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Saggio

L’istituto dell’Esdebitazione dalla Insolvenzordnung al nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza*

Simonetta Ronco, Professore aggregato di diritto commerciale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Genova

21 Luglio 2025

*Saggio sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
La procedura di esdebitazione costituisce uno degli strumenti più interessanti approntati dal legislatore italiano a favore dell'imprenditore, a partire dalla riforma del 2005-2007. Si tratta di un istituto già conosciuto all'estero, anche se gli ordinamenti che hanno previsto figure affini hanno adottato la relativa disciplina in maniera diversa, a seconda dell'interesse ritenuto prevalente (creditor oriented o debitor oriented). Numerose sono, quindi, le varianti rinvenibili: sono state adottate soluzioni differenti riguardo al momento del verificarsi dell'effetto liberatorio (immediatamente dopo la chiusura del procedimento liquidatorio o dopo un certo periodo di tempo); riguardo al potere dei creditori di proporre opposizioni; riguardo al ruolo ricoperto dal giudice (marginale e lontano dalle scelte operative oppure più incisivo) o, ancora, riguardo alla valutazione del comportamento del debitore ai fini della produzione degli effetti premiali oppure alle categorie di debiti esclusi dalla liberazione. Il presente articolo è un tentativo di fornire un quadro sufficientemente completo e in parte critico dell’evoluzione dell’istituto dell’esdebitazione dalla madre patria (la Germania) alla patria di adozione.  
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1 . Premessa
Dal punto di vista dell’evoluzione storica dell’istituto dell’esdebitazione, la legge tedesca sull'insolvenza è stata una delle prime a introdurre sistemi di Fresh start a favore del fallito: in quell'ordinamento, al termine della procedura di insolvenza, ossia con il concludersi del procedimento liquidatorio, l'imprenditore persona fisica può presentare richiesta di liberazione dai debiti residui e tale beneficio gli viene concesso dopo non meno di sei anni dalla conclusione della procedura[1]. Durante questo lungo lasso di tempo egli viene sottoposto a un costante monitoraggio da parte degli organi giudiziari per verificare la correttezza del suo comportamento e la fruttuosità dell'attività iniziata o ripresa. 
Altrettanto rilevante è la procedura di esdebitazione prevista, in diverse varianti, dalla legislazione statunitense. La procedura più simile al modello italiano è quella disciplinata dal Bankrupcty Code statunitense, che disciplina la liquidazione del patrimonio del debitore persona fisica, al termine della quale la liberazione dai debiti residui opera automaticamente, sotto forma di ordine diretto ai creditori di astenersi da qualsiasi iniziativa per il recupero dei crediti[2]. 
In Italia l'esdebitazione si è posta fin dall'entrata in vigore della riforma organica del 2005-2007 al centro di un acceso dibattito che si è concentrato soprattutto sull'interpretazione da assegnare alle disposizioni relative alle condizioni che devono sussistere perché il beneficio possa essere concesso. E, sebbene dopo incertezze e dibattiti si fosse giunti a una soluzione in parte accettabile, con l’ulteriore step del Codice della Crisi, alcuni di quei dubbi si sono nuovamente proposti. Il nuovo Codice della Crisi e dell’insolvenza prevede infatti ancora l’istituto della esdebitazione. Tale istituto consente attualmente al debitore (soprasoglia nella liquidazione giudiziale, sottosoglia nella liquidazione controllata) di accedere a uno strumento che gli consenta di ottenere l’inesigibilità dei debiti residui da parte dei creditori, con i limiti e le condizioni che il CCII prevede. Si tratta quindi di una possibilità che viene offerta al debitore di “non azionabilità” del credito nei confronti del debitore principale nelle forme ordinarie, dopo la chiusura di una procedura concorsuale di liquidazione dei beni, “non azionabilità” limitata sia sotto il profilo soggettivo sia sotto il profilo oggettivo.
2 . L’istituto dell’esdebitazione nell’ordinamento tedesco
L’istituto della esdebitazione (che in seguito alla disciplina dettata dalla Direttiva Insolvency si è poi diffuso in molti ordinamenti degli Stati membri), era stato dunque mutuato dal legislatore italiano dalla legge tedesca sulla crisi di impresa (InsolvenzOrdnung), emanata nel 1994, entrata in vigore nel 1999 e successivamente modificata. Tale disciplina fu sottoposta poi ad un processo di riesame e di critica che ha portato alla evidenziazione di alcune priorità di politica legislativa. In particolare, il Ministro della Giustizia tedesco, fin dal 2010, aveva individuato tre focus di particolare rilievo in ordine ad una possibile ulteriore riforma della vecchia Ins.O.: 1) potenziare gli strumenti di risanamento delle imprese in crisi (obiettivo che peraltro costituisce un po’ il Leitmotiv di tutta la normazione europea sulla crisi dei debitori); 2) migliorare il procedimento relativo alla crisi del consumatore e modificare le procedure di esdebitazione; 3) Disciplinare in modo più coerente l’insolvenza di gruppo.
In attuazione di una prima fase di riforma, il Bundestag tedesco aveva emanato la Gesetz zur Erleichterung der Sanierung von Unternehmen legge pensata per facilitare ulteriormente la ristrutturazione di imprese (ESUG), entrata in vigore il 1 gennaio 2013. Una seconda fase di riforma del diritto fallimentare approdata all’esame del Bundestag ha avuto come risultato la legge sulla riduzione del debito residuo e il rafforzamento dei diritti dei creditori. Una terza fase della riforma del diritto fallimentare ha come sua principale espressione un disegno di legge che intende creare nuove regole per far fronte alle insolvenze del gruppo. Infine, in attuazione della Direttiva Insolvency, l’Ins.O. è stata ulteriormente modificata dalla legge del 7 maggio 2021.
Vale la pena di ricordare che la disciplina entrata in vigore con la InsolvenzOrdnung aveva abrogato la legge fallimentare propriamente detta (KonkursOrdnung) e la legge sul concordato preventivo (VergleichsOrdnung), prevedendo però al proprio interno entrambi gli istituti, sebbene in parte modificati e conformi a una nuova filosofia di base, quella (ormai comune a molti ordinamenti occidentali) del salvataggio e del conseguente risanamento dell’impresa, piuttosto che la sua immediata eliminazione dal mercato, filosofia mutuata a sua volta dall’ordinamento statunitense.
Le novità introdotte a suo tempo dalla InsolvenzOrdnung furono molte, per lo più caratterizzate dall’intento di non smantellare l’impresa in crisi e, per quanto atteneva soprattutto alle società, di non arrivare a una loro inevitabile cancellazione dal registro delle imprese. Prima della riforma, la legge consentiva, è vero, il passaggio dalla procedura di fallimento a quella di accordo con i creditori, ma in realtà si verificava più frequentemente il fenomeno inverso e la regola era il vero e proprio fallimento in caso di assenza di liquidità o di eccessivo indebitamento o ancora di indegnità al credito (Kreditunwerdigkeit). Il risanamento, insomma, costituiva l’eccezione, anche perché non favorito dagli altri istituti disciplinati.
La novità più importante della nuova InsolvenzOrdnung fu, come è noto, l’introduzione dell’istituto dell’Insolvenzplan, un accordo tra debitore e creditori volto da un lato a salvare l’impresa e, dall’altro, a lasciare più libertà e autonomia ai creditori, nel tentativo di soddisfare al meglio le loro esigenze[3]. Infatti, un principio fondamentale nel quadro delle procedure concorsuali tedesche, oltre al principio della parità di trattamento dei creditori, è quello della Gläubigerautonomie (autonomia dei creditori). I creditori hanno a disposizione ampi diritti per partecipare alla definizione delle procedure concorsuali, soprattutto per quanto riguarda le modalità di liquidazione della massa patrimoniale del debitore. I creditori decidono anche in merito alla forma concreta delle procedure concorsuali, dal momento che, oltre alla procedura "standard", la legge sulle procedure concorsuali apre la possibilità ai creditori privilegiati e chirografari di esercitare la loro autonomia attraverso la stesura di un piano di insolvenza che si discosta dalle disposizioni della legge sulle procedure concorsuali, inteso a definire la liquidazione della massa fallimentare, la distribuzione alle parti interessate, il corso della procedura concorsuale e la responsabilità del debitore in seguito alla conclusione della procedura stessa.
Il piano di insolvenza è particolarmente importante nel caso della ristrutturazione di un'impresa, sebbene possa fornire anche un quadro di riferimento per la liquidazione dell'impresa. È per questo che la legge consentì alle parti di derogare, sotto il profilo del contenuto, ai vincoli altrimenti fissati, condizionando il loro comportamento solo dal punto di vista procedurale. Senza approfondire eccessivamente questo aspetto della legge, vale la pena di ricordare che le soluzioni che la nuova disciplina introdusse erano, alternativamente, la libera e volontaria liquidazione dell’impresa, immediatamente o dopo un periodo di proseguimento dell’attività; il trasferimento oneroso della stessa a un terzo con un contratto di compravendita; la prosecuzione dell’attività da parte del medesimo debitore con conseguente pagamento dei debiti con gli utili realizzati.
Ma nella nuova legge l’Insolvenzplan non era l’unico strumento volto al salvataggio dell’impresa. Un’altra importante novità introdotta con la riforma del 1999 fu quella della liberazione del debitore dai debiti residui dopo la chiusura della procedura fallimentare, grazie allo strumento della Restschuldbefreiung. La disciplina previgente ammetteva, ma solo per le persone fisiche, la totale liberazione dalla parte delle obbligazioni che, nonostante il fallimento, non erano state adempiute, liberazione che si poteva realizzare una volta terminata la procedura fallimentare e avvenuta la cancellazione dal registro delle imprese. Questo beneficio non era invece previsto per la società che, chiusa la procedura fallimentare, rimaneva debitore a tutti gli effetti, per il residuo ammontare[4].
Volendo svolgere qualche breve approfondimento sulla disciplina positiva della Restschuldbefreiung contenuta nella Ins.O., un primo aspetto da evidenziare può essere collegato con il principio espresso dal § 1 della legge stessa. Posto che lo scopo primario di una procedura concorsuale è quello del pagamento dei debiti del soggetto sottoposto alla stessa procedura, di tipo liquidatorio o risanatorio che sia, la formulazione del § 1 si chiude con un’affermazione importante: «Ai debitori viene data la possibilità di liberarsi dei loro debiti rimanenti ». Da notare è che tale affermazione di principio non è stata inserita nella nostra legge fallimentare riformata, né tantomeno nel codice della crisi, segno questo, forse, di una certa diffidente cautela del legislatore italiano nell’introdurre uno strumento nuovo, di cui non si conoscevano appieno le potenzialità e che, fin dall’inizio ha dato luogo ad alcuni problemi applicativi e interpretativi, di cui si dirà in seguito. Tuttavia risulta chiaro che la disciplina dettata dal nostro legislatore per modellare l’istituto della esdebitazione si inserisce nel filone dell’approccio adottato anche da altri Paesi europei, tra cui, appunto, la Germania (oltre all’Austria e alla Francia) che consiste nel prevedere la cancellazione dei debiti previa valutazione da parte del giudice di requisiti di meritevolezza del debitore.
Tornando alla legge tedesca, essa è stata una delle prime in Europa a introdurre sistemi di Fresh start a favore del fallito: al termine della procedura di insolvenza, ossia con il concludersi del procedimento liquidatorio, l’imprenditore può presentare richiesta di liberazione dai debiti residui, e tale beneficio gli viene concesso dopo non meno di sei anni dalla conclusione della procedura. La Restschuldbefreiung si fonda su una dichiarazione del debitore, il quale si impegna a cedere a un fiduciario nominato dal Tribunale i suoi futuri guadagni o i redditi sostitutivi per un periodo di sei anni. Durante questo lasso di tempo, il debitore viene sottoposto a un costante controllo da parte degli organi giudiziari, per verificare la correttezza del suo comportamento e la fruttuosità dell’attività iniziata o ripresa. I creditori possono opporsi alla richiesta di Restschuldbefreiung se il debitore ha tenuto un comportamento scorretto, operando in mala fede durante l’intera procedura di fallimento, oppure se nell’ultimo anno ha compiuto atti pregiudizievoli per i creditori, oppure, ancora, se il Restschuldbefreiungsverfahren (ossia il procedimento di esdebitazione) ha già avuto luogo per lo stesso debitore o è già stato chiesto e rifiutato nei dieci anni precedenti.
Durante gli anni di attesa, il debitore è tenuto a svolgere un lavoro adeguatamente retribuito e, se non lo ha, deve adoperarsi per trovarlo. Se invece svolge un’attività autonoma, egli deve con i pagamenti al fiduciario porre i creditori nella stessa situazione in cui si sarebbero trovati se egli avesse svolto un’adeguata corrispondente attività di lavoro subordinato. Il debitore ha inoltre l’obbligo di informare l’amministratore fiduciario dell’eventuale cambio di residenza o di occupazione, nonché di eventuali eredità ricevute (che deve obbligatoriamente accettare almeno per il 50%) o comunque di donazioni di cui si trovi a beneficiare. Nel caso in cui le elargizioni e le eredità vengano rifiutate, la procedura di Restschuldbefreiung cessa automaticamente. 
3 . Dalla Restschuldbefreiung alla Esdebitazione: primi cenni di confronto. Il requisito soggettivo
Operando un confronto della Restschuldbefreiung con l’istituto italiano della esdebitazione si può subito rilevare che nel nostro ordinamento, originariamente e sulla scorta del testo tedesco, alla procedura poteva essere ammesso soltanto il fallito persona fisica e che l’istanza poteva essere proposta soltanto da costui, essendo escluso il caso di istanza da parte di un terzo o di procedura attivata d’ufficio. Ciò era previsto dall’art. 142 L. fall. che nella prima parte del primo comma stabiliva che “Il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti a condizione che (ecc.)”.
Il tema del requisito soggettivo era stato fatto oggetto di dibattito soprattutto alla luce di una discriminazione evidente tra imprenditore persona fisica e soci illimitatamente responsabili di una società, visto che questi ultimi sarebbero stati esclusi dalla applicazione del beneficio della esdebitazione. Proprio a proposito della natura giuridica del debitore, però, una importante evoluzione principalmente giurisprudenziale ha portato a riconsiderare e modificare le disposizioni originarie.
Nella giurisprudenza di merito tra i primi a sollevare il problema era stato il Tribunale di Udine, che con decisione del 13 gennaio 2012[5], si era soffermato proprio su questo tema. Nella fattispecie, alcuni creditori avevano fatto opposizione all’ammissione all’esdebitazione richiesta dal loro debitore (socio fallito di una società di persone composta da due soci), sostenendo che, siccome il socio non è considerato imprenditore, non avrebbe dovuto essere ammesso a tale beneficio. In risposta all’eccezione mossa dai creditori, i Giudici avevano osservato che il Legislatore fallimentare, nel fare riferimento al «fallito persona fisica» non può aver voluto prendere in considerazione soltanto gli imprenditori individuali dichiarati falliti, ma deve, necessariamente, aver voluto comprendere anche i soci delle società di persone, i quali falliscono se e in quanto illimitatamente responsabili, e non in quanto imprenditori. Se il Legislatore avesse voluto diversamente disporre, avevano concluso, avrebbe utilizzato la diversa espressione «imprenditore dichiarato fallito».
Sotto questo punto di vista, la disciplina è stata oggetto di una significativa revisione alla luce della L. delega 19 ottobre 2017, n. 155, la quale all’art. 8, comma 1, lett. c) ha stabilito che il Governo preveda “anche per le società l’ammissione al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, previo riscontro dei presupposti di meritevolezza in capo agli amministratori e, nel caso di società di persone, in capo ai soci”. Dunque, la novità introdotta dal CCII è quella di realizzare un ampliamento applicativo, in quanto si supera la distinzione tra persone fisiche e persone giuridiche, sul presupposto per cui, se la procedura può estendersi ai soci (persone fisiche) di persone giuridiche, non vi è ragione per non ammettere direttamente anche queste ultime al beneficio della liberazione dai debiti residui. In particolare, l’art. 278 CCII sancisce che può accedere all’istituto dell’esdebitazione il ‘debitore’, così come definito dall’art. 1 CCII., norma che include la persona giuridica. L’art. 278 CCII, rimandando alla definizione di ‘debitore’ ex art. 1 CCII, prevede che può avvalersi dell’esdebitazione anche il fallito persona giuridica, diversamente da quanto prevedeva l’art. 142 L. fall., che, come si è detto, limitava l’accesso all’esdebitazione al solo fallito persona fisica. Inoltre, l’art. 278 CCII sancisce che, nell’ambito dell’esdebitazione della persona giuridica, le condizioni ostative ex art. 280 CCII, non devono sussistere nei confronti dei seguenti soggetti societari: i soci illimitatamente responsabili ed i legali rappresentanti. 
4 . Il requisito del soddisfacimento minimo dei creditori
Un’altra questione, strettamente collegata con la precedente, riguardava i limiti che incontrava la concessione dell’esdebitazione ai soci di una società di persone fallita relativamente alle tipologie e alla quantità di crediti soddisfatti. È noto che il socio di società di persone, in quanto tale, risponde illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni della società, e che, al momento dell’apertura del fallimento della società (fallimento c.d. principale) e di quelli dei singoli soci (fallimenti c.d. derivati), si formano distinte masse passive: i creditori della società possono insinuarsi sia al passivo della società, sia al passivo dei singoli soci, mentre i creditori personali del socio possono insinuarsi soltanto al passivo del loro debitore. Il dubbio che già nella vigenza della Legge Fallimentare era sorto, era se, affinché si potesse godere dell’esdebitazione, fosse necessario che i creditori fossero stati pagati almeno in parte, e poi, nel caso della società, se fosse necessario che fossero stati pagati almeno in parte sia i creditori personali che quelli sociali, oppure se bastasse la soddisfazione di alcuni creditori, anche appartenenti a un’unica categoria (o personali o sociali). Infatti, qualora la risposta fosse stata nel secondo senso, vi sarebbe stata la possibilità che, pur avendo il socio pagato solo in parte i propri creditori personali e per nulla quelli sociali, l’esdebitazione avrebbe dovuto essere comunque concessa, e i creditori sociali avrebbero dovuto subirne gli effetti.
Sotto questo aspetto, l’Ins.O tedesca non prevede esplicitamente una percentuale minima per il pagamento che deve essere effettuato a beneficio dei creditori durante la procedura. Il § 290, infatti, stabilisce soltanto che il debitore non deve essere stato condannato per bancarotta o reati simili; non deve aver compiuto nei tre anni precedenti all’apertura del fallimento atti fraudolenti diretti all’ottenimento di credito; non deve essere stato, nei dieci anni precedenti ammesso ad una altra Restsschuldbefreiung; non deve essere stato, nell’anno anteriore al fallimento colpevole di atti di occultamento di voci patrimoniali attive o di dissimulazione di passività inesistenti o aggravato l’insolvenza; non deve aver violato gli obblighi di informazione e collaborazione prescritti nei suoi confronti dalla legge fallimentare e non deve, nella domanda di apertura del fallimento o nell’elenco consegnato immediatamente dopo, aver fornito dati falsi o incompleti relativamente al suo patrimonio o ai creditori e alle loro pretese. La mancanza dell’indicazione del requisito del pagamento parziale dei debiti è però temperato dal fatto che il debitore trasferisce al fiduciario una parte consistente dei propri guadagni che viene posta a garanzia della buona condotta.
Nel nostro ordinamento, uno dei primi casi in cui fu affrontato tale problema è quello del già citato Tribunale di Udine. Nella fattispecie, risultava che, in sede di riparto finale, erano stati integralmente soddisfatti i creditori privilegiati della società e quelli particolari di un socio, mentre non avevano avuto, neppure in parte, quanto di loro spettanza, i creditori particolari dell’altro socio. Il Tribunale, percorrendo una impostazione già accolta dalla Corte di Cassazione a sezioni unite nella prima fondamentale pronuncia su questo tema[6], ha affermato che il beneficio dell’inesigibilità dei debiti residui da parte dei creditori concorsuali non soddisfatti richiede che vi sia stato almeno un pagamento parziale, «dovendosi intendere realizzata tale condizione, in un’interpretazione costituzionalmente orientata e coerente con il favor per l’istituto già formulato dalla legge delegante, anche quando taluni di essi non siano stati pagati affatto, essendo sufficiente che con i riparti, almeno per una parte dei debiti esistenti, oggettivamente intesi, sia consentita al giudice di merito, secondo il suo prudente apprezzamento, una valutazione comparativa di tale consistenza rispetto a quanto complessivamente dovuto».
Ma, se nella fattispecie appena ricordata i soci della società avevano ottenuto l’esdebitazione, non altrettanto era accaduto al socio di una società in accomandita semplice, in un altro caso, trattato dal Tribunale di Mantova[7]. Dalla relazione depositata dal curatore, era emerso che all’attivo della società non era stato acquisito alcun bene, per cui nessun creditore sociale era stato soddisfatto, mentre aveva trovato soddisfazione nella misura del 30% il creditore ipotecario del socio accomandatario. Il Tribunale di Mantova, nella pronuncia, aveva escluso la possibilità di esdebitazione, considerando che per «creditori concorsuali, ai sensi dell’art. 142 L. fall., debbono intendersi i creditori della società, posto che il fallimento del socio è solo la conseguenza del fallimento dell’ente, e quindi il beneficio può concedersi a fronte del pagamento almeno in parte di quei debiti che del fallimento sono stati la causa, senza che assuma significatività il soddisfo, in tutto o in parte, dei creditori particolari del socio».
Nell’ordinamento italiano come già accennato, si è sviluppato negli anni un vivace dibattito intorno a quanto stabilito dall’art. 142 L. fall. e in particolare al comma 2 che così recitava: «l’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali»[8].
La giurisprudenza che aveva affrontato l’argomento, si era presto schierata su due orientamenti opposti. Secondo una prima opinione, perché il beneficio fosse concedibile sarebbe stato sufficiente che una parte dei creditori ammessi al passivo, ossia almeno uno di loro, avesse ricevuto un parziale pagamento nella ripartizione dell’attivo fallimentare. Gli argomenti portati a sostegno di questa tesi erano molti, e tutti convincenti. È corretto infatti ritenere che, se è vero che l’istituto dell’esdebitazione è stato concepito come un istituto basato sul favor debitoris, che consente all’imprenditore «onesto ma sfortunato» di avviare una nuova impresa senza il carico dei vecchi debiti, è logico anche ammettere che la normativa deve essere interpretata nel senso che ne permetta la più ampia applicazione. La differenza, semmai, va fatta tra imprenditori meritevoli del «premio» e debitori non meritevoli, e tale differenza dipende prevalentemente, se non esclusivamente, dal comportamento dell’imprenditore e dal suo corretto porsi nei confronti degli organi fallimentari, e non dalla possibilità o meno di pagare in tutto o in parte i creditori. Si può aggiungere che, in considerazione del fatto che la legge delega ha previsto l’esdebitazione come «liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti», non è corretto fare poi distinzioni tra creditori non soddisfatti totalmente o parzialmente.
In proposito, la Corte d’Appello di Ancona, in una pronuncia del 12 dicembre 2008[9], aveva sostenuto che «se l’istituto deve essere ancorato alla meritevolezza del debitore fallito, non si vede quale distinzione, una volta ottenuta l’attestazione della ricorrenza delle condizioni di cui al comma 1 dell’art. 142 L. fall., possa farsi con riferimento alla entità dell’attivo ripartito, dal momento che tale situazione di ripartizione, con percentuali più o meno consistenti, discende da fattori del tutto indifferenti rispetto alle condizioni di meritevolezza». E del resto, fattori assolutamente contingenti quali il numero dei creditori piuttosto che l’esistenza di cause di privilegio, non hanno, ad avviso di chi scrive, nulla a che fare con la meritevolezza del debitore, che ben può essere degno di ottenere il favore dell’esdebitazione anche se i creditori sono molti e l’attivo poco. Analogo ragionamento, corredato di argomentazioni condivisibili è alla base della sentenza del Tribunale di Taranto del 22 ottobre 2008[10]. Nella pronuncia i Giudici si sono soffermati in primo luogo sulla mutata filosofia di base della procedura fallimentare, «che ha oggi come scopo principale quello di giungere in tempi ragionevoli a una sistemazione complessiva della vicenda “insolvenza”, sistemazione che, comunque si strutturi, dovrebbe consentire al debitore una ripresa dell’iniziativa imprenditoriale, non penalizzando così il sistema delle imprese sotto il profilo della competitività». E in questa direzione, sottolinea il Tribunale di Taranto, si pone anche l’istituto dell’esdebitazione, che deve consentire all’imprenditore persona fisica di avviare una nuova impresa, senza il carico dei vecchi debiti e che, così come configurato dalla legge delega, non prevede come condizione necessaria che le obbligazioni di rango privilegiato vengano adempiute in tutto o in parte, oppure che i creditori chirografari conseguano soltanto una percentuale minima di quanto loro spettante. Ciononostante, non si può negare che la formulazione dell’art. 142, comma 2, L. fall. dimostrasse una certa ambiguità, difficilmente risolvibile se non grazie al criterio della volontà del Legislatore. Su queste basi è possibile anche spiegare l’espressione «neppure in parte» contenuta nell’art. 142, comma 2, della vecchia legge fallimentare. In proposito il Tribunale di Piacenza[11] aveva ritenuto che la suddetta espressione non potesse riferirsi soltanto alla parte di credito soddisfatto, ma anche al numero dei creditori che ricevono parte del loro credito, secondo l’ordine di legge, con la conseguenza che anche il pagamento parziale di un solo creditore (privilegiato o chirografario), potrà integrare la condizione per ottenere l’esdebitazione. È senz’altro evidente, precisa il Tribunale, che se si aderisse alla teoria secondo cui la locuzione «neppure in parte» è riferita al numero dei creditori (facendone derivare che tutti i creditori devono essere pagati almeno parzialmente), in caso di presenza di creditori privilegiati e chirografari, si renderebbe necessario il pagamento integrale dei creditori privilegiati, per avere anche quello parziale dei chirografari. È, questa, una soluzione che costringerebbe il debitore al pagamento integrale di una categoria di creditori e parziale di un’altra, con effetti diversi da quelli presumibilmente voluti dal Legislatore.
Ma, se quella illustrata dalle sentenze sopra riportate, appariva subito l’ipotesi più accreditata, non mancarono opinioni discordi, sia in dottrina che in giurisprudenza. Il Tribunale di Rovigo, ad esempio, nel decreto del 22 gennaio 2009[12], aveva sostenuto che il beneficio dell’esdebitazione può essere concesso soltanto ove, alla cessazione della procedura fallimentare, tutti i creditori ammessi al passivo (privilegiati e chirografari) risultino parzialmente pagati, ancorché in misura minima. Il Giudice veneto aveva compiuto un’analisi del dettato dell’art. 142, comma 2, L. fall., concludendo che il Legislatore sembrava aver voluto riferirsi non già al numero dei creditori che ricevono qualcosa, bensì alla quota di soddisfacimento, nel senso che tutti devono essere stati almeno in parte soddisfatti in sede di riparto. «Una conferma a tale impostazione», si aggiunge nella pronuncia dei Giudici veneti, «si trae dal comma 1 dell’art. 143 L. fall., secondo il quale il Tribunale dichiara inesigibili i debiti non soddisfatti integralmente. La predetta locuzione necessariamente presuppone che tali debiti siano stati soddisfatti parzialmente e debbano essere tutti quelli aventi titolo al soddisfacimento, giacché, diversamente argomentando, dovrebbe giungersi ad affermare che la pronuncia riguardi solo, tra i debiti che debbono essere soddisfatti nel fallimento, quelli non soddisfatti integralmente e non anche quelli per nulla soddisfatti, ciò che costituirebbe una evidente incongruità, ove si ricordi che, a mente del comma 1 dell’art. 142, la pronunzia deve comunque riguardare tutti i debiti residui».
Anche il Tribunale di Ancona si era espresso in modo conforme. Con un decreto del 18 giugno 2008[13] ha precisato che la posizione accolta trova conforto «non solo nel dato letterale della norma richiamata, che appare fare riferimento a un pagamento parziale (pur senza limiti minimi, a differenza di quanto previsto originariamente nei disegni di legge della commissione di riforma, ove era richiesta una specifica percentuale di soddisfacimento dei chirografari) di tutti i creditori concorsuali, prededucibili, privilegiati e chirografari, come risultanti dal decreto di ripartizione finale dell’attivo, ma anche da una interpretazione sistematica del complesso delle disposizioni dettate in tema di esdebitazione, atteso che l’art. 143, comma 1, L. fall., aggiunge significativamente che il Tribunale, in presenza dei requisiti di cui all’art. 142, provvede a dichiarare inesigibili i debiti non soddisfatti “integralmente”, avendo in caso contrario il legislatore dovuto prevedere semplicemente una dichiarazione di inesigibilità dei debiti non soddisfatti, senza alcuna ulteriore aggiunta dell’avverbio integralmente»[14].
Da una così vivace contrapposizione era scaturita una situazione di incertezza nel panorama applicativo dell’esdebitazione, essendo evidente che, a seconda dell’adesione del giudicante all’una o all’altra corrente di opinione, il risultato poteva essere molto diverso. Una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[15] si rese così necessaria, e l’occasione nacque con un’ordinanza di rimessione della Prima Sezione[16]. I fatti da cui era scaturita la sentenza delle Sezioni Unite riguardavano il socio accomandatario di una società, il quale, dichiarato fallito nel 1994, aveva fatto ricorso al Tribunale per ottenere l’esdebitazione. Il Tribunale adito gli aveva concesso il beneficio, ma il decreto era stato impugnato dai creditori davanti alla Corte d’Appello di Firenze, che aveva riformato quanto stabilito in primo grado, decidendo che, nel caso di specie, l’esdebitazione non poteva essere concessa, per carenza del requisito oggettivo, dal momento che non erano stati minimamente soddisfatti i creditori chirografari. Il fallito aveva deciso, allora, di ricorrere in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 12 delle Preleggi, e degli artt. 142, 143 e 144, L. fall. In sostanza, egli affermava che la Corte d’Appello aveva ristretto in modo ingiustificato il campo di applicazione dell’esdebitazione, limitandolo ai soli casi (rarissimi) di fallimento chiuso con il pagamento di tutti i creditori privilegiati e, in una certa percentuale, anche dei chirografari. Al quesito interpretativo formulato dalla Prima Sezione della Cassazione, le Sezioni Unite avevano risposto con una pronuncia che fornisce un quadro complessivo dell’istituto dell’esdebitazione, ponendo prima di tutto in rilievo l’equivocità delle norme relative, che non consentivano di ricostruire con la certezza necessaria la volontà del Legislatore[17].
La Corte, nelle molte pagine di motivazione, aveva compiuto un’analisi articolata e approfondita della genesi e della ratio della disciplina dell’esdebitazione.
Dopo aver sottolineato che «compito dell’interprete è proprio quello di stabilire il punto di equilibrio all’interno del complesso delle norme», in modo tale da evitare uno sbilanciamento del sistema a danno dei creditori, e allo stesso tempo in modo da raggiungere l’intento di favorire il fallito nella ripresa di una nuova attività, la Cassazione aveva chiamato in causa il Giudice di merito: «sarà dunque compito del giudice del merito con il suo prudente apprezzamento accertare quando la consistenza dei riparti realizzati consenta di affermare che l’entità dei versamenti effettuati, valutati comparativamente rispetto a quanto complessivamente dovuto, costituisca quella “parzialità dei pagamenti” richiesta per il riconoscimento del beneficio, sul quale vi è controversia». L’esercizio del dovere conferito al Giudice del merito di verificare l’esistenza delle condizioni necessarie per la declaratoria di inesigibilità dei crediti residui, sempre nell’ottica del favor nei confronti del fallito e della volontà assolutamente non restrittiva del Legislatore nel disciplinare l’istituto dell’esdebitazione, può dunque valere come strumento di politica del diritto, teso ad ottenere un bilanciamento fra le contrastanti esigenze di un tempestivo ritorno sul mercato da parte del debitore e del soddisfacimento dei suoi creditori.
Successivamente, e sempre nella vigenza della legge fallimentare, la Corte di Cassazione ha avuto più volte occasione di pronunziarsi su questa specifica tematica, ribadendo sostanzialmente la sua posizione. Tra le altre, nell’ordinanza n. 7550 del 27 marzo 2018 ha affermato che “l’art. 142, comma 2, legge fallim. deve essere interpretato nel senso che il beneficio dell’esdebitazione deve essere concesso, ferma restando la presenza delle condizioni di cui al primo comma, in presenza di un requisito oggettivo costituito dalla soddisfazione dei crediti in una percentuale non irrisoria e di un requisito soggettivo la cui valutazione è riservata al tribunale ed è fondata sull’esame dei comportamenti collaborativi del debitore”. Sul concetto di irrisorietà del soddisfacimento dei creditori si è poi espressa nuovamente la Cassazione con l’ordinanza n. 15246 del 2022. A riguardo la Suprema Corte ha affermato che “la definizione di soddisfacimento irrisorio - che giustifica il rigetto della richiesta di esdebitazione – resta parametrata a percentuali minime e in effetti tali da considerarsi irrilevanti, per modo da poter essere ritenuta dal giudice del merito solo ove il concreto soddisfacimento, tenuto conto di tutte le risultanze della procedura non sia tale da rappresentare il concetto neppure parzialmente….(omissis)… Non può affermarsi – così genericamente, come fatto dalla Corte territoriale – (ha evidenziato la S.C.), che sia irrisoria, in rapporto al passivo nel suo complesso, la percentuale di soddisfacimento dei crediti privilegiati del 13,89 %. A una simile percentuale, infatti, non è pertinente associare in sé e per sé il concetto di completa irrisorietà, neppure in base alla presa a parametro dell'intero passivo[18].
Altro aspetto degno di nota, già nella vigenza della legge fallimentare è quello della compatibilità dell’esdebitazione con i debiti fiscali. Su questo tema, occorre ricordare che la Corte di cassazione, con l'ordinanza di rimessione 1° luglio 2015, n. 13542, ha chiesto alla Corte di giustizia di valutare "se l'articolo 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388 (...) devono essere interpretati nel senso che essi ostano all'applicazione, in materia di imposta sul valore aggiunto, di una disposizione nazionale che prevede l'estinzione dei debiti nascenti dall'IVA in favore dei soggetti ammessi alla procedura di esdebitazione disciplinata dal R.D. n. 267 del 1942, articoli 142 e 143" e "se l'inderogabilità dell'IVA, da ultimo sottolineata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 225 del 25 luglio 2014, possa cedere o meno a fronte di un accertamento giudiziale di incapienza della procedura fallimentare, e di meritorietà dell'imprenditore fallito". I giudici comunitari, con la pronuncia del 16 marzo 2017, resa nella causa C-493/15, hanno rilevato che: 
1. Gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva IVA e l'articolo 4, paragrafo 3, TUE impongono agli Stati membri l'obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire il prelievo integrale dell'IVA nel loro territorio; 
2. la procedura di esdebitazione, nell'ambito delle finalità e dei limiti soggettivi fissati dalla normativa nazionale, si connota per la necessità di un rigoroso esame, condotto, con riferimento al caso concreto, da un organo giurisdizionale;
3. ad ulteriore tutela degli interessi comunitari, l'istituto in esame consente alle competenti autorità nazionali, in presenza di un credito IVA, tanto di inoltrare al giudice incaricato il proprio parere sulla domanda del debitore interessato quanto di proporre ricorso contro l'eventuale pronuncia che dichiari inesigibile la parte non soddisfatta del suddetto credito, introducendo un doppio grado di giurisdizione.
In base alle considerazioni svolte, la Corte di giustizia ha concluso che "Il diritto dell'Unione, in particolare l'articolo 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, nonché le norme sugli aiuti di Stato, deve essere interpretato nel senso che non osta a che i debiti da imposta sul valore aggiunto siano dichiarati inesigibili in applicazione di una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede una procedura di esdebitazione con cui un giudice può, a certe condizioni, dichiarare inesigibili i debiti di una persona fisica non liquidati in esito alla procedura fallimentare cui tale persona è stata sottoposta.". 
5 . L’esdebitazione nel nuovo Codice della Crisi
L’esdebitazione di diritto e l’esdebitazione del debitore incapiente sono due novità del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza[19]. 
Nella Sezione II del Capo X del Titolo V del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza di cui al D. Lgs. 14/2019, infatti vi sono due articoli di particolare importanza: il 282 (Esdebitazione di diritto) e il 283 (Debitore incapiente) i quali prevedono il diritto alla liberazione totale del soggetto sovraindebitato tanto in ipotesi di liquidazione controllata dei beni, quanto nell’ipotesi di incapienza dello stesso. Queste due disposizioni, non previste nella precedente riforma della vecchia legge fallimentare, confermano il carattere socio-economico della riforma e la sua valenza strategica, tesa al reinserimento sociale degli individui e alla salvaguardia della famiglia. 
Diversamente dalla legge n. 3/2012 (che pur prevedendo l’istituto all’art. 14 quaterdecies, introdotto dal D. L. n. 137/2020, non la prevedeva come beneficio “di diritto”, in quanto occorreva fare precisa istanza), l'esdebitazione ora opera di diritto ex art 282 CCII a seguito del provvedimento di chiusura della liquidazione controllata e comunque non oltre tre anni dalla sua apertura. Essa è dichiarata con decreto motivato del tribunale, pubblicato nel registro delle imprese e comunicato al Pubblico Ministero e ai creditori, i quali possono proporre reclamo al tribunale o alla Corte di Appello a mente dell'articolo 124 CCII, entro trenta giorni. L’esdebitazione di diritto presuppone il rispetto dell’art 69 e dell’art. 280 CCII i quali dettano le condizioni per l'accesso. Infatti, il debitore è ammesso a fruire del diritto alla liberazione dai debiti a condizione che: non abbia cagionato colpevolmente, o in malafede o con frode, la situazione di sovraindebitamento; non abbia riportato condanna con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio, o altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio dell’attività d'impresa, salvo che per essi sia intervenuta la riabilitazione (ove sia in corso il procedimento penale per uno di tali reati o vi sia stata applicazione di una delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, il beneficio può essere riconosciuto solo all'esito del procedimento); non abbia distratto attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito; non abbia ostacolato o rallentato lo svolgimento della procedura e abbia fornito agli organi ad essa preposti tutte le informazioni utili e i documenti necessari per il suo buon andamento; non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei cinque anni precedenti la scadenza del termine per l'esdebitazione e non abbia già beneficiato dell'esdebitazione per due volte. 
Quanto alla figura del debitore incapiente, essa debutta nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e in particolare nell’art. 283 CCII. La norma è rivolta al debitore, persona fisica, meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, fatto salvo l'obbligo dell’assolvimento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice laddove pervengano sopravvenienze attive rilevanti, e/o finanziamenti comunque ottenuti, che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al dieci per cento[20]. 
6 . L'iter della procedura per il beneficio dell'esdebitazione per il debitore incapiente
Il debitore incapiente che intenda accedere al beneficio dell’esdebitazione deve presentare al giudice competente (per il tramite l'Organismo di Composizione assistita della Crisi da sovraindebitamento): un elenco di tutti i creditori con l'indicazione delle somme a costoro dovute; un elenco degli atti di straordinaria amministrazione compiuti negli ultimi cinque anni; una copia delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni; l'indicazione delle entrate proprie e dei componenti il nucleo familiare. 
La predetta domanda deve essere accompagnata da una relazione particolareggiata dell'Organismo di Composizione della Crisi nella quale risultino, tanto le cause che hanno originato l'indebitamento assunto con diligenza e le ragioni che hanno portato all'incapacità di adempiere, quanto l'indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori e una valutazione di congruenza e attendibilità della documentazione prodotta a corredo della domanda. 
Il giudice, assunte le necessarie informazioni e valutata la meritevolezza del debitore concede con decreto l'esdebitazione, indicando modi e tempi entro il quale costui deve, a pena di revoca del beneficio, presentare una dichiarazione annuale relativa alle sopravvenienze attive. Il decreto così è comunicato al debitore e ai creditori i quali possono proporre opposizione nel termine di trenta giorni. In caso di opposizioni, il giudice, previo contraddittorio opponenti/debitore, conferma o revoca il decreto. La decisione è soggetta a reclamo dinanzi alla Corte di Appello. L'Organismo di Composizione della Crisi nei quattro anni successivi al deposito del decreto che concede l'esdebitazione ha il dovere di vigilare sulla tempestività del deposito della dichiarazione dei redditi al fine di compiere la verifica della sussistenza di utilità rilevanti. 
Dunque, al debitore non soggetto alla liquidazione giudiziale viene richiesta, per conseguire la esdebitazione, una condizione ulteriore rispetto al debitore soggetto alla liquidazione giudiziale, costituita dalla insussistenza di uno stato soggettivo che, variamente declinato (mala fede, frode, dolo, colpa grave) è sostanzialmente riconducibile al dolo o alla colpa grave. 
7 . L’esdebitazione nella nuova disciplina della liquidazione giudiziale
Con riferimento all’esdebitazione nella liquidazione giudiziale, una delle maggiori novità introdotte dal CCII consiste nel concedere la possibilità di accedere all’istituto dell’esdebitazione anche alle società, sia di persone sia di capitali circostanza che, come si è visto, in precedenza non era contemplata. Ciò alla luce della legge-delega 19 ottobre 2017, n. 155, la quale all’art. 8, comma 1, lett. c) prescrive che il Governo preveda “anche per le società l’ammissione al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, previo riscontro dei presupposti di meritevolezza in capo agli amministratori e, nel caso di società di persone, in capo ai soci”. La novità introdotta dal CCII. realizza un ampliamento particolarmente significativo perché supera la distinzione tra persone fisiche e persone giuridiche, sul presupposto per cui, se la procedura può estendersi ai soci (persone fisiche) di persone giuridiche, non vi è ragione per non ammettere direttamente anche queste ultime al beneficio della liberazione dai debiti residui. In particolare, l’art. 278 CCII sancisce che può accedere all’istituto dell’esdebitazione il ‘debitore’ così come definito dall’art. 1 CCII  norma che include la persona giuridica. L’art. 278 CCII, rimandando alla definizione di ‘debitore’ ex art. 1 CCII prevede che può avvalersi dell’esdebitazione anche il fallito persona giuridica; diversamente da quanto prevedeva l’art. 142 L. fall. 
L’art. 279 CCII, prevede poi che il debitore meritevole ha diritto a conseguire l’esdebitazione “decorsi tre anni dall’apertura della procedura di liquidazione o al momento della chiusura della procedura, se antecedente”. La disposizione normativa è sicuramente innovativa perché introduce un momento temporale nuovo che consente al debitore di accedere al beneficio dell’esdebitazione anticipatamente rispetto alla previgente normativa, ovvero quando la procedura di liquidazione giudiziale è ancora aperta. L’anticipazione temporale della possibilità di avvalersi dell’esdebitazione consente al debitore di ricorrere al fresh start senza attendere la chiusura della procedura di liquidazione giudiziale. La previsione mira quindi a un reinserimento del debitore nel mondo economico, recuperandolo nel circuito economico grazie alla definitiva liberazione dai debiti pregressi, anche in una prospettiva di politica sociale. Del resto, la legge delega, alla luce della quale è stato redatto il CCII formula i principi in materia di esdebitazione avvalendosi delle coordinate europee; in particolare della Raccomandazione n. 2014/135/UE, la quale evidenzia come “gli imprenditori dichiarati falliti hanno maggiori probabilità di avere successo una seconda volta” e, per l’effetto, sottolinea la necessità di “adoperarsi per ridurre gli effetti negativi del fallimento sugli imprenditori, prevedendo la completa liberazione dei debiti dopo un lasso di tempo massimo”. 
L’istituto dell’esdebitazione è sicuramente uno degli istituti di maggiore successo introdotti negli ultimi anni e ha trovato sempre crescente rilevanza nella programmazione europea. 
Pare però opportuno interrogarsi in relazione al sempre dibattuto requisito della “soddisfazione dei creditori” che ha rappresentato uno scoglio, spesso rivelatosi preclusivo, all’o­peratività dell’esdebitazione. 
Come si è accennato precedentemente, l’art. 142, comma 2, L. fall. prevedeva che “l’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali” e con sentenza resa a Sezioni Unite civili, la Suprema Corte di cassazione aveva preliminarmente affermato che la disposizione normativa di cui all’art. 142, comma 2, L. fall. “presenta evidenti margini di equivocità e non consente quindi di ricostruire, con la certezza che viceversa è necessaria, la volontà del legislatore”. Neppure i successivi artt. 143 e 144 L. fall. furono di aiuto, poiché non conferivano certezza sul piano interpretativo. Di conseguenza, la Suprema Corte ritenne (e forse la valutazione è valida ancora oggi) necessario ricorrere al criterio interpretativo logico sistematico, finalizzato all’individuazione della ratio della disposizione che ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’esdebitazione. Pertanto, nel quadro complessivo di riferimento, l’inesigibilità dei debiti non automatica assume, pur nella sua parziale equivocità una valenza centrale, sia in termini di prospettive che in relazione all’esito venutosi a determinare. 
Ora, pare che recentemente la giurisprudenza di legittimità si sia attestata su posizioni piuttosto “benevole” anche nei riguardi dell’esdebitazione applicata nella liquidazione giudiziale. In proposito, ad esempio si è osservato che la normativa più recente (Dir. n 1023/2019, legge n. 155/ 2017, D.Lgs. n. 14/2019 e L. n. 3/2012) “era tutta nel senso della svalutazione del requisito oggettivo del pagamento parziale dei creditori, tanto da far dubitare seriamente che tale requisito fosse ancora da considerare in vita a meno di voler dar adito ad ingiustificate disparità di trattamento tra vecchi falliti e nuoyi soggetti sottoposti alla liquidazione giudiziale e sovraindebitati”[21]. A questo proposito occorre però tenere presente la lettera della legge: la norma di cui all’art 279 CCII, infatti fa riferimento ai crediti rimasti insoddisfatti (“L'esdebitazione consiste nella liberazione dai debiti e comporta la inesigibilità dal debitore dei crediti rimasti insoddisfatti nell'ambito di una procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata”), facendo così pensare per converso alla necessità che vi siano stati dei creditori soddisfatti. Occorrerebbe forse una interpretazione definitiva del dettato normativo. 
Quanto alla soglia minima, la Corte di Cassazione, recentemente, nella sentenza n. 27562 del 24 ottobre 2024, la Corte ha confermato che, ai fini dell’accesso all’esdebitazione, non è richiesta una soglia minima di soddisfacimento dei creditori, spostando l’attenzione dal mero dato quantitativo a un’analisi più complessiva delle circostanze della procedura.  La Corte ha ribadito che il giudice deve valutare la “parzialità” del soddisfacimento dei creditori con un prudente apprezzamento, considerando tutte le risultanze della procedura e non basandosi su meri calcoli matematici o percentuali rigide. È stato escluso che la soddisfazione irrisoria possa precludere automaticamente il beneficio dell’esdebitazione, salvo il caso in cui non vi sia stato alcun soddisfacimento. Tra gli elementi da considerare vi sono: l’entità dell’attivo liquidato rispetto alle passività; il numero di creditori soddisfatti, anche in misura minima; i costi della procedura, che devono essere coperti prioritariamente; la condotta del debitore, elemento centrale nella valutazione del requisito di meritevolezza. 
La sentenza sottolinea infine che una percentuale di soddisfacimento apparentemente bassa, come nel caso di specie (superiore all’1% e comunque non meramente simbolica), non può essere considerata irrisoria se confrontata con le difficoltà strutturali della procedura e con le limitazioni patrimoniali del debitore. 

Note:

[1] 
Insolvenzordnung (InsO) § 290 Versagung der Restschuldbefreiung. 
[2] 
Negli Stati Uniti, l'esdebitazione, o "discharge of debt", si riferisce al processo legale che permette a un debitore di essere liberato dagli obblighi di pagamento di determinati debiti, dopo aver seguito una procedura fallimentare. Questo processo è regolato dalla legge federale sui fallimenti (Bankruptcy Code) e offre diverse opzioni per persone fisiche, imprese e altri tipi di debitori. Nel Chapter 7 del Bankruptcy Code, in particolare si prevede una procedura di liquidazione in cui i beni del debitore vengono venduti per pagare i creditori, e il debitore viene liberato dai debiti residui dopo la distribuzione dei proventi. Per ottenere l'esdebitazione occorrono alcune condizioni: la meritevolezza, ossia il debitore deve dimostrare di non aver agito in modo fraudolento o negligente nel contrarre i debiti; la trasparenza, ossia il debitore deve fornire informazioni complete e accurate sulla propria situazione finanziaria durante la procedura.; e l’adempimento delle condizioni, ossia il debitore deve rispettare i termini del piano di rimborso o della procedura di liquidazione, se applicabile. Da notare che l'esdebitazione non libera il debitore da tutti i tipi di debito. Ad esempio, debiti come tasse, multe, debiti per alimenti o debiti derivanti da frode non possono essere cancellati attraverso l'esdebitazione. 
[3] 
Il piano si divide in una parte descrittiva e una parte costitutiva, e prevede la formazione di gruppi di creditori, distinti per diverso interesse economico, all’interno di ciascuno dei quali vige il principio della parità di trattamento (Gleichbehandlungsprinzip); i lavoratori, che danno vita a un gruppo autonomi, e il fisco, non rientrano più nella categoria dei creditori privilegiati, mentre costituiscono una nuova specie i piccoli creditori, intorno ai quali si discute sull’effettiva portato del termine «piccoli». 
[4] 
In dottrina si v. tra i tanti: H. Hess – M. Obermuller, Insolvenzplan, Restschuldebefreiung und Verbraucherinsolvenz, Muller Verlag, 2003; "Verbraucherinsolvenz und Restschuldbefreiung" Zeitschrift für das gesamte Insolvenzrecht, vol. 19, no. 48, 2016, pp. 2365-2368. https://doi.org/10.1515/zinso-2016-4813; R. Kramer, F.K. Peter (2012). Restschuldbefreiung. In: Insolvenzrecht. Springer Gabler, Wiesbaden. https://doi.org/10.1007/978-3-658-00026-4_15; Verbraucherinsolvenz und Restschuldbefreiung. In: Insolvenzrecht. Recht — schnell erfasst. Springer, Berlin, Heidelberg. https://doi.org/10.1007/3-540-26805-7_6; Heuer, Jan-Ocko. "Private Überschuldung und Sozialpolitik: Varianten der staatlichen Regulierung von Verbraucherinsolvenz und Restschuldbefreiung" Zeitschrift für Sozialreform, vol. 61, no. 3, 2015, pp. 315-340 https://doi.org/10.1515/zsr-2015-0306. 
[5] 
Pubblicato su Ilcaso.it https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/7242. 
[6] 
Cass., Sez. Un., 18 novembre 2011, n. 24214. Conforme successivamente Cass. Civ., Sez. I, 27 Marzo 2018, n. 7550. Est. Campese. Tutte in Ilcaso.it. 
[7] 
Tribunale Mantova, 12 luglio 2012, su Ilcaso.it.
[8] 
In dottrina si v. S. Bonfatti-P. Censoni, Manuale di diritto fallimentare, II, Padova, 2007, pag. 361; AA. VV., L’esdebitazione del fallito, in S. Bonfatti – L. Panzani, Le riforma organica delle procedure concorsuali, Milano, 2008; S. Ronco, L’esdebitazione del fallito, in Aa.Vv., Il diritto fallimentare riformato, a cura di G. Schiano di Pepe, Padova, 2007, pag. 550; Id., Il diritto del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Padova, 2007; P.F. Censoni, L’esdebitazione, in Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2007; E. Frascaroli Santi, L’esdebitazione del fallito, in Studi in onore di Carmine Punzi, Torino, 2008; L. Ghia, L’esdebitazione, Milano, 2008, pag. 182; V. Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali dopo il d. lg. 12.9.2007, n. 169, Torino, 2008, pag. 385; E. Frascaroli Santi, L’esdebitazione del fallito. un premio per il fallito o un’esigenza del mercato?, in Dir. Fall., 2008, I, pag. 45. 
[9] 
App. Ancona, decr. 12 dicembre 2008, in Il fall., 2009, pag. 1184. 

[10] 
In Il Fall., 2009, II, pag. 1187. 
[11] 
Trib. Piacenza, 22 luglio 2008, decr., in Il Fall., 2009, pag. 1189. 
[12] 
Pubblicato in Il Fall., 2009, pag. 1186. 
[13] 
In Il Fall., 2009, pag. 1190. 
[14] 
In dottrina si v.: E. Norelli, L’esdebitazione, in Aa.Vv., La tutela dei diritti nella riforma fallimentare. Scritti in onore di Giovanni Lo Cascio, a cura di M. Fabiani e A. Patti, Milano, 2006, pag. 265 ss.; V. Santoro, La riforma della legge fallimentare, a cura di A. Nigro e M. Sandulli, II, Torino, 2006, pag. 852; M. Lazzara, in Aa.Vv., Il nuovo fallimento, a cura di F. Santangeli, Milano, 2006, pag. 649 ss.; A. Castagnola, L’esdebitazione del fallito, in Giur. comm., 2006, I, pag. 450; E. Norelli, L’esdebitazione del fallito, in Riv. es. forzata, 2006, pag. 709 ss.; C. Cecchella, Il diritto fallimentare riformato, Milano, 2007, pag. 59; D. Plenteda, Esdebitazione nel fallimento e problemi di diritto intertemporale, in Il Fall., 2007, pag. 461. 
[15] 
Cass., Sez. Un., sentenze 18 novembre 2011, n. 24214, in Corriere del merito, 2012, p. 376, con nota di Travaglino G., Esdebitazione e soddisfacimento parziale dei creditori; e 18 novembre 2011, n. 24215, in Fallimento, 2012, p. 283, con nota di Ferro M., Il parziale soddisfacimento dei creditori nell'esdebitazione; in Giur. comm., 2012, II, p. 757, con nota di Delli Priscoli L., Esdebitazione: concorrenzialità del mercato e specialità della disciplina; in Riv. dir. proc., 2012, p. 1673, con nota di Fradeani F., Sulla «parziale» soddisfazione dei creditori come presupposto per l'esdebitazione; in Diritto fallimentare, 2013, II, p. 153, con nota di Cerrato A., Considerazioni critiche sulla c.d. «teoria estensiva» del «soddisfacimento parziale dei creditori concorsuali» ex art. 142, capoverso, l.fall., quale presupposto oggettivo per ottenere il beneficio dell'esdebitazione. 
[16] 
Cfr. ordinanza di rimessione 21 ottobre 2010, n. 21641. 
[17] 
En passant, ed esclusivamente sotto il profilo della procedura di attivazione del beneficio, ricordiamo che la Corte Costituzionale con la sentenza 19 maggio 2008, n. 181, aveva dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 143 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), nel testo introdotto a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), limitatamente alla parte in cui esso, in caso di procedimento di esdebitazione attivato, ad istanza del debitore già dichiarato fallito, nell’anno successivo al decreto di chiusura del fallimento, non prevede la notificazione, a cura del ricorrente e nelle forme previste dagli artt. 137 segg. cod. proc. civ., ai creditori concorrenti non integralmente soddisfatti, del ricorso col quale il debitore chiede di essere ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei medesimi creditori, nonché del decreto col quale il giudice fissa l’udienza in camera di consiglio. 
[18] 
Ancora sul medesimo tema, la Cassazione, con l’ordinanza 30 luglio 2020, n. 16263 (“l'articolo142, comma 2, legge fallimentare deve essere interpretato nel senso che il beneficio dell'esdebitazione deve essere concesso, ferma restando la presenza delle condizioni di cui al comma 1, in presenza di un requisito oggettivo costituito dalla soddisfazione dei crediti in una percentuale non irrisoria e di un requisito soggettivo la cui valutazione è riservata al tribunale ed è fondata sull'esame dei comportamenti collaborativi del debitore”), in Fallimento, 2021, p. 32, con nota di M. Spiotta, Il parametro del soddisfacimento dei creditori ai fini dell'esdebitazione nel caso di fallimento in ripercussione. 
[19] 
Moltissimi i più recenti contributi sull’istituto. Tra i tanti si segnalano: P.P. Ferraro, L'esdebitazione delle società in liquidazione concorsuale in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 2025, volume I, 127 ss.; I. Kutufà, L'esdebitazione del sovraindebitato incapiente: ambiguità e incertezze di una disciplina rivoluzionaria, in Giustiziacivile.comhttps://giustiziacivile.com/crisi-dimpresa/approfondimenti/lesdebitazione-del-sovraindebitato-incapiente-ambiguita-e-incertezze; R. Guidotti, L’esdebitazione (nella liquidazione), in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 2024, 800 ss.; A. Castagnola, Esdebitazione e soddisfazione dei creditori in ottica di favor debitoris, in Il diritto degli affari, 2024, 297 ss.; F. Rende, Esdebitazione e regole di comportamento, in Rivista di diritto privato, 2021 p. 281; U. Salanitro, Debito in crisi? Oltre la dogmatica. Spigolature sulla rilevanza costituzionale della disciplina dell’esdebitazione, in Diritto costituzionale, 2023, 55 ss.; G. Ferri, Esdebitazione concordataria ed estinzione delle obbligazioni, in AA. VV. Studi di diritto commerciale per Vincenzo Di Cataldo, volume: impresa, società, crisi di impresa. Tomo I, 365 ss.; P. Pellegrinelli, L'esdebitazione nella liquidazione giudiziale: evoluzione di uno strumento volto a garantire la continuità aziendale, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali 2023, I, 1032 ss.; M.M. Lazzara, Esdebitazione e meritevolezza: lineamenti di una ricerca per definire la condotta che libera dai debiti, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 2021 673 ss.; L.P. Botti, L’esdebitazione nella nuova liquidazione giudiziale, in Le nuove leggi civili commentate, 2021, 1117 ss. 
[20] 
Il computo della massa attiva eventualmente sopraggiunta utile al soddisfacimento dei creditori deve essere condotta su base annua, tenendo escluso dal novero le spese di produzione del reddito e quanto occorrente al mantenimento del debitore e della sua famiglia parametrato all'assegno sociale aumentato della meta' moltiplicato il numero dei componenti il nucleo familiare della scala di equivalenza dell'ISEE di cui al D.P.C.m. 5 dicembre 2013, n. 159. Conseguentemente, ove sopragiungesse all’esdebitando una massa inferiore alla richiamata percentuale del 10 % l’obbligo dell’assolvimento del debito non opera superati i quattro anni. 
[21] 
App. Bologna 18 febbraio 2022, in Ilcaso.it https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/27758. 

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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

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Il TITOLARE

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Società per lo studio del diritto della crisi

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