L’art. 23 del D.L. 118/2021 stabilisce, al comma 1, che sono improcedibili fino al 31 dicembre 2021 i ricorsi per la risoluzione del concordato preventivo e i ricorsi per la dichiarazione di fallimento proposti nei confronti di imprenditori che hanno presentato domanda di concordato ai sensi dell’articolo 186-bis l.fall., omologato in data successiva al 1° gennaio 2019.
La norma rientra tra le misure cd. emergenziali che, a far data dall’anno 2020, sono state emanate per contrastare gli effetti dell’emergenza epidemiologica da Covid-19[1] ed ha lo scopo di contenere l’impatto della pandemia[2] sui concordati omologati dopo il 1° gennaio 2019 rispetto ai quali è ragionevole presumere una certa difficoltà, per gli imprenditori, di mantenere gli impegni assunti con la proposta, secondo il piano omologato[3].
La nuova disposizione si accompagna all’art.9, comma 1, del citato Decreto Liquidità, che stabilisce che i termini di adempimento dei concordati preventivi (nonché degli accordi di ristrutturazione, degli accordi di composizione della crisi e dei piani del consumatore omologati), aventi scadenza in data successiva al 23 febbraio 2020, siano prorogati di sei mesi. Invero tale proroga, per come evidenziato dallo stesso Legislatore dell’emergenza, dovrebbe avere già “evidenti riflessi anche sul meccanismo di risoluzione dei concordati ex art. 186 l.fall.”[4]. Come è stato opportunamente osservato, infatti, il differimento dei termini di adempimento dovrebbe trascinare con sé anche quello di emersione dell’eventuale inadempimento e, quindi, del diritto a chiedere la risoluzione del concordato[5]. Ma è noto quell’orientamento, assai consolidato, che ammette la possibilità di dichiarare risolto il concordato preventivo anche quando i termini finali di adempimento non siano ancora scaduti ma sia, comunque, emersa l’incapacità del debitore di soddisfare i creditori nella misura proposta ed omologata[6]. In caso di concordato con continuità aziendale, in particolare, è stato affermato che la risoluzione per inadempimento può avvenire anticipatamente quando l’analisi dei risultati della gestione economica della società non offra previsioni certe e ravvicinate di profitti da destinare all'adempimento delle obbligazioni concordatarie[7], sia evidente la mancata realizzazione degli obiettivi del piano e sia probabile, in base ad una ragionevole previsione, rimessa al prudente apprezzamento del giudice, che la proposta non possa più essere adempiuta[8]. L’art. 23 del D.L. 118/2021 tende, dunque, a neutralizzare temporaneamente iniziative di tal sorta, sul condivisibile presupposto che la gestione economica – finanziaria dell’impresa in continuità aziendale possa essere negativamente condizionata dalla pandemia e che, cessati o diminuiti gli effetti della stessa, il piano possa ritenersi ancora in “ragionevole corso di attuazione” [9].
Per effetto dell’applicazione delle citate due norme emergenziali, dunque, i termini di adempimento di tutti i concordati preventivi già omologati, aventi scadenza in data successiva al 23 febbraio 2020, sono prorogati di sei mesi. Per i soli concordati con continuità aziendale omologati dopo il 1° gennaio 2019 non può essere dichiarata la risoluzione per inadempimento e non può essere dichiarato il fallimento del debitore fino al 31 dicembre 2021.
Stando alla dichiarata ratio della disposizione, l’improcedibilità di cui all’art. 23 dovrebbe riguardare i concordati in corso di esecuzione, anche per effetto della proroga dei termini di adempimento disposta dall’art. 9, comma 1, del Decreto Liquidità. Essa non dovrebbe riguardare, invece, i concordati i cui termini di adempimento siano già definitivamente scaduti alla data di entrata in vigore della norma (25/08/2021) e, dunque, ormai inadempiuti a quella data. Ove la norma dovesse ritenesse applicabile anche a questi concordati, allora dovrebbe ritenersi prorogato (per un periodo di tempo pari a quello per cui è stabilita l’improcedibilità) il termine di decadenza annuale stabilito dall’art. 186, comma 3, l.fall., per agire per la risoluzione, pena una irragionevole riduzione di quest’ultimo in pregiudizio ai creditori[10].
L’ambito di operatività dell’art. 23 del D.L. 118/2021 è limitato ai concordati preventivi con continuità aziendale, omologati ai sensi dell’articolo 186-bis l.fall. E ciò tanto nel caso di continuità aziendale diretta da parte del debitore, quanto in ipotesi di continuità cd. indiretta, attuata cioè mediante la cessione dell’azienda a terzi, unica essendo la disciplina[11]. La norma dovrebbe applicarsi anche ai concordati aventi natura mista cioè con piano che preveda sia la continuità aziendale che la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa. Sulla disciplina applicabile a tali concordati[12], di recente, è intervenuta la Corte di Cassazione, la quale ha chiarito che il concordato preventivo in cui sia prevista una qualsiasi consistenza di prosecuzione dell’attività aziendale è regolato nella sua interezza, salvi i casi di abuso, dalla disciplina speciale prevista dall’art. 186-bis l.fall.[13].
Il meccanismo processuale prescelto dal legislatore per inibire temporaneamente le azioni di risoluzione dei concordati e i ricorsi per la dichiarazione di fallimento è quello della improcedibilità. Al riguardo la nuova norma evoca l’art. 10, comma 1, del Decreto Liquidità, che sanciva l’improcedibilità delle istanze di fallimento depositate nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020. Si ripropongono, dunque, i medesimi dubbi già germinati da tale disposizione circa le concrete modalità operative del meccanismo inibitorio, potendosi predicare tanto la immediata dichiarazione formale di improcedibilità[14] quanto il mero rinvio della trattazione a data successiva al 31 dicembre 2021, anche previa sospensione cd. atipica del relativo procedimento. La prima soluzione dovrebbe essere quella più aderente al dato letterale della norma, anche se non può sottacersi che ragioni di economia processuale potrebbero giustificare il ricorso alla seconda soluzione[15].
L’improcedibilità dovrebbe riguardare tutti i procedimenti aventi ad oggetto la risoluzione di concordato o la dichiarazione di fallimento relativi a concordati omologati nell’anno 2019, a prescindere dalla data del deposito del relativo ricorso introduttivo. Essa dovrebbe, dunque, riguardare tanto i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore dell’art. 23 del D.L. 118/2021, tanto quelli introdotti in data successiva. Diversamente dall’art. 10, comma 3, del Decreto Liquidità, che sanciva l’improcedibilità dei ricorsi depositati nel periodo di tempo considerato dalla norma, infatti, il citato art. 23 non fa alcun riferimento alla data di deposito del ricorso introduttivo dell’azione inibita e fa generico riferimento ai procedimenti relativi a concordati omologati nell’anno 2019.
L’improcedibilità, come è noto, è rilevabile d'ufficio, e - dunque - può essere dichiarata senza necessità di alcuna domanda o eccezione delle parti. Secondo una parte della dottrina, essa potrebbe essere dichiarata anche senza convocare le parti[16].
L’art. 23 del D.L. 118/2021 sancisce l’improcedibilità anche dei soli ricorsi per la dichiarazione di fallimento proposti nei confronti di imprenditori che hanno presentato domanda di concordato con continuità aziendale omologato nell’anno 2019. La previsione normativa è dichiaratamente[17] volta ad evitare che, nonostante l’improcedibilità dei ricorsi per la risoluzione del concordato, possa essere ugualmente dichiarato il fallimento, in virtù di quell’orientamento giurisprudenziale che ritiene ammissibile l’iniziativa fallimentare a prescindere dell’intervenuta risoluzione del concordato[18]. La questione è, tuttavia, controversa[19] e, di recente, è stata ritenuta meritevole di rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[20] . La norma tende a regolare tali fattispecie proprio in attesa della decisione delle Sezioni Unite[21].
L’improcedibilità riguarda senza dubbio i procedimenti di risoluzione e di dichiarazione di fallimento incoati su iniziativa dei creditori e quelli volti alla dichiarazione di fallimento avviati su iniziativa del pubblico ministero. Potrebbe dubitarsi della operatività della norma nel caso di iniziativa fallimentare incoata dal debitore[22]. Il ricorso per auto fallimento potrebbe, infatti, in questi casi, costituire pacifica ammissione che il concordato non può più essere adempiuto e, stando alla dichiarata ratio della norma, non vi dovrebbero essere motivi ostativi alla dichiarazione di fallimento.