La nuova disciplina della liquidazione dell’attivo concorsuale privilegia, come si è detto, la realizzazione del patrimonio del debitore attraverso l’esecuzione di operazione di “cessioni aggregate”, aventi ad oggetto l’intera azienda; oppure “rami” dell’azienda, distintamente l’uno rispetto all’altro; oppure ancora “aggregati” di beni, diritti e rapporti giuridici omogenei, “individuabili in blocco”.
La figura dei “rapporti giuridici individuabili in blocco” è recuperata, principalmente, dalla disciplina delle situazioni di crisi delle imprese bancarie, e vuole alludere a quelle situazioni nelle quali si cedono degli “aggregati” che non possono neppure essere ricondotti alla figura del “ramo” d’azienda – perché insieme ai diritti o ai rapporti ceduti non sono contestualmente trasferite persone, beni materiali, locali od uffici, tali da garantire una autonomia gestionale del complesso di rapporti giuridici ceduto –, ma che sono distinguibili esclusivamente in ragione della loro omogeneità, e della loro riconducibilità, per tale via, ad uno specifico “affare”, o asset – e di cui possono essere esempio la cessione di tutti i mutui in essere presso una banca in crisi in favore di altra banca specializzata nell’erogazione di credito ipotecario; o tutti i contratti di prestito “al consumo” erogati dalla banca in crisi ad altro intermediario finanziario specializzato nella gestione del “credito al consumo”; della cessione di tutti i contratti di locazione finanziaria ad un Istituto di leasing; eccetera –.
La disciplina della vendita dell’azienda (o di singoli rami di essa) in sede concorsuale prevede talune peculiarità che vanno tenute presente con grande attenzione, e che si spiegano per un verso con la condizione particolare (di “fallito”) in cui versa il cedente (rectius: il titolare dell’azienda che viene ceduta); e per un altro con la volontà di favorire l’utilizzo dell’istituto attraverso la concessione di agevolazioni speciali all’aspirante cessionario. Il tema, peraltro, è molto complesso, ed il legislatore ha posto l’interprete di fronte a numerosi dubbi, oggi ancora irrisolti, ed addirittura non ancora completamente individuati.
L’art. 214, comma 3, CCII, afferma che in linea di principio (“salva diversa convenzione”) è esclusa la responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedute, sorti prima del trasferimento.
Nei commi successivi la norma prevede poi – con disposizioni puntualmente mutuate dalla disciplina della cessione delle aziende facenti capo ad imprese bancarie – che le cessioni dei crediti inerenti all’azienda siano opponibili ai terzi (ivi compresi i debitori ceduti, salvo il pagamento in buona fede al “cedente”) per il solo fatto dell’iscrizione nel Registro delle Imprese del trasferimento dell’azienda (o del ramo d’azienda), senza necessità della notificazione o dell’accettazione dei debitori ceduti altrimenti richieste; e che le garanzie di ogni tipo già costituite a favore del cedente conservino senz’altro la loro validità anche in favore del cessionario.
La considerazione della disciplina positiva della cessione d’azienda in sede concorsuale consente in primo luogo di segnalare che nella valutazione del legislatore “la regola”, in materia di “cessioni aggregate” concorsuali, non dovrebbe essere effettivamente costituita dalla vendita dell’azienda o di singoli rami di essa, bensì dalla vendita di “attivi aggregati”, siano essi gli attivi inerenti all’esercizio dell’azienda; gli attivi inerenti all’esercizio di un ramo; od attivi presentanti connotati di omogeneità tali da poterne consentire un trasferimento “in blocco”.
È questa la conseguenza del principio secondo il quale “salva diversa convenzione è esclusa la responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedute, sorti prima del trasferimento”: e si tratta di un principio che solo apparentemente è rivolto a tutelare l’acquirente, rivelandosi invece, ad un esame più attento, come un forte deterrente alla conclusione di operazioni della specie.
L’assunzione anche di debiti, infatti (cioè di passività), consentirebbe all’acquirente di conseguire due importanti effetti: (i) la “fidelizzazione” dei fornitori (che si troverebbero legati al cessionario dell’azienda non solo per il pagamento delle forniture che fossero richiesti di effettuare in futuro, ma anche per il pagamento di quelle pregresse, accollate al cessionario stesso: dove è evidente che i fornitori non potrebbero interrompere le loro prestazioni a cuor leggero, “inimicandosi” in questo modo il loro nuovo debitore); e soprattutto (ii) il reperimento immediato ed “indolore” dei mezzi finanziari per far fronte al pagamento delle attività acquistate: ove l’acquirente potesse anche accollarsi debiti del “fallito”, infatti, dovrebbe corrispondere alla procedura soltanto il conguaglio netto rappresentato dal maggior valore dell’attivo rispetto al passivo accollato. Non potendosi accollare le passività pregresse, invece, l’acquirente deve corrispondere l’intero valore “lordo” delle attività acquisite, ricercando sul mercato finanziario le risorse necessarie per sostenere l’esborso. Il reperimento di tale sostegno finanziario non è affatto scontato: mentre nell’ipotesi di accollo delle passività pregresse del “fallito”, con il pagamento del solo “netto” patrimoniale, il finanziamento alla acquisizione è già conseguito, per il corrispondente importo, con la assunzione delle relative obbligazioni in detrazione del valore “lordo” delle attività acquisite: obbligazioni che costituiscono bensì passività che devono essere pagate, ma nei tempi (e nei modi) che il cessionario negozierà con i creditori.
È per tale ragione che un effettivo interesse alla acquisizione di aziende o di rami d’azienda da procedure concorsuali sarà per lo più riservato ai casi nei quali, facendo ricorso a quella che è considerata l’ipotesi di “eccezione”, sia stipulata quella “diversa convenzione” – art. 214, comma 3, CCII –, che prevede e consente l’assunzione da parte del cessionario anche delle passività (in tutto od in parte) facenti capo all’azienda ceduta, e la corresponsione di un “prezzo” ridotto (o di nessun prezzo, se viene assunto un ammontare di passività pari al valore della somma degli “attivi” ceduti e dell’avviamento eventualmente concordato).
Tale prospettiva pone peraltro di fronte a difficoltà applicative ed interpretative di cui neppure il legislatore del CCII pare essere stato perfettamente consapevole.
Il primo problema è rappresentato dalla previsione secondo la quale in ipotesi di cessione di “passività” da parte del Curatore è comunque “esclusa…la responsabilità dell’alienante” – art. 214, comma 4 –: il ché produce, a ben vedere, una ipotesi di accollo liberatorio ex lege senza concorso della volontà del “creditore ceduto”, in evidente deroga al disposto dell’art. 1273 c.c. (né vale a ridurre la portata della conclusione l’osservazione che prevedibilmente l’accollante sarà rappresentato da un soggetto maggiormente solvibile del debitore – che è “fallito”! –: sia perché trattasi di una congettura di mero fatto; sia perché anche la congettura sarebbe discutibile, in presenza di crediti privilegiati con prevedibile attitudine ad essere soddisfacentemente collocati sul ricavato dalla liquidazione (… ordinaria) delle attività concorsuali –.
In secondo luogo, occorre considerare che queste forme di accollo liberatorio di passività concorsuali, equivalgono in tutto e per tutto ad una corrispondente ripartizione dell’attivo. Tanto più in quanto privata della responsabilità solidale del debitore accollato, l’assunzione dei debiti verso gli accollatari da parte del cessionario d’azienda (o del “cessionario di passività”) accollante non può che essere compensata da questi con una corrispondente porzione del valore delle attività trasferitegli: il ché, per la liquidazione giudiziale, ha effetti equivalenti a quelli che sarebbero stati prodotti dall’introito del prezzo (“lordo”) e dal suo immediato utilizzo per l’esecuzione di una ripartizione del ricavato in favore dei creditori accollatari.
Ciò genera la necessità di prevedere, a monte della operazione prospettata, l’avveramento di due precise e concorrenti condizioni: (i) l’ammissione al passivo, in via definitiva, dei crediti degli accollatari; nonché (ii) la collocazione utile dei crediti degli accollatari, nella graduazione con le pretese degli altri creditori, sull’attivo ripartibile. È tale effetto che spiega la ragione della disposizione (art. 214, u. comma, CCII), secondo la quale “il pagamento del prezzo può essere effettuato mediante accollo di debiti da parte dell’acquirente [dell’azienda; del ramo d’azienda; eccetera] solo se non viene alterata la graduazione dei crediti”. Ciò fa sì che nelle operazioni di “cessioni aggregate” comportanti anche l’assunzione di passività da parte del terzo acquirente/cessionario – le uniche, per le ragioni illustrate, a presentare concretamente effettivi presupposti finanziari di fattibilità –, i debiti accollabili da parte di costui saranno limitati a quelli che avrebbero ricevuto una sicura collocazione sul ricavato, in sede di graduazione delle pretese ammesse al passivo concorsuale: con la conseguenza, in special modo nelle ipotesi di cessioni parziali (ad es., di rami d’azienda), che se si vorrà procedere al trasferimento al cessionario di posizioni debitorie di importo complessivo sufficiente a compensare l’obbligazione di versamento del prezzo, per rispettare la condizione segnalata occorrerà accettare l’idea del trasferimento allo stesso di passività (bensì utilmente collocabili nella gradazione rispetto agli altri creditori, e peraltro) non inerenti all’aggregato produttivo ceduto (per esempio tutte le passività derivanti da lavoro dipendente, presentate anche nei confronti di lavoratori estranei al ramo d’azienda ceduto); mentre se si sarà inteso trasferire al cessionario solamente le passività inerenti agli asset trasferiti, occorrerà prevedere l’accollo delle stesse nei limiti delle percentuali che avrebbero trovato collocazione sul ricavato nell’ambito di una liquidazione (e di un riparto) condotta con modalità “tradizionali”(quindi disponendo un accollo soltanto parziale per i creditori che sarebbero stati soddisfatti, in sede di esecuzione del riparto concorsuale, soltanto in misura ridotta).
In entrambi i casi è da prevedere che l’operazione di “cessione aggregata” debba essere suddivisa in almeno due fasi: una, fondata su una situazione patrimoniale provvisoria, nella quale si possano accollare al cessionario (con effetto liberatorio per “il fallimento”) le passività già sicuramente collocabili in quella che sarebbe stata la liquidazione concorsuale; e l’altra, fondata su una situazione patrimoniale definitiva, che integri la prima operazione di accollo con una seconda serie di accordi, e che produca, per gli accollatari interessati, gli effetti equivalenti a quelli che sarebbero derivati, per le loro pretese, dalla esecuzione del riparto finale in sede concorsuale.
L’art. 214, comma 7, CCII, riproducendo (ma contemporaneamente arricchendo) la corrispondente disposizione (art. 105) della previgente legge fallimentare, dispone che il Curatore possa procedere alla liquidazione dell’attivo concorsuale anche “mediante il conferimento in una o più società, eventualmente di nuova costituzione, dell’azienda o di rami d’azienda, ovvero di beni o crediti, con i relativi rapporti contrattuali in corso…”. Tale conferimento è caratterizzato da (i) la esclusione della responsabilità dell’alienante [cioè la procedura] ai sensi dell’art. 2560 c.c. (cioè la perdurante responsabilità per le obbligazioni derivanti da rapporti contrattuali pur ceduti, in solido con il cessionario); e (ii) la possibilità di attribuire a singoli creditori (purché questi vi consentano) a soddisfacimento delle loro pretese (e – ovviamente – “nel rispetto delle cause di prelazione”), le azioni o le quote emesse dalla società conferitaria.
Non è riprodotta, invece, la disposizione (art. 105, comma 3, L. fall.) che prevedeva che “nell’ambito delle consultazioni sindacali relative al trasferimento d’azienda, il Curatore, l’acquirente e i rappresentanti dei lavoratori possono convenire il trasferimento solo parziale dei lavoratori alle dipendenze dell’acquirente e le ulteriori modifiche del rapporto di lavoro consentite dalle norme vigenti”.
Il curatore, infine, può altresì cedere “le azioni risarcitorie, recuperatorie e revocatorie”, se i relativi giudizi sono già pendenti (art. 215).