dibattito che trova sempre maggiore spazio a livello normativo sia italiano sia eurounitario. È inevitabile quindi che la spinta a una maggiore responsabilità delle imprese nell'aumento dell'impatto positivo e/o nella riduzione dell'impatto negativo della loro attività nel contesto ambientale o sociale si possa riflettere anche nella disciplina della crisi e dell'insolvenza. Si tratta di una tematica molto ampia che riguarda aspetti di politica del diritto nonché aspetti più concretamente legati alla gestione e all'organizzazione dell'impresa. Non è quindi possibile in questa sede affrontare tutte le tematiche in modo compiuto ed esaustivo ma soltanto compiere alcune considerazioni di massima. 
Dato per certo che la gestione dell'attività d'impresa per il raggiungimento dell'oggetto sociale spetta agli amministratori (soci o non soci a seconda della tipologia societaria), è possibile in primo luogo domandarsi quale sia la diligenza richiesta agli amministratori nella gestione della società e nel raggiungimento del duplice obiettivo, economico e benefit. A questo proposito viene in soccorso la relazione illustrativa al disegno di legge AS numero 1882, dove si precisa che è necessario che gli amministratori “prendano in considerazione l'impatto delle loro decisioni nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interessi, oltre che sul valore per gli azionisti, e agiscano con una maggiore trasparenza verso i soggetti terzi”. 
La consueta diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle specifiche competenze dell'amministratore, dovrà essere dunque tarata anche alla luce della finalità del beneficio comune indicata nell'oggetto sociale, ampliandosi così da un lato l'ambito delle competenze gestorie, dall'altro quello delle conseguenti eventuali responsabilità di cui peraltro si tratta nel comma 380 dell'art. 1 della legge di stabilità. Esso infatti stabilisce che, fermo quanto disposto dalla disciplina del tipo di società prescelto, nella società benefit occorre individuare il soggetto o i soggetti responsabili, ai quali affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle relative finalità. Sotto questo ulteriore profilo, si possono fare alcune osservazioni: in primo luogo occorre soffermarsi sul problema dell'individuazione del o dei soggetti che saranno considerati responsabili del raggiungimento delle finalità benefit. La legge a questo proposito pare voler dire che non necessariamente tutti gli amministratori saranno responsabili del raggiungimento (e quindi del mancato raggiungimento) dell'obiettivo benefit, ma soltanto quelli eventualmente designati a questo scopo. La disposizione è a mio avviso poco coerente con la ratio della disciplina della società benefit. Se è vero che nella società benefit accanto all'oggetto sociale viene posto un obiettivo ulteriore, che costituisce comunque, al pari dell'oggetto stesso, finalità primaria della società, ne discende che tutti gli amministratori, nel loro agire, devono necessariamente perseguire parallelamente i due obiettivi. Controproducente sarebbe, infatti, che uno o due amministratori fossero incaricati di perseguire l'obiettivo benefit e gli altri fossero solo incaricati di perseguire l'obiettivo di cui all'oggetto sociale, potendosi in taluni casi porsi anche una situazione di conflitto di interessi difficilmente conciliabile, in quanto entrambi gli interessi (quello di profitto e quello benefit) sono considerati dalla legge primari nello svolgimento dell'attività d'impresa. Dunque a mio avviso tutti gli amministratori sia nella società di persone che nella società di capitali dovrebbero essere considerati responsabili per default anche del raggiungimento o mancato raggiungimento dell'obiettivo benefit. Questo in quanto il problema della responsabilità d'impresa va inteso come comprensivo della responsabilità derivante dal mancato adempimento di uno degli obiettivi stabiliti nel contratto sociale, della responsabilità nei fronti dei soci e virgola soprattutto, verso la collettività che avrebbe dovuto usufruire dei benefici indicati come obiettivo ulteriore 
Un altro aspetto è quello del dovere di controllo da esercitare sull’attività di gestione. Ci si può chiedere infatti se, posto che tutti gli amministratori hanno l'obbligo di agire in conformità al perseguimento di entrambi gli obiettivi, si possa prevedere che soltanto alcuni di essi siano responsabili del controllo su tale perseguimento: se così fosse, agli amministratori controllori dovrebbe essere attribuita a una duplice responsabilità: da mancato perseguimento dell'obiettivo benefit da un lato e da mancato controllo dall'altro. Il che pare difficilmente accettabile in seno al consiglio di amministrazione. 
