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Commento

Questioni in tema di esonero da revocatoria dei pagamenti eseguiti “nei termini d’uso”*

Francesco Dimundo, Avvocato in Milano

2 Ottobre 2023

*Il commento è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.

Visualizza: Trib. Milano, 6 marzo 2023, Est. Claris Appiani

Visualizza: Trib. Roma, 5 giugno 2023, Est. Perna

Il Codice della Crisi ha lasciato sostanzialmente invariato l’impianto normativo dell’azione revocatoria disegnato dalla legge fallimentare, e con esso il quadro delle fattispecie esonerative di cui al previgente art. 67, comma 3, L. fall., compresa l’esenzione ivi contemplata alla lettera a), a mente della quale non sono revocabili i “pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso”. Si tratta della causa di esonero da revocatoria più significativa, in considerazione della frequenza dei casi cui è idonea a riferirsi, ma che ha generato - e continuerà per il futuro a generare - non pochi dubbi in merito ai relativi presupposti applicativi. Il contributo si sofferma ad analizzare alcuni di tali presupposti, alla luce della lettura offertane dal “diritto vivente”.
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1 . Premessa
Due recenti decisioni, rese dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di Roma, offrono lo spunto per soffermarsi sul sistema delle esenzioni da revocatoria delineato dalla legge fallimentare (ed ora dal Codice della Crisi), e segnatamente sulla fattispecie esonerativa riguardante i pagamenti eseguiti nei “termini d’uso”.
La vicenda sottoposta al vaglio del giudice milanese (Trib. Milano, 6 marzo 2023) non presenta, sotto il profilo fattuale, particolari elementi di complessità. Una società (poi fallita), appaltatrice di lavori (adeguamento degli impianti meccanici di un punto vendita), aveva richiesto al committente l’autorizzazione a cedere, in favore di un proprio subappaltatore, alcuni crediti rivenienti dal contratto di appalto principale, al fine di remunerare in tal modo talune attività prestate in cantiere da tale subappaltatore. Ottenuta tale autorizzazione e trasferiti i crediti, il committente (ceduto) dava quindi corso ai corrispondenti pagamenti in favore del subappaltatore (cessionario). Intervenuto il fallimento della società appaltatrice, la curatela agiva in giudizio nei confronti del subappaltatore, chiedendo in via principale la declaratoria di inefficacia della intervenuta cessione del credito in suo favore e “dei conseguenti pagamenti” ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2, L. fall., ed in subordine l’inefficacia dei medesimi pagamenti ai sensi dell’art. 67, comma 2, L. fall., deducendo la sussistenza dell’elemento soggettivo della conoscenza dello stato di decozione della società appaltatrice poi fallita.
Nel costituirsi il subappaltatore eccepiva, in via preliminare, che i pagamenti contestati erano esenti da revocatoria ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. a), L. fall., trattandosi di pagamenti effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa secondo i termini d’uso, posto che il contratto di subappalto stipulato con la fallita prevedeva espressamente il pagamento del corrispettivo tramite cessione del credito vantato verso la committente. Quanto al merito, e con riferimento alla inefficacia dei pagamenti ex art. 67, comma 2, L. fall., contestava la sussistenza dell’elemento soggettivo della revocatoria, non essendo a conoscenza dello stato di insolvenza dell’attrice.
Il giudice milanese, nell’accogliere la domanda principale del curatore, si è soffermato sui contorni applicativi della fattispecie di esonero da revocatoria prevista dall’art. 67, comma 3, lett. a), L. fall., per escluderne l’operatività nel caso concreto, affermando che il pagamento del corrispettivo dell’appalto (nell’ipotesi in esame, subappalto) non rientrerebbe “nella casistica indicata dall’esenzione”.
Ad analoga conclusione negativa, sempre in punto di applicabilità dell’esenzione de qua, è pervenuta anche – con decisione del 5 giugno 2023 - il Tribunale di Roma, con riferimento stavolta al pagamento di prestazioni di “consulenza del lavoro”, effettuato da società ammessa alla procedura di concordato preventivo. Ciò sul rilievo - fra l’altro - che l’art. 67, comma 3, lett. a), L. fall., riguarderebbe – secondo il giudice capitolino - i pagamenti di “forniture”, quali negozi immediatamente espressivi dell’esercizio dell'attività di impresa, e non anche gli atti solutori relativi a “prestazioni che non appaiono prima facie indirizzate a salvaguardare la continuità d’impresa”.
I principi così enunciati dalle due decisioni in esame suscitano talune perplessità, per illustrare le quali appare utile inquadrare preliminarmente la disciplina della fattispecie esonerativa in questione, secondo l’interpretazione che ne ha offerto il “diritto vivente”[1].
2 . I pagamenti nei “termini d’uso”: i punti fermi
La riforma della legge fallimentare del 2005, pur mantenendo inalterato nei suoi tratti fondanti l’istituto della revocatoria, aveva - come noto - inciso in modo pregnante sulla relativa disciplina[2], il cui “punto nevralgico”[3] era costituito dalle esenzioni introdotte dal terzo comma del novellato art. 67 L. fall.: esenzioni le quali – insieme al dimezzamento del periodo sospetto – avevano rappresentato gli strumenti cui il legislatore aveva fatto ricorso per circoscrivere l’area applicativa della revocatoria, nella convinzione che ciò fosse necessitato dall’esigenza – esplicitata nella relazione illustrativa al D. Lgs. 5/2006 - “di evitare che situazioni che appaiono meritevoli di tutela” fossero “invece travolte dall’esercizio, sovente strumentale, delle azioni giudiziarie (...)”. 
Nel contesto del Codice della Crisi l’impianto normativo dell’azione revocatoria disegnato dalla legge fallimentare è rimasto sostanzialmente invariato[4], e con esso il quadro delle fattispecie esonerative di cui al previgente art. 67, comma 3, L. fall., compresa l’esenzione ivi contemplata alla lettera a) [ora trasfusa, senza variazioni, nella lettera a) del terzo comma dell’art. 166 CCII], a mente della quale non sono revocabili i “pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso”. Si tratta della causa di esonero da revocatoria che - a ragione – è stata considerata la più significativa fra quelle introdotte dal legislatore del 2005, in considerazione della frequenza dei casi cui è potenzialmente idonea a riferirsi [5], ma che ha generato (e continuerà per il futuro a generare) non pochi dubbi in merito ai relativi presupposti applicativi, anche - e soprattutto – in ragione della sua particolare formulazione, connotata dalla presenza di espressioni “inusuali nel lessico giuridico”[6] e tali da “rappresentare uno spazio semantico aperto”[7]. 
Non è un caso, dunque, che in merito all’interpretazione dell’art. 67, comma 3, lett. a) L. fall. la giurisprudenza abbia raggiunto conclusioni che, ad oggi, appaiono sufficientemente consolidate solo relativamente a taluni limitati profili. Ciò vale - anzitutto – per quanto attiene alla ratio della previsione, che viene comunemente individuata nell’esigenza di soddisfare due finalità, spesso sovrapposte o reputate equivalenti, ma che in realtà si pongono più propriamente in rapporto di scopo-mezzo a scopo-fine. L’obiettivo mediato perseguito dal legislatore con l’esenzione in parola è infatti quello di evitare che “un’impresa in difficoltà sia abbandonata dai fornitori” [8], e di spezzare così il c.d. “cordone sanitario” che notoriamente avvolge l’impresa in odore di fallimento [9], liberando i suoi interlocutori dal timore che i pagamenti ricevuti possano in un futuro essere revocati ed incentivandoli così a continuare nelle forniture [10]. Tanto si rivela strumentale a conseguire lo scopo finale dell’esenzione in discorso, che – nell’ottica di superare la rigidità del sistema revocatorio proprio della legge fallimentare del 1942 [11] - è quello di “favorire la conservazione dell’impresa nell’ottica dell’uscita dalla crisi” [12], attraverso la prosecuzione della sua attività, “intesa come strumento necessario per la salvaguardia delle sue componenti positive ed il recupero della capacità produttiva” [13]. In altri – e riassuntivi - termini, la ratio della previsione in discorso risiede pertanto nell’esigenza di “consentire la prosecuzione dell'attività produttiva, evitando che il timore della revocatoria scoraggi altri operatori dall'entrare in rapporti con l'imprenditore in difficoltà”[14]. 
A rivelarsi del tutto eccentrica – e criticabile - è invece la posizione, altrettanto diffusa fra i giudici di merito, che riconduce la finalità della norma a quella di tutelare i terzi quando la normalità del rapporto lascia presupporre una mancanza di conoscenza in capo a questi ultimi dello stato di insolvenza [15], esentando così i fornitori dall’onere di attivare particolari canali informativi sulle condizioni di salute del debitore, di cui normalmente non dispongono[16]. Sebbene possa contare su autorevoli conforti dottrinali [17], si tratta infatti di tesi che per un verso prova troppo (generalizzando una situazione di difficoltà informativa dei fornitori che, in concreto, potrebbe anche mancare), e per altro verso appare inconciliabile – e qui veniamo ad un altro punto fermo dell’istituto – con la portata squisitamente oggettiva dell’esenzione in esame[18].
E’ convincimento pressoché unanime che l’esenzione de qua “premi” infatti l’oggettiva meritevolezza dell’atto solutorio compiuto nei termini d’uso, esentandolo da revocatoria quand’anche sussista la scientia decoctionis in capo all’accipiens [19]: a ritenere diversamente, risulterebbe infatti vanificato lo scopo della norma, posto che in mancanza di tale elemento soggettivo l’atto sarebbe già di per sé non revocabile alla luce del disposto generale di cui all’art. 166, comma 2, CCII[20]. Il vaglio del giudice in merito all’applicazione dell’esenzione in discorso prescinde quindi dallo stato psicologico di conoscenza dello stato di insolvenza dell’accipiens, e dalla circostanza che quest’ultimo abbia i mezzi e lo standing per effettuare un costante monitoraggio della situazione economica dell’imprenditore e coglierne i sintomi di crisi o insolvenza[21]. Non pare quindi persuasiva la diversa tesi, affacciatasi in giurisprudenza (e rimasta peraltro isolata), che muovendo dalla ratio dell’esenzione – ravvisata nell’esigenza di tutelare il legittimo affidamento sulla condizione di solvibilità del debitore del terzo in un contesto di esteriore normalità di svolgimento del rapporto – assume invece che l’esenzione operi sul piano soggettivo, nel senso che un pagamento astrattamente sintomatico della scientia decoctionis, laddove conforme all’uso non varrebbe come indice di tale scientia, ma potrebbe anzi essere invocato dal terzo a riprova della propria “ignoranza” [22].
Oltre ad operare sul piano oggettivo, la norma in esame ha chiaramente natura eccezionale rispetto alla regola generale della revocabilità dei pagamenti, perché – per natura e struttura – è volta appunto ad individuarne alcuni che, rispondendo a determinate caratteristiche, ne sono invece esonerati. Per usare le chiare parole spese al riguardo dalla corte regolatrice: “nonostante l'ampliamento del numero di esoneri dalla revocatoria fallimentare, che è stato portato dalla novella del 2005 - nel sistema vigente il principio rimane senz'altro quello della revocabilità dei pagamenti e negozi posti in essere nel c.d. periodo sospetto, i casi di esenzione ponendosi, nel confronto, nei termini di vere e proprie eccezioni” [23]. Per tale ragione è opinione diffusa che della disposizione, in quanto limitativa dell’azione revocatoria, sia quindi necessaria una lettura restrittiva [24], che ne preclude l’applicazione analogica al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate.
Il consenso degli interpreti si arresta però qui, risultando per contro incerta la corretta delimitazione dei presupposti di operatività della causa di esonero qui considerata, ed in primo luogo di quello inerente alla necessità che i pagamenti siano stati eseguiti nei “termini d’uso”, sul quale si registrano ad oggi orientamenti non univoci, e ciò anche all’interno della Suprema Corte. Riservando ad altra prossima occasione il relativo approfondimento, qualche considerazione può invece qui essere dedicata agli ulteriori due presupposti dell’esimente in esame, relativi al dover i pagamenti essere “effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa”, e riferirsi a “beni e servizi”.
3 . L’esecuzione dei pagamenti nell’“esercizio dell’attività di impresa”
A mente dell’art. 166, comma 3, lett. a) CCII i pagamenti devono essere stati disposti “nell’esercizio dell’attività d’impresa”. Volendo assegnare alla locuzione un significato coerente con la ratio della norma, per beneficiare dell’esenzione i pagamenti devono pertanto risultare strumentalmente destinati a consentire all’imprenditore in crisi di procurarsi beni e servizi e, con essi, di proseguire l’attività produttiva. In questa prospettiva si pone la giurisprudenza di merito, laddove afferma che la locuzione “esercizio dell’attività di impresa” va “riferita all’oggetto tipico dell’attività di ogni imprenditore, con l’esclusione quindi di operazioni che con quell’attività non abbiano un nesso, nemmeno strumentale”[25], e considera sotto questo profilo immune da revocatoria - ad esempio - il pagamento dei ratei assicurativi necessari per permettere al solvens di continuare la propria attività imprenditoriale che, altrimenti, sarebbe impossibilitato a svolgere [26].
Rimangono quindi senz’altro fuori dall’esenzione i pagamenti dell’imprenditore individuale volti a soddisfare sue esigenze personali, estranee alla sua attività imprenditoriale [27], così come quelli eseguiti dall’imprenditore collettivo nelle ipotesi in cui: (a) l’attività produttiva debba ancora essere iniziata o, al contrario, sia già cessata[28]; (b) l’attività d’impresa sia in corso di svolgimento, ma l’atto solutorio non sia funzionalmente orientato a consentirne la prosecuzione, come ad es. accade quando si riferisca ad un rapporto contrattuale già risolto o altrimenti esauritosi [29], o quando il pagamento stesso si sostanzi nella dismissione di un bene necessario alla continuazione dell’attività produttiva[30]. 
In diverse occasioni la giurisprudenza di merito ha mostrato per il vero di voler assegnare alla locuzione in esame una portata diversa e peculiare. Riprendendo nella sostanza l’impostazione dottrinale che riferisce l’usualità all’esercizio dell’attività d’impresa[31], talune decisioni hanno invero affermato che tale attività, nel cui svolgimento i pagamenti si collocano, dovrebbe essere caratterizzata da “ordinarietà”, ed hanno così collocato fuori dalla portata della norma (e considerato quindi revocabili) “i pagamenti connessi ad operazioni straordinarie ed eccezionali, in quanto non giustificate dalla normale gestione aziendale”, invocando a sostegno di tale conclusione anche l’impossibilità di accedere ad una interpretazione estensiva dell’esenzione in esame, per la sua natura di eccezione al principio generale della par condicio creditorum[32]. Collocandosi in questo ordine di idee diversi Tribunali hanno così escluso che possa beneficiare dell’esenzione de qua il pagamento di compensi per attività professionali svolte in contesti di crisi dell’impresa e funzionali a perseguire il suo superamento, valorizzando in tal senso l’“eccezionalità del rapporto” [33] o il carattere “straordinario” di tali attività, per le quali non sarebbero neppure ipotizzabili “termini d’uso per il pagamento come per le abituali forniture di merci o prestazioni di servizi continuativi”[34]; ovvero rimarcando la loro estraneità “all’ordinario funzionamento dell’attività produttiva o commerciale dell’impresa”[35] o al suo oggetto sociale [36], o il loro valore “non indispensabile alla continuazione dell’impresa”[37]. 
La tesi riferita tuttavia non persuade, perché – per comune opinione – nella struttura e nel lessico della norma l’usualità deve essere riferita ai pagamenti, e non già ai beni e servizi, né tanto meno all’attività d’impresa[38], la quale non deve quindi essere affatto connotata da “ordinarietà”. Ciò che rileva, ai fini dell’operatività dell’esenzione, come si è detto, è piuttosto che il pagamento sia funzionale a consentire all’imprenditore di procurarsi beni e servizi grazie ai quali proseguire l’attività, fra i quali rientrano indubbiamente, quindi, anche i servizi professionali resi in situazioni “non ordinarie” di crisi, non potendosi ragionevolmente dubitare che si tratti di prestazioni comunque svolte nell’interesse dell’impresa e parimenti funzionali a salvaguardare l’operatività aziendale [39].
Non meno criticabile si rivela l’ulteriore orientamento, affacciatosi in altre occasioni in giurisprudenza, secondo il quale l’inerenza degli atti solutori all’esercizio dell’impresa dovrebbe leggersi nel senso di escludere dall’esenzione non soltanto i pagamenti rispondenti a finalità assolutamente diverse da quelle riconducibili all’attività di impresa, ma anche quelli relativi ad operazioni estranee alla gestione caratteristica o all’oggetto sociale dell’impresa [40]. In realtà, la conformità di un atto all’oggetto sociale, prescritta dall’art. 2380 bis c.c., esprime la sua strumentalità, diretta o indiretta, rispetto alla specifica attività economica (di produzione o scambio di beni o servizi) concordata dai soci nell’atto costitutivo in vista del perseguimento dello scopo di lucro proprio dell’ente [41], e rileva sul piano meramente interno quale limite ai poteri gestori degli amministratori, e perciò quale possibile fonte di un’azione di responsabilità nei confronti degli stessi qualora abbiano posto in essere atti ad esso estranei. Si tratta quindi di un parametro che nulla ha a che spartire con la pertinenza del pagamento all’esercizio dell’attività d’impresa, richiesta dalla lettera a) dell’art. 166: ai fini dell’esonero da revocatoria occorre infatti che il pagamento sia strumentale a garantire la prosecuzione di tale attività nel suo fattuale svolgersi [42], restando indifferente – a questi specifici fini – che l’atto solutorio risulti anche coerente con il programma economico perseguito dalla società.
Altro tema che registra un tasso di incertezza non indifferente riguarda l’applicabilità dell’esenzione in esame ai pagamenti eseguiti dal solvens durante la fase di liquidazione. In talune decisioni si trova infatti affermato che tale esenzione - riguardando i soli pagamenti effettuati nell'esercizio dell’attività d'impresa nei termini d'uso – non coprirebbe i pagamenti effettuati nel corso della liquidazione della società [43], essendo questa orientata “ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale”[44], mentre in altre si è optato per la tesi diametralmente opposta, sostenendosi che nella nozione di pagamenti effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa “deve farsi rientrare anche la fase di liquidazione essendo questa, tra l’altro, finalizzata proprio al pagamento dei creditori”[45].
La soluzione maggiormente persuasiva, in quanto sintonica con le finalità perseguite dal legislatore, impone in verità di distinguere, avendo riguardo al ruolo che il momento gestionale riveste nella disciplina codicistica della liquidazione. L’elemento caratterizzante di tale disciplina risiede infatti nella valorizzazione dell’attività di liquidazione come forma di gestione dell’impresa [46], che trova chiara espressione nel disposto dell’art. 2487, comma 1, lett. c) c.c., secondo il quale la società, pur in liquidazione, può continuare a svolgere “gli atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso l’esercizio provvisorio ... in funzione del miglior realizzo”, e dell’art. 2490, comma 5, c.c., che contempla la “continuazione, anche parziale, dell’attività d’impresa”. In questa prospettiva, l’ingresso della società nella fase liquidatoria non comporta quindi l’ineluttabile cessazione dell’attività imprenditoriale, ben potendo tale attività proseguire ove ciò sia ritenuto, nel caso concreto, funzionale a preservare il valore dell’impresa in vista di una migliore liquidazione, cioè “atto utile per la liquidazione” (art. 2489 c.c.)[47].
La circostanza che la società sia stata posta in liquidazione non può dunque ritenersi di per sé senz’altro preclusiva all’applicazione dell’esenzione de qua, dovendosi invece valutare caso per caso se l’impresa sia o meno ancora in esercizio[48] [49]. In quest’ultima ipotesi, i pagamenti delle forniture di beni e servizi funzionali a consentire la prosecuzione dell’attività, se eseguiti nei termini d’uso, sfuggono infatti a revocatoria, mentre ad opposta conclusione deve pervenirsi quando si tratti di pagamenti eseguiti dopo la cessazione di ogni attività produttiva [50], o ad estinzione di debiti riferiti al periodo in cui la società era ancora operativa, non essendo tali atti solutori diretti a garantire la continuità aziendale del debitore che rappresenta la ratio sottesa all’esenzione da revocatoria[51]. Si tratta di soluzione ermeneutica che, da ultimo, ha trovato conforto anche nella giurisprudenza della Suprema Corte, la quale ha affermato che, salvo diversa previsione statutaria, la liquidazione volontaria “non impedisce la continuità del ciclo produttivo, in quanto ciò costituisca utilità per i fini della liquidazione”, concludendo quindi che rimangono senza dubbio revocabili i pagamenti di forniture strumentali alla continuità aziendale del solvens intervenuti nella fase liquidatoria [52].
4 . I pagamenti di “beni e servizi”
Stando sempre alla lettera dell’art. 166 CCII, l’esonero da revocatoria scatta all’ulteriore condizione che i pagamenti si riferiscano a “beni e servizi”. Si tratta di espressione ellittica, che la giurisprudenza ha chiarito nel senso che la protezione dalla revocatoria opera per i pagamenti che rappresentino il corrispettivo dovuto a titolo di controprestazione nell’ambito dei contratti tramite i quali l’imprenditore si approvvigiona dei mezzi per lo svolgimento della sua attività, quali tipicamente sono le forniture [53].
Per la verità la norma non parla esplicitamente di “forniture”, ma la Suprema Corte ha opinato il contrario, affermando - in una sua recente decisione - che il previgente art. 67 si riferirebbe ai pagamenti di “forniture, quali negozi immediatamente espressivi dell'esercizio dell'attività di impresa”, e segnatamente alle “forniture che sul piano oggettivo innervano (…) la produzione di beni e/o servizi, e quindi l'esercizio dell’attività, della relativa impresa”[54]. La portata di tale precisazione deve peraltro essere correttamente intesa, alla luce dell’esame complessivo della motivazione: così argomentando la S.C. ha invero inteso escludere l’operatività dell’esenzione non per tutti i pagamenti di beni e servizi che non pertengano direttamente all’attività produttiva in senso stretto dell’impresa, ma in relazione ai soli pagamenti fatti in esecuzione dei contratti che “si inseriscono propriamente () nella struttura organizzativa che conforma la società, o ente, di cui all'impresa”: e tali sono, in particolare, i pagamenti volti a remunerare l’attività del liquidatore[55], ovvero – come già affermato in precedenza dai giudici di merito – quella del sindaco [56] o dell’amministratore[57].
Se si vuole dunque discorrere di “forniture”, quale titolo giustificativo dei pagamenti di “beni e servizi”, tale ultima espressione deve allora essere intesa in senso atecnico, quale categoria comprensiva di “tutti i rapporti negoziali volti alla messa a disposizione dell’imprenditore di beni e funzionalità necessarie per agire economicamente”[58], e ciò a prescindere dalla circostanza che tali beni e funzionalità si inseriscano direttamente o solo indirettamente nel ciclo produttivo dell’impresa. 
Guardando ai “beni”, sono quindi certamente sussumibili all’interno dell’esenzione – a condizione che soddisfino anche gli ulteriori requisiti – i pagamenti per l’acquisto in proprietà di beni mobili o immobili, così come gli atti solutori effettuati al fine di ottenere beni in godimento in forza di contratti di locazione, affitto e simili, considerato che “la realtà imprenditoriale fa sempre più frequentemente ricorso a tali forme contrattuali per immettere beni nel proprio ciclo produttivo”, e che la norma de qua è prevista in funzione della continuazione dell’attività d’impresa, e sarebbe del tutto irrazionale non esentare un’ampia fascia di atti funzionali al mantenimento dell’operatività”[59]. A titolo esemplificativo, si sottraggono quindi alla revocatoria i pagamenti dei canoni di locazione degli spazi ove viene svolta l’attività d’impresa[60], quelli per il godimento di beni mobili finalizzati all’attività produttiva [61], ed anche i pagamenti eseguiti per l’acquisizione di beni immateriali, come ad esempio la possibilità per la società affittuaria di un ramo di azienda di esercitare l’attività commerciale in un contesto di particolare importanza e pregio [62]. 
Altrettanto largheggiante è l’atteggiamento che la giurisprudenza ha assunto sul versante del pagamento di “servizi”, ai quali ha assegnato il significato più esteso, in linea con l’ampia nozione unitaria di servizio delineata dal nostro legislatore in sede di attuazione della c.d. direttiva Bolkestein (123/2006/CE), relativa ai servizi nel mercato interno[63], e con la tradizionale opinione che identifica il servizio in qualsiasi utilità che possa essere creata da un soggetto, diversa dalle opere, intendendosi per opera qualsiasi modificazione dello stato materiale di cose preesistenti [64]. In tale ottica sono stati così ricondotti ai pagamenti di “servizi” quelli “eseguiti a fronte di contratti d’opera, di appalto, di mandato e, in particolare, quelli di trasporto e spedizione così come più in generale i corrispettivi erogati a fronte di obbligazioni di ‘fare’”, come ad es. i servizi di handling aeroportuale[65], i servizi dello spedizioniere doganale (consistenti nel pagamento di debiti contratti dall’imprenditore con terzi soggetti)[66], i servizi telefonici e internet [67], i corrispettivi di un contratto di affiliazione commerciale[68], e finanche – secondo una recente decisione – le prestazioni di lavoro subordinato[69].
Un ambito nel quale la causa di esenzione da revocatoria incontra invece limiti applicativi è quello dei pagamenti eseguiti a fronte di mutui (bancari e non). Parte (minoritaria) della dottrina ha in verità sostenuto l’opposta tesi, ed ha affermato che tali pagamenti rientrerebbero nell’area applicativa dell’esenzione, rappresentando il corrispettivo della cessione di un particolare “bene” quale il denaro [70], ovvero del servizio creditizio prestato dalla banca, parimenti destinato a sostenere l’attività d’impresa, e non meritevole quindi di subire un trattamento deteriore rispetto ai servizi di altro genere[71]. 
Improntata ad assoluto rigore è invece l’opposta posizione sposata dalla giurisprudenza di merito, la quale ha costantemente sostenuto che i pagamenti di ratei di mutui bancari non rientrano tout court nella copertura da revocatoria, rimarcando che il riferimento lessicale della norma ai “servizi”, per quanto astrattamente associabile anche all’aggettivo “finanziari”, non sarebbe sufficiente per parificarli a tutti gli altri; e che tali pagamenti non possono ritenersi il corrispettivo per la fornitura di quel particolare bene che è il denaro o per la prestazione di un servizio di natura finanziaria. Elementi decisivi in tal senso sono stati colti anche negli artt. 72-quater e 67, comma 4, l. fall: la prima norma, nel disporre l’ampliamento dell’esenzione in esame ai pagamenti di canoni di locazione finanziaria, testimonia infatti – secondo questa tesi - che laddove il legislatore ha voluto ampliare l’ambito applicativo dell’esenzione ai servizi finanziari, l’ha dovuto disporre espressamente (il che sta ad indicare che il legislatore ubi voluit, dixit); la seconda, escludendo espressamente dall’ambito di applicazione dell’art. 67 le operazioni di credito fondiario, confermerebbe l’inapplicabilità dell’esenzione prevista dalla lettera a) ai rimborsi dei mutui “non fondiari”[72]. 
Entrambe le tesi, nei termini in cui sono state prospettate, appaiono tuttavia insoddisfacenti, ove si considerino gli effetti tipici che – alla luce della disciplina codicistica – il contratto di mutuo (bancario) produce, e segnatamente l’obbligazione del mutuatario di restituire il tantundem e quella di corrispondere gli interessi. Ciò che si pone in relazione sinallagmatica rispetto alla dazione della somma mutuata non è infatti l’obbligo restitutorio (che ha, semmai, la funzione di riequilibrare le situazioni patrimoniali delle parti, riportandole allo status quo anteriore alla erogazione della somma mutuata)[73], quanto piuttosto l’obbligazione di interessi, che costituisce appunto il corrispettivo dell’attribuzione temporanea della disponibilità delle somme mutuate [74]. Collocandosi in questa prospettiva, l’operatività dell’esenzione andrebbe pertanto esclusa per i rimborsi del capitale mutuato, e riconosciuta invece per i soli pagamenti degli interessi, essendo questa l’unica ipotesi in cui è corretto discorrere di corrispettivo per l’attribuzione del “bene denaro”. A tutto concedere, nell’ambito dei rapporti fra imprenditori e banche/intermediari finanziari l’operatività dell’esenzione andrebbe ammessa in relazione ai soli servizi “genericamente bancari” che esse rendono al cliente[75], “come l'incasso, il pagamento di utenze o imposte, la concessione in uso delle cassette di sicurezza, le commissioni di rilascio di fidejussioni, gli interessi passivi dei finanziamenti concessi che ne sono il corrispettivo”, e non per i “pagamenti estintivi di debiti derivanti dalla concessione di finanziamenti” di diverse tipologie [76].
5 . Alcune considerazioni (critiche) finali
Alla luce dei principi illustrati, non possono quindi non destare perplessità le conclusioni cui sono pervenute le due decisioni richiamate in premessa. Il Tribunale di Roma ha infatti sostenuto che il pagamento del compenso dovuto per prestazioni di consulenza del lavoro non potesse beneficiare dell’esenzione in esame, ritenendo che alla fattispecie fosse applicabile il precedente di cui alla citata Cass. 26244/2021, secondo il quale l’esonero riguarderebbe le sole forniture immediatamente espressive dell’esercizio dell’attività d’impresa[77]. Soluzione, questa, che tradisce un fraintendimento della posizione assunta dalla S.C., la quale – come si è visto – ha voluto invece semplicemente escludere dalla copertura i soli pagamenti fatti in esecuzione dei contratti che si inseriscono nella “struttura organizzativa” della società, come quelli relativi ai compensi del liquidatore, o anche dell’amministratore o del sindaco. Non a caso la giurisprudenza non pare nutrire dubbi sull’applicabilità dell’art. 67, comma 3, lett. a) anche ai servizi professionali di consulenza legale o fiscale [78], venendo in considerazione attività professionale prestata da un legale è un servizio che concorre, sia pure indirettamente, a consentire la prosecuzione dell’attività d’impresa del solvens, e che non attiene alla struttura organizzativa di quest’ultimo.
Altrettanto dubbia pare la correttezza della decisione assunta dal Tribunale di Milano, laddove ha escluso l’applicabilità dell’esenzione in relazione al pagamento del corrispettivo maturato dal subappaltatore convenuto, per non essere assimilabile l’appalto d’opera “alla fornitura di beni necessari al ciclo produttivo”. Per quanto è dato desumere dalla lettura del relativo provvedimento, nella fattispecie il contratto di subappalto aveva infatti ad oggetto la prestazione di attività di “montaggi meccanici” (di condizionatori), e quindi di “servizi” senza dubbio rientranti nell’area applicativa dell’art. 67, comma 3, lett. a), L. fall., e destinati ad inserirsi in via diretta nel ciclo produttivo della fallita, in quanto volti a dotare quest’ultima di quanto necessario per completare il set di opere affidatole in appalto dal committente principale.
Giova infine segnalare che, qualunque sia la latitudine semantica che si voglia assegnare ai “beni e servizi” menzionati dalla norma, l’esenzione non può comunque essere riconosciuta solo a quelli assolutamente indispensabili ed imprescindibili al proseguimento del ciclo produttivo, e negata invece ai beni e servizi che, pur rientrando in tale ciclo, siano privi di tale carattere di necessarietà, perché ciò si risolverebbe nell'introduzione di una limitazione che la legge non prevede affatto, e pregiudicherebbe l’obiettivo del legislatore di conferire “stabilità e certezza ai rapporti commerciali, evitando di penalizzare ingiustamente i fornitori, soprattutto se abituali”[79]. Considerazioni analoghe inducono a ritenere che ai fini dell’esonero da revocatoria non valga nemmeno invocare il carattere “strategico”, al fine della continuazione dell’attività di impresa poi sottoposta a procedura, delle forniture remunerate dai pagamenti. La norma non opera infatti alcun distinguo del genere, avendo piuttosto riguardo esclusivo alle modalità di esecuzione del pagamento, senza considerare poi che l’assunto si risolve nell’indebita sovrapposizione di due piani diversi, che attengono – rispettivamente - al pagamento dei creditori strategici anteriori, proprio del concordato preventivo, ed a quello dell’esenzione da revocatoria dei pagamenti nei confronti di qualsiasi creditore, secondo le modalità dell’art. 67, comma 3, lett. a) L. fall. Come correttamente chiarito dalla giurisprudenza, il primo tema riguarda infatti la possibilità che solo alcuni creditori vengano soddisfatti in presenza di determinate condizioni (tra le quali l’attestazione dell’esperto circa l’essenzialità della prestazione per la prosecuzione dell’attività di impresa e per la funzionalità al migliore soddisfacimento dei creditori), mentre il secondo riguarda l’esenzione da revocatoria fallimentare dei pagamenti effettuati nei confronti di tutti i creditori dell’impresa (anche non strategici), purché nell’ambito dell’esercizio della normale attività di impresa (gestione caratteristica) con modalità di esecuzione della prestazione effettuata nei “termini d’uso”[80].

Note:

[1] 
A tale riguardo merita segnalare che, a dispetto della potenzialità espansiva attribuita all’esenzione in parola, nei primi anni successivi alla novella della legge fallimentare del 2005 si era da più parti evidenziato che, pur considerando il necessario periodo di assestamento, tale causa di esonero si era rivelata, all’atto pratico, rara avis nelle aule dei tribunali, perché le sentenze in materia si contavano “sulle dita di una mano” [G. Cavalli, L’esenzione dalla revocatoria fallimentare dei pagamenti eseguiti nei termini d’uso, in Il Fall., 2010, 370. Per analogo rilievo v. A. Zorzi, Riflessioni sull’esenzione da revocatoria ex art. 67, comma 3°, lett. a), l. fall. alla luce dell’introduzione del concordato “in bianco”, in Ilcaso.it, 2012, 1], e che ciò aveva quindi precluso il consolidarsi in materia di orientamenti univoci. Si tratta di valutazione che, per quanto ancora di recente ribadita (cfr. C. Trentini, L’esenzione dalla revocatoria dei pagamenti nei “termini d’uso”: prima pronunzia della Cassazione, in Il Fall., 2017, 571), non pare in realtà trovare riscontro nei fatti, e ciò non solo perché, a partire dal 2016, hanno cominciato a registrarsi, con crescente frequenza, gli interventi in materia della Corte di Cassazione, ma soprattutto in considerazione dell’ormai ricco panorama di decisioni della giurisprudenza di merito, di cui si contano numerose decisioni edite e – all’esito di indagini condotte sui motori di ricerca sincronizzati con il Portale dei Servizi Telematici del Ministero di Giustizia – oltre 900 pronunce inedite rese fra il 2013 ed il 2023.
[2] 
Per un quadro della disciplina dell’azione revocatoria risultante dalla riforma del 2005 v. fra gli altri G. Bozza, L’azione revocatoria nel fallimento, in Giur. comm., 2013, I, 1026 ss.; G. Presti, La funzione della nuova revocatoria fallimentare. Cosa è cambiato rispetto al passato. Relazione al convegno “Il potere dell’economia e le nuove regole del diritto fallimentare”, Abano Terme, 16-17 dicembre 2005, 1 ss.; M. Fabiani, L’alfabeto della nuova revocatoria fallimentare, in Il Fall., 2005, 573 ss.
[3] 
Così A. Jorio, Gli effetti del fallimento per i creditori, in S. Ambrosini, G. Cavalli, A. Jorio, Il fallimento, in Trattato di dir. comm., XI, Torino, 2009, 419.
[4] 
Le modifiche apportate dal Codice della Crisi alla disciplina dell’azione revocatoria si sono infatti sostanziate nell’anticipazione del momento di decorrenza del c.d. periodo sospetto, legandolo alla presentazione dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale; in alcune precisazioni in tema di revocabilità degli atti posti in essere durante e nella fase dell’esecuzione di strumenti di regolazione della crisi poi sfociati in liquidazione giudiziale; nella modifica delle condizioni di operatività dell’esenzione attinente alle rimesse bancarie; nella introduzione di una nuova norma in tema di revocatoria degli atti infragruppo: v. in argomento C. Costa, Le principali novità in materia di revocatoria fallimentare nel Codice della Crisi e dell´insolvenza, in Dir. fall., 2021, I, 1272 ss., e A. Picciau, L’azione revocatoria nella liquidazione giudiziale, in Il Fall., 2019, 1171 ss. V. sul punto M. C. Di Martino, La nuova revocatoria concorsuale delle rimesse bancarie all’esito del d. lgs. N. 147/2020: una modifica “consistente” e “durevole”?, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 879 ss.
[5] 
In questo senso E. Bertacchini, Gli atti pregiudizievoli ai creditori, in Bertacchini, Gualandi, Pacchi, Scarselli, Manuale di dir. fallimentare, Milano, 2011, 227, e G. Terranova, La nuova disciplina della revocatoria fallimentare, in Dir. fall., 2006, I, 254, ss.
[6] 
Trib. Milano, 24 dicembre 2012, in Ilcaso.it.
[7] 
Trib. Milano, 4 dicembre 2015 (Fall. Thermotec s.p.a. c. MP3 s.r.l., inedita).
[8] 
Trib. Roma, 21 luglio 2020 (Prov. Italiana Congr. Figli Imm. Conc. in a.s. c. Biosan s.r.l., inedita).
[9] 
Trib. Torino, 4 maggio 2010, in Giur. it., 2011, 123.
[10] 
In questo senso Trib. Ancona, 4 ottobre 2021 (Fall. Ciacci Piero e C. in liquid. c. Nuova Vetreria Artistica s.r.l., inedita), che - riprendendo quasi letteralmente quanto la dottrina aveva evidenziato già all’indomani della riforma [G. Cavalli, Sub art. 67, comma 3, lett a), l. fall., in Il nuovo dir. fallimentare, dir. da A. Jorio, coord. da Fabiani, I, Bologna, 2006, 946] – ravvisa la ratio dell’esenzione nell’esigenza “di rassicurare gli interlocutori, onde evitare che il timore di una possibile futura revoca dei pagamenti porti all’interruzione dei rapporti con l’imprenditore, privandolo così della possibilità di continuare ad operare”. Sostanzialmente nello stesso senso v. Trib. Cuneo, 23 agosto 2021 (Cantina Sociale del Monferrato soc. coop. agr. in l.c.a. c. A. e altri, inedita), per il quale “la ratio ispiratrice appare quella di rassicurare i normali interlocutori della parte in difficoltà, onde evitare che costoro, allarmati dalla prospettiva di una possibile futura revoca dei pagamenti intervenuti nel periodo sospetto, interrompano i rapporti con la controparte, così privando quest’ultima di ogni residua possibilità operativa”; Trib. Roma, 4 dicembre 2020 (B.P.A. s.p.a. in a.s. c. LSG Sky Chefs s.p.a., inedita); App. Torino, 20 marzo 2019 (Iar Siltal s.p.a. in a.s. c. PPG Industries Italia s.r.l., inedita); App. Venezia, 22 novembre 2018 (Transped s.p.a. c. Fall. Vinyls Italia s.p.a., inedita), secondo il quale la ratio della norma è quella di favorire il superamento della crisi da parte di imprese in difficoltà o, in ogni caso, quella di evitare che i fornitori, nel timore di azioni revocatorie, possano rifiutare di dare esecuzione agli ordini di beni o servizi necessari per la prosecuzione dell’attività di impresa”; Trib. Livorno, 20 settembre 2017 (Lucchini s.p.a. in a.s. c. Nalco Italiana s.r.l., inedita); App. Milano, 9 dicembre 2016 (Livingstone s.p.a. in a.s. c. Aeroporti di Puglia s.p.a., inedita); App. Torino, 10 maggio 2016 (Huntsman Holland B.V. c. Iar Siltal s.p.a. in a.s., inedita).
[11] 
A fronte dell’intenzione espressa del legislatore di valorizzare il bene della salvaguardia delle imprese versanti in stato di crisi, un sistema revocatorio ancora rigido – come era quello pre-riforma – rappresentava una grande contraddizione ed esponeva al rischio di vanificare ogni sforzo, poiché l’impresa restava soggetta al rischio di caducazione degli atti compiuti nella fase precedente alla dichiarazione di fallimento, anche ove inseriti in una fase di recupero e conservazione dell’attività”: così Trib. Pordenone, 14 giugno 2018 (ACC Compressors s.p.a. in a.s. c. Unipallets s.r.l., inedita).
[12] 
Così Cass., 7 dicembre 2016, n. 25162; conf. Cass., 7 luglio 2021, n. 19373; Trib. Catania, 4 maggio 2019 (Fall. Tre.Ti s.r.l. c. S.S.G. Trasporti s.a.s., inedita): “la norma è tesa a favorire la continuità aziendale e consente all’imprenditore in stato di insolvenza di continuare ad effettuare i pagamenti necessari alla prosecuzione, seppur temporanea, dell’attività di impresa”. In dottrina v. per tutti A. Jorio, Gli effetti del fallimento, cit., 420, il quale rileva che l’esenzione in esame - al pari di tutte le altre, fatta eccezione per quella di cui alla lettera c) - è volta “a favorire la conservazione e il rilancio dell’impresa in crisi”.
[13] 
In questi termini Trib. Piacenza, 1° dicembre 2020 (Fall. RDB Hebel s.p.a. c. Bre.Vit F.L.M. s.r.l., inedita), e Trib. Piacenza, 16 luglio 2019 (Fall. RDB Hebel s.p.a. c. Consorzio G.T.A., inedita). Analogamente Trib. Marsala, 14 gennaio 2020 (Fall. Perrone Daniela c. Sval s.r.l., inedita), per il quale “la giustificazione dell’esenzione è quella di favorire la continuazione dell’attività di impresa, pur in presenza di una situazione di crisi, al fine del superamento della stessa anche attraverso procedure alternative al fallimento”; Trib. Trieste, 12 settembre 2017, in One Legale; Trib. Milano, 5 settembre 2016 (GDM s.p.a. in a.s. c. Tecnofrigo di T. A., inedita), secondo il quale l’esenzione “tende a tutelare il valore dell'impresa che venga coinvolta in un episodio di insolvenza, proteggendo la prosecuzione della sua attività ed i rapporti economici che all'interno di essa si svolgono, purché gli stessi mantengano inalterate le regole di correttezza e di funzionamento pregresse”. In dottrina v. B. Meoli, Vecchie e nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 2006, I, 225.
[14] 
Così, da ultimo, Cass., 19 gennaio 2023, n. 1697. Conf., fra i giudici di merito, Trib. Roma, 5 ottobre 2020 (Fall. DLI s.r.l. c. Computer Gross Italia s.p.a., inedita), per il quale la ratio della norma è quella “di tutelare nei limiti del possibile la continuità aziendale, evitando che i fornitori dell’impresa, per il timore di vedere successivamente revocati i pagamenti dei corrispettivi ricevuti, possano bloccare le forniture”; Trib. Frosinone, 30 maggio 2022 (Fall. Il Grillo Turismo e Benessere s.r.l. c. M., inedita); App. Torino, 2 ottobre 2017 (Ass. prof. Pavia & Ansaldo c. Iar Siltal s.p.a. in a.s., inedita): “la finalità è … quella di assicurare l’operatività ordinaria per evitare un aggravamento della crisi che sta colpendo la società”; Trib. Savona, 24 ottobre 2016 (Fall. Co.Import s.p.a. c. Manifatture Cotoniere Settentrionali s.r.l., inedita), il quale afferma che la funzione dell’esenzione è quella di favorire la continuazione dell’attività d’impresa al fine di agevolare l’accesso a modelli di soluzione della crisi alternativi al fallimento oppure, nel caso in cui questo venga successivamente aperto, l’esercizio provvisorio o una miglior collocazione dell’azienda; Trib. Bari, 27 ottobre 2015 (Fall. Meridional Imballaggi s.r.l. c. Marsico Group, inedita), secondo cui “la ratio di tale norma è consentire la conservazione dell’attività dell’impresa ed evitare di ostacolare il superamento della crisi: ciò che certamente avverrebbe se gli abituali fornitori fossero costretti, avendo percepito lo stato crisi, a sospendere gli approvvigionamenti, non potendo accettare pagamenti revocabili”; Trib. Milano, 4 marzo 2015 (Fall. Cide s.p.a. c. Robert Bosh s.p.a., inedita), il quale ravvisa la ratio della disposizione da un lato nella volontà di permettere la continuazione dell’attività dell’impresa in crisi, in tal modo favorendo la possibilità di superamento della crisi stessa o l’adozione da parte dell’imprenditore di soluzioni alternative allo sbocco fallimentare, auspicabilmente caratterizzate dalla conservazione dell’azienda; dall’altro lato, nella salvaguardia dell’interesse del creditore, incentivandolo a continuare nelle forniture grazie al consolidamento dei pagamenti che gli viene assicurato anche nell’ipotesi in cui egli sia consapevole del dissesto quando, per l’appunto, detti pagamenti si riferiscano a beni ceduti e servizi prestati nel contesto della continuazione dell’attività di impresa e secondo i termini d’uso.
[15] 
Così App. Milano, 4 ottobre 2021 (Iccrea Bancaimpresa s.p.a. e altro c. Fall. Atlantide s.r.l., inedita), che richiama sul punto App. Milano, 12 ottobre 2015. Sostanzialmente in termini Trib. Livorno, 2 luglio 2013 (Fall. Coop. Ceramica Ind. Livorno soc. coop. a r.l. c. A.S.A. Trade s.p.a., inedita); Trib. Catania, 16 settembre 2013 (Fall. San Giovanni di V. C. c. Centro Commerciale Edile s.r.l.i, inedita), che riferisce l’esenzione ai soli pagamenti che siano tali, oggettivamente, da non far sorgere sospetto alcuno in merito alla solvibilità del debitore, e che quindi l'accipiens percepisce come fisiologici tanto da non metterlo in allarme circa la situazione in cui versa l'impresa debitrice; Trib. Macerata, 10 febbraio 2015 (Fall. Calzaturificio Reflexe s.r.l. c. La Rosa dei Venti Gestione Jos s.r.l., inedita); Trib. Isernia, 8 settembre 2015 (Ittierre s.p.a. in a.s. c. C., inedita), per il quale “scopo dell’esenzione è dare stabilità e certezza ai rapporti commerciali, evitando di penalizzare ingiustamente i fornitori, spesso ignari delle difficoltà economiche dell’impresa, che ricevono un regolare pagamento alla scadenza, atto lecito e dovuto”; Trib. Nola, 9 marzo 2016 (Fall. Carmine & Giulio Russo di Nicola s.p.a. c. Rotocalco Mediterranea s.r.l., inedita); Trib. Bari, 21 ottobre 2019 (Soc. Coop. Medusa s.r.l. c. Ambiente e Sviluppo s.r.l., inedita); Trib. Castrovillari, 27 settembre 2021 (Fall. Alimentitaliani s.r.l. c. Greco, inedita), ad avviso del quale “i pagamenti nei termini d’uso rappresentano, quindi, dei comportamenti così normali che può essere legittimo presumere juris et de jure che l’accipiens non sia tenuto a valutare se gli stessi provengano o meno da un debitore insolvente”.
[16] 
Trib. Milano, 3 maggio 2012, in Ilcaso.it, e Trib. Milano, 16 gennaio 2012, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, II, 831; in senso conf. Trib. Bergamo, 31 luglio 2015 (Fall. Telko s.r.l. c. Legnopan s.p.a., inedita), che riconduce la ratio della norma alla “necessità di tutelare l’interesse alla prosecuzione dell’attività d’impresa dell’accipiens, garantendogli la tranquillità derivante dal consolidamento dei pagamenti ricevuti nello svolgimento dell’attività imprenditoriale e nei termini d’uso (e quindi siano tali, oggettivamente, da non far sorgere sospetto alcuno in merito alla solvibilità del debitore), senza onere, quindi, da parte sua, di attivazione di canali informativi particolari, che siano relativi alle condizioni di salute del debitore e di cui normalmente non dispone”.
[17] 
V. in particolare M.V. Galletti, Azione revocatoria fallimentare, in Enc. dir. Annali, I, Milano, 2008, 77 (condiviso sul punto da A.A. Dolmetta, Sulla revocatoria fallimentare riformata: problemi applicativi su «termini» ed «esenzioni», in Ilcaso.it, 2008, 17), ad avviso del quale il fondamento dell’esenzione andrebbe ricercata in motivazioni squisitamente tecniche, e segnatamente nell’obiettivo di ridurre i costi amministrativi della lite, in ipotesi in cui difficilmente il creditore può essere informato delle condizioni di salute finanziaria del debitore; L. Stanghellini, La nuova revocatoria fallimentare nel sistema di protezione dei diritti dei creditori, in Associazionedisianopreite.it, 2007, 15.
[18] 
Pare quindi contraddittoria, sotto questo profilo, la posizione di quella giurisprudenza secondo la quale, “attesa la ratio ispiratrice dell’art. 67 comma 3 lett. a) - funzionale sia a preservare la continuità dell’attività aziendale per garantire la conservazione dell’impresa in crisi in vista del suo recupero, sia a tutelare i terzi quando la normalità del rapporto lascia presupporre una mancanza di conoscenza in capo a questi ultimi dello stato di insolvenza - l’esenzione da revocatoria prevista da tale disposizione opera sul piano oggettivo senza alcuna rilevanza degli stati soggettivi dell’accipiens”: così Trib. Nola, 9 marzo 2016, cit.
[19] 
Cfr. Trib. Reggio Em., 16 luglio 2020 (Coopsette soc. coop. in l.c.a. c. Sinertech s.r.l., inedita): “l’esenzione prescinde, a ben vedere, dalla condizione soggettiva di conoscenza, da parte dell’accipiens, dello stato di crisi dell’imprenditore poi successivamente fallito: la norma prevede, infatti, un’operatività limitata al piano oggettivo”. Nella medesima direzione v. Trib. Pavia, 12 marzo 2018 (Fall. Techne s.r.l. c. Carminati s.r.l., inedita), il quale ha ritenuto che tale conclusione si giustifica proprio in ragione della finalità dell’istituto, che è quella “di consentire la continuità aziendale dell’impresa in bonis e la certezza nei traffici commerciali, non consentendo alcun accertamento o valutazione ulteriore circa la sussistenza dell’elemento soggettivo della scientia decoctionis”; App. Torino, 14 dicembre 2017 (Magit s.r.l. c. Ages s.p.a. in a.s., inedita); Trib. Trieste, 12 settembre 2017, cit.; Trib. Milano, 4 maggio 2017 (GDM s.p.a. in a.s. c. Ferrero s.p.a., inedita), per il quale l’imprenditore deve “solo preoccuparsi che i pagamenti che riceve avvengano nei ‘termini d’uso’ perché ciò esclude ex lege l’assoggettabilità degli stessi ad un’azione revocatoria, quale che sia l’atteggiamento psicologico dell’accipiens”; Trib. Trieste, 6 aprile 2017 (Fall. Laboratori Diaco Biomedicali s.p.a. c. Sifte Berti s.p.a., inedita); Trib. Nola, 16 novembre 2016 (Fall. Carmine e Giulio Russo di Nicola s.p.a. c. Semolificio Loiudice s.r.l., inedita); Trib. Padova, 2 gennaio 2015 (Fall. Fratelli Provenzale s.r.l. c. Icom s.p.a., inedita); Trib. Venezia, 24 ottobre 2014 (Fall. Vinyls Italia s.p.a. c. Nuova C.M.T.P. di Dessi N., inedita); Trib. Torino, 15 ottobre 2014, in Giur. comm., 2015, II, 1361; Trib. Salerno, 18 giugno 2013, ivi, 2015, II, 314. In dottrina v. ancora A. Jorio, Il fallimento, cit., 423, e G. Cavalli, Sub art. 67, cit., 947.
[20] 
Così App. Milano, 12 febbraio 2020 (GDM s.p.a. in a.s. c. Ferrero s.p.a.), la quale osserva che la conoscenza (o la conoscibilità) dello stato di insolvenza del debitore da parte dell’accipiens sono del tutto irrilevanti, dal momento che i connotati dei pagamenti esenti hanno carattere esclusivamente oggettivo, e ciò “è logico, tenuto conto che, da un lato, ove difettasse l’elemento soggettivo della conoscenza, il pagamento non sarebbe revocabile e che, dall’altro, la finalità della norma è di salvare atti solutori che, in mancanza, ricadrebbero nell’area della revocabilità”. Conf. Trib. Torino, 14 febbraio 2018 (Mole Consorzio soc. coop. in l.c.a. c. Al.Fa Legno s.r.l., inedita): “il pagamento ricevuto in termini d’uso non fa presumere l’inscientia decoctionis, né offre una regola di giudizio per valutare la conoscenza dell’accipiens, poiché la norma assegna alla circostanza del pagamento secondo i ‘termini d’uso’ valore senz’altro liberatorio dalla pretesa revocatoria. L’atto solutorio compiuto nei termini d'uso non può dunque essere revocato quand'anche il convenuto non abbia dato prova della inscientia (primo comma) o sia provato che era a conoscenza dello stato d’insolvenza (secondo comma)”; Trib. Savona, 24 ottobre 2016, cit., per il quale la disposizione in commento sottrae alla revocatoria “i pagamenti contraddistinti da determinate caratteristiche indicate, mostrando la volontà del legislatore di fondare l’esenzione su elementi di carattere strettamente oggettivo”, e rimane “del tutto irrilevante () pertanto il fatto che l’accipiens conoscesse o meno l’insolvenza dell’imprenditore al momento del compimento dell’atto: da un lato perché la mancanza della scientia decoctionis comunque impedisce al curatore di promuovere l’azione revocatoria ex art. 67 l. fall., dall’altro perché l’eventuale consapevolezza sembra perdere di rilevanza di fronte alle ragioni che hanno indotto il legislatore a prevedere l’esenzione stessa”; Trib. Treviso, 11 maggio 2016 (Fall. Beltramini s.p.a. c. Arredamenti F. lli Campagnolo s.n.c., inedita): “l’esimente in questione ha natura esclusivamente oggettiva, sicché non assume rilevanza la conoscenza (o la non conoscenza) da parte del fornitore dello stato di insolvenza dell’imprenditore, pena l’interpretatio abrogans della norma, dal momento che, in caso di inscientia decoctionis, l’atto sarebbe non revocabile già ex se. Essa è fondata sulle oggettive caratteristiche funzionali di alcune tipologie di operazioni”; Trib. Torino, 4 maggio 2010, in Giur. it., 2011, 123.
[21] 
Cass., 27 dicembre 2021, n. 41514.
[22] 
E’ questa l’impostazione di Trib. Reggio Em., 28 luglio 2021 (Coopsette soc. coop. in l.c.a. c. Nuova SAF s.r.l., inedita), e di Trib. Reggio Emilia, 12 maggio 2021, cit., il quale ritiene che in tale ipotesi competerebbe quindi al curatore dimostrare l’elemento soggettivo della fattispecie attraverso la prova di circostanze diverse dalle modalità o dai tempi in cui si è atteggiato il pagamento, con un onere della prova a suo carico assai più gravoso.
[23] 
Cass., 28 settembre 2021, n. 26244.
[24] 
In questo senso App. Milano, 24 marzo 2021 (Opera 21 Group s.p.a. c. Banco BPM s.p.a., inedita); nella medesima direzione Trib. Roma, 4 dicembre 2020 (B.P.A. s.p.a. in a.s. c. LSG Sky Chefs s.p.a., inedita); Trib. Ancona, 18 luglio 2019 (Fall. Ciacci Pietro & C. s.n.c. c. Banca di Credito Coop. di Ostra e Morro d’Alba soc. coop., inedita): “l’art. 67 comma III lett. a), introducendo eccezioni alla regola generale, è norma di stretta interpretazione”; Trib. Lecco, 21 marzo 2015, in ilcaso.it, e Trib. Frosinone, 30 maggio 2022, cit., per i quali “le esenzioni dall'azione revocatoria di cui all'articolo 67, comma 3, L.F., in quanto eccezioni, sono di stretta interpretazione e non ne è consentita l'applicazione analogica. In dottrina v. A. Nigro, Sub art. 67, in La legge fall. dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli, Santoro, Torino, 2010, 929; A.A. Dolmetta, Sulla revocatoria fallimentare, cit., 16.
[25] 
Trib. Bari, 21 ottobre 2019, cit.; in termini Trib. Frosinone, 30 maggio 2022, cit.
[26] 
In questi termini, con riferimento ad una società operante nel settore aeroportuale, Trib. Roma, 31 luglio 2019 (BPA s.p.a. in a.s. c. In Più Broker s.r.l., inedita).
[27] 
Cfr. Trib. Trani, 23 giugno 2016 (Fall. Sici s.a.s. c. Ald Automotive s.r.l., inedita). In dottrina v. G. Cavalli, Sub art. 67, cit., 950; B. Meli, La revocatoria fallimentare: profili generali, in La riforma fallimentare: profili della nuova disciplina, a cura di Ambrosini, Bologna, 2006, 126; C. Cavallini, Sub art. 67. Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie, in Commentario alla legge fall., dir. da Cavallini, I, Milano, 2010, 193; R. Rosapepe, L’attivo, in Dir. fallimentare. Manuale breve, Milano, 2008, 248; S. Bonfatti, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori. Le azioni revocatorie, in Trattato delle procedure concorsuali, dir. da A. Jorio e Sassani, II, Milano, 2014, 258.
[28] 
M. Fabiani, Dir. fallimentare. Un profilo organico, Bologna, 2011, 339.
[29] 
Cfr. Trib. Perugia, 4 novembre 2014 (Fall. Annatrans s.a.s. c. Finital Finanziaria s.p.a., inedita), che ha revocato il pagamento di canoni di leasing avvenuto quando il contratto era stato già risolto e la società concedente aveva richiesto la riconsegna dei mezzi locati, osservando che tale pagamento non aveva “riguardato contratti aventi ad oggetto l’approvvigionamento dei mezzi necessari a tenere in esercizio il ciclo produttivo”, e non era quindi “funzionale a garantire la prosecuzione dell’impresa (esigenze a tutela delle quali il legislatore ha previsto l’esclusione de qua, nel tentativo di evitare che l’imprenditore in momentanea difficoltà finanziaria possa trovarsi privo di ciò che gli occorre per proseguire l’impresa e così di fatto lasciato solo dai suoi fornitori che avessero a temere la revocabilità dei pagamenti ricevuti)”. In relazione ad analoga fattispecie (pagamento di canoni di un contratto di affitto di azienda intervenuto dopo che il rapporto era stato risolto per inadempimento e l’affittante aveva richiesto la riconsegna del compendio aziendale) v. Trib. Napoli, 2 marzo 2017 (Fall. Mondo Pelle s.r.l. c. Gallerie Commerciali Italia s.p.a., inedita), il quale ha parimenti escluso l’operatività dell’esenzione, sul rilievo che la sua ratio va “ravvisata nel tentativo di preservare la conservazione dell’attività di impresa, consentendo, in tal modo, un ultimo ed estremo tentativo di uscita dalla crisi dell’imprenditore”, sicché il pagamento in questione non poteva ritenersi “più funzionale allo svolgimento dell’attività di impresa”; App. Firenze, 7 dicembre 2020 (Fall. Alma s.r.l. c. P., inedita), in relazione alla revocatoria di un pagamento eseguito quando l’accipiens aveva già da tempo completamente interrotto le forniture.
[30] 
Cfr. Trib. Ascoli P., 2 febbraio 2017 (Fall. Ocma s.p.a. c. Fall. Centro Accessori s.r.l., inedita), il quale - premesso che il pagamento in termini d’uso è quello “strettamente necessario per mantenere il ciclo produttivo” - ha affermato che tale non può considerarsi la datio in solutum di un impianto necessario alla prosecuzione dell’attività produttiva, che tanto meno rappresenta un “mezzo fisiologico ed usuale di pagamento”.
[31] 
Si tratta della nota tesi sostenuta, all’indomani della riforma, da G. Cavalli, Sub art. 67, cit. (e condivisa, di recente, da O. Cagnasso, L’esenzione dalla revocatoria dei pagamenti in termini d’uso: quale il parametro di riferimento?, in Giur. it., 2021, 2661), secondo la quale l’espressione “termini d'uso” non costituirebbe un predicato del pagamento o delle forniture, ma dell'attività imprenditoriale, nel senso che il pagamento, per fruire dell'esenzione dalla revocatoria, dovrebbe riguardare forniture ricollegabili non già ad un generico esercizio imprenditoriale, ma ad un esercizio definibile in termini di normalità.
[32] 
Trib. Milano, 15 dicembre 2020 (Fall. Messaggerie Trasporti Nazionali s.p.a. c. Re-Energy Sun s.r.l., inedita); Trib. Milano, 3 marzo 2022 (Fall. TMC Italia s.p.a. c. Lagor s.r.l., inedita). In termini Trib. Latina, 26 settembre 2016, in ilcaso.it, e Trib. Bergamo, 14 novembre 2012, in ilfallimentarista.it, per il quale sono esenti “solo i pagamenti relativi a forniture di beni e servizi attinenti alla vita corrente e ordinaria dell’impresa”, mentre ne restano “esclusi quelli afferenti ad operazioni straordinarie e/o estranee all’oggetto tipico dell’attività d’impresa ed all’ordinario esercizio dell’azienda”; Trib. Trani, 23 giugno 2016 (Fall. Sici s.a.s. c. Ald Automotive s.r.l., inedita), secondo il quale il legislatore ha voluto escludere dall’esenzione “i pagamenti non inerenti all’esercizio dell’impresa (perché personali dell’imprenditore individuale o perché estranei all’oggetto sociale nel caso dell’imprenditore collettivo) e quelli che non concernono in via immediata e diretta la produzione. E’ stato così sostenuto che siano, ad esempio, soggetti a tale esenzione e, dunque, irrevocabili, i pagamenti dei canoni di locazione degli immobili dove venga svolta l’attività imprenditoriale o dei canoni dei contratti di leasing aventi ad oggetto beni strumentali per l’esercizio dell’impresa”; Trib. Lecco, 21 marzo 2015, cit., per il quale “le esenzioni dall'azione revocatoria di cui all'articolo 67, comma 3, L.F.”, in quanto eccezioni, sono di stretta interpretazione e non ne è consentita l'applicazione analogica. Tra le eccezioni in esame non rientrano le prestazioni professionali del legale svolte a favore della società decotta al fine di permetterle di superare tale stato di decozione attraverso l'esito vittorioso di una causa che comporti l'incasso di un cospicuo risarcimento dei danni. In dottrina v. G. Rebecca, G. Sperotti, Le operazioni bancarie esenti da revocatoria, in Dir. fall., 2009, I, 714, secondo i quali rientrano nell’area dell’esenzione “le sole prestazioni strettamente necessarie alla gestione ordinaria dell’impresa”; analogamente S. Bonfatti, Gli effetti del fallimento, cit., 259.
[33] 
Cfr. Trib. Pordenone, 29 maggio 2017, in ilcaso.it, il quale ha escluso che possano considerarsi esentati i pagamenti a favore del professionista che abbia assistito l'impresa nei rapporti con istituti bancari in un momento di difficile situazione finanziaria, “in quanto l'eccezionalità del rapporto intrattenuto dalla debitrice con il proprio professionista impedisce di riconoscere una qualsivoglia conformità dei pagamenti ad un pregresso uso”.
[34] 
Così App. Torino, 18 marzo 2021 (R. c. Fall. MG s.r.l. in liquid., inedita), in relazione al pagamento di compensi per attività di “consulenza relativa a ristrutturazione societaria”. In termini analoghi Trib. Bergamo, 14 novembre 2021, cit., con riguardo ad un incarico di consulenza avente ad oggetto la ristrutturazione dei debiti e l’attivazione di una procedura concorsuale, e App. Torino, 2 ottobre 2017 (Ass. prof. Pavia & Ansaldo c. Iar Siltal s.p.a. in a.s., inedita), con riferimento all’incarico conferito ad uno studio legale per la ristrutturazione del debito bancario della società, reputato “intervento di carattere straordinario” in una “fase ormai patologica della vita imprenditoriale del gruppo”, in quanto tale esulante dalla “ordinaria attività d’impresa”.
[35] 
Trib. Bologna, 9 dicembre 2015 (Fall. Hard & Soft Service s.r.l. c. B., inedita), per il quale l’esenzione de qua avrebbe “riguardo ai pagamenti eseguiti nell’esecuzione dei rapporti aventi ad oggetto forniture di merci e somministrazione di beni e servizi che attengano all’ordinario funzionamento dell’attività produttiva o commerciale dell’impresa”, e non si applica quindi al pagamento di un professionista per attività svolta “per fronteggiare la difficile situazione economica della sua assistita e cercare di evitarne il fallimento”.
[36] 
In questo senso Trib. Brescia, 26 ottobre 2019 (Fall. Sanagens s.r.l. c. SDL Centrostudi s.p.a., inedita), il quale ha escluso l’applicabilità dell’esenzione in relazione a pagamenti di servizi consistenti nell’analisi di eventuali anomalie di contratti di leasing e finanziamento, reputandoli estranei all’ordinaria attività della fallita (commercio di calzature sanitarie e prodotti accessori).
[37] 
Cfr. Trib. Pistoia, 26 ottobre 2015, per il quale rimane revocabile il pagamento dell’attività resa in esecuzione di un incarico professionale di analisi dello stato economico e patrimoniale della società e di predisposizione di un piano per il miglior soddisfacimento possibile di tutti i creditori, trattandosi di consulenza che non potrebbe “certo ritenersi un ‘bene’ o ‘un servizio’ indispensabile alla continuazione dell’impresa”; Trib. L’Aquila, 14 novembre 2017 (Fall. Otefal s.p.a. c. Stefi s.r.l., inedita), che ha reputato inapplicabile l’esenzione a fronte del pagamento del compenso per attività di consulenza industriale-finanziaria a favore di società in concordato preventivo, trattandosi di attività che “non ha connessioni dirette con l’attività ordinaria” della società, e che “non era ovviamente necessaria per il prosieguo dell’attività di impresa, tanto più nella fase di concordato preventivo”.
[38] 
Cfr. fra le altre Cass., 7 luglio 2021, n. 19373, e Cass., 27 dicembre 2021, n. 41514.
[39] 
In questa direzione v. in giurisprudenza Trib. Roma, 12 ottobre 2021 (Prov. Ital. Congreg. Figli dell’Imm. Conc. in a.s. c. G., inedita), che ha - correttamente - ritenuto coperto da esenzione il pagamento del compenso per attività di consulenza legale connessa alla predisposizione e presentazione della domanda di ammissione a concordato preventivo, in quanto effettuato “per attività svolte nell’interesse dell’impresa”; Trib. Sciacca, 17 luglio 2017 (Fall. Enocarboj s.c.a.r.l. c. A., inedita), per il quale l’esenzione è applicabile ai pagamenti a favore di un legale che aveva ottenuto la revoca della liquidazione coatta amministrativa cui era stata sottoposta la società cliente, e con essa il ripristino dell’ordinario corso aziendale, trattandosi di servizi prestati in funzione dell’attività di impresa e della salvaguardia dell’operatività aziendale; Trib. Frosinone, 15 aprile 2016 (Fall. VDC Technologies s.p.a. c. Di Rosa, inedita), in relazione al pagamento dei corrispettivi dovuti al notaio per prestazioni professionali compiute nei confronti del fallito (cancellazione di ipoteche su beni della società ed autentica di estratti di scritture contabili), venendo in considerazione la “redazione di atti che non esulano dalla routine e che appaiono anzi del tutto funzionali alla sua protrazione”.
[40] 
Così Trib. Castrovillari, 27 settembre 2021, cit., e Trib. Torino, 4 maggio 2010, cit. Analogamente Trib. Brescia, 26 ottobre 2019 (Fall. Sanagens s.r.l. c. SDL Centrostudi s.p.a., inedita), per il quale l’esenzione riguarda i soli beni e servizi “strumentali all’esercizio dell’ordinaria attività tipica”, non potendosi estendere “ad ogni pagamento tempestivamente effettuato con mezzi normali per qualsivoglia obbligazione contratta dall’imprenditore”; Trib. Treviso, 5 gennaio 2018 (Fall. Person s.r.l. c. Person di Bocchi R. e c. s.a.s., inedita), per il quale il pagamento (nella specie, per servizi di noleggio di autovetture) resta revocabile, ove non ne sia dimostrata la connessione con l’oggetto sociale del solvens poi fallito (nella specie consistente nella vendita al dettaglio e all’ingrosso di abbigliamento per bambini); Trib. Pavia, 31 ottobre 2017 (Cablelettra s.p.a. in a.s. c. Comind s.r.l., inedita), Trib. Pavia, 20 marzo 2017 (Cablelettra s.p.a. in a.s. c. A.E.C. s.r.l., inedita), e Trib. Pavia, 22 novembre 2016 (Cablelettra s.p.a. in a.s. c. Deflfingen Anteuil s.a., inedita), per i quali non sono compresi nell’area di esenzione sic et simpliciter tutti i pagamenti concernenti le obbligazioni assunte dall’impresa, ma quelli specificamente correlati a beni e forniti e servizi effettuati nell’esercizio dell’impresa, essendo esclusi non solo quelli relativi ad atti rispondenti a finalità diverse, ma anche ad operazioni estranee al suo oggetto tipico; Trib. Frosinone, 15 aprile 2016 (Fall. VDC Technologies s.p.a. c. Di Rosa, inedita), per il quale i pagamenti devono riguardare “l’oggetto tipico dell’attività di ogni imprenditore, con esclusione dunque di quelle operazioni che con tale attività non abbiano alcun nesso, neppure di carattere strumentale”; secondo Trib. Perugia, 4 novembre 2014, cit., l’esenzione riguarda “i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell'attività d'impresa nei termini d’uso, ed include nel novero delle attività escluse l’adempimento dei contratti tramite cui l’imprenditore si fornisce dei mezzi per lo svolgimento ordinario della sua attività, quali tipicamente le forniture, purché sussista un necessario collegamento con l’esercizio dell’impresa. Dunque, il pagamento di beni e servizi deve essere strumentale rispetto all’esercizio dell’impresa, e deve essere avvenuto nei termini d’uso”; Trib. Marsala, 4 giugno 2011, in Ilcaso.it. In dottrina v. C. Cavallini, Sub art. 67, cit., 193; B. Meoli, Vecchie e nuove esenzioni, cit., 225; F. Commisso, L’esenzione dalla revocatoria dei “pagamenti nei termini d’uso” fra la dizione letterale e la ratio della norma, in Il Fall., 2022, 195.
[41] 
In questo senso, fra le altre, Cass., 21 novembre 2002, n. 16416, la quale precisa che, ai fini della valutazione della pertinenza di un atto degli amministratori all'oggetto sociale, non sono invece sufficienti né il criterio della astratta previsione, nello statuto, del tipo di atto posto in essere (in quanto, da un lato, l’elencazione statutaria di atti tipici non potrebbe mai essere completa, data la serie infinita di atti, di vario tipo, che possono essere funzionali all'esercizio di una determinata attività, e, dall'altro, anche l’espressa previsione statutaria di un atto tipico non assicura che lo stesso sia, in concreto, rivolto allo svolgimento di quella attività), nè il criterio della conformità dell'atto all'interesse della società (in quanto l'oggetto sociale costituisce, ai sensi dell'art. 2384 c.c., un limite al potere rappresentativo degli amministratori, i quali non possono perseguire l'interesse della società operando indifferentemente in qualsiasi settore economico, ma devono rispettare la scelta del settore in cui rischiare il capitale fatta dai soci nell'atto costitutivo).
[42] 
A. Nigro, Sub art. 67, cit., 931. Nello stesso senso M. Fabiani, Dir. fallimentare, cit., 339, il quale chiarisce che il riferimento della norma all’attività d’impresa vuole semplicemente significare che si deve trattare di pagamenti intervenuti quando l’impresa è ancora operativa, a nulla rilevando che si tratti di pagamenti relativi ad obbligazioni assunte in termini di coerenza con l’oggetto sociale; B. Meli, La revocatoria fallimentare, cit., 126, e M.V. Galletti, Azione revocatoria, cit., 77, ad avviso del quale non pare che l’espressione sia indicativa della volontà del legislatore di fare applicazione dell’esenzione solo nei casi di esercizio “ordinario” dell’attività.
[43] 
Cfr. Trib. Napoli, 17 maggio 2014, in Dir. fall., 2015, I, 56; Trib. Ascoli P., 10 dicembre 2015 (Cons. Agrario Piceno s.c.r.l. in l.c.a. c. Cons. Agrario Prov. Viterbo soc. coop., inedita), secondo il quale l’esenzione in discorso non può operare in presenza di un pagamento eseguito nell’esercizio dell’attività già in fase liquidatoria; Trib. Trani, 23 giugno 2016 (Fall. Sici s.a.s. c. Ald Automotive s.r.l., inedita). In dottrina v. B. Meli, La revocatoria fallimentare, cit., 126; B. Meoli, Vecchie e nuove esenzioni, cit., 226; M. De Crescienzo, L. Panzani, Il nuovo diritto fallimentare, Milano, 2005, 94 (pur dando atto che si tratta di interpretazione che può “non apparire sicura”).
[44] 
Trib. Udine, 21 settembre 2015 (Caffaro Chimica s.r.l. in a.s. c. Amga Energia e Servizi s.r.l., inedita), per il quale la circostanza che i pagamenti siano stati effettuati quando la società si trovava già in liquidazione volontaria “è circostanza anche di per sé idonea ad escludere l’operatività dell’esonero, che presuppone pagamenti effettuati nell’esercizio dell’(ordinaria) attività d’impresa, mentre nella fase liquidatoria, com’è noto, l’attività dovrebbe limitarsi a quanto necessario ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale”. In dottrina v. F. Iozzo, Pagamento nei termini d’uso, cit., 127, nonchè - sul presupposto che la liquidazione comporti la cessazione dell’esercizio dell’attività d’impresa – S. Bonfatti, Gli effetti del fallimento, cit., 259, e G. Rebecca, G. Sperotti, Le operazioni bancarie, cit., 713.
[45] 
Trib. Catania, 11 ottobre 2013 (Fall. Centro Eleganza Bambini s.n.c. c. Pit Stop s.p.a., inedita). In dottrina v. A. Nigro, Sub art. 67, cit., 930-931, per il quale l’attività svolta in fase di liquidazione resta comunque attività d’impresa.
[46] 
Cfr. in argomento S. Turelli, Gestione dell’impresa e società per azioni in liquidazione, Milano, 2012, 1 ss.
[47] 
L’esercizio provvisorio potrà essere considerato atto necessario”, ai sensi dell’art. 2489 c.c., “nei casi in cui il fermo aziendale determinerebbe la perdita o, comunque, la sensibile diminuzione dell’avviamento; tanto in sintonia con il carattere conservativo e non propulsivo dell’attività di liquidazione e salva la possibilità di ricorrere a soluzioni diverse”: così L. Parrella, Sub art. 2489, in La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, 3, Torino, 2003, 259. Analogamente F. Jr Ferrara, F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2006, 970-971.
[48] 
Cfr. Trib. Napoli, 5 giugno 2017 (Fall. Lettura s.r.l. c. Fasi s.r.l., inedita), il quale ha ritenuto revocabile il pagamento effettuato, in occasione di un evento fieristico, da una società posta in liquidazione, “atteso che lo stato di liquidazione non preclude del tutto l’operatività dell’impresa, in quanto, come sancito dall’art. 2486 c.c., al verificarsi di una causa di scioglimento del contratto sociale gli amministratori conservano i poteri di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale”.
[49] 
Non pare quindi condivisibile, in questa prospettiva, la posizione di chi (G.U. Tedeschi, Manuale di dir. fallimentare, Padova, 2006, 309), per giustificare l’applicazione dell’esenzione ai pagamenti effettuati in fase liquidatoria, valorizza la circostanza che la norma non richieda debba trattarsi di “normale” attività d’impresa.
[50] 
Così Trib. Udine, 5 gennaio 2014, in Unijuris.it; in termini Trib. Parma, 11 novembre 2020 (Fall. Lavoro1 s.r.l. c. Marr s.p.a., inedita), e Trib. Novara, 10 gennaio 2015 (FDG s.p.a. in a.s. c. A., inedita); Trib. Asti, 23 giugno 2017, in Ilcaso.it, per il quale “la finalità sottesa è quella di ridimensionare la portata economica di talune applicazioni dell’azione revocatoria e di evitare in un certo senso l’isolamento dell’impresa che, pur non ancora in palese stato di decozione, si trovi in difficoltà economica. Ne consegue che devono essere esclusi dall’esenzione di cui alla citata norma tutti i pagamenti che, se pur riferibili a pregresse forniture di beni o servizi utili all’esercizio dell’impresa, sono stati però effettuati solo successivamente alla cessazione dell’attività di impresa ovvero alla sua messa in liquidazione, pena la compromissione della par condicio creditorum”; Trib. Pistoia, 26 ottobre 2015 (Fall. Graf Sistemi s.r.l. c. G., inedita), e Trib. Perugia, 13 giugno 2018 (Fall. Fratini Costruzioni s.r.l. c. Isotermica s.r.l., inedita), per i quali non beneficiano dell’esenzione i pagamenti effettuati quando la società era in liquidazione e l’esercizio dell’impresa era cessato; Trib. Brescia, 23 luglio 2015 (Fall. Cacciamali s.p.a. c. Apam s.a.s., inedita), per il quale non godono dell’esenzione i pagamenti eseguiti quando la società era in liquidazione ed aveva cessato l’attività in favore un terzo cui aveva affittato il proprio ramo d’azienda. Conf. in dottrina R. Rosapepe, L’attivo, cit., 248.
[51] 
Trib. Treviso, 11 maggio 2016, cit.; nella medesima direzione Trib. Trani, 1° marzo 2016 (Fall. Poligrafico Dehoniano s.p.a. c. Unicredit Leasing s.p.a., inedita); Trib. Reggio Em., 22 settembre 2015 (Fall. M.N.M. s.r.l. c. F., inedita), per il quale non beneficiano dell’esenzione i pagamenti effettuati quando l’attività d’impresa sia già cessata e la società messa in liquidazione, sicchè l’attività professionale (assistenza contabile e fiscale/previdenziale) “non era più funzionale, al momento del pagamento dei corrispettivi della stessa, alla prosecuzione di un’attività di impresa già cessata”. In dottrina v. F. Iozzo, Pagamento nei termini d’uso: primi orientamenti giurisprudenziali, in Giur. it., 2011, 127.
[52] 
Cass., 2 maggio 2023, n. 11310.
[53] 
In questi termini Trib. Perugia, 4 novembre 2014, cit.
[54] 
Così Cass., 28 settembre 2021, n. 26244.
[55] 
E’ la fattispecie presa in considerazione dalla citata Cass. 26244/2021.
[56] 
App. Palermo, 16 novembre 2018 (C. c. Fall. Sitas s.p.a., inedita), sul rilievo che l’attività del sindaco, pur consistendo in una prestazione d’opera, non trova la sua fonte in un contratto di lavoro, ma in un atto di investitura quale organo della società, con compiti che esulano dall’esercizio dell’attività commerciale. In senso contrario v. però E. De Sabato, Applicabilità dell’esenzione da revocatoria al compenso del collegio sindacale, in Giur. comm., 2015, II, 1363 ss., e Trib. Torino, 15 ottobre 2014, cit., secondo il quale il pagamento del compenso al componente del collegio sindacale rientrerebbe invece nell’area dell’esenzione, in considerazione dell’ampiezza della formula impiegata dal legislatore, che non contiene limitazioni ai soli servizi attinenti all’attività produttiva in senso stretto dell’impresa, e della necessarietà dell’attività del sindaco, obbligatoria per legge, ai fini della normale continuazione dell’attività d’impresa; conf. App. Torino, 18 agosto 2017 (Liri Industriale s.p.a. in a.s. c. F. e altri), il quale ha ribadito che la lettera della legge non pare imporre limitazioni, e quindi non consente di escludere i pagamenti eseguiti per l’attività svolta dai sindaci dall’ambito applicativo dell’esimente, che genericamente fa riferimento ai servizi resi nell’esercizio dell’attività di impresa (ed i sindaci certamente svolgono un servizio di tal genere), e che l’esclusione del compenso dei sindaci dall’esimenti dell’assenza di una chiara e specifica previsione normativa sarebbe arbitraria ed eccessivamente penalizzante, trattandosi di servizio obbligatorio per legge (dunque certamente necessario alla continuazione dell’impresa), sicchè risulterebbe anche di dubbia costituzionalità un’interpretazione che negasse al sindaco (a differenza di altri prestatori di servizi) l’esenzione dalla revocatoria, atteso che così opinando il professionista verrebbe sostanzialmente a trovarsi nelle condizioni di dover lavorare a titolo gratuito anche nel caso in cui lo stato di dissesto emerga solamente nel corso dell’espletamento del mandato.
[57] 
Trib. Castrovillari, 27 settembre 2021, cit., che valorizza il rapporto di immedesimazione organica tra persona fisica ed ente ed il rapporto di tipo societario tra gli stessi intercorrente, tali da impedire la riconducibilità dell’attività gestoria svolta dall’amministratore al concetto di “servizi”. Per la revocabilità del pagamento del compenso dell’amministratore v. anche Trib. Novara, 6 novembre 2013 (FDG s.p.a. in a.s. c. Randi s.p.a., inedita), per il quale esulano dall’ambito applicativo dell’esenzione de qua i pagamenti effettuati in favore di fornitori di beni e servizi “interni all’impresa”, quali appunto gli amministratori della società; Trib. Firenze, 15 dicembre 2011 (inedita), e Trib. Frosinone, 30 maggio 2022, cit., secondo i quali l’applicazione dell’esenzione presuppone che il destinatario del pagamento “sia estraneo all’organo gestorio in senso stretto”, dovendo in altri termini rientrare fra le persone per le quali non trovi applicazione la disciplina dell’art. 1395 c.c. o in via diretta gli artt. 2391 o 2475 ter c.c.
[58] 
Così App. Torino, 9 ottobre 2015 (Ages s.p.a. in a.s. c. CHG Meridian Italia s.p.a., inedita). Ragionando in termini più generali, già in passato si era precisato che “con l’accezione di uso comune, se pur non corretta tecnicamente, di ‘fornitura’ di beni e servizi, tanto il legislatore quanto la giurisprudenza sono soliti comprendere tanto le vendite pure e semplici (o a consegne differite o ripartite) quanto i contratti di somministrazione e quelli di appalto (di opere e di servizi)”: così Cass., 27 giugno 2005, n. 13752.
[59] 
Trib. Savona, 24 ottobre 2016, cit.
[60] 
Trib. Savona, 24 ottobre 2016, cit.; conf. Trib. Trento, 7 ottobre 2016 (Fall. Arnoldi Costruzioni c. Kendra s.r.l., inedita); App. Milano, 15 dicembre 2020 (Fall. Messaggerie Trasporti Nazionali s.p.a. c. Re-Energy Sun s.r.l., inedita). In dottrina v. G. Cavalli, Sub art. 67, cit., 949, C. Cavallini, Sub art. 67, cit., 193, e F. Iozzo, Pagamento nei termini d’uso, cit., 126.
[61] 
App. Torino, 9 ottobre 2015, cit.; Trib. Trani, 23 giugno 2016, per il quale si può trarre una conferma circa l’operatività della esenzione in esame anche al caso dei pagamenti eseguiti a titolo di canoni di locazione di beni mobili strumentali per l’esercizio dell’impresa, anche in base a quanto disposto dall’art. 72 quater, comma 2, L. fall., secondo cui, in caso di scioglimento del contratto di locazione finanziaria pendente alla data di dichiarazione di fallimento, “per le somme già riscosse si applica l’art. 67, terzo comma, lettera a)”. Conf. in dottrina Cavalli, Sub art. 67, cit., 949, il quale osserva che la natura più accentuatamente finanziaria del leasing di beni strumentali potrebbe peraltro sollevare “qualche legittima perplessità” in merito all’operatività dell’esenzione da revocatoria del pagamento dei canoni.
[62] 
Così Trib. Napoli, 12 gennaio 2015 (Fall. Fratelli Provenzale s.r.l. c. Icom s.p.a., inedita), per il quale il “prestigio legato al ramo d’azienda preso in fitto è certamente da qualificarsi, alla stregua dello stesso contratto concluso tra le parti, come un bene immateriale o come servizio offerto dalla società convenuta alla società poi fallita”.
[63] 
L’art. 8 del D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, che ha dato attuazione a tale direttiva, definisce infatti il “servizio” come “qualsiasi prestazione anche a carattere intellettuale svolta in forma imprenditoriale o professionale, fornita senza vincolo di subordinazione normalmente dietro retribuzione”.
[64] 
Così Cass., 17 aprile 2001, n. 5609; Cons. Stato, 4 ottobre 1994, n. 1102, per il quale l'appalto di opera è quello con cui l'appaltatore si obbliga a produrre un'attività di elaborazione e di trasformazione della materia, mentre l'appalto di servizi è quello nel quale l'obbligazione dell'appaltatore consiste nel produrre una diversa utilità.
[65] 
App. Roma, 4 maggio 2018, in Elexia.it; Cass., 11 maggio 2023, n. 12837.
[66] 
Trib. Savona, 24 ottobre 2016, cit., il quale osserva che “anche il periodico e ripetuto pagamento del debito dell’imprenditore verso un soggetto determinato configura un’obbligazione di facere sufficientemente determinata, tale da essere qualificata alla stregua di un ‘servizio’”, e conclude che “in tale contesto costituisce certamente un ‘servizio’ l’attività dello spedizioniere doganale che, nell’espletamento del rapporto di ‘rappresentanza doganale indiretta’ resa pur sempre su incarico del cliente, adempia con regolarità l’obbligazione tributaria gravante sul primo assumendosene la responsabilità solidale in prima persona”. 
[67] 
Trib. Padova, 2 gennaio 2015 (Fall. TPA Trituratori s.p.a. c. Trivenet s.p.a., inedita), secondo cui la fornitura dei servizi in questione “è essenziale per lo svolgimento di un’attività imprenditoriale, a prescindere dalla natura dei macchinari prodotti, perché il blocco delle linee renderebbe estremamente difficoltosi i normali contatti con fornitori e clienti”.
[68] 
Cfr. App. Torino, 9 agosto 2022 (Autonoleggi Muscato Remo s.a.s. c. Fall. Motorglass Group s.r.l., inedita), la quale ha affermato che i pagamenti ottenuti da una società in forza di un contratto di affiliazione commerciale, pur non potendo beneficiare dell’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. f), L. fall., potrebbero risultare coperti dall’esenzione di cui alla lettera a), in quanto “direttamente intesa a favorire la conservazione dell'impresa nell'ottica dell'uscita dalla crisi e, di conseguenza, la stessa fa riferimento ai pagamenti delle forniture, quali negozi immediatamente espressivi dell'esercizio dell'attività di impresa, sempre che siano stati effettuati secondo i termini d'uso”.
[69] 
Cfr. App. Firenze, 13 aprile 2023 (Fall. Terna soc. coop. c. Cassa Edile Lucchese, inedita), la quale ha affermato che i pagamenti eseguiti in favore della Cassa Edile rientrano “concettualmente fra i corrispettivi per prestazioni di lavoro, trattandosi appunto di accantonamenti e contributi spettanti al lavoratore, che trovano causa nella prestazione eseguita a favore del fallito e di cui rappresentano un corrispettivo, indicato come tale in busta paga, non diversamente dallo stipendio netto che l'impresa versa direttamente al dipendente”, e sono riconducibili “altresì nella categoria dei pagamenti che il datore di lavoro esegue nei termini d'uso, costituendo adempimenti addirittura più basilari di quelli che l'impresa assolve nei confronti di soggetti esterni nel proseguimento della propria attività caratteristica, ciò che evidentemente non potrebbe fare senza avvalersi dell’opera interna dei dipendenti”.
[70] 
G. Falcone, La “esenzione” da revocatoria dei pagamenti effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa, in La riforma della legge fallimentare, a cura di Bonfatti e Falcone, Milano, 2005, 26.
[71] 
Cfr. S. Bonfatti, Gli effetti del fallimento, cit., 262; S. Ambrosini, La revocatoria fallimentare nell’evoluzione della disciplina, in Le nuove procedure concorsuali, a cura di Ambrosini, Bologna, 2008, 108.
[72] 
Così App. Milano, 24 marzo 2021, cit.; in termini Trib. Crotone, 16 luglio 2022 (Fall. Olidrag s.r.l. c. BCC del Crotonese soc. coop., inedita). Per l’assoggettabilità a revocatoria dei pagamenti di debiti contratti a titolo di finanziamento v. anche, sia pure senza particolare motivazione, Trib. Ferrara, 14 maggio 2012, in Dir. fall., 2013, II, 645, per il quale – riprendendo letteralmente i rilievi di G. Rebecca, G. Sperotti, Le operazioni bancarie, cit., 717 - tali pagamenti sono pagamenti di debiti, e non di debiti per acquisto di beni o servizi; Trib. Novara, 6 novembre 2013 (FDG s.p.a. in a.s. c. Randi s.p.a., inedita); Trib. Bologna, 15 aprile 2021 (Fall. Corradi s.p.a. c. Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., inedita): “il pagamento di un mutuo contratto con la banca non può rientrare tout court nell’esenzione della revocatoria di cui all’art. 67, comma 3, lett. a), dovendosi intendere ricomprese nell’ambito di applicazione della norma solo le prestazioni strettamente necessarie alla gestione ordinaria dell’impresa e quindi al pagamento di forniture di beni o servizi afferenti l’attività di impresa, essendone invece esclusi i debiti contratti a titolo di finanziamento, vista peraltro anche l’esenzione di cui all’art. 67, comma 4, che espressamente esclude dall’ambito di applicazione dell’articolo le operazioni di credito fondiario”; Trib. Roma, 15 novembre 2017 (Tirrenia di Navigazione s.p.a. in a.s. c. Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. e altri, inedita), per il quale il rimborso di un finanziamento, “apprezzato sotto tale prospettiva causale non può ricondursi ad alcuna delle situazioni prese tipicamente a riferimento dall’indicato disposto, né può ritenersi adempimento nei termini d’uso che per non essere soggetto a revocatoria presuppone che intervenga a corrispettivo di beni o servizi, con esclusione, quindi, di mutui”; Trib. Bergamo, 10 luglio 2017, in ilcaso.it, per il quale i pagamenti delle rate di un mutuo “nulla hanno a che vedere con prestazioni di beni o servizi”; Trib. Ancona, 18 luglio 2019 (Fall. Ciacci Pietro & C. s.n.c. c. Banca di Credito Coop. di Ostra e Morro d’Alba soc. coop., inedita): “l’art. 67 comma III lett. a), introducendo eccezioni alla regola generale, è norma di stretta interpretazione, sicché non possono essere ricompresi tra i pagamenti di beni e di servizi effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa quelli aventi ad oggetto il pagamento delle rate di finanziamento”; Trib. Busto Arsizio, 8 maggio 2023 (Fall. Parah s.r.l. in liquid. c. Junior s.r.l., inedita), con riferimento però al pagamento a titolo di rimborso di un finanziamento erogato da un fornitore alla società poi fallita. Conf. in dottrina G. Cavalli, Sub art. 67, cit., 949; A. Nigro, Sub art. 67, cit., 930; C. Cavallini, Sub art. 67, cit., 192; R. Rosapepe, L’attivo, cit., 126; F. Rasile, C. Passerini, Inapplicabilità dell'esenzione di cui art. 67, c. 3, lett. a) ai pagamenti dei ratei del mutuo e non revocabilità delle rimesse su un conto corrente attivo, in Ilfallimentarista.it, 2021. In senso contrario S. Bonfatti, Gli effetti del fallimento, cit., 263, per il quale la ratio dell’art. 72 quater L. fall. è piuttosto quella di escludere la revocabilità dei pagamenti dei canoni di leasing finanziario sempre e comunque, anche se non effettuati nei “termini d’uso” (ma con ritardo) o nell’esercizio dell’attività d’impresa (ma nel corso della liquidazione dell’impresa utilizzatrice).
[73] 
A. Luminoso, I contratti tipici ed atipici, in Trattato di dir. privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano, 1995, 718.
[74] 
Cfr. Cass., 21 febbraio 1995, n. 1861, e P.M. Vecchi, Il contratto, in Il mutuo e le altre operazioni di finanziamento, dir. da Cuffaro, Bologna, 2005, 26.
[75] 
Così S. Bonfatti, Gli effetti del fallimento, cit., 261.
[76] 
In questo senso, confermando sul punto la sentenza di primo grado, App. Milano, 13 marzo 2020, in One Legale. In dottrina v. C. Cavallini, Sub art. 67, cit., 193, e F. Corsi, Le nuove esenzioni, cit., 620, per la quale l’esenzione riguarda il solo ambito di sviluppo fisiologico dei rapporti bancari, con particolare riguardo al pagamento dei servizi genericamente bancari (es. commissioni per il pagamento di utenze o servizi di pagamento o di incasso), ovvero finanziari o creditizi (es. pagamento degli interessi passivi per l’utilizzo delle aperture di credito) ovvero derivanti dalla concessione di finanziamenti (es. pagamento delle rate e degli interessi fino all’estinzione dei finanziamenti nei termini contrattualmente previsti, o il pagamento dei canoni di un contratto di leasing); conf. G. Rebecca, G. Sperotti, Le operazioni bancarie, cit., 717, e S. Ambrosini, La revocatoria fallimentare, cit., 108, con riferimento al pagamento di interessi passivi e commissioni bancarie.
[77] 
Conf., in precedenza, Trib. Roma, 16 giugno 2022 (Villa Tiberia s.r.l. in a.s. c. V., inedita), il quale ha affermato che il pagamento del compenso dell’avvocato non possa beneficiare dell’esenzione in discorso, perché non si tratterebbe di una “fornitura” che “innerva la produzione di beni e servizi” del solvens.
[78] 
Cfr. Trib. Bari, 28 agosto 2015 (Fall. Olearia Pugliese s.p.a. c. C. e altro, inedita), a giudizio del quale il riferimento della norma ai pagamenti di servizi “deve essere inteso in senso ampio, comprendendo tutti i corrispettivi dipendenti da un contratto d'opera ed in genere da obbligazioni di fare. Stante l’oggetto della prestazione - individuata nel contratto scritto come attività di consulenza di natura fiscale resa in favore della società - si rientra nell’ambito di prestazioni commissionate nell’esercizio della impresa dovendosi ricondurre alla nozione tutte le prestazioni funzionali alla organizzazione della stessa”; analogamente Trib. Napoli, 30 novembre 2016 (Fall. D.E.M. Holding s.p.a. c. P. e altri, inedita), per il quale “ai fini dell’esercizio dell’attività d’impresa sono necessari non solo la fornitura di beni e servizi funzionali all’attività più propriamente industriale, ma anche servizi di consulenza professionale di varia natura, legale, economica, fiscale e così via”, ed “anche l’esigenza di stabilità dei pagamenti di tali prestazioni può del pari soddisfare la ratio ispiratrice della norma in commento, () individuata nell’esigenza di preservare la continuità dell’attività aziendale, per garantire la conservazione dell’impresa in crisi, in vista di un suo recupero”, non potendo “certo negarsi che tale esigenza si configuri ad es. nell’ipotesi in cui l’imprenditore debba resistere ad un’azione proposta avverso di lui, o impugnare un atto che possa incidere negativamente sulla prosecuzione dell’attività d’impresa o, come nella specie, resistere ad un ricorso di fallimento, che per sua natura comporta in genere la cessazione stessa dell’esercizio dell’attività d’impresa”.
[79] 
Trib. Novara, 6 novembre 2013, cit.; v. anche Trib. Terni, 29 maggio 2017 (Fall. Brai Cost s.p.a. c. API s.p.a., inedita); Trib. Arezzo, 19 settembre 2017 (Eutelia s.p.a. in a.s. c. Immobiliare Corcolle s.r.l.): “nessuna norma prevede, invece, per l’operatività dell’esenzione, che i beni e i servizi resi siano di carattere ‘essenziale’”. Nella giurisprudenza di legittimità cfr. di recente Cass., 11 maggio 2023, n. 12837, per la quale la lettura restrittiva, per cui rientrerebbero nell’ambito applicativo dell’esenzione solo i servizi essenziali alla prosecuzione dell'attività d'impresa, non trova riscontri nella norma, e nemmeno nella “sua finalità, intesa ad ‘assicurare la soddisfazione di crediti derivanti da forniture di beni e servizi che s'inseriscano nel ciclo produttivo dell'impresa, in modo tale da evitare che il timore della revocatoria possa comportare l'interruzione dell'attività e la conseguente disgregazione dell'azienda’”. Conf. in dottrina C. Cavallini, Sub art. 67, cit., 194, e B. Meoli, Vecchie e nuove esenzioni, cit., 225.
[80] 
In questi termini Trib. Milano, 17 dicembre 2016 (Pansac Int. s.r.l. in a.s. c. Hera Comm s.r.l., inedita), il quale conclude che “è, quindi, irrilevante di per sé il fatto che l’impresa abbia avuto un ruolo ‘strategico’ per il mantenimento della continuità, perché ciò che rileva è la modalità di esecuzione della prestazione”. V. anche App. Brescia, 8 ottobre 2018 (OEM s.r.l. c. Fall. Cacciamali s.p.a., inedita), la quale ha parimenti reputato “del tutto irrilevante, ai fini dell’operatività della esenzione, (…) il fatto (…) che i pagamenti abbiano riguardato beni e servizi necessari alla continuazione dell’impresa, atteso che ciò che conta sono invece le modalità e i termini di pagamenti di tali beni e servizi, intervenuti nel periodo ‘sospetto’, che devono essere conformi alla prassi relativa ai pagamenti in precedenza adottata tra le parti”.

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