Per quanto riguarda l’IVA, il primo comma dell’art. 8 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, prevede un obbligo generico in capo a tutti i soggetti d’imposta di presentare annualmente la dichiarazione riguardante le operazioni attive e passive rilevanti ai fini IVA.
La norma si applica dunque anche alle imprese fallite e, conseguentemente, il curatore dovrà provvedere, per ciascun anno di durata della procedura, a presentare la dichiarazione annuale IVA relativa alle operazioni attive e passive relative all’attività di liquidazione del patrimonio fallimentare
Il quarto comma del medesimo articolo, precisa tuttavia che, per quanto riguarda l’anno in cui è intervenuto il fallimento, il curatore deve ricomprendere nella dichiarazione annuale, non solo le operazioni rilevanti ai fini IVA da lui effettuate dopo la sentenza dichiarativa di fallimento, ma anche quelle effettuate dal fallito nel segmento temporale ricompreso tra l’inizio dell’anno e l’apertura della procedura stessa[4] [5].
Il curatore, inoltre, è tenuto a presentare anche la dichiarazione relativa all’anno precedente a quello in cui è intervenuta la sentenza di fallimento sempre che, alla data di apertura della procedura, i termini di presentazione non siano ancora scaduti e che non vi abbia già provveduto il fallito.
In tema di IVA, dunque, la normativa tributaria prevede esplicitamente che il curatore debba farsi carico non solo degli obblighi dichiarativi relativi alle operazioni poste in essere dalla curatela, ma anche di quelli relativi alle operazioni effettuate dalla società in bonis, con riferimento sia alla frazione d’anno antecedente la dichiarazione di fallimento, sia all’anno precedente (in quest’ultimo caso, a condizione, però, che i termini non siano già scaduti e che non vi abbia già provveduto il fallito).
Per quanto riguarda le imposte sui redditi, viceversa, il primo comma dell’art. 1 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dispone, in generale, che ogni soggetto passivo dichiari annualmente i redditi posseduti anche se non ne consegue alcun debito d’imposta
La norma generale, tuttavia, trova un’eccezione per quanto riguarda le imprese sottoposte a procedura concorsuale.
L’art. 5, comma 4, del citato D.P.R. n. 322 del 1998, prevede infatti che il curatore, durante la procedura, in deroga all’obbligo di presentazione annuale, debba presentare solo due dichiarazioni: la c.d. “dichiarazione iniziale”, relativa al periodo che va dall’inizio dell’esercizio alla data dell’apertura della procedura, e la c.d. “dichiarazione finale” relativa a tutto il periodo di durata della procedura (c.d. “maxi-periodo”).
La ratio che sta alla base di queste due dichiarazioni riguarda la differente modalità di determinazione della base imponibile per i due periodi.
Mentre infatti per il periodo prefallimentare la base imponibile viene calcolata secondo gli ordinari criteri di determinazione del reddito d’impresa (sicché, di fatto, la dichiarazione iniziale differisce da quella degli esercizi precedenti solamente per la minor durata del periodo preso a riferimento), per il periodo di durata della procedura il reddito imponibile viene determinato come differenza tra il residuo attivo al termine della procedura ed il netto patrimoniale esistente all’apertura del fallimento (art. 183, co. 3, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, c.d. TUIR).
A parte tali adempimenti, per quanto riguarda le imposte sui redditi non esiste alcuna norma che preveda esplicitamente l’obbligo in capo al curatore di presentare la dichiarazione dell’esercizio chiuso anteriormente a quello in corso alla data di apertura del fallimento.