Quello che è certo è che, a seconda dello specifico obiettivo benefit stabilito nell'oggetto sociale, occorrerà che gli amministratori responsabili siano dotati di particolari competenze e di un'eventuale particolare professionalità. Tali competenze e professionalità dovranno variare al variare dei compiti attribuiti nell'atto costitutivo. 
Potrebbe essere invece utile (e lo vedremo più avanti) nominare un soggetto che funga da controllore relativamente all’organizzazione, agli assetti e alle misure da adottare per contemperare l’obiettivo profit con quello benefit
In base a quanto sopra considerato, è possibile soffermarsi su una questione che emerge dal riferimento normativo al bilanciamento degli interessi: il comma 377 infatti fa un esplicito riferimento al fatto che le finalità di beneficio comune indicate nell’oggetto sociale della società benefit possono essere perseguite soltanto attraverso un bilanciamento tra interesse dei soci, interesse degli stakeholders e interesse comune. Ciò sembra volere indicare, a monte, l’esistenza di possibili conflitti di interesse tra soggetti facenti riferimento a un’unica società, conflitti che possono ulteriormente acuirsi nel momento di crisi o addirittura di insolvenza della società. La fissazione di precisi contenuti informativi e la possibilità che la società si dia nuovi obiettivi benefit nel medio periodo confermano l’interpretazione in base alla quale l’obiettivo benefit, per quanto modificabile, sia considerato come strumentale per la realizzazione non soltanto del beneficio comune, ma anche dello scopo egoistico dei soci. 
Risulta però problematico inquadrare gli interessi degli stakeholder nell’ambito dello schema codicistico della responsabilità degli amministratori. Escludendo che si possa trattare di una responsabilità nei confronti dei soci o dei creditori, si potrebbe tentare di ricondurre tale responsabilità a quella nei confronti dei terzi, prevista dall’art. 2395 c.c. In effetti la forzatura potrebbe essere rilevata, in quanto l’interpretazione corrente di tale norma riconduce il danno al terzo ad un fatto doloso o colposo dell’amministratore che abbia direttamente danneggiato il patrimonio del terzo. 
Tuttavia, l’escamotage consentirebbe di utilizzare lo schema della responsabilità extracontrattuale nei confronti di soggetti che, altrimenti, rimarrebbero privi di una reale tutela, mentre l’art. 381 espressamente prevede che gli amministratori andranno sottoposti ad azione di responsabilità nel caso di inadempimento dei doveri (compreso quello del raggiungimento dell’obiettivo benefit) imposti dalla legge e dallo statuto. Inoltre, la caratteristica pluralità dei fini della società benefit, e l’imposizione di un equilibrio sostanziale tra interessi dei soci e interessi degli stakeholder, porta a propendere per l’esistenza di un interesse sociale inteso come quello collettivamente e indirettamente nutrito dai partecipi economici della società in merito ad ogni operazione economica che veda coinvolto il patrimonio sociale. Nel caso invece non si concordi con tale soluzione, si dovrà giocoforza affermare che solo i soci possono lamentare la mancata attuazione dell’oggetto sociale e chiedere il risarcimento del lucro cessante derivante dal fatto che l’omissione dell’attività altruistica non ha prodotto alcun ritorno economico concreto a favore della società, e che solo gli stessi soci potranno azionare la responsabilità degli amministratori per le perdite patrimoniali subite dalla società nel caso opposto in cui l’attività altruistica sia stata mal realizzata. 
Ulteriore problema sarà, poi, quello di individuare i criteri attraverso i quali valutare i contegni degli amministratori, 
volti al perseguimento delle finalità complesse e molteplici che questi modelli societari pretendono siano realizzati. A questo proposito si ritiene che tali criteri debbano essere dedotti dagli strumenti che la medesima società adotta al fine di prefigurare una sorta di auto regolamentazione rispetto al profilo che qui interessa[16]. 
Il bilanciamento fra l’interesse dei soci e quello degli altri stakeholder è, in definitiva, un bilanciamento fra risorse (che possono essere intese come capitali) impiegate nell’esercizio dell’attività economica; di conseguenza è proprio per la misurazione della variazione di questi capitali che si devono prevedere idonei indicatori atti a rilevarne la variazione nel tempo, tenuto ovviamente conto degli obiettivi specifici che nel periodo considerato si è programmato di raggiungere. È importante ricordare che anche il perseguimento delle finalità di beneficio comune rientra, in ogni caso, fra gli interessi dei soci; infatti il rapporto che esiste fra beneficio comune e soci è molto stretto in quanto essi lo concepiscono, lo sentono come parte del proprio modello imprenditoriale e lo formalizzano, mentre il rapporto fra beneficio comune e amministratori prevede che essi lo declinino, lo agiscano e lo concretizzino nella sua essenza materiale. Il tema del bilanciamento assume, proprio in quanto collegato alla gestione operativa, molteplici risvolti che devono essere considerati anche se in questa sede non è possibile approfondirli: ci si riferisce, in particolare, al fatto che l’esercizio del relativo dovere/potere di bilanciamento degli amministratori può essere sindacato non tanto in merito ai risultati conseguiti, quanto per il processo decisionale che lo ha originato e per l’organizzazione di risorse e mezzi che è stata implementata. La progettazione, quindi, di un’adeguata struttura organizzativa, che è una delle prerogative specifiche dell’organo amministrativo di qualsiasi società, lo è, ancor più, per una Società Benefit. È importante sottolineare ancora che non si tratta tanto di impostare una struttura amministrativa volta a supportare la rendicontazione del perseguimento delle finalità di beneficio comune, quanto di organizzare le risorse affinché l’impresa integri le tematiche ambientali e sociali nelle proprie strategie “riducendo o annullando le esternalità negative o meglio utilizzando pratiche, processi di produzione e beni in grado di produrre esternalità positive” (Relazione Illustrativa al disegno di legge AS n° 1882/2015) Il bilanciamento fra l’interesse dei soci e quello degli altri stakeholder è, in definitiva, un bilanciamento fra risorse (che possono essere intese come capitali) impiegate nell’esercizio dell’attività economica; di conseguenza è proprio per la misurazione della variazione di questi capitali che si devono prevedere idonei indicatori atti a rilevarne la variazione nel tempo, tenuto ovviamente conto degli obiettivi specifici che nel periodo considerato si è programmato di raggiungere. È importante ricordare che anche il perseguimento delle finalità di beneficio comune rientra, in ogni caso, fra gli interessi dei soci; infatti il rapporto che esiste fra beneficio comune e soci è molto stretto in quanto essi lo concepiscono, lo sentono come parte del proprio modello imprenditoriale e lo formalizzano, mentre il rapporto fra beneficio comune e amministratori prevede che essi lo declinino, lo agiscano e lo concretizzino nella sua essenza materiale. Il tema del bilanciamento assume, proprio in quanto collegato alla gestione operativa, molteplici risvolti che devono essere considerati anche se in questa sede non è possibile approfondirli: ci si riferisce, in particolare, al fatto che l’esercizio del relativo dovere/potere di bilanciamento degli amministratori può essere sindacato non tanto in merito ai risultati conseguiti, quanto per il processo decisionale che lo ha originato e per l’organizzazione di risorse e mezzi che è stata implementata. La progettazione, quindi, di un’adeguata struttura organizzativa, che è una delle prerogative specifiche dell’organo amministrativo di qualsiasi società, lo è, ancor più, per una Società Benefit. È importante sottolineare ancora che non si tratta tanto di impostare una struttura amministrativa volta a supportare la rendicontazione del perseguimento delle finalità di beneficio comune, quanto di organizzare le risorse affinché l’impresa integri le tematiche ambientali e sociali nelle proprie strategie “riducendo o annullando le esternalità negative o meglio utilizzando pratiche, processi di produzione e beni in grado di produrre esternalità positive” (Relazione Illustrativa al disegno di legge AS n° 1882/2015) 
In ossequio al principio di gestione trasparente della società benefit si prevede che la società stessa è tenuta a redigere una relazione annuale, particolareggiata, concernente il perseguimento del beneficio comune, da allegare 
al bilancio. La relazione, che può quindi essere considerata una sorta di autovalutazione sulla gestione della società, deve essere redatta dagli amministratori e deve essere comunicata assieme al bilancio al collegio sindacale, se nominato e all’incaricato della revisione legale almeno trenta giorni prima di quello fissato per l’assemblea convocata per l’approvazione, e deve restare depositata presso la sede della società durante i quindici giorni che precedono l’assemblea e fino all’approvazione, affinché i soci possano prenderne visione. 
La relazione annuale particolareggiata deve includere: la descrizione degli obiettivi specifici, delle modalità e delle azioni attuati dagli amministratori per il perseguimento delle finalità di beneficio comune e delle eventuali circostanze che lo hanno impedito o rallentato; la valutazione dell’impatto generato, utilizzando lo standard di valutazione esterno in conformità alle caratteristiche descritte nell’allegato 4 della legge. Tale standard, in particolare dovrà essere: 
1. esauriente e articolato nel valutare l’impatto dellasocietà e delle sue azioni nel perseguire la finalità 
di beneficio comune nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse; 
2. sviluppato da un ente che è controllato dalla società benefit o collegato con la stessa; 
3. credibile, perché sviluppato da un ente che ha accesso alle competenze necessarie per valutare l’impatto sociale e ambientale delle attività di una società nel suo complesso, utilizza un approccio scientifico e multidisciplinare per sviluppare lostandard, prevedendo eventualmente anche un periodo di consultazione pubblica; 
4. trasparente, perché le informazioni che lo riguardano sono rese pubbliche, in particolare: i criteri utilizzati per la misurazione dell’impatto sociale e ambientale delle attività di una società nel suo complesso; le ponderazioni utilizzate per i diversi criteri previsti per la misurazione; l’identità degli amministratori e l’organo di governo dell’ente che ha sviluppato e gestisce lo standard di valutazione; il processo attraverso il quale vengono effettuate modifiche e aggiornamenti allo standard; un resoconto delle entrate e delle fonti di sostegno finanziario dell’ente per escludere eventuali conflitti di interesse; una sezione dedicata alla descrizione dei nuovi obiettivi che la società intende perseguire nell’esercizio successivo. 
Conclusivamente, con riferimento alla possibile contrapposizione di categorie disomogenee di interessi all’interno del “genere” società benefit, è possibile ritenere che o corre comprendere quali devono essere gli obiettivi degli strumenti anticrisi in queste ultime, in un’ottica di politica del diritto. Se è vero che nel sistema della valutazione dell’attività di impresa deve esservi spazio per interessi diversi da quelli degli azionisti e degli amministratori, questo quadro di valori non può essere arbitrariamente alterato quando l’impresa diviene insolvente: le procedure di salvaguardia dell’attività hanno il compito di mantenere e affermare il sistema di valori che regola l’attività economica sia in generale che specificamente individuata per ogni singola impresa. E pertanto, nel modulare le soluzioni alternative alla liquidazione occorrerà fare riferimento anche a quegli interessi di carattere non strettamente economico che sono in gioco nel caso specifico. 
Pare necessario poi un cenno al tema della responsabilità degli amministratori di fatto. È amministratore di fatto, come è noto, colui che esercita le funzioni di amministratore in una società di capitali senza essere stato investito di tali funzioni da una delibera giuridicamente esistente sulla base della legge o dello statuto. È altrettanto noto che in ambito penale l'amministratore di fatto è equiparato a quello di diritto e quindi viene integralmente assoggettato ai divieti alle sanzioni previste dalle leggi penali per gli atti commessi[17]. In ambito civilistico la medesima assimilazione è fatta per la responsabilità aquiliana prevista per l'amministratore di diritto in base alla motivazione secondo cui, diversamente argomentando, l'amministratore di fatto godrebbe, per gli atti di malagestio dolosi o colposi poi compiuti, di una protezione contraria ai principi dell'ordinamento virgola e conseguentemente il socio e il terzo rimarrebbero privi di tutela. Quanto invece alla diversa disciplina della responsabilità degli amministratori di fatto estranea alla violazione del principio del neminem laedere, non è senza dubbio configurabile una responsabilità contrattuale degli amministratori di fatto verso la società e i soci ma lo è quella extracontrattuale. Tale affermazione fa perno su due norme: l'articolo 1708 del Codice civile che pone a carico dell'amministratore di una società le conseguenze del suo operato quando questo esorbita dai limiti del mandato, e l'articolo 2031 secondo comma del codice civile che chiama l’utilis gestor a rispondere della sua condotta ove intraprenda o continui la propria attività malgrado la proibizione dell'interessato. La conclusione a cui si è giunti, ossia che l'amministratore di fatto agisce a proprio rischio, è anche un meccanismo di riequilibrio degli interessi che vede da un lato l'obbligo della società di sopportare le conseguenze degli atti degli amministratori di fatto per il principio di apparenza, che tutela chi contrae con essi in buona fede, e dall'altro il diritto di questa a rivalersi nei confronti dell'amministratore di fatto delle conseguenze di cui questi responsabile. 
E qui, allora, sorge spontanea una riflessione relativa da un lato al regime da adottare relativamente al giudizio sulla condotta degli amministratori, anche in termini di risultati e dall’altro alla responsabilità dipendente dalla eventuale mancata realizzazione di quell’ulteriore scopo che la società si sia autoattribuita ed alla sempre eventuale responsabilità di impresa che ne nasce. Sotto il primo profilo, quello dei doveri degli amministratori in generale, ai consueti criteri di giudizio, attinenti all’interesse dei soci, dei creditori e dei terzi che con la società entrano in contatto, si aggiunge un altro interesse, quello dei soggetti che sono o dovrebbero essere avvantaggiati dalla realizzazione dell’obiettivo benefit. In questo senso, il dovere degli amministratori diventa inclusivo, nelle scelte decisionali, di obiettivi diversi e paralleli, che riguardano una strategia anomala (o atipica) rispetto agli ordinari canoni. Ma occorre anche sottolineare che l’interesse dei soggetti legati alla società dagli obiettivi benefit sono, in ultima istanza, anche quelli dei soci, perché sono loro che si avvantaggiano dei risultati positivi (o almeno on negativi), che gli amministratori ottengono nel perseguimento degli obiettivi benefit. Il problema della responsabilità di impresa va inteso, quindi come comprensivo della responsabilità derivante dal mancato adempimento di uno degli obiettivi stabiliti nel contratto sociale, della responsabilità nei confronti dei soci e, soprattutto, della responsabilità verso la collettività che avrebbe dovuto usufruire dei benefici indicati come obiettivo ulteriore.
4 . L’insolvenza della società benefit e la posizione degli organi di governo
Il codice della crisi e dell’insolvenza dell'impresa ha previsto espressamente il dovere di tutti gli imprenditori di dotarsi di una organizzazione, amministrazione e contabilità adeguate non solo alla prevenzione e rilevazione tempestiva della crisi ma alla più efficiente gestione imprenditoriale. In particolare occorre notare che un'impresa dotata di assetti che possano essere considerati adeguati dovrebbe essere in grado di rilevare i fattori di rischio aziendale e di valutare l'impatto di singoli eventi sull'equilibrio economico finanziario. A questo proposito occorre ricordare l'esistenza dei fattori ESG: tali fattori attengono ad alcune valutazioni[18]. Infatti il rating ESG valuta la capacità di un'azienda di gestire i rischi e le opportunità legati a fattori ambientali, sociali e di governance. Questo insieme di indici non è solo indicativo della sostenibilità di un'impresa, ma deve anche essere preso in considerazione per capire quanto queste pratiche sono integrate nelle sue operazioni quotidiane. 
In particolare il criterio ambientale (environment) considera l'impatto dell'azienda sull'ambiente, inclusi i consumi energetici, la gestione dei rifiuti e la conservazione delle risorse naturali; il fattore sociale (social) esamina come l'impresa gestisce le relazioni con i dipendenti, i fornitori, i clienti e le comunità in cui opera; il criterio della governance valuta la qualità della gestione, la trasparenza delle politiche aziendali e il rispetto per i diritti degli azionisti. Questi fattori combinati offrono un quadro chiaro dell'impegno di un'azienda verso la responsabilità sociale e la sostenibilità, elementi sempre più decisivi nella scelta degli investitori. Inoltre, promuovono il cosiddetto stakeholder capitalism raccomandando il conseguimento del successo sostenibile delle società su mercati regolamentati o degli obiettivi di beneficio comune mediante il modello della società benefit. Proprio in quest'ultimo settore, che è quello che maggiormente interessa in questa sede, i rischi ESG e lo scopo sociale, allargato anche al perseguimento di finalità di sostenibilità, sono diventati elementi rilevanti dal punto di vista operativo e strutturale, e pertanto l'adeguatezza degli assetti societari va valutata anche in considerazione dei presidi di governance e controllo considerati dalla sfera e punto.
L’importanza della previsione dei rischi e del reporting non finanziario (previsto dal decreto legislativo numero 254 del 2016) sia per le aziende che per gli investitori e le banche, fa sì che la rilevanza e la rilevazione dei rischi ESG sono e saranno sempre più considerati essenziali nell'architettura e nell'implementazione di assetti organizzativi e nei sistemi di controllo e gestione rischi, che dovranno avere a loro disposizione processi informativi capaci di raccogliere informazioni e dati non solo di tipo quantitativo ma anche di tipo qualitativo, specchio dunque della gestione dei temi di sostenibilità da parte delle aziende. 
Quindi, in un'ottica di prevenzione della crisi e di sostenibilità di una di una benefit company l'adeguatezza degli assetti non può prescindere dalla definizione e adozione di procedure e policy, adeguate oltre che di attività di formazione specifica per una migliore comprensione e gestione dei rischi. 
Da parte degli amministratori, le scelte da compiere saranno quelle che prevedono l'inserimento nello statuto degli obiettivi di beneficio comune nell'esercizio dell'attività d'impresa da parte delle aziende che hanno assunto la qualità di società benefit: la sostenibilità deve essere recepita come parte integrante del piano industriale e quindi del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi, così come delle politiche di remunerazione degli amministratori. 
Ciò dovrebbe comportare la nomina di comitati ad hoc o del responsabile del beneficio comune, nonché la rilevanza del bilanciamento degli interessi dei soci e degli stakeholder per il conseguimento degli stessi, bilanciamento che deve essere tenuto in debito conto nel suo impatto sulla gestione ambientale nelle società benefit il responsabile del beneficio comune deve assicurarsi che la società sia dotata di un assetto organizzativo in grado di rilevare fatti di gestione anche nell'ottica della sostenibilità. L'organo amministrativo dovrà quindi avere come obiettivo anche il rispetto delle finalità del beneficio comune, senza che tale obiettivo diventi preponderante rispetto al conseguimento del profitto. È chiaro che qualora l'azienda abbia assunto la qualifica di benefit o abbia integrato l'obiettivo benefit nel proprio oggetto sociale, l'organo amministrativo dovrà necessariamente integrare nell'assetto organizzativo organi quali i comitati ESG sia endo che eso consiliare, i sustainability officer, ove denominati è il responsabile del beneficio comune nel caso delle benefit
Il coordinamento di questi organi, l'assetto delle loro deleghe, i processi informativi con il board, con gli altri attori dell'assetto organizzativo e amministrativo diventano essenziali proprio per la rilevazione di quei rischi di sostenibilità che potrebbero influire o addirittura impattare o aggravare i sintomi di una crisi. 
Il bilanciamento è infatti collegato alla gestione operativa e proprio per questo presenta molteplici risvolti quali la sindacabilità del processo decisionale che lo attua e l'organizzazione delle risorse e dei mezzi con cui viene di fatto implementato. In questo scenario l'organo amministrativo deve farsi promotore non soltanto di eventuali evoluzioni del modello di amministrazione e controllo, ma anche dell'adozione di ulteriori regole organizzative di diversa natura e portata, che risultino più idonee alla struttura e alle finalità dell'impresa, la quale deve coniugare non solo i rischi ESG con quelli finanziari nel perseguimento dello scopo sociale, ma anche l'attuazione del bilanciamento dei diversi interessi in gioco.
Infatti in teoria una gestione aziendale che prediliga obiettivi di sostenibilità o attuazione di progetti eco friendly con ingenti investimenti e costi magari non correttamente bilanciati e allineati in un piano industriale, potrebbe impattare negativamente sull'organizzazione e sull'equilibrio economico finanziario di un'impresa in mancanza di un adeguato assetto in grado di programmare e monitorare il conseguimento di questi obiettivi e di rilevarne l'eventuale squilibrio. Quindi anche le modalità di conseguimento del beneficio comune e l'attuazione del successo sostenibile diventa di sostanziale importanza nella valutazione complessiva di una gestione aziendale e dei presidi di governance.

Note:

[1] 
L. 28 dicembre 2015, n. 208, in G.U., 30 dicembre 2015. 
[2] 
Primi fra tutti Maryland, Virginia, Vermont, New Jersey, Hawaii, California, e altri. La letteratura in materia di Benefit Companies negli USA è vastissima. In via assolutamente esemplificativa si può fare riferimento a M. Kelley, Rediscovering Vulgar Charity: A Historical Analisys of America’s Tangled Non Profit Law, in Fordham L. Rev., 2005, 73, 2459 ss. 
[3] 
In un suo contributo in Equilibri del 2016, Del Barba così giustifica l’introduzione della società benefit nel nostro ordinamento: “che cosa sono dunque le società benefit e in che modo si distinguono dalle tradizionali società del mondo profit? Le società Benefit sono società che oltre a perseguire il loro tradizionale scopo di lucro, vogliono sviluppare attività in favore dell’ambiente, della sostenibilità e della coesione sociale. Come possono farlo? Il nostro disegno di legge ha dato vita a un meccanismo in grado di modificare geneticamente le società profit grazie a due interventi. Uno di tipo giuridico e uno di tipo prettamente operativo”. Così M. Del Barba, Dare forma alle Società Benefit in Italia, in Equilibri, 2016, 1, 59 ss. 
[4] 
Di “quarto settore” a proposito della creazione di società benefit parlano anche Resta G. – Sertoli C., Le società Benefit in Italia: problemi e prospettive, in Fici A. (a cura di), La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale, Editoriale Scientifica, 2018, 453 ss. 
[5] 
Si v. tra le tante: Corte giust., 12 Febbraio 2002, C.- 309/99, Wouters, in racc. 2002, I, 1577; Trib primo grado, 4 marzo 2003, T- 319/99, FENIN, in racc. 2003, II, 357; Corte giust., 23 aprile 1991, C- 41/90, Hoffner e Elser, in racc. 1991, I, 1979; Corte giust., 16 novembre 1995, C- 244/94, Fédération francaise des Société de assurance, in Racc., 1995, I, 4013; AGCM, provv. n. 788 del 18 novembre 1992, AICI, in boll. 22/1996,6. 
[6] 
La normativa italiana trae ispirazione dalla definizione di “public benefit” prevista nel Titolo 8, Capitolo 1, Sottocapitolo XV, par. 362b del Delaware Code secondo cui “public benefit means a positive effect or reduction of negative effect on one o more categories of persons entities, communities or interests, other than stockholders in their capacities as stockholders, including but not limitedto, effects of an artistic, charitable, cultural, economic, edicational, environmental, literary, medial, religious, scientific or technological nature”. Il Delaware, inoltre ha previsto l’obbligatorietà di una o più “specific public benefit”, con ciò privilegiando la necessità di individuare progetti specifici. 
[7] 
Molti testi di commento al nuovo CCII. A titolo esemplificativo, si vedano AA.VV., Le crisi di impresa e del consumatore dopo il D.L. 118/2021, Zanichelli, 2021; S. Della Rocca, F. Grieco, Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. Analisi e commento, Seconda Ed., Cedam, 2022; F. Santangeli, Il Codice della crisi e dell’insolvenza, Giuffrè, 2023. 
[8] 
A questo proposito, indico tra i moltissimi studi: R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell’ambito dei principi generali del Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza, in Le crisi di impresa e del consumatore, Zanichelli, 2021, 45 ss; P. Montalenti, Il codice della crisi di impresa e dell’insolvenza: assetti organizzativi adeguati, rilevazione della crisi, procedure di allerta nel quadro generale della riforma, in Giur. Comm., 2020, I, 833. 
[9] 
In tal senso anche Assonime, La disciplina delle società benefit, circolare del 20 giugno 2016, n. 19, in www.assonime.it, 5, ove sottolinea come l’obbligo di bilanciamento rappresenti il “cuore della disciplina della società benefit”. In realtà, l’idea (sviluppata, in particolare, a seguito della riforma societaria e della diversificazione della struttura finanziaria della s.p.a. che ne è conseguita) che gli amministratori siano tenuti a svolgere una funzione di composizione, oltre che di ponderazione, degli interessi di cui sono, di volta in volta, portatori i diversi partecipanti all’impresa societaria, non è nuova: in tal senso, tra gli altri, Corso, Gli interessi “per conto di terzi” degli amministratori di società per azioni, Torino, 2015, 209; e Denozza, La responsabilità sociale dell’impresa e il diritto antitrust, in AA.VV., La responsabilità dell’impresa, Convegno per i trent’anni di Giurisprudenza commerciale (Bologna, 8-9 ottobre 2004), Milano, 2006, 123; Angelici, Interesse sociale e business judgment rule, in Riv.dir.comm., 2012, I, 585; Guizzi, Gestione dell’impresa e interferenze di interessi, Trasparenza, ponderazione e imparzialità nell’amministrazione delle s.p.a., Milano, 2014, 5. 
[10] 
Tale aspetto pare emergere anche dalle Linee Guida sul Reporting delle Società Benefit, a cura di Network Italiano Business Reporting (N.I.B.R.), gennaio 2019, 18 s. (“Il bilanciamento degli interessi è un obbligo che caratterizza in modo specifico ed unico la Società Benefit ed amplia il campo di attività, discrezionalità e responsabilità dell’organo amministrativo; questa tipicità può presentare delle criticità di attuazione, considerata anche la difficoltà di dare, in generale, un contenuto specifico all’obbligo di diligenza degli amministratori. Determinante risulta tanto in termini di gestione operativa, quanto di responsabilità degli amministratori, il processo logico organizzativo-decisionale attraverso il quale gli amministratori danno corso alle attività di impresa nel suo complesso intesa”) e 19 (“La progettazione, quindi, di un’adeguata struttura organizzativa, che è una delle prerogative specifiche dell’organo amministrativo di qualsiasi società lo è, ancor più, per una Società Benefit”). 
[11] 
Così R.E. Freeman, Strategic Management: A stakeholder Approach, CUP, 2010. 
[12] 
La responsabilità sociale dell’impresa pare anche nel nostro ordinamento in via di espansione, almeno a parole. Sul tema si v. il recente contributo di G. Conte, L’impresa responsabile, Giuffrè, 2018. 
[13] 
Anche i prestatori di lavoro riconoscono particolare valore alla società capace di generare un impatto sociale positivo e alla fedeltà alla missione che la società si è posta. Una progressiva integrazione buona tra il tessuto sociale ed economico circostante e l'impresa produce evidentemente soddisfazione non soltanto nella popolazione in generale ma anche nell'insieme dei lavoratori. 
[14] 
È infatti chiaro che “altro è la sponsorizzazione del singolo evento culturale o il restauro del singolo monumento, altro è considerare l’impatto sociale, parte integrante della strategia di impresa, in modo da porre in essere scelte che mirino alla realizzazione del beneficio comune nell’ambito dello svolgimento dell’attività economica propria della società”. Così M. Stella Richter J., società benefit e società non benefit, in Riv. Dir. Comm., 2017, II, 271. 
[15] 
La formulazione letterale del comma 380 sembra fare però riferimento ad una attività destinata alla concreta realizzazione delle finalità di beneficio comune e/o a quest’ultima prodromica e fa dubitare dell’opportunità di prevedere una clausola statutaria che attribuisca nelle società benefit di capitali le funzioni e i compiti del responsabile al collegio sindacale. Del resto quest’ultimo organo è deputato a vigilare in base alle generali regole di cui all’art. 2043 c.c. 
[16] 
A questo proposito si v. diffusamente, M. Palmieri, L’interesse sociale dallo shareholder value alle società benefit, in Banca, impresa, società, 2017, 201 ss. 
[17] 
Cass. Pen. 14 maggio 1993, input. Delle Fave; Cass. pen 29 dicembre 1972, input., Zito in Giust. pen. 1973, II, 591; Cass. pen. 5 dicembre 1966 imput. Savoldo in Dir. fall. 1967, II, 974; Cass. pen. 8 maggio 1964, input. Esposito, in Rep. Foro.it. 1965, Voce Società, n° 220, 223; Cass. pen. 1 luglio 1963, input. Esposito, in Rep. Foro it., 1965, Voce Società, n. 220, 223; Cass pen. 1 luglio 1963, imput. De Angelis in Rep. Foro.it. 1964, 246. In dottrina: M. Antolisei, Manuale di diritto penale. I reati fallimentari, Giuffrè 1959, 109; G. Zuccalà, Il delitto di false comunicazioni sociali, Cedam, comm. 1984, 107; M. Abbiani, Gli amministratori di fatto delle società di capitali, Giuffrè, 1998, 200 e ss.1954, 53; L. Conti – E. Bruti Liberati, Il diritto penale nelle società commerciali, Giuffrè, 1971, 119; C. Pedrazzi, Gestione di impresa e responsabilità penale, in Società 1962, 220; F. Bonelli, La responsabilità dell’amministratore di fatto, in Giur.Comm, 1984,107. 

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Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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REV 02