Previsioni economiche e consuntivi nel quadro della riforma delle procedure concorsuali*
Silvia Giacomelli, Capo della Divisione Economia e Diritto, Dipartimento di Economia e Statistica, Banca d’Italia
7 Febbraio 2022
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Sommario:

Fonte: European Commission, Autumn 2021 Economic forecast
Per l’anno corrente è prevista per l’Italia una crescita del 6%, per il 2022 una crescita superiore al 4%. Questi numeri sono in linea con le previsioni formulate nello stesso periodo dalla Banca d’Italia e dal governo. Secondo queste previsioni il livello di attività economica tornerebbe ai valori pre-crisi a metà del prossimo anno.
Figura 2 - Fallimenti dichiarati per anno

Il grafico mostra innanzitutto che l’andamento dei fallimenti segue il ciclo economico: i picchi nell’ultimo decennio si sono avuti negli anni immediatamente successivi alla crisi del debito sovrano; con la ripresa dell’economia il numero di fallimenti è calato e prima della pandemia si era stabilizzato intorno a un numero pari a circa 11.000. Nel 2020 si è invece registrato un numero di fallimenti di circa il 30 per cento inferiore a quello del periodo pre-pandemico, nonostante il fortissimo calo della dell’attività economica.
Figura 3 - Fallimenti: variazioni trimestrali rispetto al 2019

Nel grafico emerge con evidenza il forte calo del numero di fallimenti verificatosi durante il primo lockdown, anche per effetto dell’introduzione di una temporanea “moratoria sui fallimenti”. Si è verificato poi un rimbalzo nei mesi successivi, ma il tasso di crescita è rimasto sempre negativo, quindi il numero dei fallimenti è sempre rimasto su livelli inferiori a quelli precedenti la crisi pandemica. Neppure nel 2021 il numero di fallimenti si è riportato ai livelli del 2019, anzi i dati relativi al secondo e al terzo trimestre sembrano indicare un nuovo calo.



Il grafico indica che la composizione settoriale delle imprese fallite non presenta differenze rilevanti nel periodo precedente e in quello successivo allo scoppio della pandemia, nonostante la crisi pandemica abbia colpito i settori produttivi in misura molto diversa. Nel secondo grafico (8) è riportata la correlazione tra l’intensità dello shock subito dai vari settori, misurato dalla variazione del tasso di crescita dei ricavi, e il take-up delle misure di sostegno da parte delle imprese.
Figura 8 - Intensità dello shock da Covid-19 e take-up delle moratorie

Il grafico in particolare riguarda le moratorie sui prestiti, ma si ottengono risultati simili da un punto di vista qualitativo se si considera l’accesso ai prestiti con garanzie pubbliche o ai contributi a fondo perduto. Si vede chiaramente che l’utilizzo di queste misure è stato più intenso nei settori maggiormente colpiti. Nel complesso emerge dunque l’effetto positivo delle misure di sostegno nell’impedire l’insolvenza delle imprese, in particolare nei settori più colpiti dalla crisi.

Fonte: Banca d’Italia, Rapporto sulla Stabilità Finanziaria, 2, 2021; elaborazioni su dati Centrale dei rischi.
Anche con riferimento a questa variabile è evidente come l’andamento sia molto correlato con il ciclo economico. Emergono infatti chiaramente gli incrementi che ci sono stati nei due precedenti episodi di crisi: la crisi finanziaria globale e quella del debito sovrano hanno determinato un forte aumento dei tassi di ingresso dei crediti tra i deteriorati. Vediamo invece che nell’ultimo anno, nonostante la forte riduzione dell’attività economica, questo flusso si è attestato su livelli storicamente bassi (nell’ultima rilevazione è risultato pari all’uno per cento).
Il quadro rappresentato pur nel complesso positivo presenta però dei rischi di deterioramento.
Un primo insieme di rischi è legato alle evidenze appena illustrate sugli andamenti delle procedure concorsuali e, più in generale delle uscite delle imprese. Se consideriamo il biennio 2020-21 possiamo calcolare che si è determinato un gap di fallimenti pari a circa 5.000 casi (calcolato considerando la differenza tra i fallimenti nel 2019 e il numero di fallimenti in ciascuno dei due anni successivi). Se consideriamo anche il calo che si è avuto nelle altre procedure concorsuali, la gran parte delle quali è costituita da concordati liquidatori, il gap complessivo ammonta a circa 6.500 procedure concorsuali. Perché la presenza di questo gap desta preoccupazione? Per due ordini di motivi.
Un primo motivo è il gap indica che sono ancora sul mercato un certo numero di imprese che nel mondo pre-pandemico - in assenza dello shock, ma anche del sostegno pubblico - sarebbero presumibilmente uscite. Queste uscite, in particolare di imprese insolventi, potrebbero verificarsi nei prossimi mesi, e sommandosi a quelle correnti determinare un effetto di congestione nei tribunali nella loro gestione.
Un ulteriore fattore di preoccupazione è legato a considerazioni di medio-lungo periodo. Nell’ultimo biennio abbiamo assistito a una sorta di blocco del processo di uscita delle imprese dal mercato. L’uscita delle imprese meno efficienti e produttive è un evento assolutamente fisiologico da un punto di vista economico (infatti ogni anno tantissime imprese escono dal mercato). Questo processo consente la riallocazione delle risorse nel sistema produttivo a vantaggio delle imprese “migliori” e questo nel medio-lungo periodo è un fattore importante nel determinare la crescita della produttività del sistema. La permanenza di misure che incidono sui meccanismi di uscita oltre quanto necessario a ridurre l’impatto negativo della crisi pandemica nel breve periodo potrebbe dunque generare degli effetti non desiderati nel medio-lungo periodo.
Altri fattori di rischio sono legati all’aumento della leva finanziaria. Sappiamo che le misure a sostegno della liquidità, in particolare i prestiti garantiti, hanno consentito di superare le tensioni sulla fronte della liquidità, però, inevitabilmente, hanno determinato anche un aumento della leva finanziaria delle imprese. Abbiamo poi i fattori di rischio legati ai possibili shock negativi alla redditività delle imprese; in questa fase tali rischi sono collegati alla ripresa della pandemia, quindi a possibili riduzioni nella mobilità delle persone (imposte o volontarie) e a chiusure delle attività economiche.
Infine, un ulteriore fattore di attenzione è legato alla definizione delle modalità di “ritiro” delle misure di sostegno. Poiché, come abbiamo visto, queste misure hanno attutito gli effetti negativi della crisi, per evitare che i risultati raggiunti siano annullati, è importante che il loro ritiro avvenga in maniera graduale in coerenza con l’evoluzione della complessiva situazione economica. L’eliminazione delle misure di sostegno è un processo già avviato ed è già possibile valutarne i primi effetti. I dati pubblicati nel Rapporto sulla stabilità finanziaria appena pubblicato (n. 2/2021) indicano che circa i 2/3 delle imprese che sono uscite dalle moratorie stanno pagando regolarmente e che circa 1/4 delle imprese con moratorie ha chiesto la proroga. Un segnale invece meno positivo emerge considerando che, tra le imprese beneficiarie di misure di sostegno (moratorie, prestiti garantiti e contributi a fondo perduto) quelle che hanno ancora moratorie in essere sono le più rischiose (in questo caso la misura considerata è la probabilità di default ricavabile dai modelli di valutazioni del credito delle banche)[1].
Qual era la situazione nell’utilizzo degli strumenti di ristrutturazione in Italia prima della pandemia? Nella figura 10 sono riportate alcune evidenze tratte dalle analisi che sono state condotte nell’ambito di un progetto di ricerca europeo coordinato, tra gli altri, da Lorenzo Stanghellini e da Christoph Paulus, al quale ha partecipato anche la Banca d’Italia. In particolare, nel grafico sono riportate le dimensioni di un campione di imprese che hanno utilizzato gli accordi ristrutturazione e i concordati preventivi in continuità.
Figura 10 - Consistenza dell’attivo delle imprese prima dell’avvio della procedura

Fonte: A. Danovi, J. Donati, I. Forestieri, T. Orlando e A. Zorzi, “Procedure concorsuali in continuità aziendale: accordi di ristrutturazione e concordati preventivi in Italia”, Banca d’Italia, Quaderni di Economia e finanza, N. 574, luglio 2020.
Da questo grafico emerge un risultato molto importante: questi strumenti, in particolare gli accordi di ristrutturazione, sono tipicamente utilizzati da imprese medio-grandi. Questo risultato sembra indicare che i costi di accesso a queste procedure, sia per i debitori, sia per i creditori, sono elevati. Per favorire le ristrutturazioni appare dunque importante agire su questo fattore.
Un ulteriore elemento di grande interesse che è emerso da queste analisi è che tipicamente si arriva molto tardi a gestire la crisi con questi strumenti (ad esempio, per gli accordi di ristrutturazione abbiamo visto che l’avvio della procedura avveniva dopo circa 15 mesi da quando la relativa esposizione era già stata classificata come credito deteriorato). Infine, è emerso che le ristrutturazioni raramente sono risolutive: tipicamente esse prevedono proroghe e allungamenti delle scadenze dei prestiti, raramente riduzioni del debito, e ancor più raramente sono accompagnate da interventi sul piano industriale.
Il nuovo strumento della composizione negoziata agisce su alcuni dei fattori di ostacolo alle ristrutturazioni sopra indicati (ad esempio, può favorire la tempestiva emersione della crisi e ridurre i costi di accesso). Un ulteriore miglioramento del quadro giuridico potrà derivare dal recepimento in corso della Direttiva 2019/1023.
Un fattore di cui bisognerà tenere conto per valutare le prospettive future con riguardo alla gestione delle crisi attraverso operazioni di ristrutturazione del debito è che in questo settore stanno cambiando, dal lato dei creditori, gli attori in gioco.
Nella figura 11 sono riportate le evidenze dell’indagine annuale sulla cessione dei crediti della Banca d’Italia, dalla quale emerge un dato molto interessante: negli ultimi due anni di crisi, sebbene ci sia stato un calo della cessione dei crediti, sta crescendo la quota di cessioni di crediti deteriorati diversi dalle sofferenze, quindi sostanzialmente di crediti unlikely to pay (UTP).
Figura 11 - Cessione di crediti deteriorati

Questo ci indica che sempre di più nel futuro sul mercato agiranno nuovi player, diversi dalle banche, con i quali i debitori dovranno confrontarsi. L’auspicio è che entrino operatori in grado di apportare competenze specifiche e nuova finanza, favorendo in tal modo le ristrutturazioni.
Con riguardo alle ristrutturazioni, dunque, i cambiamenti in corso con riguardo sia al quadro giuridico sia al mercato consentono di guardare con un certo grado di ottimismo al futuro.
La seconda cosa che ci chiede l’Europa è la riduzione dei tempi di recupero dei crediti attraverso le procedure giudiziali e su questo fronte la situazione è sicuramente più critica.
Nella figura 12 sono riportati i dati di un’indagine dell’autorità bancaria europea (EBA) condotta prima della pandemia, su un campione di banche europee.

Fonte: European Banking Authority, «Report on the Benchmarking of National Loan Enforcement Frameworks», 2020.
Il paese che è all’estrema destra della distribuzione, quello in cui le banche hanno riportato i tempi più lunghi per il recupero dei crediti per via giudiziale è l’Italia. È un ambito in cui è assolutamente necessario intervenire, non solo perché ce lo chiede l’Europa, ma perché è essenziale per il funzionamento del mercato del credito e quindi per il sistema economico nel complesso.
Vorrei concludere con una riflessione sull’opportunità rappresentata dal PNRR (abbiamo visto che cosa ci chiede l’Europa, consideriamo ora che cosa ci dà l’Europa). Come noto, nei prossimi anni l’Italia avrà a disposizione una ingente quantità di risorse che possono essere utilizzate per la realizzazione di investimenti per modernizzare e rendere più competitivo il nostro sistema produttivo. Con le medesime finalità, nell’ambito del PNRR ci viene richiesto anche di realizzare riforme in molti ambiti del contesto istituzionale, tra i quali, la riforma della pubblica amministrazione, quella della giustizia e l’introduzione di misure a favore della concorrenza (tali riforme sono definite nel PNRR orizzontali e abilitanti).
Con riguardo alle misure di riforma della giustizia, nel PNRR presentato dal governo italiano sono previsti interventi di carattere normativo, inclusi quelli in materia di insolvenza, e misure di carattere organizzativo (tra cui il completamento della digitalizzazione del sistema e il rafforzamento delle strutture dell’ufficio del processo). Il PNRR prevede l’introduzione di milestones con riguardo all’attuazione delle riforme e di obiettivi di performance. In particolare, per quanto riguarda la giustizia, gli obiettivi di performance sono relativi a due componenti: 1) la riduzione dell’arretrato, in particolare di quello ultra-triennale; 2) la riduzione della durata dei procedimenti di contenzioso civile e commerciale.
Le aspettative che le misure del PNRR possano condurre a miglioramenti sostanziali nel funzionamento della giustizia civile in Italia sono molto elevate. In questo contesto non è però scontato che questi miglioramenti possano riguardare in egual misure tutte le procedure e le attività condotte nei tribunali e in particolare le procedure di recupero dei crediti (esecuzioni e fallimenti) per le quali non sono previsti degli obiettivi specifici di riduzione delle durate. Ciò può trovare giustificazione per il fatto che tali procedure che non sono sotto il completo controllo del sistema giudiziario, vi sono anche altri attori e fattori che giocano un ruolo fondamentale nel determinarne l’efficacia: i professionisti e le condizioni del mercato. È tuttavia importante assicurare che, nonostante la mancata previsione di target, dalle riforme e dalle misure organizzative derivino significativi miglioramenti anche con riguardo alla gestione di tali procedure.
Note: