Saggio
Le soluzioni negoziali della crisi nuovo Codice della Crisi e le convenzioni di moratoria*
Pasquale Russolillo, Giudice delegato nel Tribunale di Avellino
21 Aprile 2021
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Sommario:
2 . Gli accordi stragiudiziali puri e quelli soggetti a sindacato giudiziale
3 . Convenzioni di moratoria profili distintivi dagli a.d.r. ad efficacia estesa
4 . Presupposti soggettivi ed oggettivi delle convenzioni di moratoria nel Codice della Crisi
6 . La relazione del professionista indipendente
7 . Il possibile contenuto delle convenzioni di moratoria
8 . Il sindacato giudiziale nelle convenzioni di moratoria in caso di opposizione
Di contro, l’accesso alle procedure giudiziali e la discovery pubblica della crisi costituiscono il passaggio ineliminabile per consentire che la predisposizione del piano di risanamento possa avvenire al riparo dalle iniziative individuali dei creditori non immediatamente e direttamente coinvolti (creazione di un ombrello protettivo) e che gli effetti di esso possano estendersi anche ai non aderenti (coartazione).
Principi di proporzionalità ed adeguatezza delle misure di risanamento impongono che alle maggiori tutele per il debitore nella fase delle trattative con il ceto creditorio (mediante concessione di misure protettive del patrimonio) ed alla maggiore capacità del piano di coinvolgere terzi non aderenti (mediante moratoria o falcidia del credito) deve corrispondere un più penetrante sindacato dell’autorità giudiziaria sull’attuabilità del piano, una minore garanzia di riservatezza per il debitore, obbligato alla pubblicazione del piano, nonché la previsione di strumenti giudiziali di reazione dei controinteressati contro comportamenti fraudolenti o comunque contrari a buona fede.
La legislazione nazionale si è dunque in tal modo allineata a quella comunitaria, ed in particolare alla Direttiva (UE) 2019/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio[2], che favorisce l’iniziativa del debitore nell’individuazione degli strumenti più adeguati alla prevenzione e superamento della crisi, selezionandoli all’interno di un pacchetto di quadri di ristrutturazione preventiva, consistenti “in una o più procedure, misure o disposizioni, alcune delle quali possono realizzarsi in sede extragiudiziale”.
Secondo le intenzioni del legislatore comunitario i suddetti quadri di ristrutturazione preventiva dovrebbero: preservare al debitore il controllo della gestione corrente e delle attività patrimoniali; limitare dell’intervento esterno da parte dell’autorità giudiziaria o dei professionisti indipendenti da essa nominati ai soli casi in cui le trattative siano assistite dal ricorso a misure di protezione ovvero l’accordo produca effetti estesi a creditori dissenzienti ed a fortiori ad intere classi di creditori dissenzienti (ristrutturazione trasversale); prevedere un bilanciamento dei contrapposti interessi mediante strumenti di reazione finalizzati a tutelare i terzi interessati contro eventuali abusi; incentivare la finanza esterna ed il coinvolgimento dei lavoratori nei processi di ristrutturazione.
a) quelli “stragiudiziali puri” (Sezione I), sottratti al sindacato giudiziale[3], nonché soggetti a pubblicità solo eventuale (art. 54 co. 4 e art. 56 co. 5 CCI) e con effetti in larga parte sovrapponibili a quelli del già vigente piano di risanamento attestato;
b) quelli “stragiudiziali soggetti ad omologazione” (Sezione II), in cui ad una fase negoziale, conclusa con la stipula dell’accordo, segue la necessaria pubblicazione del piano e lo svolgimento di una fase giudiziale di omologa regolata processualmente secondo il modello unitario disciplinato dagli artt. 40 e ss. CCI.
Alla prima categoria appartengono:
- gli accordi in esecuzione dei piani attestati di risanamento (art. 56 C.C.I.);
- gli accordi conclusi nell’ambito di un procedimento di composizione della crisi (art. 19 co. 4 C.C.I.).
Alla seconda categoria appartengono:
- gli accordi di ristrutturazione dei debiti c.d. ordinari (artt. 57, 58 e 59 C.C.I.);
- gli accordi agevolati (art. 60 C.C.I.);
- gli accordi ad efficacia estesa (art. 61 C.C.I.).
La causa che informa tutti gli atti negoziali in elenco è la medesima, l’individuazione di soluzioni che consentano all’imprenditore di superare con le sue forze lo stato di crisi offrendo ai creditori, a fronte di un correlato sacrificio, il vantaggio compensativo di una maggiore utilità rispetto all’alternativa soluzione liquidatoria e disgregativa del patrimonio e di una più sicura stabilità dei pagamenti in quanto esenti da azioni revocatorie[4].
Il vantaggio dagli accordi stragiudiziali puri, oltre a quello di garantire un pieno controllo dell’imprenditore sull’azienda nel processo di risanamento al di fuori di ogni preventivo vaglio da parte dell’autorità giudiziale, è offrire la massima garanzia di riservatezza, essendo la pubblicazione del piano una mera facoltà liberamente fruibile dal debitore[5].
Per contro solo gli accordi soggetti ad omologazione sono idonei a produrre effetti ulteriori quali: I) il beneficio della prededuzione per crediti legalmente sorti durante la procedura e per finanziamenti erogati in funzione o in esecuzione del piano (artt. 6 lett. d), 101 e 102 CCI); II) la moratoria dei pagamenti di crediti estranei (art. 57 co. 3 CCI); III) l’estensione degli effetti ai soci illimitatamente responsabili (art. 59 CCI); IV) la possibile coartazione di creditori non aderenti (art. 61 CCI); V) la neutralizzazione della non adesione del creditore fiscale e/o previdenziale ai fini del raggiungimento delle maggioranze necessarie all’omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti, sempre che lo strumento si riveli più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria (art. 48 co. 5 CCI)[6].
L’accesso alle misure protettive del patrimonio da azioni esecutive e cautelari non è invece precluso in senso assoluto in caso di ricorso a soluzioni stragiudiziali pure, e tuttavia richiede il rispetto di talune cautele ulteriori, ovvero la stipula degli accordi nell’ambito di un procedimento di composizione assistita della crisi gestito dall’OCRI e la presentazione di apposito ricorso giudiziale al Tribunale delle Imprese (art. 20 CCI)[7].
L’istituto, per la prima volta regolato dal D.L. 27 giugno 2015 n. 83, conv. in L. 6 agosto 2015 n. 132, è stato inserito nella legge fallimentare nello stesso articolo dedicato agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, il 182 septies L. fall., benché si tratti di istituti in larga misura dissimili e, dunque, con scelta sistematica foriera di gravi incertezze interpretative.
La peculiarità degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa è che essi, diversamente dall’accordo di ristrutturazione ordinario - il quale non vincola i creditori estranei se non nella limitata misura della moratoria dei pagamenti per un massimo di centoventi giorni dopo l’omologa – consentono al debitore di obbligare i creditori non aderenti al rispetto di clausole e condizioni accettate dalla maggioranza qualificata di quelli appartenenti alla medesima categoria (settantacinque per cento), purché essi siano: a) portatori interessi omogenei; b) informati dell’avvio delle trattative portate avanti dall’imprenditore in crisi e messi in condizione di parteciparvi; c) adeguatamente informati della situazione patrimoniale, economica e finanziaria di quest’ultimo; d) destinatari di un soddisfacimento non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale.
Al fine di raggiungere le maggioranze richieste per l’estensione degli effetti, al debitore è offerta la possibilità di suddividere i creditori coinvolti nelle trattative in “categorie”, comprensive di crediti aventi posizioni giuridiche ed interessi economici omogenei, in ciascuna delle quali deve essere raggiunta la maggioranza qualificata richiesta, con l’opportuna precisazione che uno stesso creditore, titolare di plurime linee di credito, può essere incluso in più di una categoria.
Nessun vincolo ulteriore è stato imposto all’autonomia negoziale, sicché al debitore deve ritenersi consentita la coartazione dei non aderenti anche in deroga alla par condicio creditorum, potendo egli ad esempio: soddisfare crediti chirografari in anticipo o in misura maggiore rispetto a crediti muniti di prelazione; destinare al servizio del debito chirografario risorse del patrimonio mobiliare (si pensi ad esempio ai ricavi della continuità aziendale) pure in caso di non integrale soddisfazione dei titolari di privilegi generali mobiliari; prevedere, più in generale, una dilazione nel pagamento di crediti muniti di prelazione senza particolari limiti temporali, non applicandosi né il limite dei centoventi giorni previsto in caso di accordo di ristrutturazione ordinario, né quello dell’anno dall’omologa previsto in caso di concordato preventivo in continuità.
Il D.L. n. 83 del 2015 ha posto alcune condizioni all’applicazione dell’istituto sopra descritto, limitandone l’uso ai soli imprenditori che abbiano un’esposizione preponderante verso banche ed intermediari finanziari (almeno la metà del debito complessivo) e riducendone gli effetti vincolanti solo a queste categorie di creditori. Il Codice della crisi, al fine di incentivare il ricorso allo strumento, ha per contro ampliato l’ambito soggettivo del suo utilizzo, consentendovi l’accesso a qualsiasi imprenditore, indipendentemente dalla composizione qualitativa del passivo, e permettendo che esso produca effetti nei confronti dell’intera massa dei creditori, previa sua suddivisione in categorie omogenee, a condizione, però che: a) gli accordi non abbiano carattere liquidatorio; b) i creditori di ciascuna categoria “vengano soddisfatti in misura significativa o prevalente dal ricavato della continuità aziendale”[8].
La conclusione degli accordi in esame avviene dunque nel contesto di trattative stragiudiziali e determina l’immediata produzione di effetti negoziali fra gli stipulanti, mentre la coartazione dei non aderenti impone un necessario e preventivo vaglio del tribunale, sia in caso di opposizioni che in mancanza di esse, esercitato in sede di omologa, esteso in ogni caso, oltre che alla regolarità della procedura, all’ammissibilità giuridica dello strumento ed alla fattibilità, anche alla convenienza dell’accordo per ciascun creditore non aderente a cui siano estesi gli effetti dell’accordo, benché non opponente[9].
Elemento di principale affinità fra l’istituto brevemente descritto e le convenzioni di moratoria è la capacità di coinvolgimento di creditori estranei, vincolati dal contenuto di accordi inter alios.
Con prescrizione pressoché simile a quelle degli accordi, requisiti indispensabili affinché la convenzione di moratoria sia efficace nei confronti di terzi non aderenti sono:
a. l’omogeneità degli interessi con i creditori aderenti, in questo caso oggetto di specifica attestazione da parte di un professionista indipendente,
E tuttavia ben più evidenti sono i caratteri di discontinuità fra le due fattispecie. L’accesso alle convenzioni è infatti possibile, indipendentemente dalla soglia di esposizione verso le banche e gli intermediari, anche per soluzioni della crisi non destinate a preservare la continuità aziendale; inoltre lo strumento è finalizzato non già, o comunque non necessariamente, al superamento immediato della crisi, bensì alla “disciplina provvisoria dei suoi effetti”, tramite accordi di “moratoria” che facciano da ponte ad un più articolato piano di turnaround aziendale in fase di preparazione o all’accesso ad una procedura concorsuale.
Ma soprattutto va rimarcato che l’iter formativo della convenzione di moratoria è essenzialmente stragiudiziale, in quanto, diversamente dall’accordo di ristrutturazione, essa non è soggetta ad omologazione.
La coartazione dei creditori estranei consegue, difatti, dalla mera comunicazione ad essi della convenzione a mezzo raccomandata o posta elettronica certificata, salva la facoltà di proporre opposizione, il che rende la fase del sindacato giudiziale solo eventuale.
Si comprende bene allora perché, al fine di approntare una cautela ulteriore a beneficio dei creditori coartati, è richiesta, nel solo caso del convenzione di moratoria e non per gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, la contestuale comunicazione della relazione di un professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati aziendali, l’idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi e le concrete prospettive che, all’esito della convenzione, i creditori non aderenti saranno soddisfatti in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale (art. 62 co. 2 lett. d).
L’istituto si colloca dunque, in tutta evidenza, in una posizione intermedia fra gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e le figure di soluzione stragiudiziale pura della crisi (in primis gli accordi in esecuzione del piano di risanamento) dalle quali pure si differenza sotto molteplici aspetti.
Gli accordi negoziali finalizzati alla regolazione della crisi, soggetti alle ordinarie regole della negoziazione fra privati, non consentono, difatti, di vincolare i terzi non aderenti, né evitano iniziative esecutive e cautelari nella fase preparatoria, ragion per cui essi rappresentano non già la premessa ma l’approdo dell’elaborazione di un piano di risanamento. Viceversa le convenzioni di moratoria possono essere proficuamente utilizzate a monte e nel corso delle trattative con i creditori al fine di creare, nella gestione organizzativa del turnaround aziendale, un ombrello protettivo, di stampo anch’esso prettamente negoziale, che evita di dover adire l’autorità giudiziaria per l’ottenimento delle misure di cui all’art. 54 CCI.
Sul piano dei requisiti oggettivi, poi, il carattere essenzialmente temporaneo della regolazione della crisi a cui è finalizzata la convenzione non deve far ritenere che si tratti di strumento volto a contrastare esclusivamente situazioni di crisi reversibili nel breve periodo, quasi che il riequilibrio finanziario e dunque la capacità di adempiere con regolarità le obbligazioni debba essere necessariamente ripristinato al termine della pattuita moratoria.
In nessun momento la norma prescrive, infatti, che lo strumento debba avere come esito il superamento immediato della condizione di difficoltà finanziaria ed il recupero di un’equilibrata gestione all’esito della convenzione; al contrario è ben plausibile, come già evidenziato, che la stessa abbia una funzione ancillare rispetto ad altri successivi strumenti di regolazione della crisi, quali l’accordo di ristrutturazione, il concordato preventivo o lo stesso piano di risanamento attestato, allo scopo di proteggere temporaneamente il patrimonio del debitore nelle fasi prodromiche alla loro predisposizione[11].
Tanto più che, diversamente dall’accordo di ristrutturazione, la convenzione di moratoria può essere utilizzata senza particolari limitazioni anche al di fuori di una prospettiva di continuità aziendale e dunque allo scopo di assistere l’imprenditore nelle fasi di liquidazione volontaria del patrimonio.
Ogni creditore potrà dunque subire gli effetti di una convenzione di moratoria, non solo quando l’abbia sottoscritta (cosa che poteva già avvenire in passato in ossequio al principio di autonomia negoziale), ma altresì quando essa sia inter alios acta, sempre che il suo credito (o, se plurime, una delle linee di credito coinvolte nella convenzione) possa essere collocato, per omogeneità di interessi, in una “categoria” i cui componenti abbiano aderito in percentuale non inferiore al settantacinque per cento.
Il ricorso alla figura giuridica della “categoria”, in precedenza espressamente richiamata per i soli accordi di ristrutturazione, consente oggi di affermare senza margine di dubbio che ove l’imprenditore intenda avvalersi degli effetti vincolanti dello strumento in discussione non deve necessariamente coinvolgere l’universalità del ceto creditorio[13], bensì solo quei crediti e rapporti appartenenti alle tipologie omogenee che egli intenda coartare, dovendo in tutta evidenza la maggioranza all’uopo necessaria essere rapportata alla singola categoria interessata.
Naturalmente ciò impone che le categorie siano esattamente formate, in modo che vi siano inclusi solo crediti aventi caratteristiche omogenee sotto il profilo della titolarità e/o degli interessi economici sottesi (ben potendo, come opportunamente precisato, un creditore essere collocato in più categorie, ovvero essere coinvolto nella convenzione solo per una delle linee di credito di cui è titolare)[14] e che non vi sia alcuna pretermissione o occultamento di passività aventi analoghe caratteristiche, potendo una siffatta condotta inficiare il calcolo delle maggioranze[15].
A fronte delle garanzie di omogeneità degli interessi coinvolti e, come vedremo, di massima informazione dei creditori inclusi in ciascuna categoria, il dissenso individuale, posto di fronte ad un’elevatissima maggioranza di consensi (i due terzi dei componenti), può essere giustificato solo dal deteriore trattamento che il non aderente possa subire rispetto all’alternativa liquidatoria, dovendo, viceversa, soccombere alle meritevoli finalità di risanamento che lo strumento persegue.
Questo il motivo per cui il l’obbligatorietà della convenzione nei confronti creditore non aderente si produce nonostante egli permanga inerte, omettendo di partecipare al tavolo delle trattative della cui apertura sia stato adeguatamente informato, e per effetto della semplice comunicazione, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento o a mezzo pec presso il domicilio digitale, dell’accordo già concluso inter alios[16].
Va dunque sottolineato il diverso meccanismo di coartazione del creditore che la “categoria” propone rispetto alle “classi” del concordato preventivo; mentre in queste ultime è la volontà della maggioranza dei votanti a prevalere, nel caso delle convenzioni di moratoria, così come degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, in assenza del voto, è alle regole della buona fede e della correttezza, alla luce del principio solidaristico che informa la disciplina della crisi di impresa, che occorre appellarsi per giustificare la prevalenza degli accordi di risanamento sulla volontà contraria del singolo creditore che intenda lucrare, in modo opportunistico, una posizione di minoranza[17].
L’art. 62 co. 2 CCI stabilisce, alla lettera a), che “tutti i creditori appartenenti alla categoria siano informati dell’avvio delle trattative o siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sulla convenzione e sui suoi effetti”[18].
Un ruolo fondamentale nel processo informativo - sia pure a valle della conclusione delle trattative, essendone prevista la notifica ai creditori non aderenti in allegato alla convenzione già stipulata - assume la relazione del professionista indipendente, il cui contenuto è stato notevolmente ampliato dalla riforma, essendo in precedenza limitato alla sola verifica dell’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori interessati dalla moratoria.
Per contro il documento in discorso dovrà ora attestare, oltre all’omogeneità degli interessi rappresentati dalle singole categorie[19]: a) la veridicità dei dati aziendali; b) l’idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi; c) la sussistenza di concrete prospettive che i creditori non aderenti della categoria possano risultare soddisfatti, all’esito della convenzione, in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale[20].
L’attestazione sub a) presuppone un’analisi non solo formale circa la regolare tenuta della contabilità, ma altresì un accertamento sostanziale della correttezza dei valori iscritti, secondo tecniche di revisione contabile, ovvero basato su riscontri estrinseci da eseguire a campione e certamente favorito dall’interlocuzione con i creditori che abbiano partecipato al tavolo delle trattative.
L’attestazione sub b) è del tutto nuova e quanto mai opportuna, atteso che è proprio il vantaggio competitivo della convenzione rispetto all’alternativa liquidatoria a giustificare la coartazione del singolo creditore.
L’aver previsto l’alternativa liquidatoria quale termine di paragone rispetto allo scenario prospettato dalla convenzione è una precisazione assai importante. E’ evidente che in tanto i creditori aderenti saranno disponibili a concedere dilazioni di pagamento all’imprenditore, in quanto ritengano che il piano di risanamento proposto sia in grado di liberare risorse finanziarie anche grazie alla coartazione degli altri soggetti aventi posizione giuridica ed interessi economici omogenei, sicché prevedibilmente saranno introdotte clausole risolutive in caso di mancato raggiungimento delle maggioranze o di accoglimento delle opposizioni.
Ne consegue che è proprio la convenzione a garantire al soggetto coartato un pagamento, sia pure dilazionato del tempo, che egli non avrebbe potuto conseguire in mancanza di essa a causa dell’insufficienza temporanea delle risorse disponibili all’imprenditore per il regolare ed ordinato pagamento delle proprie obbligazioni.
E dunque l’alternativa comparatistica che si prospetta non è fra il pagamento secondo le scadenze e quello secondo il piano di dilazione proposto, atteso che viceversa quest’ultimo dovrebbe ritenersi comunque sconveniente per chi avrebbe dovuto essere pagato nel periodo di copertura della moratoria, e nemmeno, si ritiene, fra il pagamento dilazionato proposto e quello che si otterrebbe dalla possibile prosecuzione dell’attività aziendale, eventualmente nell’ambito di una procedura di regolazione della crisi in continuità concretamente praticabile ed eventualmente già elaborata, bensì esclusivamente fra il pagamento dilazionato proposto e la potenziale falcidia del credito dovuta al concorso dei creditori nell’ambito di una liquidazione giudiziale in cui l’attività aziendale sia ceduta in blocco o peggio ancora atomisticamente, avendo perduto ogni valore di avviamento[21].
L’aver poi il legislatore richiesto all’attestatore di verificare altresì l’idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi vuol significare, in aggiunta a quanto sopra, che la comparazione svolta dall’attestatore, ed eventualmente dal tribunale adìto in sede di opposizione, non potrà essere acritica, ma fondata su un giudizio di fattibilità economica del piano dei pagamenti ipotizzato dal debitore, mediante analisi delle risorse finanziare esistenti o future (piano di tesoreria) liberate dall’approvazione della convenzione e tempo per tempo poste a servizio del debito.
Gli elementi identificanti della convenzione di moratoria sono:
a) la temporaneità degli effetti, sebbene la legge non ne indichi specificamente la durata;
b) la natura degli effetti, che sebbene non espressamente tipizzati, vengono ricavati a contrario dalla previsione di chiusura secondo cui “in nessun caso per effetto della convenzione, ai creditori della medesima categoria non aderenti possono essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti”, con l’ulteriore precisazione che “non è considerata nuova prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già acquisiti”.
E’ dunque preponderante la funzione cautelativa del patrimonio, oltre che protettiva della continuità aziendale, che l’istituto persegue mediante soluzioni provvisorie e temporanee, eventualmente prodromiche all’utilizzo di altri strumenti di regolazione della crisi, consistenti nella pattuizione con gli aderenti, ed imposizione ai non aderenti, delle seguenti due tipologie di clausole[22]:
a) i pacta de non petendo, con effetti analoghi all’automatic stay, implicando essi evidentemente non solo una moratoria dei pagamenti, ma anche il divieto di azioni esecutive e cautelari[23];
b) clausole di conservazione della vigenza di contratti in essere, in particolare le locazioni finanziarie relative a beni aziendali, nonché di “stand still”, volte cioè al mantenimento di linee di credito preesistenti entro i limiti del livello di utilizzo esistente alla data di apertura del tavolo delle trattative.
Non è invece consentita l’imposizione di nuove prestazioni a creditori non aderenti, inclusa la concessione di nuovi affidamenti, compreso il mantenimento di fidi già concessi oltre i limiti dell’utilizzato[24], e l’erogazione di nuova finanza.
Lo strumento in disamina riguarda, del resto, unicamente obbligazioni e contratti già sorti sicché esso non può comportare, a meno di una nuova intesa negoziale, l’estensione degli effetti di contratti ancora non stipulati, benché funzionali al processo di risanamento ed aventi caratteristiche omogenee con quelli pregressi[25], né, si ritiene, vincolare il contraente terzo a proseguire rapporti di durata quando il debitore non provveda all’adempimento della controprestazione, in questo caso con la sola eccezione dei contratti di leasing finanziario, la cui conservazione, nonostante il congelamento del pagamento dei canoni, è giustificata dall’essere indispensabili all’integrità dell’apparato produttivo dell’impresa[26].
Analogamente non è possibile imporre ai terzi non aderenti: la falcidia di crediti; una rimodulazione delle scadenze dei pagamenti oltre i limiti della moratoria temporanea; la sostituzione dell’oggetto della prestazione tramite dationes in solutum. Pare, infatti, che la specialità del processo di cooptazione della volontà degli estranei, non condizionato all’omologa del tribunale, impedisca, in mancanza di espressa previsione normativa in tal senso, la modifica del quantum e del quomodo delle obbligazioni contratte.
Un definitivo elemento chiarificatore in tal senso è stato fornito dal Codice della Crisi, che, al primo comma dell’art. 62, esemplificando i possibili contenuti della convenzione, fra cui “la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito”, ha sciolto ogni eventuale soverchio dubbio sul fatto che la convenzione di moratoria non può prevedere falcidia dei crediti, salvo poi rafforzare la clausola di automatic stay con la possibilità di imporre ai creditori, oltre alla sospensione, anche la rinuncia agli atti delle procedure esecutive e conservative pendenti.
La legge non stabilisce inoltre un limite temporale alla durata della moratoria, non essendo ad essa applicabile, come già detto il termine di centoventi giorni previsto per il trattamento dei creditori estranei negli accordi di ristrutturazione ordinari, né quello di un anno previsto per il concordato preventivo in continuità[27].
E tuttavia un’utile indicazione potrebbe trarsi dalla normativa comunitaria che ammette una sospensione massima delle procedure esecutive pari a dodici mesi (art. 6 § 8 Dir. (UE) 2019/1023), del resto corrispondente a quella stabilita in generale dall’art. 8 del CCI per le misure protettive, indipendentemente dalla procedura di regolazione della crisi a cui si riferiscono.
Non è previsto, dunque, alcun giudizio di omologazione.
Il sindacato in sede di opposizione avrà naturalmente ad oggetto l’accertamento dei requisiti oggettivi e soggettivi di accesso allo strumento, la regolarità della procedura, compresa la corretta formazione delle categorie, ed in ultimo la convenienza degli effetti della convenzione rispetto all’alternativa liquidatoria.
Diversamente da quanto accade, poi, per il diniego di omologa degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, l’accoglimento dell’opposizione del singolo creditore non travolge l’intera convenzione, ma ne determina l’inefficacia relativa nei confronti del creditore vittorioso. Ciò sia che il sindacato abbia riguardato la convenienza per il creditore opponente, ovvero la sua preferibilità ad alternative liquidatorie, sia che abbia riguardato vizi di natura procedurale o la mancanza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l’accesso allo strumento.
La convenzione di moratoria resterà invece valida non solo, naturalmente, per i creditori aderenti[28], ma anche per quelli non aderenti che non abbiano proposto opposizione.
Il rito applicabile al giudizio di opposizione è quello camerale ed è definito con sentenza suscettibile di reclamo dinanzi alla Corte d’Appello. Il rinvio all’art. 51 CCI chiarisce, infine, che a sua volta la decisione assunta in sede di gravame è suscettibile di ricorso per cassazione entro trenta giorni dalla sua notificazione.
La soluzione proposta, se per un verso offre nuove opportunità di fruizione di uno strumento di natura strettamente negoziale e dunque assistito dalle garanzie di riservatezza e pieno controllo per l’imprenditore, per altro verso ha reso indispensabile corredarne la disciplina di garanzie rafforzate per il ceto creditorio, di cui possono far parte figure non professionali e comunque non dotate di adeguati strumenti informativi.
Se tali cautele sono comprensibili, non va sottaciuto il rischio di un allungamento dei tempi procedurali, dovuto soprattutto alla predisposizione delle complesse attestazioni del professionista, nonché quello di una maggiore esposizione dell’imprenditore a possibili vizi procedurali che potrebbero determinare l’accoglimento delle opposizioni conseguentemente proposte da singoli creditori, rischio quest’ultimo solo in parte temperato dall’opportuno chiarimento circa il più limitato perimetro del giudizio di convenienza della convenzione di moratoria rispetto alle alternative praticabili.
Questi timori potrebbero disincentivare il ceto bancario a partecipare al tavolo delle trattative, soprattutto quando la convenzione sia finalizzata a regolare solo in via ancillare la crisi in vista della predisposizione di un più complesso accordo di ristrutturazione o di un concordato preventivo, nonché spingere l’imprenditore verso il ricorso ad altri strumenti di tutela anticipata, quali le misure protettive.
Note: