Saggio
L’esecuzione anticipata dei concordati con continuita’ aziendale indiretta: la vendita e l’affitto d’azienda nel concordato ‘in bianco’
Edmondo Tota, Giudice nel Tribunale di Lecco
30 Aprile 2021
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Sommario:
Se da un lato, dunque, come recita l’art. 167, comma 1, L. fall. (ora art. 94, comma 1, CCII), durante la procedura di concordato il debitore non viene spogliato dell’esercizio dell’impresa e dell’amministrazione delle attività aziendali, dall’altro però, una volta depositata la domanda, egli ne assume la funzione di ‘custode’ ex lege nell’interesse dei creditori (art. 4, comma 2, lett. c, CCII) sotto la supervisione degli organi della procedura ai quali è demandato il compito di controllare l’effettiva osservanza del vincolo impresso all’attività gestoria[2].
E’, quindi, essenzialmente in siffatta prospettiva, di salvaguardia del valore dell’impresa per il tempo necessario alla formazione dell’accordo con la collettività dei creditori, che il debitore viene abilitato dalla legge a compiere gli «atti di ordinaria amministrazione» del patrimonio aziendale[3] e così, in prima approssimazione, sia a porre in essere le operazioni della gestione caratteristica (i.e. di approvvigionamento, trasformazione e vendita dei propri prodotti e dei propri servizi), sia, più in generale, a compiere ogni altra operazione di gestione corrente necessaria a preservare il valore di funzionamento dell’azienda ovvero, quando un positivo valore di funzionamento non sia neppure prospetticamente identificabile, a preservare il valore di liquidazione dei beni e dei rapporti di cui l’azienda si compone[4].
D’altro canto, poiché, come si è detto, in pendenza della procedura occorre assicurare la conservazione del valore del patrimonio aziendale quale contropartita della protezione contro le aggressioni esecutive dei creditori, può certamente intendersi il senso del divieto fatto, in linea di principio, al debitore di compiere, nel corso della procedura, «atti di straordinaria amministrazione». E, infatti, dal momento che con la presentazione della domanda di concordato l’imprenditore chiede che sia accertata dal tribunale la sua pretesa di regolare la crisi o l’insolvenza sulla base di un piano di soddisfazione dei creditori alternativo alla liquidazione forzata dei propri beni secondo gli schemi dell’esecuzione individuale o del fallimento[5], diventa indispensabile, fintanto che il tribunale non abbia accolto quella pretesa, salvaguardare, per quanto possibile, la fruttuosità della liquidazione forzata del patrimonio del debitore e, quindi, impedire mutamenti sostanziali nella dimensione e nella composizione dell’attivo (ad es. mediante la dismissione di immobili e partecipazioni societarie) e del passivo (ad es. con l’assunzione di nuovi finanziamenti e la concessione di garanzie) ovvero modificazioni significative del profilo di rischio dell’impresa (ad es. mediante la conclusione di contratti che importano la realizzazione di importanti investimenti o il pagamento di rilevati penali)[6].
Senonché il successo degli sforzi diretti a salvaguardare il going concern value durante lo svolgimento della procedura concordataria dipende talora in maniera decisiva dal compimento di atti e operazioni, richiede talora l’assunzione di rischi, che, per un verso, esorbitano dagli angusti limiti della gestione corrente degli affari e che, per altro verso, non possono restare sospesi o essere rinviati per tutto il tempo occorrente al perfezionamento dell’accordo con i creditori.
Della necessità di assicurare un’adeguata flessibilità alla gestione dell’impresa, si è mostrato peraltro pienamente avvertito il legislatore sia quando ha in generale riconosciuto la possibilità di rimuovere sotto il controllo dell’autorità giudiziaria il divieto di operazioni di amministrazione straordinaria dopo l’apertura della procedura di concordato (art. 167, comma 2, L. fall.), sia quando ha dettato regole specifiche che, anche prima del deposito del piano e della proposta, consentono al debitore, sotto la vigilanza del tribunale, di contrarre nuovi prestiti per soddisfare fabbisogni immediati di liquidità e di pagare i creditori anteriori per l’acquisto di beni e servizi essenziali alla continuità aziendale (art. 182-quinquies L. fall.), sia quando ha, infine, consentito, sempre sotto la supervisione del tribunale, di anticipare in caso di urgenza il compimento di atti eccedenti l’amministrazione ordinaria nella fase di elaborazione del piano di ristrutturazione (artt. 161, comma 7, L. fall.).
Il trattamento più rigoroso riservato dalla legge alle operazioni di gestione straordinaria per il periodo che precede il controllo giudiziario sull’ammissibilità del concordato, induce peraltro a domandarsi se durante la fase prenotativa siano ravvisabili limiti al compimento di tali operazioni diversi ed ulteriori rispetto al presupposto dell’urgenza indicato dall’art. 161, comma 7, (ora art. 46, comma 1, CCII) e, in particolare, se il novero degli atti di amministrazione straordinaria autorizzabili nella fase interinale abbia la medesima ampiezza di quelli autorizzabili dopo il decreto di apertura, alla stregua dell’art. 167, comma 2, L. fall.[7].
Mentre, infatti, dopo l’apertura del concordato l’incidenza del singolo atto di gestione straordinaria sulle aspettative di soddisfacimento dei creditori può essere di regola valutata dall’autorità giudiziaria con piena cognizione di causa sulla base dei contenuti della proposta e del piano nonché delle informazioni obbligatorie previste dai commi 2 e 3 dell’art. 161 L. fall. (ora artt. 39 e 87 CCII), nel preconcordato mancano, com’è noto, sicuri punti di riferimento per il giudizio del tribunale in quanto la proposta e il piano del debitore sono ancora di là da venire ed il set informativo disponibile per la valutazione dell’operazione può essere più o meno lacunoso e in via di definizione. Di qui l’interrogativo, talora affiorato anche nella giurisprudenza recente[8], se nella serie degli atti suscettibili di autorizzazione in via d’urgenza prima dell’apertura della procedura di concordato possano rientrare, nonostante il divario informativo che caratterizza il rapporto tra l’autorità giudiziaria e il debitore, anche operazioni straordinarie di disposizione del patrimonio aziendale, come ad esempio il trasferimento e l’affitto di complessi aziendali o altre operazioni assimilabili (quali il conferimento d’azienda e la cessione di partecipazioni societarie), che comportano una modificazione delle basi essenziali dell’impresa e sono in grado di incidere in modo decisivo sul soddisfacimento dei creditori[9].
A questo interrogativo si cercherà di fornire, dunque, una risposta nelle pagine che seguono.
D’altro canto, l’anticipazione della fase esecutiva del piano pare, almeno in principio, senz’altro meritevole di essere assecondata in quanto, da un lato, soddisfa l’esigenza di accelerare gli interventi di risanamento dell’impresa, attraverso la cessione di cespiti non strumentali alla prosecuzione dell’attività o il trasferimento nelle mani di un nuovo imprenditore di complessi aziendali ancora vitali; dall’altro, realizza l’interesse dei creditori ad eliminare o quanto meno ridurre le incertezze e i rischi che normalmente si ricollegano alla futura esecuzione del concordato omologato, tanto per quanto riguarda i suoi tempi di attuazione tanto per quanto attiene ai valori di realizzo delle attività di dismissione. Del resto non è un caso se una analoga esigenza di accelerazione, del tutto assimilabile a quella che ricorre nel concordato preventivo è stata pure avvertita nella disciplina della procedura fallimentare, là dove si prevede che prima dell’approvazione del programma di liquidazione il curatore può procedere alla liquidazione dei beni del fallimento “quando dal ritardo può derivare pregiudizio all’interesse dei creditori” (art. 104-ter, comma 7, L. fall.).
Poiché, tuttavia, la locuzione «domanda di concordato» utilizzata dall’art. 182, comma 5, L. fall. è di per sé ambigua in quanto nel linguaggio legislativo si presta ad abbracciare potenzialmente tanto la fattispecie del primo comma, quanto quella del sesto comma dell’art. 161 L. fall.[11], l’argomento letterale ricavabile da quest’ultima disposizione non può essere ritenuto decisivo per risolvere la questione se l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria al compimento di interventi di asset restructuring presupponga necessariamente il deposito di una domanda di concordato completa della documentazione e delle informazioni indicate dall’art. 161, commi 2 e 3, L. fall..
La risposta a tale quesito può essere invece agevolata raffrontando due norme contenute nell’art. 163-bis L. fall. (ora trasfuse nell’art. 91 CCII) dedicato alla disciplina delle offerte concorrenti: quella del primo comma, secondo la quale il tribunale dispone la ricerca di altri soggetti eventualmente interessati all’acquisto, ordinando l’apertura di un procedimento competitivo, “quando il piano di concordato […] comprende un’offerta da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento […] anche prima dell’omologazione […] dell’azienda o di uno o più rami d’azienda o di specifici beni”; e la norma dell’ultimo comma, che dichiara applicabile, nei limiti di compatibilità, la disciplina delle offerte concorrenti “anche agli atti da autorizzare ai sensi dell’articolo 161, settimo comma, nonché all’affitto di azienda o di uno o più rami di azienda”.
Ora, posto che la disciplina di base delle offerte concorrenti presuppone certamente il deposito della proposta e del piano, come dimostra il riferimento testuale al “piano di concordato di cui all’art. 161, secondo comma, lettera e)”, contenuto nel primo comma dell’art. 163-bis, e come ulteriormente attesta l’obbligo di “modificare la proposta e il piano di concordato” imposto al debitore dal quarto comma della stessa disposizione, per comprendere il nesso tra le due disposizioni testé ricordate, occorre approfondire un poco il senso dell’estensione della disciplina delle offerte concorrenti, da un lato, all’affitto d’azienda e, dall’altro, agli atti di gestione straordinaria autorizzabili nella fase interinale, ai sensi dell’articolo 161, settimo comma.
Se per quanto riguarda l’affitto di azienda non par dubbio che il legislatore abbia, infatti, inteso allargare il perimetro oggettivo delle operazioni di cui al primo comma dell’art. 163-bis da sottoporre allo scrutinio del mercato (cfr. l’art. 91, comma 1, ult. periodo, CCII), assimilando all’ipotesi in cui il piano di concordato è basato sull’offerta preconfezionata di trasferimento degli assets dell’impresa in favore di un soggetto predeterminato, l’evenienza, che ne sarebbe risultata altrimenti esclusa, in cui piano di concordato presentato dal debitore è basato, appunto, su un’offerta preconfezionata di affitto del complesso aziendale[12], il richiamo agli atti di gestione straordinaria nella fase interinale sembra in realtà assolvere nel contesto della norma in esame a una funzione tutt’affatto diversa.
Escluso, infatti, che, con una scelta che suonerebbe alquanto stravagante, il legislatore abbia voluto estendere il regime delle offerte concorrenti, limitatamente al periodo che precede il deposito della domanda completa, ai mutui, alle transazioni, ai compromessi, alla concessione di ipoteche, pegni e fideiussioni, alle rinunzie alle liti e agli altri atti di gestione straordinaria nominativamente elencati dall’art. 167, comma 2, ed escluso altresì che il legislatore abbia inteso riferirsi implicitamente ad altre operazioni non tipizzate, ma ritenute egualmente ‘pericolose’ per l’integrità del patrimonio del debitore se compiute anteriormente al deposito della proposta e del piano[13], la portata dell’ultimo comma dell’art. 163-bis L. fall. dovrebbe essere propriamente questa: assoggettare al regime della competizione tra una pluralità di offerenti le operazioni di cessione e affitto delle attività aziendali, già ricomprese nel perimetro oggettivo della norma in esame, anche quando sono prospettate dal debitore prima della presentazione della proposta e del piano di concordato (cfr. ora l’art. 91, comma 11, CCII).
In altri termini, nonostante la tecnica legislativa non ineccepibile, la funzione del richiamo contenuto nell’ultimo comma dell’art. 163-bis L. fall. agli atti urgenti di gestione straordinaria non è quella di ampliare la portata oggettiva del regime delle offerte concorrenti a tipologie di operazioni diverse dalla cessione o dall’affitto ma appare proprio quella di esplicitare che gli atti di straordinaria amministrazione aventi ad oggetto la cessione e l’affitto devono essere sottoposti ad un processo di apertura al mercato concorrenziale anche nell’evenienza in cui sia stata rappresentata dal debitore l’urgenza dell’atto nella fase con riserva del concordato[14].
Ne discende che l’estensione della disciplina delle offerte concorrenti agli atti di gestione straordinaria della fase interinale operata dall’ultimo comma dell’art. 163-bis si giustifica essenzialmente con l’obiettivo di assicurare omogeneità di trattamento alle operazioni di asset sale progettate dal debitore a prescindere dalla fase procedimentale in cui vengono a collocarsi.
E ne discende ulteriormente – secondo la visuale che si vuole qui difendere – la conseguenza, indiretta ma inequivoca, che devono ritenersi pienamente legittime, anche durante la fase “con riserva”, nonostante la mancanza di una proposta e di un piano di concordato già vagliati dal tribunale sotto il profilo della ammissibilità, le operazioni straordinarie di trasferimento e di affitto dei complessi aziendali o di specifiche attività dell’impresa[15]; operazioni che andranno, dunque, assoggettate rispettivamente al regime delle offerte concorrenti dettato dall’art. 163-bis se l’operazione progettata dal debitore è basata su un’offerta di acquisto (o di affitto) formulata da un soggetto già individuato dal debitore ovvero al regime dettato dall’art. 182, comma 5, L. fall. là dove una tale offerta manchi e però il debitore chieda di aprire in via d’urgenza una procedura per la ricerca sul mercato di eventuali offerenti interessati all’acquisizione delle attività aziendali[16].
Se si guarda alla disciplina dettata dagli artt. 161, comma 7, 167, comma 1, e 163-bis L. fall. può rilevarsi, infatti, che la finalità comune sottesa a queste disposizioni è quella di assoggettare alla supervisione dell’autorità giudiziaria, circondandoli di particolare cautela, gli atti del debitore che possono produrre un mutamento significativo della struttura dell’attivo e del passivo dell’impresa o del suo profilo di rischio in attesa (del voto dei creditori e) dell’omologazione del concordato; la norma speciale dell’art. 163-bis, risponde poi alla finalità ulteriore di assicurare che, sotto il controllo del tribunale, una particolare categoria di atti di gestione straordinaria, ossia le operazioni di disposizione delle attività aziendali, proprio in quanto dirette a influenzare in modo rilevante la composizione e il valore dell’attivo patrimoniale del debitore, si svolgano, per quanto possibile at arm’s lenght (in termini di prezzo, di distribuzione dei rischi, di garanzie etc.) nell’interesse dei creditori.
Ora, è evidente che là dove fossero sempre preclusi, a prescindere da una valutazione in concreto delle condizioni dell’operazione, l’affitto o il trasferimento di attività aziendali prima del deposito della proposta e del piano, da un lato, potrebbero sicuramente essere impedite alcune manovre dannose per i creditori; dall’altro, si produrrebbe altrettanto certamente l’esito di impedire le operazioni urgenti che aumentano il valore dell’impresa per i creditori oppure si rischierebbe di bloccare operazioni urgenti che hanno l’effetto di preservare quel valore e in mancanza delle quali esso andrebbe irrimediabilmente perduto.
Oltre ad essere privo di una base testuale sufficiente, il divieto assoluto di compiere operazioni di trasferimento, affitto di azienda o cessione di beni nella fase interinale si risolverebbe pertanto anche in una misura decisamente sproporzionata rispetto al problema del gap informativo esistente, prima del deposito della domanda di concordato completa, tra l’imprenditore, da un lato, e gli organi della procedura o eventuali terzi interessati a formulare offerte di acquisto concorrenti, dall’altro. Là dove, proprio al fine di scongiurare il rischio di overshooting e permettere la necessaria elasticità della gestione imprenditoriale anche nell’interesse dei creditori, il legislatore ha riconosciuto al tribunale, attraverso lo strumento tecnico dell’autorizzazione, il delicato compito di favorire le operazioni che accrescono il valore dell’impresa o che comunque consentono di preservarlo nel corso della procedura, e, per altro verso, di bloccare ove necessario le operazioni che distruggono valore in pregiudizio dei creditori.
D’altro canto, se è vero che il deficit di informazioni sofferto dall’autorità giudiziaria nel governo dei procedimenti di autorizzazione delle operazioni di asset sale – e più in generale nel governo delle autorizzazioni degli atti d’impresa – rappresenta un problema di grande momento, stante la condizione di conflitto di interessi in cui versa sovente il debitore nelle attività di riallocazione dei propri beni, può seriamente dubitarsi che la conoscenza del piano e della proposta di concordato sia realmente imprescindibile per valutare la bontà delle offerte presentate dal debitore ovvero che lo sia al fine di permettere il regolare svolgimento di una procedura competitiva per la vendita (o l’affitto) delle attività aziendali.
In proposito può, infatti, rilevarsi che le operazioni di dismissione in pendenza di procedura sono dirette a conseguire la monetizzazione anticipata dell’attivo del debitore, senza alcuna implicazione di ordine distributivo tra i creditori e senza alcuna influenza sulle dimensioni e sulla composizione del passivo, con l’indiscutibile vantaggio di eliminare o comunque ridurre, in tutto o in parte a seconda dei casi, proprio quei rischi di esecuzione del piano di concordato per l’apprezzamento dei quali è richiesta l’attestazione di fattibilità da parte di un esperto indipendente al fine di mitigare il problema dell’asimmetria informativa esistente tra il debitore, il tribunale e i creditori (art. 161, comma 3, L. fall.).
Può inoltre osservarsi che ciò che realmente conta al fine valutare la bontà di un’operazione di trasferimento o di affitto delle attività aziendali così come al fine di promuovere un’effettiva competizione sul mercato tra una pluralità di potenziali offerenti è la conoscenza del “valore” dell’azienda (o dei singoli beni da alienare), determinato secondo affidabili metodi di appraisal, nonché la conoscenza delle condizioni giuridiche ed economiche proposte dal debitore per l’operazione. E però, mentre la valutazione delle condizioni giuridiche dell’operazione di dismissione non presenta, di regola, particolari ostacoli per l’autorità giudiziaria, la conoscenza del valore dell’azienda (o di uno specifico asset) e la capacità di apprezzamento delle relative condizioni economiche non sono rese necessariamente più ampie dalla conoscenza della proposta e dal piano, atteso che la paternità di entrambi questi atti risale al debitore e che entrambi sono costruiti su un set di dati e informazioni unilateralmente predisposto dal medesimo debitore. Onde, come si vedrà subito appresso, la necessità di assicurare in altro modo che il processo di dismissione delle attività aziendali avvenga a condizioni equivalenti a quelle praticate sul mercato.
Partendo da quest’ultimo profilo, se si condivide l’opinione che il divieto fatto al debitore di compiere atti appartenenti alla sfera della gestione straordinaria in pendenza di procedura è disposto a tutela dei creditori per assicurare la fruttuosità della liquidazione forzata del patrimonio del debitore durante tutto il tempo necessario ad addivenire ad una decisione definitiva sulla proposta di concordato, deve ritenersi che la rimozione di quel divieto può essere accordata dal tribunale esclusivamente quando l’atto di disposizione delle attività aziendali non compromette le aspettative di soddisfacimento che deriverebbero dall’attività di liquidazione forzata del patrimonio aziendale provvisoriamente inibita dalla legge.
In particolare se si considera che l’aspettativa dei creditori tutelata dalla legge attraverso la liquidazione forzata è quella di conseguire dalla monetizzazione dei beni del debitore prezzi di realizzo quanto più prossimi al loro market value, ne deriva che incombe sul debitore, il quale chiede di essere autorizzato al compimento dell’atto dispositivo, l’onere di allegare e dimostrare, fornendo una adeguata conoscenza di tutti di dati di fatto influenti sulla decisione del tribunale, che l’atto da autorizzare risponde effettivamente all’interesse dei creditori e, in particolare, che l’operazione proposta è destinata a svolgersi secondo condizioni di mercato.
D’altro canto, poiché la possibilità di accesso alle “informazioni rilevanti” costituisce un fondamentale requisito di validità della procedura per la ricerca di offerte concorrenti e del decreto che la dispone (arg. ex art. 163-bis, comma 2), la selezione delle informazioni rilevanti e la valutazione della loro rilevanza – riteniamo – non può essere rimessa ad una scelta discrezionale del debitore, ma deve essere vagliata ex ante dal tribunale con l’ausilio del commissario giudiziale al momento dell’autorizzazione dell’operazione.
E così, atteso che al fine di appurare se un’operazione di cessione (o affitto) delle attività aziendali si svolge at arm’s lenght assume un ruolo centrale, come si è detto, la conoscenza del valore di mercato delle attività che formano oggetto di trasferimento, è imprescindibile che il debitore metta a disposizione del tribunale una stima del valore delle attività aziendali oggetto dell’operazione, predisposta da un esperto (arg. ex art. 104-bis, comma 2, 107, comma 1, L. fall., 568 c.p.c. e ora esplicitamente l’art. 94, comma 5, CCII), la cui congruità il tribunale potrà autonomamente riscontrare anticipando la nomina di uno stimatore, là dove ritenga necessario ricevere il conforto di una valutazione indipendente (arg. ex art. 172, ult. comma).
Dato l’obbligo di disclosure che incombe sul debitore in ordine alla convenienza e alla correttezza sostanziale dell’operazione di trasferimento (o affitto), ne consegue poi, da un lato, che se il debitore fornisce informazioni incomplete o inadeguate il tribunale dovrà respingere l’istanza di autorizzazione e, dall’altro, che se il debitore fornisce informazioni fuorvianti oppure omette informazioni rilevanti il vizio dell’autorizzazione, eventualmente emerso dopo la conclusione dell’operazione, è destinato a ripercuotersi sull’efficacia dell’atto dispositivo rispetto ai creditori anteriori (arg. ex art. 167, comma 2, L. fall. e ora gli artt. 46 e 94 CCII).
Dal rilievo che le operazioni di dismissione anticipata degli assets dell’impresa devono assicurare esiti equivalenti (e comunque non deteriori rispetto) a quelli che deriverebbero dalla liquidazione coattiva del patrimonio del debitore, può poi trarsi che il tribunale deve subordinare l’autorizzazione delle operazioni di affitto e vendita da eseguire prima dell’approvazione del concordato, all’adozione delle medesime garanzie procedurali e sostanziali disegnate per le corrispondenti operazioni nel fallimento (procedure competitive, stima dei beni, adeguate forme di pubblicità, ecc.), volte a massimizzare il tasso di recovery dei creditori[17].
Cosicché per un verso, prima della presentazione del piano e dell’approvazione dei creditori, l’affitto dell’azienda o di singoli rami potrà essere in principio autorizzato dal tribunale soltanto se, alla stregua delle allegazioni contenute nell’istanza di autorizzazione e sulla base di informazioni sufficientemente accurate fornite debitore, è possibile accertare che l’affitto è “utile al fine della più proficua vendita” del complesso aziendale in esercizio, consentendo di salvaguardarne il going concerne value. Per altro verso, l’autorizzazione potrà essere concessa dal tribunale soltanto per una “durata […] compatibile” con le esigenze della futura cessione del complesso aziendale (art. 104-bis, commi 1 e 4, L. fall.); il contratto di affitto dovrà inoltre prevedere il diritto dell’affittante (e del liquidatore ove se ne preveda la futura nomina) “di procedere ad ispezione dell’azienda”, “la prestazione di idonee garanzie per tutte le obbligazioni dell’affittuario derivanti dal contratto e dalla legge”, nonché il “diritto di recesso” dell’affittante (e del liquidatore) eventualmente accompagnato dal pagamento in favore dell’affittuario di un indennizzo (art. 104-bis, comma 3) e potrà stabilire in favore dell’affittuario un diritto di prelazione per l’acquisto dell’azienda (art. 104-bis, comma 5).
Inoltre, poiché la vendita dell’azienda in esercizio costituisce, di regola, l’opzione più favorevole per i creditori in quanto consente di monetizzare il plusvalore riconoscibile ai beni e ai rapporti organizzati dall’imprenditore come complesso economico funzionante, se il debitore intende procedere alla cessione anticipata di singoli asset, prima della presentazione del piano e dell’approvazione della proposta, il tribunale potrà concedere l’autorizzazione, in sostituzione dei creditori, soltanto se, sulla base delle notizie fornite dal debitore, “risulta prevedibile che la vendita dell’intero complesso aziendale, di suoi rami, di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco [non è possibile o non è conveniente in quanto] non consent[e] una maggiore soddisfazione dei creditori” ovvero quando il debitore dimostra che il singolo cespite di cui si tratta non è strumentale all’esercizio dell’azienda e che la sua vendita separata non ne compromette il valore (art. 105, comma 1, L. fall.).
Un corollario indesiderabile di questa impostazione consiste nel subordinare alla garanzia di soddisfacimento minimo dei creditori chirografari prescritta dall’ultimo comma dell’art. 160 L. fall. anche le proposte concordatarie basate su operazioni di vendita o affitto dell’azienda in funzionamento concluse prima dell’omologazione[19].
L’opinione in esame si basa sul rilievo secondo cui “per concordato in continuità deve intendersi quello che prevede che la cessione o il conferimento dell’azienda intervengano dopo l’omologazione […] in fase di esecuzione del concordato”[20], in quanto, per un verso, “la stessa continuità diretta in capo al debitore è quella che il piano prevede nella fase post-omologazione” e, per altro verso, la “continuità deve essere prevista nel piano […] e quindi è logico che la continuità, al servizio dell’adempimento della proposta, sia quella post decreto di omologazione”[21].
Può, tuttavia, osservarsi che la conclusione prospettata da questa dottrina non parrebbe una conseguenza senz’altro imposta dal sistema della legge.
Giova anzitutto notare che nel contesto della norma descrittiva della nozione di continuità indiretta contenuta nel primo comma dell’art. 186-bis L. fall. la «cessione dell’azienda in esercizio» è un evento (i) che deve essere prefigurato nel piano e (ii) che, proprio perché prefigurato nel piano, appare destinato a realizzarsi in un momento successivo al deposito della domanda completa (“Quando il piano di concordato di cui all’articolo 161, secondo comma, lettera e), prevede la […] cessione dell’azienda in esercizio”). Da tali premesse non sembra tuttavia discendere l’ulteriore /pur autorevolmente asserito) corollario secondo cui, al fine di inquadrare il concordato nello schema della continuità indiretta, il trasferimento dell’azienda debba collocarsi nella fase esecutiva, potendo ben darsi, alla luce dell’ampio tenore letterale della norma descrittiva della fattispecie, che il perfezionamento della cessione debba intervenire – secondo le previsioni del piano – prima dell’omologazione.
Se il testo della disposizione che descrive la nozione di continuità indiretta di per sé non consente di ricavare alcun argomento a favore della tesi che colloca la «cessione dell’azienda in esercizio» nella fase esecutiva del concordato, non pare dirimente il rilievo secondo cui la “continuità aziendale” contemplata dall’art. 186-bis è esclusivamente quella (che il piano prevede sia) destinata a protrarsi dopo l’omologazione[22].
Tale affermazione appare, infatti, pienamente coerente con il paradigma normativo della continuità aziendale diretta: dato che soltanto l’imprenditore è legittimato a presentare domanda di concordato (art. 160 L. fall.) e che, per definizione, nel concordato preventivo l’esercizio dell’impresa prosegue sempre indipendentemente dalla sua tipologia, anche quando l’impresa è in liquidazione (ex art. 167 L. fall.), è certo, infatti, che «la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore» rilevante a mente dell’art. 186-bis e dotata di funzione distintiva della sub-fattispecie “concordato con continuità diretta” è appunto esclusivamente quella che si traduce nella continuazione dell’attività caratteristica dell’impresa ed è destinata a fungere, secondo le modalità indicate nel piano, da mezzo per procurare il soddisfacimento dei creditori in un orizzonte temporale predeterminato successivo all’omologazione[23].
Tali conclusioni non sembrano, invece, meccanicamente trasponibili al modello della continuità indiretta.
Proprio la distinzione tracciata dalla norma descrittiva del primo comma dell’art. 186-bis tra le diverse ipotesi di continuità, diretta e indiretta, suggerisce in realtà che la fattispecie della «cessione dell’azienda in esercizio», mentre presuppone senz’altro l’esercizio dell’attività di impresa in capo al debitore fino all’omologazione – quale requisito comune a ogni tipo di concordato (ex art. 167 L. fall.) –, non richiede affatto anche la «prosecuzione dell’attività di impresa» nella fase esecutiva, ossa l’esercizio dell’attività caratteristica di produzione e scambio post omologazione, la quale, come si è detto e come emerge dal tenore dello stesso art. 186-bis comma 1, costituisce l’elemento identificativo della continuità diretta[24].
Di qui la conclusione che il piano del debitore può prevedere sia che il trasferimento dell’azienda in funzionamento intervenga prima dell’omologazione, sia che intervenga dopo, senza che ciò possa influenzare la qualificazione del concordato in termini di continuità aziendale indiretta.
Tale conclusione non pare contraddetta dal rilievo che lo speciale corredo informativo previsto dal comma 2 dell’art. 186-bis, lett. a) e b) è riferito indistintamente ai “casi previsti” dalla disposizione dell’art. 186-bis e così in apparenza sia alle ipotesi di continuità diretta che a quelle di continuità indiretta: e, infatti, nonostante l’incerto riferimento testuale, sia l’integrazione contenutistica del piano con l’indicazione analitica dei costi e dei ricavi, delle risorse finanziarie e delle relative modalità di copertura, sia l’attestazione rafforzata dell’esperto indipendente sono destinati a trovare applicazione esclusivamente nei casi in cui la “prosecuzione dell’attività di impresa [è] prevista dal piano”. E poiché «la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore», come si è detto, costituisce la nota distintiva dei piani con continuità indiretta ed un elemento (solo) accessorio ma non anche indefettibile della nozione di continuità indiretta, ne risulta che tanto l’integrazione contenutistica del piano quanto l’attestazione rafforzata dell’esperto indipendente trovano applicazione necessaria nella continuità diretta e applicazione soltanto eventuale alle ipotesi di continuità indiretta: là dove il debitore pianifichi il trasferimento dell’azienda in una fase successiva all’omologazione – e quindi «la prosecuzione dell’attività di impresa» per il periodo che segue l’omologazione del tribunale – il piano deve dunque contenere adeguata dimostrazione sia della sostenibilità economico-finanziaria dell’impresa per tutto il tempo necessario al trasferimento dell’azienda, attraverso l’esposizione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività, nonché del fabbisogno finanziario e delle relative fonti di copertura [ex art. 186-bis, comma 2, lett. a)], sia della maggiore convenienza per i creditori di tale strategia rispetto allo scenario liquidatorio con interruzione dell’attività, attestata da un esperto indipendente [ex art. 186-bis, comma 2, lett. b)]. Là dove, invece, il piano sia basato sul trasferimento anticipato dell’azienda, il debitore non può esser tenuto ad allestire il corredo informativo rafforzato imposto dall’art. 186-bis, comma 2, lett. a) e b) per l’ipotesi della prosecuzione dell’attività d’impresa nella fase post-omologazione, atteso che, proprio per effetto del trasferimento anticipato delle attività aziendali, vengono azzerati i rischi di aggravamento della situazione patrimoniale del debitore associati alla continuazione dell’attività d’impresa, per fronteggiare i quali tale corredo informativo supplementare è prescritto.
Appurato che devono qualificarsi in continuità indiretta anche i piani concordatari con cui si programma la «cessione dell’azienda in esercizio» prima dell’omologazione, e appurato che anche in questa evenienza deve applicarsi l’esenzione stabilita dall’ultimo comma dell’art. 160 L. fall., senza che l’anticipazione del trasferimento aziendale abbia ripercussioni sulla qualificazione del concordato, occorre chiedersi se possa giustificarsi, e sulla base di quali considerazioni, un diverso trattamento per le operazioni di cessione di complessi aziendali in funzionamento realizzate, prima del deposito del piano, durante la fase del concordato “con riserva”.
Per i motivi che sono stati illustrati nelle pagine che precedono – può osservarsi – ogni disparità di trattamento risulterebbe non giustificabile, sul piano sistematico, dal momento che così facendo, da un lato, si incentiva irragionevolmente nel debitore la propensione al differimento di operazioni di cessione e di affitto di azienda altrimenti urgenti a discapito della tempestività delle azioni di risanamento; dall’altro, si impone incongruamente un “premio per il rischio” più favorevole ai piani concordatari che, basandosi sull’esecuzione differita nel tempo degli impegni del debitore, sono caratterizzati da un livello di rischio maggiore e viceversa si impone un “premio per il rischio” più alto là dove l’esecuzione anticipata del piano consente di ridurre in misura significativa i tempi di esecuzione e di mitigare l’incertezza per i creditori.
Una conclusione diversa e più favorevole alle esigenze del going concern, per non incorrere nel paradosso di scoraggiare la celerità degli interventi di ristrutturazione aziendale e premiare i piani concordatari più rischiosi, può allora essere suggerita dal rilievo che la misura incentivante di cui beneficiano, in base all’ultimo comma dell’art. 160 L. fall., le fattispecie di concordato con continuità aziendale descritte dall’art. 186-bis è diretta, come altre, a incoraggiare un fenomeno – la continuità appunto – ritenuto ampiamente meritevole di tutela dall’ordinamento. Misura incentivante a cui, diversamente da quanto accade per la previsione imperativa di una garanzia minima di soddisfacimento dei creditori prevista per i concordati puramente liquidatori (i.e. tutti quelli in cui si pianifica il trasferimento di un’azienda inattiva o la cessione atomistica dei singoli beni che la compongono), non può ormai attribuirsi né un taglio eccentrico né una portata eccezionale nel panorama della legislazione sulla crisi d’impresa e che, quindi, dovrebbe considerarsi suscettibile di applicazione, anche in assenza di un piano già predisposto, tutte le volte che nel trasferimento (o nell’affitto preordinato alla cessione) sia oggettivamente riconoscibile la vicenda circolatoria di un complesso economico ancora pienamente vitale[25].
Si è, inoltre, sostenuto che questi vantaggi possono giustificare l’autorizzazione delle operazioni di cessione e affitto delle attività aziendali nella fase interinale (artt. 163-bis e 182, comma 5, L. fall.), quando dal ritardo può derivare pregiudizio all’interesse dei creditori (arg. ex art. 104-ter, comma 7, L. fall.), e si sono indicate alcune soluzioni per mitigare il gap informativo che affligge il rapporto tra il debitore e il tribunale soprattutto nella fase che precede il deposito della domanda completa.
Non ci nasconde, sia chiaro, il ‘costo’ che un’accelerazione delle operazioni di dismissione può determinare, in termini di minore effettività della competizione tra offerte concorrenti conseguente ad una eccessiva compressione dei tempi di ricerca di un compratore alternativo a quello presentato dal debitore[26]. Si ritene, tuttavia, che questo costo sia in parte compensato dalla riduzione dei rischi di execution del concordato e in parte possa essere mitigato imponendo al debitore, con il provvedimento che concede i termini dell’art. 161, comma 6, L. fall., l’obbligo di riferire l’esistenza di eventuali trattative per l’acquisizione delle attività aziendali, in modo da anticipare, per quanto possibile, la ricerca di offerte alternative. L’obbligo di informare il tribunale delle trattative pendenti dovrebbe inserirsi nel quadro del dovere di trasparenza che il debitore è tenuto ad osservare nei confronti degli organi della procedura, ai sensi dell’art. 161, comma 8, L. fall. per quanto riguarda le attività di predisposizione della proposta e del piano.
Si è, infine, individuato il principale ostacolo alle operazioni di trasferimento anticipato delle aziende in funzionamento nella tesi che esclude in queste ipotesi l’applicazione dei benefici della continuità aziendale e abbiamo cercato di illustrare le ragioni per cui, sempre nell’ottica di un appropriato disegno del sistema degli incentivi, anche i trasferimenti intervenuti prima dell’omologazione dovrebbero godere dell’esenzione dalla garanzia minima di soddisfacimento dei creditori chirografari imposta per i concordati meramente liquidatori dall’art. 160, ultimo comma, L. fall..
La legislazione nuova sulla crisi d’impresa e sull’insolvenza riscrive, con un’impostazione per alcuni versi restrittiva e per altri versi chiarificatrice, la nozione di continuità aziendale indiretta, accentuando il distacco dal modello del concordato liquidatorio (cfr. art. 84, commi 2 e 3, CCII), ma non presenta profili significativi di discontinuità rispetto al tema che ha formato l’oggetto immediato di questa indagine. La flessibilità di manovra dell’impresa in crisi ma risanabile resta al centro della scena. E così pure resta cruciale l’esigenza di cogliere prontamente, quando necessario ancor prima che un piano di ristrutturazione sia stato presentato, le opportunità di riallocazione dei complessi aziendali in funzionamento (artt. 46 e 94, commi 5 e 6, CCII), purché nel rispetto di appropriate procedure di mercato (art. 94, comma 5), poste nell’interesse dei creditori (art. 94, commi 3 e 5) e derogabili soltanto in via eccezionale allorché sia comunque assicurato, attraverso stime affidabili, che l’operazione sarà realizzata at arm’s lenght[27] (art. 94, comma 5, CCII).
Note: