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L’illegittimità delle third parties clauses secondo la Corte Suprema degli Stati Uniti nel piano di ristrutturazione ex Chapter 11.

Luciano Panzani, già Presidente della Corte d’Appello di Roma

29 Agosto 2024

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Con la sentenza 27 giugno 2024 la Corte Suprema degli Stati Uniti, con una maggioranza di 5 a 4, ha deciso il caso Purdue Pharma affermando che non rientra nei poteri delle Bankruptcy Courts approvare un piano di ristrutturazione, presentato ai sensi del Chapter 11, che preveda l’esonero da responsabilità di soggetti terzi, diversi dal debitore, senza il loro consenso. La questione giuridica affrontata è se la Bankruptcy Court aveva il potere di approvare il release, l’esonero da responsabilità, di soggetti, i Sackler, che non sono parti nel procedimento di ristrutturazione, cioè del Chapter 11, senza il consenso di tutti coloro che hanno subito danni da dipendenza  per effetto della commercializzazione del farmaco contenente oppiacei OxyContin senza adeguate cautele. La giurisprudenza di merito è stata sino ad oggi favorevole, mentre la Corte Suprema ha ritenuto che l’esonero da responsabilità di soggetti terzi non rientri nei poteri dei giudici della crisi, salvo che nei casi espressamente previsti dalla legge (danni da amianto).
L’importanza della decisione sta nel fatto che essa interviene in un caso in cui si era formata una vastissima maggioranza (95%) tra i creditori a favore del piano, in relazione all’entità del risarcimento che i terzi, la famiglia Sackler, azionisti ed amministratori di Purdue Pharma, erano disposti a versare e delle difficoltà di recuperare altrimenti queste somme.
L’A. ripercorre il ragionamento seguito dalla sentenza e lo confronta con la dissenting opinion del giudice Kavanaugh, cui hanno aderito altri tre giudici della Corte. Per i dissenzienti le third parties releases sono un mezzo per ricondurre alle regole del concorso, evitando disparità di trattamento, le tort mass actions, le azioni di danni da parte delle vittime nei confronti degli amministratori, dirigenti e soci della società in procedura.
I primi commenti alla sentenza ne hanno sottolineato il carattere formalistico e astratto. Le critiche sono state vivaci.
Le third parties clauses sono previste anche dal diritto inglese, canadese e dalla nuova legge olandese in materia di ristrutturazione, la WHOA. Di qui l’ulteriore quesito se il riconoscimento negli Stati Uniti di procedure aperte in questi Paesi ai sensi del Chapter 15 del Bankruptcy code  sia ora precluso o meno. E’ poi da sottolineare che si tratta di questioni che ricevono in diritto italiano soluzioni molto distanti da quelle previste dal diritto americano. 

In a decision made on June 27, 2024, the Supreme Court of the United States, with a majority of 5 to 4, ruled on the Purdue Pharma case. The court determined that Bankruptcy Courts do not have the authority to approve a restructuring plan, filed under Chapter 11, that allows for the release of third parties, aside from the debtor, from liability without their consent. The main legal question addressed was whether the Bankruptcy Court could approve the release of the Sacklers, who are not involved in the restructuring proceedings, without the consent of those affected by addiction due to the marketing of the opioid-containing drug OxyContin. The Supreme Court held that the release of third parties from liability falls outside the jurisdiction of the Bankruptcy Court, unless expressly provided for by law (such as in asbestos damage cases). The significance of this decision is that it involves a case in which a large majority of creditors (95%) favored the plan, considering the amount of compensation the Sackler family, who are shareholders and directors of Purdue Pharma, were willing to pay and the difficulties in recovering these sums. Further discussion delves into the reasoning of the judgment and a dissenting opinion from Justice Kavanaugh, along with three other Justices of the Court who concurred. The dissenting opinion argues that third-party releases are a way to return to the principles of the bankruptcy process, preventing unequal treatment and avoiding mass tort actions and damage claims against the directors, managers, and shareholders of the company. Additionally, this ruling raises questions about the recognition in the United States of proceedings open in other countries under Chapter 15 of the Bankruptcy Code. It's important to note that similar issues have different solutions in Italian law compared to American law. Issues around third-party clauses are also addressed in English law, Canadian law, and the new Dutch restructuring law (WOHA).
Riproduzione riservata
1 . Premessa
Con la sentenza 27 giugno 2024 la Corte Suprema degli Stati Uniti [1] ha deciso il caso Purdue Pharma affermando che non rientra nei poteri delle Bankruptcy Courts approvare un piano di ristrutturazione, presentato ai sensi del Chapter 11, che preveda l’esonero da responsabilità di soggetti terzi, diversi dal debitore. La Corte di appello del Secondo Circuito (N.Y.), che è stata ora annullata, aveva dato via libera al piano, riformando la decisione della District Court che aveva annullato la decisione della Bankruptcy Court di approvazione del piano[2]. 
In passato negli Stati Uniti il quesito se un piano di ristrutturazione ( reorganization) approvato tramite una procedura di Chapter 11 potesse contenere la liberatoria o la limitazione della responsabilità di soggetti diversi dal debitore nei confronti dei creditori di questi ultimi, aveva avuto risposte in parte positive e in parte negative. Questo tipo di clausole era divenuto nel tempo abbastanza comune, ancorché, come vedremo, il bankruptcy code le prevedesse espressamente soltanto con riferimento alle azioni di danni da amianto (§. 524 (g) Bankruptcy Code). Il ricorso alle third parties release era divenuto comune nelle procedure di ristrutturazione collegate ad azioni collettive di danni, dove all’azione dei danneggiati nei confronti dell’impresa debitrice ( ad esempio per l’impiego di amianto) si aggiungeva la possibilità per le vittime di agire nei confronti degli amministratori e dei dirigenti della società o nei confronti di altre imprese del gruppo. Tuttavia la giurisprudenza aveva registrato perplessità perché l’esonero da responsabilità dei terzi non era previsto espressamente dal bankruptcy code, salvo che nel caso dei danni da amianto e perché tale esonero poteva prestarsi ad abusi operando come una e vera propria esdebitazione a favore dei terzi responsabili senza le garanzie (ed il voto dei creditori) disciplinati dal Chapter 11
Che un piano di ristrutturazione possa avere efficacia liberatoria nei confronti di soggetti terzi diversi dal debitore è concetto lontano dai principi generali del nostro ordinamento. L’art. 1239 c.c. prevede che la remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori ed è intesa come riferita anche alle garanzie reali. Essa, infatti, è espressione del principio che l’estinzione dell’obbligazione principale provoca l’automatica estinzione delle garanzie accessorie. Tuttavia, il principio non si applica integralmente in materia concorsuale perché l’art. 117 CCII stabilisce che i creditori nel concordato preventivo conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso. Salvo patto contrario, tuttavia, il concordato ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili. 
L’art. 117 CCII si applica anche nel P.R.O. essendo richiamato dall’art. 64 bis, comma 9. Identica disciplina è dettata dall’art. 79 per il concordato minore, ove il comma 5 fa tuttavia salva la diversa previsione del piano. Negli accordi di ristrutturazione l’art. 59 prevede che ai creditori aderenti si applichi l’art. 1239 con conseguente liberazione dei coobbligati, liberazione che non opera per i creditori non aderenti quando l’efficacia degli accordi sia loro estesa. Nel caso di società, salvo patto contrario, gli accordi hanno efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, che se hanno prestato garanzia continuano a rispondere per tale titolo, ove non sia diversamente previsto. 
La disciplina di gruppo degli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza ha efficacia soltanto processuale e si fonda sul principio che rimangono distinte le masse attive e passive di ogni impresa del gruppo. Ne deriva che non vi è possibilità di prevedere che il piano di gruppo o i piani collegati o coordinati possano avere efficacia estintiva delle obbligazioni di soggetti terzi. 
Nel diritto inglese[3] lo scheme of arrangement secondo la giurisprudenza consente la liberazione, il release, di soggetti terzi. In casi recenti i co-debitori, i garanti o i security providers, o anche i debitori principali (se un piano o un piano di ristrutturazione è proposto da un co-debitore o da un garante) hanno tutti ottenuto l'esonero, oltre ad altri terzi coinvolti nel processo di ristrutturazione, come amministratori, agenti e consulenti legali e finanziari delle parti. La ragione è che, in assenza della liberatoria, i terzi responsabili escussi dai creditori potrebbero agire in rivalsa contro il debitore in procedura. Questo credito di “rimbalzo (ricochet) comprometterebbe la ristrutturazione. Le third parties clauses sono frequenti anche nelle procedure canadesi. 
Come ha dimostrato il caso Oceanfill[4] i giudici inglesi hanno dato una lettura restrittiva del piano contenuto in uno scheme of arrangement limitando le third parties releases ai casi espressamente considerati dal piano: il discharge che vincola i creditori non ha effetti automatici sulle obbligazioni dei coobbligati. A ciò si aggiunge che i giudici inglesi, quando il release ha ad oggetto obbligazioni che sono governate da un diritto straniero o di cui sono debitori soggetti stranieri, richiedono la dimostrazione, in genere tramite il parere di un esperto locale, che lo scheme possa avere riconoscimento in quel diverso ordinamento. A tal scopo negli Stati Uniti si ricorre anche al riconoscimento della procedura inglese tramite l’apertura di un Chapter 15, il procedimento governato dal bankruptcy code americano per dare protezione e riconoscimento ad una procedura aperta in un altro ordinamento.  Anche la nuova legge olandese in materia di ristrutturazione, la WHOA, prevede le third parties release nell’ambito di una ristrutturazione di gruppo[5].
2 . La vicenda
La sentenza della Corte Suprema ha provocato forti reazioni tra i practitioners sia perché le third part clauses sono molto diffuse nei Chapter 11 americani sia per l’entità delle somme in discussione (il piano di ristrutturazione prevedeva l’erogazione da parte della famiglia Sackler, azionisti di Purdue, di ben 7 miliardi di dollari a fronte di danni valutati in 40 miliardi). 
Purdue si era trovata in crisi a seguito delle azioni di danni promosse nei suoi confronti da moltissime vittime dell’uso del farmaco OxyContin che veniva venduto nelle farmacie senza necessità di ricetta medica, pur contenendo oppiacei e causando dipendenza. La famiglia Sackler, proprietaria della società, pur avendo messo i propri beni in paradisi fiscali al riparo dall’azione dei creditori, aveva offerto i 7 miliardi in cambio di una third parties release, un accordo cioè, approvato dalla Bankrupcty Court, con cui la famiglia Sackler veniva esonerata da ulteriori pretese. 
La proposta era conveniente per i creditori sia per l’entità del risarcimento sia perché era difficile colpire i beni dei Sackler e difatti il piano, migliorato rispetto alla proposta iniziale, era stato approvato dal 95% dei creditori. Si erano però opposti lo U.S. Trustee, l’agenzia federale americana che vigila sull’applicazione della disciplina concorsuale, ed alcuni irriducibili, tra cui alcune tribù indiane canadesi.  I 7 miliardi offerti rappresentavano il massimo che i creditori potevano sperare di ottenere, anche se il patrimonio dei Sackler era stimato in 11 miliardi, perché esso era investito all’estero in trust e fondi difficilmente aggredibili e diviso tra i membri di una famiglia molto ramificata. 
La Corte Suprema ha deciso a stretta maggioranza con il voto favorevole di cinque componenti su nove. Alla sentenza, redatta dal Justice Gorsuch, con il voto favorevole dei giudici Thomas, Alito, Barrett, e Jackson è stata contrapposta una dissenting opinion del Justice Kavanaugh, cui hanno aderito il presidente della Corte Roberts, ed i giudici Sotomajor e Kagan. 
3 . La sentenza e la Dissenting Opinion
Daremo qui conto degli argomenti della sentenza e dell’opinione dissenziente redatta dal Justice Kavanaugh e condivisa da altri tre membri della Corte. 
Occorre anzitutto calarsi nella questione affrontata dalla Corte Suprema, che presenta, al di là della stretta questione di diritto, alcuni profili di carattere generale che riguardano le condizioni in base alle quali il debitore nel sistema americano può raggiungere un accordo con i suoi creditori e la questioni, potremmo dire, di giustizia sostanziale che hanno ispirato la maggioranza della Corte. 
La sentenza esordisce osservando che, se è vero che il bankruptcy code contiene una complessa disciplina relativa ai rapporti tra il debitore e i suoi creditori, questa complessità può ridursi ad un semplice deal: egli può ottenere il discharge dei suoi debiti se tratta onestamente con i creditori e mette a loro disposizione tutti i propri beni. Purdue Pharma ha agito diversamente. Travolta dalle azioni di danni derivanti dal ruolo assunto nella vendita dell’OxyContin, ha richiesto l’accesso al Chapter 11. I membri della famiglia Sackler, gli azionisti ed amministratori, investiti anch’essi da un crescente numero di azioni di danni, invece di accedere ad una procedura concorsuale (negli Stati Uniti non occorre essere imprenditori commerciali), hanno ottenuto dalla Corte che dirigeva la procedura a carico di Purdue, un ordine che cancellava un vasto numero di azioni, già promosse o promuovende nei loro confronti. Hanno ottenuto tale provvedimento senza il consenso degli interessati e senza mettere a disposizione dei creditori il loro intero patrimonio. 
Dopo aver sintetizzato la questione in questi termini, la sentenza si interroga se il Bankruptcy Code autorizzi il giudice a pronunciare un provvedimento di questo tipo. 
Prima ancora di affrontare la questione in diritto, la Corte Suprema si pone su un diverso piano, che riguarda la liceità dell’accordo raggiunto con la famiglia Sackler e la deviazione che tale accordo può rappresentare rispetto ai principi che regolano il Chapter 11. Public health 
Riportiamo testualmente[6] questo passaggio della sentenza: 
“L'epidemia da oppiacei rappresenta "una delle più grandi crisi della salute collettiva nella storia di questa nazione". Tra il 1999 e il 2019, circa 247.000 persone negli Stati Uniti sono morte per overdose da oppiacei. Il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti stima che l'epidemia da oppiacei sia costata al Paese tra i 53 e i 72 miliardi di dollari all'anno. Purdue è stata al centro di questi eventi. A metà degli anni '90, ha iniziato a commercializzare l'OxyContin, un antidolorifico da prescrizione di oppiacei. A causa della dipendenza da oppiacei che provocava, i medici ne avevano tradizionalmente riservato l'uso ai malati di cancro e a quelli "con malattie croniche". Ma l'OxyContin, sosteneva Purdue, aveva una nuova formula "a rilascio prolungato" che diminuiva notevolmente la minaccia della dipendenza. Su questa base, Purdue ha commercializzato l'OxyContin per l'uso in "una gamma molto più ampia" di applicazioni, anche come "terapia di prima linea per il trattamento dell'artrite".  Purdue era una "società familiare", posseduta e controllata dai Sackler. I membri della famiglia Sackler hanno ricoperto il ruolo di presidente e amministratore delegato; hanno dominato il consiglio di amministrazione; "erano fortemente coinvolti" nelle strategie di marketing dell'azienda.  Hanno anche "spinto gli obiettivi di vendita" e "accompagnato i rappresentanti di vendita nelle visite 'ride along' ai fornitori di assistenza sanitaria" nel tentativo di massimizzare le vendite di OxyContin.  Rapidamente, l'OxyContin è diventato "il farmaco narcotico di marca più prescritto" negli Stati Uniti.  Tra il 1996 e il 2019, "Purdue ha generato circa 34 miliardi di dollari di entrate, la maggior parte delle quali proveniva dalle vendite di OxyContin". Il successo dell'azienda ha spinto i Sackler nelle liste "delle prime venti famiglie più ricche d'America", con un patrimonio netto stimato di 14 miliardi di dollari. Alla fine, tuttavia, l'azienda è stata messa sotto inchiesta.  Nel 2007, un'affiliata della Purdue si è dichiarata colpevole di un reato federale per aver etichettato erroneamente l'OxyContin come "fonte di minor dipendenza " e "'meno soggetto ad abusi . . . rispetto ad altri farmaci antidolorifici'".  Sono seguite migliaia di cause civili quando persone fisiche, famiglie e governi all'interno e all'esterno degli Stati Uniti hanno chiesto i danni a Purdue e ai Sackler per lesioni presumibilmente causate dalle loro pratiche di marketing ingannevoli. Rendendosi conto che questo contenzioso "alla fine avrebbe avuto un impatto diretto su di loro", i Sackler hanno iniziato quello che un membro della famiglia ha descritto come un "programma di mungitura”. Negli anni precedenti il patteggiamento del 2007, le distribuzioni di dividendi di Purdue ai Sackler rappresentavano meno del 15% delle entrate annuali. Dopo il patteggiamento, i Sackler hanno iniziato a prelevare fino al 70% delle entrate dell'azienda ogni anno.  Tra il 2008 e il 2016, le distribuzioni di dividendi alla famiglia hanno totalizzato circa 11 miliardi di dollari, prosciugando il patrimonio complessivo di Purdue del 75% e lasciandola in uno stato "finanziario significativamente indebolito".  I Sackler hanno dirottato gran parte di quel denaro verso trust esteri e società a conduzione familiare. 
Riportiamo ancora una sintesi delle iniziative processuali di Purdue e dei Sackler, come riassunte dalla Corte Suprema: 
Nel 2019 Purdue presentò la domanda di accesso al Chapter 11 ed i Sackler videro in ciò l’opportunità di realizzare i loro scopi. Proposero di versare alla massa attiva di Purdue 4 miliardi e 325 milioni degli 11 miliardi che avevano prelevato dalla società negli anni precedenti. La restituzione sarebbe però avvenuta con versamenti distribuiti nell’arco di dieci anni e ad una duplice condizione: anzitutto i Sackler chiedevano l’estinzione di tutte le azioni che la procedura poteva vantare nei confronti dei membri della famiglia, comprese quelle relative al trasferimento fraudolento dei fondi. In secondo luogo, pretendevano di porre fine alle azioni intraprese dalle vittime dell’uso degli oppiacei. Essi chiedevano un release e un’ingiunzione. Il release non riguardava soltanto i creditori partecipanti al Chapter 11, ma i crediti vantati da chiunque potesse agire nei confronti di Purdue. Dovevano essere estinte le azioni non soltanto per negligenza, ma anche per frode e dolo (fraud and willful misconduct). E si escludeva la necessità del consenso delle vittime che tali azioni avevano proposto. 
L’ingiunzione doveva impedire non soltanto le azioni nei confronti dei dirigenti e degli amministratori di Purdue, ma sarebbe andata a favore di “centinaia, se non migliaia, di membri della famiglia Sackler e di enti sotto il loro controllo”. 
La proposta fu inserita da Purdue nel piano che venne proposto nell’ambito del Chapter 11. 
Il piano fu approvato dalla Bankruptcy Court, ma la decisione fu annullata dalla District Court, che ritenne che nulla nella legge autorizzasse la Bankruptcy Court ad estinguere i crediti delle vittime dell’uso degli oppiacei senza il loro consenso. Nelle more dell’impugnazione alla Corte di appello del secondo Circuito fu raggiunto un accordo migliorativo sulla somma che i Sackler erano disposti a pagare…(portando la somma messa a disposizione a 7 miliardi complessivi n.d.r.).  Tanto bastò perché otto Stati americani e il District of Columbia che inizialmente erano contrari, aderissero all’accordo. Rimasero contrari alcuni creditori canadesi e lo U.S. Trustee (l’Agenzia federale cui è demandata la vigilanza sulla legalità delle procedure n.d.r.). La Corte di appello accolse l’impugnazione, ma lo U.S. Trustee impugnò avanti alla Corte Suprema.
4 . Il punto controverso
La Corte Suprema parte da una sintetica esposizione della disciplina del Chapter 11 americano (le citazioni tra parentesi si riferiscono alle sezioni del Bankruptcy Code): 
I proponenti del piano e lo U.S. Trustee concordano su alcuni punti fondamentali. Quando un debitore presenta istanza di accesso alla bankruptcy, "crea un patrimonio (estate) " che include praticamente tutti i beni del debitore (11 U.S.C. §541(a)).  Ai sensi del Chapter 11, il debitore può collaborare con i suoi creditori per elaborare un piano di riorganizzazione che disciplini la distribuzione dei beni dell’estate.  Deve quindi presentare tale piano alla Bankruptcy Court e ottenere la sua approvazione (§§1121, 1123, 1129, 1141).  Una volta che la Bankruptcy Court emette un'ordinanza che conferma il piano, tale documento vincola il debitore e i suoi creditori in futuro, anche quelli che non hanno acconsentito al piano.  (§1141(a)). E’ più rilevante che l'ordinanza della Bankruptcy Court che conferma un piano "libera il debitore da qualsiasi debito sorto prima della data di tale conferma", ad eccezione di quanto previsto nel piano, nell'ordine di conferma o nel codice (§1141(d)(1)(A)). Tale estinzione non solo rilascia o "annulla qualsiasi giudizio passato o futuro sul’ debito estinto; ma "opera anche come un'ingiunzione . . . che vieta ai creditori di tentare di riscuotere o recuperare il debito" (Tennessee Student Assistance Corporation v. Hood, 541 U. S. 440, 447 (2004) che cita §§524(a)(1), (2)).  In generale, tuttavia, l'esdebitazione opera solo a beneficio del debitore nei confronti dei suoi creditori e "non pregiudica la responsabilità di nessun altro soggetto" §524(e). I Sackler non hanno chiesto di aprire la procedura di bankruptcy e non hanno messo tutti i loro beni sul tavolo per la distribuzione ai creditori, eppure cercano ciò che essenzialmente equivale a un discharge. Sperano di ottenere un ordine del giudice che li liberi dalle azioni pendenti contro di loro proposte dalle vittime da oppiacei.  Domandano un'ingiunzione "permanente e per sempre" che precluda cause simili in futuro.  E chiedono tutto questo senza il consenso degli interessati.  La questione che ci troviamo ad affrontare si riduce quindi al quesito se una Corte in un procedimento di bankruptcy possa effettivamente estendere ai non debitori i benefici di un discharge del Chapter 11 solitamente riservati ai debitori. 
Per rispondere al quesito la Corte Suprema argomenta dalla disciplina della sezione 1123 (b) del Bankruptcy Code che stabilisce il contenuto del piano di reorganization. In forza della norma ora richiamata il piano può: 
 "(1) incidere su (impair) o lasciare inalterata qualsiasi classe di crediti, garantiti o non garantiti, o di interessi; 
" (2) . . . prevedere la prosecuzione, l’esclusione o la cessione di qualsiasi contratto esecutivo o contratto di locazione non scaduto del debitore non precedentemente escluso ai sensi del [§365]; 
"(3) prevedere: 
"(A) la liquidazione o la rideterminazione di qualsiasi credito o interesse appartenente al debitore o al patrimonio; o 
"(B) la conservazione e l'esecuzione da parte del debitore, del trustee o di un rappresentante della massa nominato a tale scopo, di qualsiasi credito o interesse; " (4) provvedere per la vendita di tutti o sostanzialmente tutti i beni della massa e la distribuzione dei proventi di tale vendita tra i titolari di crediti o interessi; 
"(5) modificare i diritti dei titolari di crediti garantiti, diversi da quelli garantiti solo da una garanzia su un bene immobile che sia la residenza principale del debitore, o dei titolari di crediti chirografari, o lasciare inalterati i diritti dei titolari di qualsiasi classe di crediti; e 
"(6) includere ogni altro provvedimento appropriato che non sia in contrasto con le disposizioni applicabili del presente titolo".[7] 
 La Corte Suprema osserva che le prime cinque ipotesi considerate dalla Sezione 1123 (b) riguardano la disciplina dei crediti e del patrimonio che fanno capo al debitore (1123 (b) (2), (3), (4) o consentono che il piano incida sui diritti che i creditori vantano nei confronti del debitore o del suo patrimonio (1123, (b) (1), (5). Secondo la Corte le cinque ipotesi ora considerate non consentono al piano di estinguere i diritti vantati nei confronti di soggetti terzi, quali i Sackler. Tale possibilità può derivare soltanto dall’ultima ipotesi considerata dalla sez. 1123 (b), così come aveva ritenuto la Corte d’appello nella sua decisione. Secondo la tesi sostenuta da Purdue, il paragrafo 6 della sezione 1123 consente al debitore di includere nel piano, e di conseguenza al giudice di approvare, ogni disposizione non espressamente vietata dal bankruptcy code sino a quando un bankruptcy judge la ritiene appropriata e coerente con le ampie finalità della procedura. Poiché il codice non vieta espressamente il discharge di un soggetto non debitore, il giudice é libero di autorizzarlo purché si tratti di una disposizione “appropriata”. 
Tuttavia, osserva la Corte Suprema, il par. 6 della sezione 1123 è una catchall phrase, una formula generica di chiusura, che non deve essere necessariamente interpretata nel senso più ampio possibile. Va invece letta alla luce del contesto in cui si trova e dell’elencazione che la precede. Così, ad esempio, se una legge contiene un elenco quale “auto, autocarri, motocicli e ogni altro veicolo” si potrà interpretare la catchall phrase come riferita ad ogni altro mezzo di trasporto via terra, ma non agli aerei ed ai sommergibili. Questa regola, che in diritto americano è definita come il canone dello eiusdem generis, ha la funzione di garantire alla legge l’ambito di applicazione che le sarebbe attribuito da un lettore ragionevole. 
Secondo la Corte Suprema il par. 6 va letto alla luce delle disposizioni che lo precedono e che riguardano il debitore, i suoi diritti e le sue responsabilità, e la sua relazione con i creditori. E’ certamente vero che il par. 6 concede ulteriori poteri al giudice, ma tra questi poteri non può essere compreso un potere radicalmente differente, di cancellare i debiti di un soggetto diverso dal debitore senza il consenso dei creditori interessati. Un provvedimento appropriato, come lo definisce il par. 6, non può che riferirsi al medesimo contesto che è oggetto dei precedenti cinque paragrafi della sezione 1123 (b). 
Giunta a questa conclusione la Corte Suprema prende in considerazione gli argomenti sostenuti dall’opinione dissenziente del Justice Kavanaugh. Questi osserva che non è vero che le disposizioni della sezione 1123 (b) riguardano soltanto i diritti e le responsabilità del debitore. Queste disposizioni riguardano anche i crediti derivati nei confronti di soggetti diversi dal debitore. 
Nella sua dissenting opinion il giudice Kavanaugh osserva anzitutto che il caso Purdue Pharma è un caso in cui la procedura di bankruptcy riguarda anche un illecito civile di massa. L’azione delle vittime, quando vi è un danno collettivo ad una vasta cerchia di persone, presenta per i danneggiati lo stesso problema dell'azione collettiva dei creditori che la procedura concorsuale è stata progettata per affrontare.  Senza una norma vincolante che consolidi i crediti davanti ad un unico giudice, i danneggiati entrerebbero in competizione davanti al tribunale, competizione che favorirebbe i primi ad agire e danneggerebbe gli altri, perché non tutti troverebbero soddisfazione in pari misura nel patrimonio del danneggiante. In altri termini si tratta di trovare una soluzione che estenda i principi del concorso collettivo dei creditori alle azioni di massa dei danneggiati. 
Da molti decenni, scrive Kavanaugh, il diritto fallimentare americano è intervenuto attribuendo alla bankruptcy court il ruolo di tribunale di coordinamento in casi significativi di illeciti di massa. Quando un'impresa responsabile di illeciti di tal tipo accede alla bankruptcy, il sistema fallimentare consente (e richiede) alle vittime di tali illeciti che cercano risarcimento dalla società in procedura, di collaborare per raggiungere una distribuzione giusta ed equa dei beni dell'impresa. Al di fuori della procedura concorsuale le vittime vanno incontro a rilevanti costi gestionali in cause radicate in più di un distretto di corte d’appello. Gli strumenti di coordinamento sono limitati e non vi sono possibilità di vincolare alle decisioni assunte le vittime che agiranno in futuro. Chi non è d’accordo con le azioni intraprese ha la possibilità di opt out, di dissociarsi, e non è vincolato. 
La procedura concorsuale riduce i costi di gestione e consente a tutte le parti interessate di agire insieme, arresta i giudizi radicati in altra sede, prevede garanzie processuali, ivi compresa la discovery, e consente di raggiungere una soluzione collettiva che considera sia le vittime attuali che quelle future. 
In diversi casi, che riguardano appunto le azioni per illecito di massa, il responsabile non è soltanto la società debitrice, ma anche altre persone o enti strettamente collegati, amministratori e dirigenti, che possono essere titolari di asset importanti ed essere potenzialmente responsabili per gli illeciti della società. 
Vi possono essere difficoltà per i danneggiati nell’agire contro questi terzi responsabili sia per problemi di carattere tecnico-giuridico sia perché è complesso aggredirne i beni.  In questi casi può essere raggiunto un accordo con cui gli amministratori e i dirigenti possono versare somme rilevanti alla società in procedura, finalizzate al soddisfacimento delle vittime. In questo modo l’attivo della procedura aumenterà a beneficio di queste ultime. La distribuzione di queste somme nelle forme previste per la ripartizione tra i creditori permetterà anche una distribuzione rispettosa del principio di parità di trattamento tra i creditori, fair and equitable. 
Vi è ancora un aspetto che deve essere sottolineato. Sovente gli amministratori ed i dirigenti hanno diritto ad essere tenuti indenni da responsabilità da parte della società per cui hanno operato. In questo caso “l’azione contro il terzo non debitore è sostanzialmente un’azione contro il debitore”[8]. I danneggiati potrebbero agire nei confronti degli amministratori e dei dirigenti ed ottenere una condanna per gli stessi crediti che possono far valere nei confronti della società debitrice. In caso di successo quest’azione svuoterebbe l’attivo della procedura perché dirigenti ed amministratori avrebbero la possibilità di farsi tenere indenni dalla società debitrice[9]. Un problema analogo riguarda il caso in cui vi sia una copertura assicurativa che copre la responsabilità per l’illecito. In tale ipotesi concorrono l’azione della società debitrice per il recupero dell’indennizzo dovuto dall’assicuratore con l’azione diretta delle vittime nei confronti del medesimo assicuratore. Un gruppo di vittime potrebbe ottenere l’intero indennizzo sino a concorrenza della copertura assicurativa. Ciò impedirebbe che tali somme siano utilizzate come parte dell’attivo di massa. 
Per risolvere questi problemi la giurisprudenza delle Bankruptcy Court ha utilizzato da tempo il release dei terzi non debitori in alcuni complessi casi di bankruptcy. I releases furono utilizzati per la prima volta nelle insolvenze con danni collettivi derivanti dall’impiego di amianto. 
Così, ad esempio, dopo che A. H. Robins fece accesso alla bankruptcy nel 1985 a fronte dell’ingente debito per danni da lesioni causate dal suo dispositivo intrauterino difettoso, il Dalkon Shield, quasi 200.000 vittime presentarono richieste di danni[10].  Una disposizione del piano di reorganization, che liberava gli amministratori e la compagnia di assicurazione della società, garantiva che la massa attiva non sarebbe stato esaurita dalle richieste di indennizzo o di risarcimento presentate direttamente contro gli amministratori o l'assicuratore.  Impedire alle vittime di impegnarsi in un "contenzioso frammentario" contro gli amministratori non debitori e la compagnia di assicurazione era l'unico modo per garantire "la parità di trattamento dei creditori in condizioni simili". Pertanto, la Bankruptcy Court ritenne (e la corte di appello del Quarto Circuito ha concordato) che il release era "necessario ed essenziale" per il successo della procedura. Il piano alla fine prevedeva che le vittime fossero risarcite integralmente ed il piano fu approvato a stragrande maggioranza. La stessa soluzione fu adottata nel caso della Dow Corning Corporation nel 1995, un caso in cui era questione della responsabilità derivante dalla produzione e vendita di protesi mammarie in silicone[11]. 
Osserva la Dissenting Opinion che la necessità di questo strumento per affrontare procedure concorsuali complesse non è scomparsa. Senza l'opzione della procedura concorsuale con liberatoria dei terzi non debitori, "le vittime di illeciti civili in diversi recenti casi di alto profilo avrebbero ricevuto un risarcimento inferiore; il risarcimento sarebbe stato distribuito in modo iniquo; e i costi di gestione per risolvere le loro richieste sarebbero stati più alti"[12]. I casi più recenti e significativi sono quelli del Chapter 11 delle vittime degli illeciti riferibili ai Boy Scouts of America e a diverse Diocesi della Chiesa Cattolica. 
In entrambi i casi un’organizzazione nazionale o regionale era il debitore nella procedura di Chapter 11, ma condivideva la responsabilità con altre numerose entità autonome locali. Senza un meccanismo di coordinamento l’azione delle vittime nei confronti di uno di questi soggetti avrebbe esaurito la copertura assicurativa, che era condivisa con tutti gli altri responsabili, lasciando senza protezione gli altri danneggiati. Attraverso il Chapter 11 e la liberazione dei soggetti terzi responsabili le entità locali sono state in grado di mettere in comune le loro risorse per creare un fondo nell’unica massa della procedura concorsuale per risarcire le vittime in modo sostanziale ed equo[13]. 
Il caso Purdue Pharma, osserva il giudice Kavanaugh, presenta le stesse caratteristiche dei casi prima ricordati. 
In forza di un accordo del 2004, Purdue aveva accettato di pagare i danni e le spese legali che i funzionari e gli amministratori di Purdue avrebbero dovuto affrontare per le sentenze di condanna relative all’attività della società, comprese quelle relative ai danni da oppiacei.  Tale accordo copriva le sentenze contro i Sackler e le relative spese legali. 
Nella sostanza i Sackler condividevano buona parte delle responsabilità che Purdue doveva affrontare per le condotte tenute nella questione della vendita degli oppiacei. 
I crediti per danni nei confronti dei Sackler erano strettamente connessi, se non del tutto identici, ai crediti nei confronti di Purdue. Ma a causa dell'accordo di indennizzo, se le vittime e i creditori avessero citato in giudizio direttamente i Sackler per pretese relative a Purdue o agli oppiacei, i Sackler avrebbero avuto una base ragionevole per chiedere il rimborso a Purdue per i danni e le spese del contenzioso. Nella sostanza la causa contro il terzo non debitore si poteva trasformare in un’azione contro il debitore o poteva esaurirne il patrimonio. La liberazione di Purdue dai debiti attraverso il piano di reorganization era indispensabile per garantire l’integrità della massa attiva e il soddisfacimento fair and equitable dei creditori e delle vittime nello stesso modo in cui era indispensabile la liberazione dei terzi non debitori, cioè dei Sackler. 
Sulla base di queste premesse il giudice Kavanaugh contesta l’applicazione da parte della Corte Suprema del canone dell’eiusdem generis. Osserva che una catchall phrase ha in sostanza la funzione di aggiungere ad un elenco il riferimento a casi simili. La lettura estensiva non può sfidare il buon senso e deve riguardare beni o azioni che svolgono lo stesso scopo individuato dal legislatore. 
Fin qui, nella sostanza, l’interpretazione della catchcall phrase da parte della Corte Suprema e della dissenting opinion è la stessa. Ma Kavanaugh contesta la premessa da cui muove la Corte e cioè che le prime cinque ipotesi disciplinate ai nn. 1-5 della sezione 1123 (b) considerino soltanto il debitore – i suoi diritti e le sue responsabilità – e la sua relazione con i creditori. 
In primo luogo, osserva, la formula impiegata dalla Corte Suprema è vaga e generica. La liberazione dei terzi non debitori riguarda crediti per danni derivanti dalla condotta illegittima di Purdue. La liberazione riguarda crediti di cui sono titolari le vittime e i creditori del debitore, cioè di Purdue. E la liberazione protegge il debitore dalle azioni di rivalsa promosse dai Sackler. La liberazione dei terzi non debitori non soltanto riguarda il debitore, ma è essenziale per la riorganizzazione del medesimo. 
Il giudice Kavanaugh osserva che non è vera la premessa della Corte Suprema che i paragrafi da 1 a 5 della sezione 1123 si riferiscono soltanto al debitore. Il paragrafo b (3) consente ad una bankruptcy court di approvare un piano che intervenga su un credito che il debitore vanti nei confronti dei terzi. Se, possiamo aggiungere, è normale che un tribunale fallimentare abbia tali poteri, come avviene anche in Italia, vi è però un profilo particolare. In vari casi, compreso Purdue, i creditori possono vantare crediti derivati nei confronti del medesimo terzo con cui interviene la transazione, per lo stesso danno arrecato alla massa. L’accordo tra la procedura e il terzo estingue anche i crediti derivati che possono essere vantati dai creditori. 
Ritenere che la catchcall phrase contenuta in b (6) possa estinguere i crediti diretti vantati dai creditori nei confronti del terzo significa prendere in considerazione fondamentalmente lo stesso fenomeno. 
Nel caso Purdue, osserva Kavanaugh, uno dei principali asset della massa è rappresentato dal credito per 11 miliardi di dollari di Purdue nei confronti dei Sackler per trasferimenti fraudolenti degli attivi della società. L’accordo con i Sackler riguarda questi trasferimenti e costituisce una transazione che tiene conto delle concrete possibilità di recupero di questi crediti. Il risultato della transazione è anche di estinguere i diritti derivati di azione per questo titolo dei creditori e delle vittime ai sensi del paragrafo 1123 (b) (3). Non vi è dubbio che il bankruptcy code consente la liberazione dei terzi non debitori per quanto riguarda queste azioni derivative[14]. 
E’ dunque evidente che la sezione 1123 (b) (3) è norma che va oltre il significato che la Corte Suprema attribuisce ai primi cinque paragrafi della sezione stessa. Non vale opporre, osserva la dissenting opinion, come fa la Corte Suprema, che la ragione di (b) (3) sta nel fatto che si tratta di diritti che fanno parte della massa attiva e di cui pertanto la procedura può disporre. Vero, osserva Kavanaugh, ma ciò non toglie che la liberazione dalle azioni dirette di soggetti non debitori in forza del catchall è simile alla liberazione dalle azioni derivative dei medesimi soggetti. Sia i crediti derivati che quelli diretti nei confronti dei Sackler sono detenuti dalle stesse vittime e dagli stessi creditori, e sia i crediti derivati che quelli diretti nei confronti dei Sackler potrebbero esaurire il patrimonio di Purdue. 
A questa ipotesi, osserva Kavanaugh, si possono aggiungere le liberatorie consensuali dei non debitori, regolarmente incluse nei piani di riorganizzazione, anche se tali liberatorie si applicano ai crediti delle vittime o dei creditori nei confronti dei non debitori. 
Si tratta peraltro di liberatorie che vincolano soltanto i creditori che hanno espressamente acconsentito[15]. Alcune Corti hanno ritenuto che le liberatorie consensuali traggano fondamento dall’accordo raggiunto con i creditori, e che un piano contenente una liberatoria di terzi sia un contratto che vincola coloro che votano a favore[16].  I creditori ricevono il trattamento previsto dal piano come conseguenza dell'approvazione delle disposizioni del piano stesso, comprese quelle che liberano terze parti. Quando una liberatoria di terzi è volontaria, "non è diversa da qualsiasi altro accordo o contratto e non implica l’applicazione della sezione 524(e)[17].  
Per Kavanaugh non è rilevante che il principio non sia controverso, quanto il fatto che si tratta di liberatorie che non trovano espresso fondamento nel bankruptcy code. Esse possono avere giustificazione normativa soltanto nel par. 1123 (b) (6) e quindi nella catchall phrase. È vero, ammette Kavanaugh, che la giustificazione delle liberazioni consensuali potrebbe riposare nell’accordo delle parti, ma resta che il Bankruptcy Code non offre spiegazioni in proposito, mentre in generale gli accordi contrattuali non si fondano su norme federali, ma su discipline dei singoli Stati, che possono trovare attuazione davanti alle Corti statali, non a quelle federali come le Bankruptcy Courts
Un’altra ipotesi che, secondo la dissenting opinion, si spiega soltanto con il par. 1123 (b) (6) della sezione 1123 riguarda le full satisfaction release clauses, cioè le liberatorie con cui si dà atto che il credito è stato integralmente soddisfatto. Tali clausole fanno parte del piano di riorganizzazione e prevedono il pagamento integrale dei crediti vantati dai creditori nei confronti di terzi diversi dal debitore e quindi estinguono tali crediti. Quando una liberatoria di questo tipo è inclusa in un piano di riorganizzazione, l'organo giurisdizionale competente per la procedura fallimentare esercita il controllo anche sui crediti dei creditori nei confronti dei non debitori. 
Una terza ipotesi è rappresentata dalle clausole di esonero da responsabilità (exculpation clauses) che proteggono i fiduciari della massa e gli altri professionisti (non debitori) dalla responsabilità per il loro lavoro sul piano di riorganizzazione. Senza questa garanzia i professionisti sarebbero scoraggiati dall’impegnarsi nella procedura concorsuale per timore di azioni di danni nei loro confronti. Per questa ragione le corti approvano l’inserimento di siffatte clausole nei piani di riorganizzazione. Anche in questo caso si tratta di liberatorie da azioni dei creditori nei confronti di soggetti, i professionisti, che sono terzi rispetto al debitore. 
Un caso di questo genere, continua la dissenting opinion, è stato affrontato proprio dalla Corte Suprema nel 1990[18]. I dirigenti della società debitrice sottoscrissero un accordo con cui accettavano di contribuire con denaro proprio perché la società in procedura potesse pagare i crediti relativi al trust fund tax liability, per evitare di risponderne integralmente in proprio. Il piano prevedeva che i dirigenti fossero liberati dalla responsabilità personale per il pagamento di tali imposte. Di fronte all’eccezione che la Bankruptcy Court non aveva autorità in base al bankruptcy code, in particolare in base al par. 1123 (b) (6) per approvare il piano, la Corte Suprema ritenne diversamente. Il piano riduceva la responsabilità di un soggetto terzo, i dirigenti della società debitrice, nei confronti di un altro soggetto terzo, a fronte della previsione che il piano consentisse alla debitrice di provvedere al pagamento. 
Questi rilievi, volti a dimostrare che la catchall phrase giustifica la liberazione da crediti vantati da soggetti terzi, in casi in cui l’efficacia della clausola per diritto americano non è controversa, possono sembrare a prima vista scarsamente persuasivi. Occorre, tuttavia, ricordare che il “consenso” dei creditori secondo una parte della giurisprudenza è presunto in caso di voto favorevole e che la liberazione da responsabilità dei professionisti, pur rappresentando una clausola usuale nei piani, non ha chiara natura consensuale.  
Con un diverso ragionamento, fondato sulla ratio legis, la dissenting opinion afferma che la lettura complessiva che la Corte Suprema ha dato del canone dell’eiusdem generis è sbagliata. 
Ripercorrendo le linee del ragionamento sulla funzione delle tort mass clauses la opinion ribadisce che lo scopo del par. 1123 (b) è di assicurare alle bankruptcy courts un ampio potere di approvazione delle clausole del piano di riorganizzazione necessarie per assicurare il suo esito favorevole. La liberazione dai crediti vantati dai creditori e dalle vittime nei confronti degli amministratori e dirigenti di Purdue è altrettanto essenziale che la liberazione del debitore dai crediti vantati dai creditori a fronte dell’adempimento delle obbligazioni assunte con il piano. Per la dissenting opinion, le liberatorie non consensuali contro i Sackler non sono solo di un genere simile, ma in effetti sono la stessa cosa delle liberatorie non consensuali contro la Purdue che tutti concordano sul fatto che il §1123(b)(1) autorizza.  Entrambe sono necessarie per preservare la massa attiva e prevenire problemi di azione collettiva che avrebbero potuto prosciugare l’attivo proprietà di Purdue, e quindi entrambi sono necessarie per consentire al piano di riorganizzazione di Purdue di avere successo e di distribuire equamente i beni.
5 . Gli ulteriori argomenti della Corte
La risposta della sentenza della Corte Suprema agli argomenti sviluppati dalla dissenting opinion prende in considerazione principalmente la questione dei derivative claims che possono essere oggetto di release da parte della bankruptcy court. La Corte non lo nega e non nega neppure che tale potere si fonda sulla previsione della sezione 1123 (3). Osserva però che per diritto americano i derivative claims appartengono al patrimonio del debitore. In una azione derivata l’attore è tale soltanto in senso formale. Il diritto sostanziale appartiene alla società debitrice. La Corte Suprema ribadisce che il discharge consentito ai Sackler è tutt’altra cosa. In luogo di dare una risposta al soddisfacimento di crediti che appartengono alla società debitrice, estingue crediti che appartengono ai danneggiati e hanno come soggetto passivo i Sackler. In una nota a pié di pagina la Corte Suprema[19] afferma che la dissenting opinion nel tentativo di offuscare questa distinzione, sottolinea che il release di Sackler copre le richieste di risarcimento per le quali la condotta di Purdue è un "fattore legalmente rilevante". Ma ciò non cambia il fatto che la liberazione dei Sackler estinguerebbe le richieste delle vittime nei loro confronti Tali pretese non appartengono a Purdue né sono fatte valere nei confronti di Purdue o del suo patrimonio. 
Di fronte al complesso ragionamento della dissenting opinion sulla capacità del release di risolvere i problemi dell’equa distribuzione delle risorse nel caso di azioni di danno di massa che si coniugano con una ristrutturazione ai sensi del Chapter 11, la risposta della Corte Suprema è netta: “sì, il diritto concorsuale può servire ad affrontare alcuni problemi delle azioni collettive, ma nessuno (tranne forse la dissenting opinion) pensa che fornisca a una bankruptcy court un mandato a risolvere tutti i problemi che si presentano, cieco al ruolo che altri meccanismi (legislazione, azioni collettive, contenzioso multidistrettuale, accordi consensuali, tra gli altri) svolgono nell'affrontarli”. 
I cinque paragrafi che precedono il catchall dicono che le bankruptcy courts possono avere molti poteri, incluso quello di affrontare alcuni problemi delle azioni collettive quando riguardano i diritti e le responsabilità del debitore. Ma queste indicazioni dimostrano anche che i poteri di una bankruptcy court non sono illimitati e non le conferiscono la potestà di estinguere senza il loro consenso i crediti di cui sono titolari soggetti diversi dal debitore (in questo caso, le vittime da oppiacei) nei confronti di altri terzi (in questo caso, i Sackler). 
La Corte Suprema argomenta ancora da due altri ordini di considerazioni. 
In primo luogo, si osserva, il bankruptcy code non soltanto riserva il discharge al solo debitore, ma pretende che questi metta a disposizione tutto il suo patrimonio in favore dei creditori. Nel caso dei Sackler non soltanto ciò non si verifica perché questi pagano una somma inferiore al loro patrimonio complessivo, ma la liberazione comprende crediti che sono esclusi dalla liberatoria, quali le azioni di danni fondate sulla frode o sul dolo. Ancora il discharge non può riguardare il diritto ad un giudizio davanti alla giuria con riguardo ad una lesione personale o ad un’azione di danni per omicidio colposo. Il discharge verrebbe accordato senza il consenso di coloro che sono vittime dirette di tali illegittime condotte. 
Il secondo argomento portato dalla Corte Suprema riguarda il par. 524 (e) del bankruptcy code. In materia di azioni di danni derivanti dall’impiego di amianto il par. 524 prevede “un'ingiunzione .(per) . . vietare qualsiasi azione diretta contro una terza parte" in determinate circostanze specificate dalla legge. Cfr. §524(g)(4)(A)(ii).  Secondo la Corte il fatto che il codice autorizzi i tribunali ad estinguere le azioni di danni di terzi senza il loro consenso, ma lo faccia in un solo caso, rende ancora più improbabile che il §1123(b)(6) possa essere letto nel senso di concedere ai tribunali la stessa autorità in ogni contesto. 
Infine la Corte Suprema osserva che il bankruptcy code approvato nel 1978 dal Congresso degli Stati Uniti derivava dalla legislazione precedentemente vigente, di cui non ha fatto tabula rasa. Tutte le leggi fallimentari che le parti hanno indicato, dal 1800 fino al 1978, hanno generalmente riservato i benefici della liberazione dai debiti al debitore che offriva una "giusta e piena cessione dei [suoi] beni”. Se il Congresso avesse inteso nel 1978 rompere con la passata tradizione, lo avrebbe detto chiaramente. 
La lettura che la dissenting opinion dà della disciplina del bankruptcy code sotto questi profili è esattamente il contrario di quanto sostiene la Corte Suprema. 
Con riguardo al §. 524 il giudice Kavanaugh osserva che la norma, emanata nel 1994 con riguardo ai casi di danni derivanti dall’impiego di amianto, contiene (§. 524(g) un’espressa indicazione in senso opposto a quanto ritenuto dalla Corte Suprema:  “Nulla di quanto contenuto nel [§524(g)] deve essere interpretato in modo da modificare, compromettere o sostituire qualsiasi altra autorità di cui dispone la Corte per emettere ingiunzioni in relazione a un'ordinanza che conferma un piano di riorganizzazione”. Quindi la disciplina in materia di amianto non rappresenta un’eccezione che conferma altrimenti il principio ritenuto dalla Corte Suprema. Il legislatore si è preoccupato proprio di evitare questa lettura. 
La legislazione speciale in materia di amianto fu emanata nei primi tempi in cui le Corti avevano iniziato ad approvare piani di riorganizzazione che prevedevano la liberazione dei terzi non debitori. Si era trattato di una legislazione di emergenza che riguardava i casi in materia di amianto che in quel periodo stavano ingolfando le corti americane. Occorreva anche porre rimedio a situazioni particolari, perché le lesioni da amianto possono avere un lungo periodo di latenza e di conseguenza il problema andava risolto anche con riguardo alle azioni che avrebbero potuto essere intentate in futuro. 
Ma se il legislatore americano aveva ritenuto di dover intervenire sull’amianto, ciò non toglieva che le Corti avevano iniziato ad autorizzare la liberazione dai crediti dei terzi non debitori anche con riferimento a situazioni che nulla avevano a che fare con l’amianto, come nel già ricordato caso delle azioni collettive di danni derivanti dal Dalkon Shield. La previsione che la norma speciale sulle azioni relative ai danni da amianto non toccasse i poteri in generale delle Corti, va letta alla luce di questa realtà. 
Osserva ancora la dissenting opinion che la Corte Suprema non ha considerato che non è questione di discharge dei Sackler, ma di release. Non si tratta dell’ampia protezione del discharge, cioè di esdebitazione, ma di un istituto di minor portata, che è strettamente legato all’accordo raggiunto in ordine al versamento di denaro alla massa. Il release riguarda soltanto i crediti che derivano o sono legati all’insolvenza di Purdue, per i quali la condotta tenuta da Purdue è stata la causa o un fattore legalmente rilevante per l’azione. 
Proprio perché non si tratta di esdebitazione, ma di liberazione a fronte di una transazione, non vi sono ostacoli in diritto a che oggetto dell’accordo siano anche crediti che derivano da comportamenti fraudolenti. Nella specie è indiscusso che si tratta dei crediti nei confronti dei Sackler che derivano dai trasferimenti fraudolenti di denaro da costoro effettuati in danno di Purdue e dei creditori. Altri crediti derivanti da comportamenti fraudolenti possono essere oggetto di transazione e liberazione. 
Questo argomento è respinto dalla Corte Suprema che mostra di considerare il discharge e il release fenomeni che nella sostanza non sono diversi. 
La dissenting opinion contesta il ragionamento della Corte Suprema in ordine alla linea interpretativa che si potrebbe trarre dalla storia della legislazione concorsuale americana prima dell’approvazione del Bankruptcy Code nel 1978. Il giudice Kavanaugh osserva che tali precedenti sono irrilevanti e che ciò che la Corte trascura è la giurisprudenza consolidata in materia di third parties clauses e anche che il Bankruptcy Code assicura alle corti giurisdizione sulle azioni nei confronti di terzi che hanno un effetto sul patrimonio del debitore (U.S.C. §§. 157 (a), 1334 (b). Le Corti normalmente impiegano le misure protettive, lo stay, per impedire azioni, anche liti che riguardano soltanto soggetti terzi, che potrebbero incidere sull’attivo della massa. Le norme del codice che espressamente riguardano la sospensione delle azioni che riguardano il debitore (§. 362), così come quelle che riguardano la liberazione da crediti che riguardano il debitore (§ 1123 (b) (1) (3)), sono state interpretate come riferite anche ai crediti verso soggetti terzi. 
L’ultimo argomento che viene affrontato dalla Corte Suprema ed è oggetto della dissenting opinion riguarda una questione che ha una rilevanza in parte metagiuridica. L’accordo raggiunto tra la procedura ed i Sackler era stato ritenuto conveniente (ed approvato dal 95% dei creditori) per l’estrema difficoltà di recuperare di più considerando che la famiglia Sackler era divisa tra molteplici persone e che il denaro era stato investito all’estero ed era ripartito in fondi fiduciari ed altre forme di copertura, che rendevano problematico un maggior realizzo. 
Nella motivazione la Corte Suprema mostra di credere fondato il ragionamento dello U.S. Trustee che ritiene possibile ottenere di più ed anche, in ipotesi, che i Sackler possano risolversi ad accedere essi stessi ad una procedura di Chapter 11 offrendo ai creditori un accordo più favorevole. 
Sono considerazioni che hanno lasciato insoddisfatti molti commentatori, che le hanno giudicate astratte. 
La Corte Suprema, tuttavia, si affretta a precisare che non le spetta pronunciarsi su questi profili perché soltanto il Congresso degli Stati Uniti ha il potere di intervenire in proposito, introducendo norme speciali anche per le procedure collegate a danni derivanti dall’uso di oppiacei così com’è stato fatto per i danni da amianto. 
La Corte precisa poi che la sua decisione non riguarda le clausole consensuali di liberazione di soggetti terzi, dalle quali la dissenting opinion ha ampiamente argomentato in termini di sistema. Aggiunge la sentenza non riguarda i piani di riorganizzazione già approvati e che hanno già avuto sostanzialmente esecuzione.
6 . Conclusioni
La sentenza è stata ampiamente criticata dai practitioners e dai giudici fallimentari americani, che l’hanno ritenuta formalistica e lontana dal comprendere le caratteristiche di un sistema che sinora ha funzionato bene ed ha il merito, come enunciato nella dissenting opinion, di risolvere i problemi che riguardano azioni collettive di danni collegate alla procedura concorsuale. 
Va tuttavia considerato che gli argomenti sui quali sino ad ora si è fondata la giurisprudenza delle corti sono testualmente fragili e che è indubbio che la liberazione di soggetti terzi dalle pretese vantate da altri terzi, sia pur per crediti che sono collegati alla situazione di crisi o di insolvenza del debitore, rappresenta un tema estraneo alla disciplina del concorso dei creditori in senso stretto. 
Se l’argomento formale su cui poggia la sentenza della Corte Suprema ha una base di realtà: non vi è nel bankruptcy code una norma che espressamente autorizzi la bankruptcy court ad accordare la liberazione dai debiti di soggetti terzi nei confronti delle vittime di un comportamento illecito che non sono parti del procedimento, occorre evitare di farsi sviare dall’approccio tipico di un sistema di diritto continentale. La lettura restrittiva della sez. 1123 e del suo par. 6, la catchall phrase, non considera due punti fondamentali che sono messi in luce dalla dissenting opinion del giudice Kavanaugh. 
In primo luogo, i crediti che sono oggetto di release sono crediti vantati nei confronti degli amministratori e dei dirigenti della società debitrice per comportamenti illeciti di questi ultimi che sono direttamente imputabili alla società stessa. In secondo luogo, nel caso Purdue i Sackler avevano ottenuto un impegno della società a tenerli indenni da responsabilità, sì che la loro condanna avrebbe comportato un’azione di rivalsa nei confronti della debitrice, con la conseguenza che i Sackler si sarebbero presentati come creditori, riducendo l’attivo a disposizione dei creditori. Nella sostanza quindi la transazione riguardava crediti vantati dalle vittime del comportamento illecito, la vendita di oppiacei senza prescrizione medica, che erano crediti anche nei confronti della debitrice. 
Il release era lo strumento tecnico per fare in modo che le azioni di danni di massa potessero essere imbrigliate nell’ambito della disciplina del concorso, evitando una soddisfazione asimmetrica dei creditori, sulla base del principio prior in tempore, potior in iure
La soluzione adottata dalla Suprema Corte rende il sistema americano, almeno in apparenza, più simile a quello di diritto continentale. Nel nostro ordinamento, come in generale negli Stati europei, l’apertura della procedura concorsuale non consente di addivenire ad accordi che tengano conto anche delle azioni che spettano ai danneggiati direttamente nei confronti degli amministratori e di chi abbia concorso nell’illecito. La curatela può agire per il recupero dei beni distratti, ma le azioni dei soggetti terzi rimangono distinte dalle azioni di massa. 
La soluzione adottata dalla Corte Suprema mette in crisi un sistema che sino ad oggi è risultato efficiente, come dimostrano i casi citati nella dissenting opinion, un sistema peraltro che attribuiva alla bankruptcy court un’ampia sfera di discrezionalità nel valutare se il release fosse funzionale alla composizione della situazione di insolvenza. La formula impiegata dal §. 1123 (b) (6) prevede infatti che il giudice debba valutare se il third parties release sia appropriate.   
E’ troppo presto per sapere se il legislatore americano interverrà per risolvere il problema sul piano legislativo[20]. Il precedente rappresentato dalla legislazione in materia di amianto, che la Corte Suprema ha interpretato come norma speciale, ma non ha criticato nei suoi presupposti, potrebbe ispirare un nuovo intervento del legislatore.
7 . L’efficacia delle third parties clauses nelle procedure di Chapter 15
Le third parties release non consensuali sono state sinora approvate dalle corti americane nelle procedure instaurate ai sensi del Chapter 15 del Bankruptcy Code per ottenere il riconoscimento negli Stati Uniti di procedure di ristrutturazione aperte in altri ordinamenti[21]. Occorre ricordare che il Chapter 15 rappresenta il recepimento da parte del legislatore americano della Model Law dell’Uncitral in materia di insolvenza transfrontaliera. Il Chapter 15 autorizza un debitore straniero o un suo rappresentante a richiedere il riconoscimento di una procedura straniera di ristrutturazione e l’esecuzione negli Stati Uniti di provvedimenti emessi da un giudice straniero in tale procedura. 
In forza del Chapter 15 il riconoscimento può avvenire ai sensi della sez. 1521 (a) e della sezione 1507 (b) del Bankruptcy Code. La prima norma attribuisce alle bankruptcy courts il potere di assicurare l’adeguata tutela (relief) nei procedimenti ex Chapter 15 che sia necessaria per assicurare il raggiungimento dello scopo del Chapter stesso e per proteggere gli asset del debitore e gli interessi dei creditori, nei limiti in cui tali ultimi interessi e quelli degli altri soggetti interessati, incluso il debitore, siano sufficientemente protetti. La sez. 1507 (b) permette alle corti di dare ulteriore assistenza al debitore straniero o al suo rappresentante secondo il Bankruptcy Code e le altre leggi degli Stati Uniti, per assicurare ragionevolmente nei limiti dei principi del comity: (1) il giusto trattamento di tutti i titolari di crediti o interessi nei confronti dei beni del debitore; (2) la protezione dei titolari di crediti negli Stati Uniti contro pregiudizi e inconvenienti nell'elaborazione dei reclami in tali procedimenti esteri; 3) la prevenzione di atti di disposizione preferenziali o fraudolenti dei beni del debitore; (4) la distribuzione dei proventi dei beni del debitore sostanzialmente in conformità con l'ordine prescritto dal presente titolo; e (5) se del caso, la previsione di un'opportunità per un fresh start per la persona fisica interessata da tale procedimento estero". 
Il riconoscimento per quanto concerne le third parties release clauses non è stato automatico, perché le corti hanno verificato, sulla base dei principi del comity, se il procedimento straniero si era svolto secondo le regole di fairness processuale, assicurando il giusto trattamento e la protezione dei titolari di crediti negli Stati Uniti attraverso adeguate garanzie processuali. Le corti hanno anche considerato l’effettiva sussistenza del potere del giudice straniero di approvare la third part clause, la rilevanza ai fini della ristrutturazione e la garanzia data ai creditori di essere sentiti nel processo[22]. 
Si è osservato che dopo la decisione della Corte Suprema sarebbe aperta la via per negare il riconoscimento della procedura straniera in cui sia presente una third part clause argomentando dalla sez. 1506 del Bankruptcy Code che consente al giudice di rifiutare il riconoscimento se esso è manifestamente contrario alla public policy degli Stati Uniti. 
Tuttavia la stessa Corte Suprema ha precisato che la sentenza è una “narrow one” ed è riferita al piano di riorganizzazione previsto dal Chapter 11. In secondo luogo la stessa nozione di public policy, di ordine pubblico, è letta in senso restrittivo, come avviene in generale in tutti gli ordinamenti quando è questione dell’ordine pubblico internazionale. Deve trattarsi di circostanze eccezionali che riguardino questioni di straordinaria importanza per gli Stati Uniti. 
Ancora la Bankruptcy Court del Southern District of New York nel caso  PT Pan Brothers Tbk[23], ha ritenuto di riconoscere uno scheme of arrangement concluso in Singapore che prevedeva delle third parties releases non consensuali, argomentando dal fatto che le clausole in parola erano state approvate dal giudice straniero che aveva autorità in tal senso, sottolineando espressamente l’irrilevanza del dibattito sul caso Purdue Pharma che in quel momento non era stato ancora sottoposto alla Corte Suprema. 
La questione rimane tuttavia aperta. Poiché le third parties releases sono frequentemente approvate nel Regno Unito e in Canada è prevedibile che il tema del riconoscimento si porrà nei mesi a venire.

Note:

[1] 
603 U. S. (2024). 
[2] 
La District Court non è un giudice di appello. Tuttavia la Bankruptcy Court, pur essendo un giudice federale, è soggetta all’autorità della District Court, che è ordinariamente il giudice federale di primo grado. 
[3] 
B.Bell, A.J. Goldberg, A. Downe, T.Bennett, Release Me From My Bands…Or Else My Project Fails”? Third-Party Releases in Schemes and Restructuring Plans, in lw.com/en/insights.
[4] 
Oceanfill Ltd v Nuffield Health Wellbeing Ltd and Cannons Group Ltd. [2022] EWHC 2178 (Ch). 
[5] 
WHOA, art. 370. 
[6] 
La traduzione è nostra e non è letterale. Sono inoltre omessi i rinvii agli atti processuali da cui la Corte trae le notizie esposte.
[7] 
Il testo inglese è del seguente tenore: 
(b) Subject to subsection (a) of this section, a plan may 
-(1) impair or leave unimpaired any class of claims, secured or unsecured, or of interests; 
(2) subject to section 365 of this title, provide for the assumption, rejection, or assignment of any executory contract or unexpired lease of the debtor not previously rejected under such section; 
(3) provide for 
-(A) the settlement or adjustment of any claim or interest belonging to the debtor or to the estate; or 
(B) the retention and enforcement by the debtor, by the trustee, or by a representative of the estate appointed for such purpose, of any such claim or interest; 
(4) provide for the sale of all or substantially all of the property of the estate, and the distribution of the proceeds of such sale among holders of claims or interests; 
(5) modify the rights of holders of secured claims, other than a claim secured only by a security interest in real property that is the debtor's principal residence, or of holders of unsecured claims, or leave unaffected the rights of holders of any class of claims; and 
(6) include any other appropriate provision not inconsistent with the applicable provisions of this title. 
[8] 
La citazione del giudice Kavanaugh è tratta dalla sentenza di appello: In re Purdue Pharma L. P., 69 F. 4th 45, 78 (CA2 2023). 
[9] 
Nel caso specifico, come si vedrà più avanti, Purdue aveva sottoscritto uno specifico accordo di manleva di amministratori e dirigenti della società. 
[10] 
In re A. H. Robins Co., 88 B. R. 742, 743-744, 747 (ED Va. 1988), aff 'd, 880 F. 2d 694 (CA4 1989). 
[11] 
In re Dow Corning Corp., 287 B. R. 396, 397 (ED Mich. 2002). 
[12] 
Riportiamo la giurisprudenza citata nell’opinion: In re Johns-Manville Corp., 68 B. R. 618, 624–626 (Bkrtcy. Ct. SDNY 1986), aff ’d, 837 F. 2d 89, 90, 93–94 (CA2 1988); In re A. H. Robins Co., 88 B. R. 742, 751 (ED Va. 1988), aff ’d, 880 F. 2d 694, 700– 702 (CA4 1989); UNARCO Bloomington Factory Workers v. UNR Industries, Inc., 124 B. R. 268, 272, 278–279 (ND Ill. 1990); In re Drexel Burnham Lambert Group, Inc., 960 F. 2d 285, 293 (CA2 1992); In re Master Mortgage Inv. Fund, Inc., 168 B. R. 930, 938 (Bkrtcy. Ct. WD Mo. 1994); In re Dow Corning Corp., 280 F. 3d 648, 653 (CA6); In re Airadigm Communications, Inc., 519 F. 3d 640, 655–658 (CA7 2008); In re Seaside Engineering & Surveying, Inc., 780 F. 3d 1070, 1081 (CA11 2015); In re Boy Scouts of Am. and Del. BSA, LLC, 650 B. R. 87, 112, 135–143 (Del. 2023). 
[13] 
Questi passaggi della motivazione della dissenting opinion fanno riferimento al Brief presentato dai Boy Scouts of America come Amicus Curiae 11–12, 20–21; al Brief for Ad Hoc Group of Local Councils of the Boy Scouts of America as Amicus Curiae 5–6; al Brief for U. S. Conference of Catholic Bishops as Amicus Curiae 15– 16. Questi interventi sono indice della rilevanza sistemica del caso e della profonda diversità del rito rispetto al nostro ordinamento. 
[14] 
Nel nostro ordinamento l’azione sociale di responsabilità e l’azione dei creditori sociali per la lesione dell’integrità del patrimonio sono riservate dall’art. 2394 bis c.c. al curatore in caso di liquidazione giudiziale, al commissario liquidatore nella l.c.a e al commissario straordinario nell’amministrazione straordinaria. Tale disciplina non si estende agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in primis al concordato preventivo. 
[15] 
In re Specialty Equip. Cos., Inc., 3 F.3d 1043, 1047 (7th Cir. 1993). 
[16] 
In re Coram Healthcare Corp., 315 B.R. 321, 336 (Bankr. D. Del. 2004). 
[17] 
In re Arrowmill Dev. Corp., 211 B.R. 497, 506 (Bankr. D.N.J. 1997). 
[18] 
United States v. Energy Resources Co., 495 U. S. 545, 547 (1990). 
[19] 
Cfr. sentenza, nota 3. 
[20] 
Secondo le prime valutazioni la sentenza della Corte Suprema non dovrebbe peggiorare la situazione delle vittime perché quasi tutti hanno votato a favore prima della decisione e sono pertanto rimasti vincolati. Bisognerà peraltro vedere se i Sackler riterranno opportune dare comunque esecuzione al piano ed all’accordo, posto che con l’annullamento della decisione d’appello è venuta meno la sanzione giudiziale del piano. Cfr. A. Casey, J. Macey, E. Morrison,  What Happens After the Supreme Court’s Debacle in Purdue Pharma?, in Harvard Law School – Bankruptcy Roundtable. 
[21] 
Sul tema si veda O. Antle, M.Peguero Medrano, On Recognition of Foreign Non-Consensual Third-Party Releases, in Insol International Technical Papers, Luglio 2024, n. 64. 
[22] 
In questo senso  In re Avanti Commc’ns GRP PLC, 582 B.R. at 618. Il caso riguardava una procedura aperta nel Regno Unito. In altri casi i giudici americani non hanno accordato il riconoscimento, come nella vicenda di un piano di riorganizzazione in Messico dove la Corte di appello del Quinto Circuito ha ritenuto che l’estensione del piano ad alcuni soggetti che non facevano parte del gruppo di società debitrici non fosse appropriata. I creditori non avrebbero ricevuto un sufficiente soddisfacimento, mentre non sussisteva la maggioranza di voti dei creditori unsecured perché tale maggioranza era stata calcolata considerando anche il voto degli insiders. Cfr. In re Vitro S.A.B. de C.V, 701 F.3d 1031, 1061 (5th Cir. 2012. 
[23] 
PT Pan Brothers Tbk, Case No. 22-10136 (MG) (Bankr. S.D.N.Y.), Mar. 8, 2022) [Docket No. 12]. 

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