Le conclusioni che il curatore formula nel progetto di stato passivo si basano sugli accertamenti che egli ha compiuto, supportati dalle produzioni documentali, nonché sulle eccezioni che abbia inteso formulare, siano esse in senso lato o in senso stretto.
L’art. 203 CCII stabilisce che “il curatore può eccepire i fatti estintivi, modificativi e impeditivi del diritto fatto valere, nonché l’inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione”.
L’oggetto della presente relazione non consente di approfondire tutte le possibili eccezioni proponibili, sicché è sufficiente rilevare, alla luce del disposto normativo, che esse possono essere:
- eccezioni in senso lato, relative a fatti costitutivi del diritto fatto valere del ricorrente, incluse, a titolo esemplificativo, quelle relative all’opponibilità del titolo alla massa (ad esempio per assenza di data certa o perché, quando relativo a beni immobili o mobili registrati, non reso opponibile nelle forme di legge prima dell’apertura del concorso ex art. 145 CCII), all’inesistenza della prelazione, al difetto di forma scritta ad substantiam, all’estinzione anteriore del credito per avvenuto pagamento;
- eccezioni in senso stretto inerenti a rapporti inclusi nel patrimonio del debitore, quali l’eccezione di prescrizione, anche presuntiva[21], l’eccezione di risoluzione del contratto per inadempimento, di rescissione, di annullabilità del titolo per errore, violenza o dolo, di simulazione, di compensazione;
- eccezioni di massa, fra cui l’eccezione revocatoria, di cui la norma, analoga a quella prevista dalla legge fallimentare, conferma la proponibilità in via incidentale (c.d. revocatoria in via breve o semplificata).
Le suddette eccezioni possono essere proposte anche se l’azione corrispondente è ormai prescritta, secondo il principio “quae temporalia ad agendum perpetua ad ex cipiendum”[22].
Ai poteri processuali spendibili dal curatore nel progetto di stato passivo e, dunque, nei quindici giorni anteriori all’udienza di verifica, fanno da contraltare quelli riconosciuti agli altri partecipanti, tenuti a presentare le loro osservazioni, con relativi “documenti integrativi”[23] nei cinque giorni precedenti la medesima udienza, mediante comunicazione al domicilio digitale della procedura.
Le osservazioni vengono trasmesse al curatore nello stesso modo previsto per la domanda di insinuazione e sono pertanto da quest’ultimo inserite nel fascicolo informatico unitamente alla documentazione integrativa.
Trattandosi di vere e proprie memorie, a dispetto del nomen iuris volutamente atecnico, esse consentono alle parti di rispondere alle eccezioni sollevate dal curatore, sia mediante controeccezioni, sia con la precisazione (ius poenitendi) o modifica delle richieste originariamente formulate (ius variandi), oltre a rappresentare il primo atto mediante il quale si concretizza il contraddittorio plurimo ed incrociato tramite la possibile allegazione di fatti impeditivi, modificativi o estintivi delle pretese concorrenti.
Secondo la giurisprudenza, alle parti è riconosciuta anche la facoltà di sollevare eccezioni volte a garantire l’interesse collettivo (eccezione revocatoria ordinaria, di simulazione, di inopponibilità ed inefficacia di un credito o di un diritto), surrogandosi in tal caso all’inerzia del curatore ed al fine di evitare un ingiustificato pregiudizio alle ragioni della massa[24], con l’aggiunta che opera, anche in tal caso, la regola che consente l’illimitata proposizione dell’eccezione dopo la prescrizione della corrispondente azione.
L’introduzione di un termine anteriore all’udienza per l’esercizio delle facoltà difensive delle parti è conseguenza della già citata novella introdotta con il D.L. n. 179/2012, la quale ebbe a ripristinare una scansione processuale inizialmente prevista dalla riforma del 2006, ma poi abrogata dal correttivo immediatamente successivo, il quale aveva invece consentito il deposito delle osservazioni e della documentazione integrativa “fino all’udienza”.
La soluzione della novella del 2012, confermata integralmente dal Codice della Crisi, mira, evidentemente, ad un irrigidimento della fase introduttiva del procedimento di verifica attraverso la previsione di scansioni temporali volte a favorire la formazione del thema decidendum ac probandum prima dell’udienza di discussione ed a garanzia del suo sollecito svolgimento.
Alle richiamate scansioni temporali, tuttavia, si ritiene non corrispondano delle vere e proprie preclusioni, giusta quanto stabilito dall’art. 152, comma 2, c.p.c., ovvero che i termini previsti dalla legge devono intendersi di regola ordinatori, salvo non siano espressamente dichiarati perentori.
La conferma letterale di tale assunto, nell’impianto della normativa concorsuale, è fornita dall’utilizzo del verbo “potere” in relazione all’esercizio delle attività difensive del curatore e delle parti, da cui si evince che il rispetto della tempistica indicata rappresenta una mera facoltà e non un onere, assumendo in definitiva valenza meramente sollecitatoria.
Del resto, la previsione di una decadenza sarebbe eccessivamente severa se si considera che le parti non sono tenute in questa fase a munirsi di difesa tecnica.
Questa conclusione, comunemente condivisa, è poi perfettamente coerente con l’orientamento consolidato che esclude l’applicazione del divieto di nova nel giudizio di impugnazione dello stato passivo in relazione alle eccezioni e alle produzioni documentali, sicché sostenere nella fase anteriore un sistema di preclusioni rigido finirebbe soltanto per accrescere ingiustificatamente il contenzioso[25].
Spetta naturalmente al giudice delegato, in presenza di eccezioni tardive che introducano nuovi temi di indagine o facciano venir meno l’originaria non contestazione di una determinata pretesa, assicurare il pieno contraddittorio delle parti, come previsto dal novellato art. 101, comma 2, c.p.c., che valorizza, quale regola di sistema operante in ogni tipologia di procedimento, il ruolo di garanzia dell’autorità giudiziaria anche quando la legge non preveda espressamente specifici presidi processuali.
Alla luce delle superiori considerazioni, pare si possa in definitiva affermare che il legislatore della riforma, nel confermare la struttura del procedimento di verifica prevista dalla legge fallimentare, abbia lasciato inattuata la legge delega nella parte in cui prevedeva l’introduzione di preclusioni attenuate già nella fase monocratica (art. 7, comma 8, lett. b) l. 19 ottobre 2017, n. 155).
Tanto chiarito riguardo alle attività assertive e probatorie svolte del curatore delle parti nel corso del procedimento, non può tuttavia assumersi la totale mancanza di preclusioni.
L’art. 49, comma 3, lett. e) CCII, stabilisce infatti che il termine di trenta giorni anteriore all’udienza di verifica per la presentazione delle domande è di natura perentoria e segna, dunque, la linea di confine insuperabile fra le tempestive, non soggette ai limiti di partecipazione al riparto fissati dall’art. 224 CCII, e le tardive, le quali, oltre ad essere esaminate in una separata e successiva fase giudiziale, impongono la dimostrazione della scusabilità del ritardo per evitare le conseguenze sancite da tale norma.
Inoltre, l’art. 208, comma 3, CCII prevede che le domande presentate oltre il termine di sei mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo[26] scontano anche un sindacato preliminare sulle circostanze da cui è dipeso il ritardo e sulla relativa prova (che può essere documentale, ma anche orale nel quale caso dovrà essere opportunamente articolata), giudizio quest’ultimo che funge da filtro ed il cui esito negativo comporta l’immediata declaratoria di inammissibilità.
Dall’esistenza di un sistema normativo che fa dipendere dal fattore tempo conseguenze sostanziali sulle condizioni di partecipazione al riparto e sulla stessa ammissione al passivo in caso di domande ultratardive, si ricava che deve essere impedita alle parti la possibilità di introdurre nel procedimento di verifica nuove allegazioni, sia nelle osservazioni che, a fortiori, in udienza, tutte le volte che esse non consistano in mere precisazioni, ma modifichino in modo sostanziale la domanda proposta (c.d. mutatio libelli), posto che viceversa le menzionate preclusioni potrebbero essere agevolmente aggirate.
Una conferma indiretta del divieto di introduzione di nuove domande si trae, del resto, dalla previsione dell’art. 210, comma 1, CCII, che, quale eccezione alla regola generale, consente a colui che ha agito per la rivendica o restituzione di un bene di tramutare, anche nel corso dell’udienza di verifica, la domanda proposta nell’insinuazione al passivo del controvalore della res, quando risulti che la stessa non è stata acquisita all’attivo del procedimento ovvero se il curatore ne ha perduto il possesso, nel quale ultimo caso il credito va ammesso in prededuzione.
Il tema del divieto di nova nel procedimento di verifica del passivo è assai complesso e richiede un ulteriore approfondimento.
La giurisprudenza formatasi a proposito del giudizio di cognizione ordinaria, a fronte del divieto generale di proporre domande nuove se non per reagire alla riconvenzionale proposta dal convenuto, ha ritenuto che non sono tuttavia vietate le modificazioni ed integrazioni della causa petendi e del petitum originari, quando esse siano rese necessarie dalle difese delle altre parti processuali e sempre che le questioni proposte ex novo restino connesse alla medesima vicenda sostanziale[27].
Tali conclusioni, che mirano a favorire, anche per ragioni di economia processuale, una concentrazione delle questioni relative ad una medesima situazione controversa, non sono tuttavia integralmente esportabili nel procedimento qui in esame, in considerazione del fatto che la nuova domanda di insinuazione non richiede l’instaurazione di un separato giudizio e non comporta dunque una diseconomia processuale, ma è comunque proponibile nell’ambito delle attività di complessivo accertamento del passivo, salvo dover essere considerata tardiva.
Si spiega così l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale, di cui occorre dare atto, fra pronunce che ritengono non estensibile al procedimento di verifica l’orientamento estensivo espresso dalle Sezioni Unite a proposito del giudizio di cognizione ordinario, ritenendo che le osservazioni consentono alla parte la mera specificazione dell’oggetto della domanda, o, al più, una emendatio libelli consistente nel dedurre fatti nuovi che non comportino però il mutamento del petitum e/o della causa petendi[28], ed altre che, invece, ampliano l’ambito applicativo dello ius variandi, consentendo alla parte di mutare il titolo giustificativo del credito oggetto di insinuazione, ma pur sempre nei limiti della medesima vicenda sostanziale controversa, potere peraltro spendibile persino in sede di opposizione allo stato passivo[29].
La problematica relativa ai limiti di esercizio dello ius variandi da parte del creditore si pone con una certa frequenza in caso di allegazione successiva di un privilegio non dedotto nel ricorso iniziale, ed analogamente in caso di mutamento del titolo di privilegio inizialmente richiesto.
Al riguardo occorre anzitutto ricordare che l’art. 201, comma 4, CCII, norma rimasta immutata rispetto alla versione contenuta nella legge fallimentare, prevede che l’omessa indicazione o assoluta incertezza nel ricorso del titolo di prelazione che assiste il credito insinuato non determina inammissibilità della domanda, ma comporta che il credito stesso sia considerato chirografario.
Se ne desume che non possono essere certamente incluse fra le allegazioni modificabili ed integrabili in sede di osservazioni quelle riguardanti il privilegio accordato dalla legge ove lo stesso non sia stato inizialmente richiesto, atteso che una diversa conclusione vanificherebbe l’applicazione della citata norma[30].
Potrebbe assumersi, del resto che il privilegio, ex art. 2745 c.c., assurge ad elemento costitutivo della domanda in quanto determina la collocazione del credito in una situazione di concorso ed è stabilito dalla legge in base agli elementi che ne identificano la causa petendi, sicché la richiesta di una causa di prelazione diversa da quella originaria o per la prima volta dopo il deposito della domanda introduce un campo di indagine nuovo ed è a tutti gli effetti qualificabile come mutatio libelli.
Se è vero, però, che il thema decidendum muta in modo decisivo quando alla richiesta di ammissione in chirografo abbia fatto seguito quella di riconoscimento del privilegio, tale conclusione non può valere con altrettanta sicurezza quando, a fronte di una domanda di ammissione in privilegio proposta ab origine, sia successivamente solo modificato il titolo della prelazione.
In questa diversa ipotesi, sempre che gli elementi fattuali costitutivi della causa di prelazione siano stati oggetto di completa allegazione già con il ricorso, l’integrazione proposta si risolverebbe nel sollecitare il potere sempre riconosciuto al giudice delegato di qualificare correttamente sul piano giuridico la domanda, secondo il principio iura novit curia[31].
In conclusione, a fronte del mancato riconoscimento della prelazione nel progetto di stato passivo, argomentato dal curatore sul presupposto della sua generica o mancata allegazione nel ricorso introduttivo, al creditore è dunque posta l’alternativa fra:
- insistere sulla sufficiente determinatezza della domanda originaria, senza possibilità di modificarla con le osservazioni;
- rinunciare alla domanda al fine di riproporla in via tardiva, facoltà senz’altro consentita dall’art. 306 c.p.c. e non necessitante di formale accettazione da parte dei controinteressati o del curatore, non trattandosi di soggetti formalmente costituiti, ma possibile solo fino al momento in cui interviene la formazione dello stato passivo[32].