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Le misure protettive e cautelari nella composizione negoziata della crisi

Livia De Gennaro, Giudice della Sezione crisi di impresa del Tribunale di Napoli

3 Dicembre 2024

L’A. si sofferma funditus delle misure protettive e cautelari nella composizione negoziata, indagandone i presupposti, i connotati, le regole alla luce del D.Lgs. n. 136 del 2024 (cd. Secondo Decreto correttivo). L’affresco scioglie molti nodi critici e fornisce, attraverso uno sguardo al diritto vivente, il catalogo delle opportunità e delle criticità.
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1 . Le misure protettive e cautelari nella composizione negoziata
Nella composizione negoziata i poteri dispositivi e gestori dell’imprenditore sono conservati <<quasi>> interamente, dove il quasi sta ad indicare che vi sono ipotesi in cui si attua comunque un blando controllo dell’esperto su atti di straordinaria amministrazione e pagamenti e casi in cui è previsto un limitato controllo del Tribunale. 
Uno di questi casi riguarda le misure protettive e cautelari disciplinate dagli artt. 18, 19 e 20. L’art. 18 descrive le misure protettive, l’art. 19 regola il relativo procedimento e l’intervento del Tribunale e l’art 20 regola, in collegamento con le misure protettive, la sospensione degli obblighi civilistici che scattano in occasione di perdite rilevanti.   
L’intervento del Tribunale è solo eventuale nell’ambito delle misure protettive o cautelari, poiché può intervenire solo quando è l’imprenditore a chiedere queste misure. 
Alla composizione negoziata si accede infatti volontariamente e l’individuazione della soluzione della crisi è affidata alla autonomia privata, non al giudice ed è, come noto, un percorso che consente all’imprenditore che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale  o economico finanziario, di perseguire il risanamento dell’impresa con il supporto dell’esperto indipendente che agevoli le trattative con l’imprenditore e con i soggetti interessati. 
La composizione negoziata rappresenta una tappa di un percorso evolutivo già in atto e conferma l’accresciuto rilievo che il diritto della crisi di impresa assume a livello macro-economico in u contesto di crisi diffusa , ponendosi come un volano atto a favorire il rilancio dell’economia in affanno. 
E’ un campo neutro per trattare senza la presenza del giudice, l’ingresso della autorità giudiziaria è eventuale ed episodico ma non marginale. 
La definizione di misure protettive che si ritrova all’art. 2 lett. p) CCII contiene un implicito richiamo alla composizione negoziata: è previsto che l’imprenditore possa avvalersi di misure temporanee volte ad evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi, «sin dalla fase delle trattative», ancor prima dell’accesso a uno strumento di regolazione della crisi. 
Le misure protettive sono misure temporanee richieste dal debitore per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza, anche prima dell’accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. 
Le misure cautelari sono i provvedimenti emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio o dell’impresa del debitore, che appaiono secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi o e dell’insolvenza e delle procedure di insolvenza.          
La protezione del patrimonio opera in un contesto estraneo alla concorsualità, qual è quello della composizione negoziata: manca, qui, un organo della “procedura” (un commissario giudiziale o un curatore), perché al ruolo rivestito da queste figure non può essere parificato quello dell’esperto; il debitore che accede al percorso resta in bonis, non subisce alcuno spossessamento, nemmeno in forma attenuata; la presenza del giudice è prevista in ipotesi tassative. 
Tuttavia, la consapevolezza che ad uno svolgimento sereno di quelle trattative possa contribuire la temporanea sterilizzazione di ogni iniziativa processuale o stragiudiziale dei creditori sul patrimonio del debitore, ha indotto il legislatore ad importare un istituto (quello della protezione del patrimonio) già noto nell’ambito del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione. 
Nella composizione negoziata, così come negli strumenti di regolazione della crisi (artt. 54-55 CCII), la protezione del patrimonio opera solo su richiesta del debitore: la domanda potrà proporsi contestualmente all’istanza di nomina dell’esperto depositata presso la Camera di Commercio, ma anche successivamente, nel corso della composizione negoziata. 
Nel primo caso, la protezione del patrimonio avrà effetto dal momento della pubblicazione dell’accettazione dell’esperto nel registro delle imprese (momento che segna ’inizio del percorso), nel secondo, il dies a quo coincide con la pubblicazione della relativa istanza nel medesimo registro. L’efficacia immediata delle misure protettive nei termini anzidetti è comunque provvisoria, essendo condizionata, da un lato, alla proposizione di una domanda giudiziale volta alla loro conferma, revoca o modifica (il ricorso di cui discorre l’art. 19, comma 1, CCII) e, dall’altro lato, all’accoglimento di quella domanda da parte del tribunale, all’esito del procedimento descritto dall’art. 19 CCII: quello deputato ad ospitare anche la cognizione e la decisione sulle eventuali istanze dell’imprenditore volte ad ottenere, ove occorra, l’adozione di provvedimenti cautelari necessari a condurre a termine le trattative. 
Le misure protettive possono essere richieste, peraltro, anche nel corso delle trattative e prima del deposito della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione (compresi gli accordi cd. ad efficacia estesa), allegando la documentazione di supporto prevista in relazione a questi ultimi e la proposta di accordo corredata da una dichiarazione del professionista indipendente, il quale attesta che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti, e che la stessa, se accettata, è idonea ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare (art. 54, comma 3,CCII). Oltre a ciò, la norma prevede che, con la presentazione dell’istanza di nomina dell’esperto (o anche con istanza successiva), il debitore possa chiedere l’adozione dei provvedimenti cautelari “necessari per condurre a terminele  trattative”.
1.1 . Le misure protettive e cautelari ed il decreto legislativo 136-27 settembre 2024. La posizione delle banche
Anche la disciplina delle misure protettive e cautelari non è restata immune dalle integrazioni apportate dal correttivo, che qui ha operato su due fronti: invero, da un lato si registrano interventi di mera risistemazione topografica, e dall’altro assistiamo ad innesti di particolare rilievo. 
Come innanzi riferito, contestualmente alla richiesta di nomina dell’esperto, o anche successivamente, l’imprenditore può fare istanza di applicazione di misure protettive del patrimonio, la cui disciplina si deve agli artt. 18 e 19 CCII. La richiesta può essere limitata a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori. Il secondo comma dell’art. 18 dispone che con l’istanza l’imprenditore deposita una dichiarazione sull’esistenza di misure esecutive o cautelari disposte nei suoi confronti. 
La richiesta di applicazione di misure protettive, come detto , è pubblicata sul registro delle imprese unitamente all’accettazione dell’esperto, (e quindi entro due giorni). 
Ribadito questo, il correttivo interviene in primo luogo chiarendo meglio l’estensione dell’ombrello aperto dalle misure protettive, precisando che i divieti cui sono soggetti i creditori interessano anche le banche. 
La esplicita chiamata in causa delle banche ha prodotto, quale effetto di trascinamento, la ulteriore previsione per cui nella vigenza delle misure protettive queste non possono revocare in tutto o in parte le linee di credito già concesse, con la precisazione che restano ferme la sospensione e la revoca delle linee di credito disposte per effetto dell’applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale. Ciò, si noti, accade indipendentemente dalla misura dell’utilizzo, minore o maggiore rispetto al limite, dell'affidamento accordato. 
Allo stesso modo, il comma 5 bis, nel solco del medesimo obiettivo (impegnare le banche a non ostacolare il processo di risanamento senza tuttavia sacrificare le regole della disciplina della vigilanza prudenziale), prevede per le banche la possibilità di mantenere la sospensione (deve ascriversi a mera dimenticanza la circostanza per cui non sia richiamata anche la revoca) relativa alle linee di credito accordate al momento dell'accesso alla composizione negoziata se dimostrano che la sospensione è determinata dalla applicazione della disciplina della vigilanza prudenziale. 
In buona sostanza, il portato ultimo di queste norme appare essere certamente quello per cui l’onere di una partecipazione fattiva degli istituti di credito al processo di riequilibrio non si traduce in un effetto coercitivo con riferimento al mantenimento delle linee di credito già utilizzate o accordate al momento dell'accesso alla composizione negoziata, ove a ciò osti la disciplina sulla vigilanza prudenziale. 
Va anche ulteriormente notato che il legislatore non indica mai tra le ragioni della sospensione degli affidamenti l’eventuale dissenso dell’istituto di credito rispetto alla natura ed alla portata della manovra finanziaria, sia in occasione dell’apertura della composizione, sia nel contesto del procedimento di conferma delle misure protettive (del quale tra un attimo si dirà). E tuttavia occorre osservare che, qualora il risanamento prospettato postuli come necessario il placet della banca e questa comunichi all’esperto il proprio dissenso, l’esperto si troverebbe davanti allo scenario della possibile archiviazione (salvo radicali cambiamenti in corsa), rispetto al quale la banca non potrebbe erogare credito. 
In questo contesto dovrebbe inserirsi il contrappeso dell’art. 22, comma 1, lett. a), a norma del quale il tribunale può autorizzare l’accordo con la banca e l’intermediario finanziario alla riattivazione di linee di credito sospese, con il beneficio della prededuzione. Sennonché laddove una linea di credito sia stata sospesa in applicazione della disciplina della vigilanza prudenziale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 16 e 18 surrichiamati, bisognerà capire quanto le banche siano disposte ad assumere una diversa determinazione (per quanto sorretta anche da un loro interesse ad ottenere il rientro di precedenti linee di credito), confidando nella prededuzione. 
Alcune novità hanno poi interessato il procedimento di conferma, scandito dall’art. 19. 
In questo ambito viene ribadito l’onere di iscrizione a ruolo del procedimento di conferma da compiersi entro il giorno successivo a quello della pubblicazione dell’istanza e dell’accettazione dell’esperto, e quello della successiva fissazione dell’udienza da parte del giudice nei 10 giorni seguenti, ma si riduce, da 30 a 20, il termine entro cui l’imprenditore deve pubblicare nel registro delle imprese il numero di ruolo generale del procedimento instaurato. È singolare che, nel ridurre questo termine, il legislatore non abbia inteso porre rimedio a quella che appare a chi scrive una palmare incongruenza, rappresentata dalla previsione della inefficacia della misura protettiva quale conseguenza della inerzia del giudice che ometta di fissare l’udienza nel termine di 10 giorni. L’unica seria interpretazione che può darsi a questo anello processuale è quello per cui l’intempestiva fissazione dell’udienza equivale a diniego implicito della conferma. 
Sempre nel conteso del procedimento di conferma viene arricchito il contenuto del parere che l’esperto è chiamato a rendere al fine di offrire al giudice il più ampio ventaglio di informazioni volto ad orientare il contenuto del provvedimento di (eventuale) conferma e fissazione della durata delle misure richieste. Invero, viene previsto che l’esperto, quando è sentito dal Tribunale, deve non solo rappresentare lo stato delle trattative, indicare le attività svolte e riferire in ordine all’esito del test pratico di cui all’art. 13, comma 2, ma anche esplicitare quali attività intende svolgere per il superamento della condizione di squilibrio, crisi o insolvenza. 
Resta fermo che, all’esito dell’udienza, il Tribunale stabilisce la durata delle misure protettive (compresa tra i 30 ed i 120 giorni, prorogabili, fermo restando che le misure non possono avere una durata superiore a 240 giorni) e adotta i provvedimenti cautelari che venissero richiesti, tenuto conto delle misure protettive eventualmente già adottate ai sensi dell’art. 54, comma 1, CCII. 
Piccoli aggiustamenti interessano anche la proroga delle misure. Qui il correttivo chiarisce che la richiesta di proroga può provenire anche dal debitore (la previgente formulazione faceva riferimento, genericamente, alle parti) e che quando viene sentito in questa occasione l’esperto deve non solo rappresentare lo stato delle trattative ma anche esprimere il proprio parere in ordine alla sussistenza, a quella data, della praticabilità del risanamento ed alla esigenza di prorogare in funzione di esso le misure adottate. 
Nulla cambia in tema di revoca delle misure concesse, la quale sarà disposta dal giudice su istanza dell'imprenditore o di uno o più creditori, su segnalazione dell'esperto o a seguito dell’archiviazione della composizione (che l’esperto deve comunicargli). Con la revoca delle misure cessa anche il divieto di dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale. 
2 . Il catalogo delle misure protettive
Il catalogo delle misure protettive fruibili nella composizione negoziata è contenuto nell’art. 18 CCII: spetta all’imprenditore scegliere se e di quali avvalersi, stabilire chi siano i soggetti che intende farne destinatari (sul profilo della selettività soggettiva.
1) Nell’art. 18, compare, anzitutto, il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore, ovvero sui beni e i diritti per mezzo dei quali quest'ultimo esercita la sua attività di impresa. La misura evoca il cd. automatic stay, che nel regime previgente conseguiva alla pubblicazione della domanda di concordato preventivo ex art. 168 l.fall. nel registro delle imprese.
Le divergenze rispetto alla norma della legge fallimentare sono più d’una. Di là dal fatto che non siamo in presenza di una procedura concorsuale e che lo stay esecutivo e cautelare oggi non è più automatico ma on demand (perché subordinato ad istanza di parte) l’art. 18 CCII (così come l’art. 54, comma 2, CCII nel contesto degli strumenti di regolazione della crisi) amplia la portata oggettiva del divieto di azioni esecutive e cautelari, esteso anche a quelle che hanno ad oggetto non solo beni di proprietà del debitore, ma anche beni e diritti con cui il debitore esercita l’attività di impresa.
Da un punto di vista processuale, l’inibitoria si traduce in una improcedibilità temporanea dell’esecuzione forzata, che decorre dal momento in cui la misura protettiva acquista efficacia (ossia dalla pubblicazione dell’accettazione dell’esperto nel registro delle imprese) e cessa con la revoca della misura che può intervenire.
Fin dal momento in cui la misura produce effetti (dunque a prescindere dal provvedimento di conferma) il giudice dell’esecuzione, su istanza del debitore esecutato, è tenuto a provvedere ai sensi dell’art. 623 c.p.c., limitandosi a prendere atto dell’arresto temporaneo del processo, senza alcun potere di sindacato.
Il provvedimento non è impugnabile, e gli effetti cessano quando, archiviata la composizione negoziata, i creditori riassumeranno l'esecuzione ai sensi dell’art. 627 c.p.c. Il dies a quo, dal quale computare il termine dei sei mesi decorrerà da quando il provvedimento di revoca, pronunciato ai sensi dell’art. 20, comma 6, CCII non sarà più reclamabile ex art. 669 terdecies c.p.c. L’improcedibilità temporanea non comporta l’inefficacia del pignoramento già compiuto. Pertanto, in caso di espropriazione presso terzi, non vi sarà alcuna liberazione delle somme pignorate (che, se versate sul conto corrente, rimarranno indisponibili per il debitore fino al raggiungimento di quanto precettato, aumentato della metà: art. 546, comma 1, c.p.c.)
Non si verifica alcun effetto di estinzione dell’esecuzione, che potrà avvenire, semmai, solo a conclusione del percorso di composizione negoziata (mediante rinuncia dei creditori, ex art. 632 c.p.c.) e sempre che il suo esito non coincida con quello dell’apertura di una procedura concorsuale
2) La seconda misura protettiva indicata nell’art. 18 CCII consiste nel divieto per i creditori di acquisire diritti di prelazione che non siano stati concordati con l’imprenditore.
La scelta compiuta dall’art. 18 si giustifica perché, nella composizione negoziata, non v’è l’esigenza di impedire ai creditori l’acquisto di posizioni di vantaggio rispetto agli altri, nemmeno quando ciò avvenga a ridosso dell’accesso al percorso.
Del resto, quand’anche la composizione negoziata sfociasse in un accordo (art. 23) non v’è la necessità di rispettare alcun ordine di distribuzione delle somme, sì che non si pone un problema di violazione della par condicio.
La circostanza che il debitore che accede al percorso resta in bonis senza subire alcuno spossessamento, nemmeno in forma attenuata spiega perché l’art. 18 precisa che l’imprenditore, pur quando si avvalga delle misure protettive, rimanga libero di effettuare pagamenti e di compiere atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.
3) Ai creditori, colpiti dalle misure protettive già indicate, è inibito, per ciò solo, l’esercizio di poteri di autotutela negoziale nei confronti del debitore: essi non possono risolvere il contratto, rifiutarne l’adempimento, anticiparne la scadenza o modificarla in danno del debitore, per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori alla pubblicazione dell’istanza di nomina dell’esperto. È una misura protettiva che ha lo scopo di garantire la continuità aziendale, tant’è vero che la norma si riferisce ai creditori che siano parti di contratti di durata: la sterilizzazione di quel potere di autotutela negoziale consegue ex lege nei confronti di coloro che siano destinatari dello stay esecutivo e cautelare.
4) La richiesta di misure protettive comporta, per ciò solo, anche l’inibitoria della pronuncia della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. Tale misura opera anche quando non sia stata espressamente richiesta. L’effetto inibitorio decorre da quando il debitore abbia dichiarato di volersi avvalere delle (altre) misure protettive e, dall’altro lato, non esige un vaglio di fondatezza da parte del tribunale in sede di conferma.
Dal giorno della pubblicazione dell’istanza di applicazione delle misure protettive nel registro delle imprese e fino alla conclusone delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata, non può essere pronunciata a carico dell’imprenditore la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o la sentenza di accertamento dello stato di insolvenza.
Al riguardo occorre una precisazione: il vantaggio in discorso consiste nella impossibilità di pronunciare la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale ma non sembra implicare anche la improcedibilità delle istanze di apertura della liquidazione giudiziale pendenti o che siano successivamente proposte le quali possono continuare ad essere istruite.
Pertanto, l’istruttoria sulle istanze di fallimento già proposte può proseguire e completarsi, arrestandosi solo prima che la liquidazione venga aperta dichiarato (e a tal fine oltre che una sospensione potrebbe essere disposto anche semplicemente un rinvio dell’udienza prefallimentare in attesa dell’esito della composizione negoziata.
Proprio perché la norma fa riferimento alla inibitoria della (sola) sentenza, non è precluso ai creditori, ai sindaci o al p.m. di depositare l'istanza di liquidazione giudiziale, accompagnata, se del caso, dalla richiesta di misure cautelari ex art. 54, comma 1, CCII: se questa vi sarà, il tribunale concorsuale, chiamato a stabilire se concedere o non concedere i provvedimenti richiesti (art. 55, comma 2), dovrà tener conto delle misure protettive confermate in sede di composizione negoziata. Nell’ipotesi opposta (in cui l’istanza di apertura della liquidazione giudiziale preceda l’accesso alla composizione negoziata), sarà il tribunale adito ex art. 19 a dover tener conto, ai fini della conferma delle misure protettive, delle misure cautelari già efficaci ex art. 54, comma 1, CCII. Resta inteso che il procedimento ex art. 41 CCII, già pendente al momento dell’accesso alla composizione negoziata, subirà una sorta di arresto temporaneo (o di sospensione sui generis), sino alla sua archiviazione
5) Il quadro delle misure protettive si completa con l’art. 20 CCII che legittima il debitore (al momento della richiesta di nomina dell’esperto, ma anche in momento successivo) ad avvalersi, sino alla chiusura del percorso, della sospensione degli obblighi previsti dagli artt. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482 bis, commi 4, 5, 6, e 2482 ter c.c., evitando che si verifichi lo scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484, comma 1, numero 4), e 2545 duodecies del codice civile. Anche in questo caso, così come in quello previsto per l’inibitoria della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, la misura protettiva non esige conferma da parte del tribunale; la sua efficacia decorre dalla pubblicazione dell’accettazione della nomina dell’esperto nel registro delle imprese e cessa a partire dalla pubblicazione, nel medesimo registro, del provvedimento con il quale il giudice revoca le misure protettive o rigetta l’istanza di conferma (artt. 20, comma 2; 18, comma 4; 19, comma 6, CCII). L’art. 18, comma 3, precisa che sono esclusi dalle misure protettive i lavoratori. Questo trattamento di favor trova giustificazione nell’art. 6, comma 2, Dir. n. 1023/2019, cui già il legislatore del D.L. n. 118/2021 (che quell’esclusione conteneva) si era ispirato: la ratio di tutela dei lavoratori è legata all’esigenza, cui si accorda l’intera disciplina della composizione negoziata, di salvaguardare il bene “azienda” nel tentativo di darle continuità (diretta o indiretta). 
3 . La selettività delle misure protettive
Alla natura negoziale della composizione negoziata si collega la libertà dell’imprenditore nella scelta dei soggetti da coinvolgere nelle trattative. La selettività, che caratterizza l’istituto si riflette anche sull'estensione soggettiva della protezione del patrimonio, e l’imprenditore sceglie se destinare le misure protettive all’intera compagine dei creditori, ovvero ad alcuni soltanto di essi: una protezione, insomma, cd. su misura.
Questa soluzione, trova un'esplicita conferma nell’art. 18 CCII, che, dopo aver precisato che le misure protettive di cui l’imprenditore può avvalersi sono limitate ai creditori interessati (comma 1), ribadisce che l’imprenditore può circoscrivere gli effetti delle misure protettive a determinate categorie di creditori o a determinati creditori (comma 3).
Ci si chiede come si individuino i destinatari delle misure protettive; fino a quale momento una selezione delle misure (o dei loro destinatari) possa essere compiuta; se, come e quando sia possibile ampliare l’ambito soggettivo delle misure già operanti, o domandarne di nuove quando già è in corso la composizione negoziata (se, ad esempio, profittando della pendenza del procedimento di conferma ex art. 19 CCII ovvero, necessariamente, con una nuova istanza di applicazione); in forza di quali criteri il giudice valuti la scelta compiuta dall’imprenditore e confermi dunque le misure richieste; infine, quali strumenti di reazione vadano riconosciuti ai creditori destinatari di una misura protettiva.
A questi quesiti, si affiancano quelli relativi alle conseguenze che il divieto di azioni esecutive individuali importa sulle esecuzioni in corso. La risposta al primo degli interrogativi richiamati (cioè come l’imprenditore può scegliere chi inibire nell’esercizio del potere esecutivo) sta nella strumentalità della misura protettiva a garantire una buona riuscita delle trattative, dunque il risanamento dell’impresa, quale che ne sia la modalità. Se l’obiettivo è quello di salvaguardare il complesso aziendale dallo smembramento, la protezione del patrimonio potrà dirigersi, anzitutto, verso i creditori che l’imprenditore considera strategici e che intenda coinvolgere nelle trattative, impedendolo loro di azionare un titolo esecutivo esistente, o di avvalersi di un titolo esecutivo che si stanno procurando. In questo senso, dunque la misura protettiva può colpire anche un creditore in possesso di un decreto ingiuntivo non esecutivo: fermo restando che il giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c. promosso dal debitore potrà proseguire, la sentenza che lo rigettasse, riconoscendo il diritto del creditore, non legittimerà quest'ultimo a promuovere l'esecuzione forzata o ad iscrivere un'ipoteca giudiziale, ex art. 2818 c.c.
Come correttamente osservato in giurisprudenza, non è infatti necessario che i creditori, per essere destinatari delle misure protettive, abbiano già notificato un atto di precetto o avviato il processo esecutivo: potrà trattarsi di tutti quei soggetti, la cui condotta si ponga (o sia in grado di porsi) in posizione antagonista rispetto a quella del debitore.
A maggior ragione, la protezione del patrimonio potrà operare nei confronti di creditori, strategici e non, che abbiano già instaurato un processo esecutivo, vuoi pignorando un bene cruciale per l’esercizio dell’attività di impresa, vuoi attraverso un pignoramento presso terzi: in questo caso, la ratio dell’inibitoria sarà quella di evitare che in pendenza delle trattative venga dispersa della liquidità.
Va poi evidenziato che per impedire la vendita o l'assegnazione forzata di un bene pignorato, l’imprenditore sarà tenuto ad avvalersi dello stay esecutivo non solo nei confronti del creditore procedente, ma anche di coloro che siano intervenuti muniti di titolo esecutivo. Se così non fosse, l’effetto inibitorio verrebbe confermato dal tribunale solo nei confronti del creditore destinatario della misura, lasciando impregiudicato il potere degli altri di proseguire l’esecuzione.
Le misure protettive e le misure cautelari non devono quindi riguardare la generalità dei crediti, dei rapporti e dei creditori; il tema delle misure selettive è rilevante perché è collegato a quello della integrità del contraddittorio e della conseguente efficacia delle misure in dipendenza della notificazione alle parti che siano da esse interessate.
A seguito della richiesta di conferma delle misure protettive e della eventuale richiesta delle misure cautelari, il tribunale deve infatti fissare l’udienza per sentire tutti gli interessati, cioè i soggetti coinvolti dalle misure e deve indicare le migliori modalità per una celere instaurazione del contraddittorio.
Dunque, il tribunale deve indicare le modalità della notificazione e non i suoi destinatari dato che ove lo facesse questi ultimi diventerebbero obbligatori litisconsorti e la mancanza della notificazione nei loro confronti farebbe caducare la misura richiesta.
A questo proposito, da un lato, vi è chi ritiene che le misure debbano essere specificamente rivolte ai singoli creditori o controparti e, dall’altro lato, che le misure possano operare anche erga omnes, senza uno specifico destinatario.
Invero, ove i destinatari fossero solo quelli indicati (dal ricorrente o dal Tribunale), essi dovrebbero necessariamente partecipare all’udienza ed essere all’uopo avvisati.
Nel caso di misure operanti erga omnes, invece, non sarebbe necessaria la notifica a tutti i creditori, che potrebbe essere sostituita da una notizia formalmente efficace erga omnes come è appunto l’iscrizione della misura nel registro delle imprese.
Come detto, infatti, le misure protettive operano sin dal giorno della loro pubblicazione per poi essere confermate successivamente, e quindi, non possono che operare erga omnes per effetto della pubblicità.
D’altronde, le misure protettive hanno senso solo se funzionano erga omnes non potendosi pensare che il debitore si debba attivare per chiedere questa forma di protezione nei confronti di ogni creditore che minacci l’azione esecutiva con la notificazione del precetto: la cosa sarebbe insostenibile.
Peraltro, in giurisprudenza la richiesta di estendere le misure protettive qualora l’interesse alla protezione nei confronti di un determinato creditore (non incluso tra i destinatari della notifica prescritta dal giudicante) sia sorto successivamente alla iniziale istanza di applicazione di misure protettive, per effetto della promozione di una procedura esecutiva che non era minacciata al momento dell’inizio della composizione negoziata della crisi.
Invero, la legge non attribuisce al giudice il potere di indicare gli specifici destinatari delle notificazioni con la conseguenza che, quando il tribunale ha anche indicato i destinatari, ha poi negato la conferma delle misure protettive nei confronti dei creditori non avvisati.
In tal modo il tribunale si arroga un sindacato d’ufficio e senza contraddittorio con il ricorrente e con l’esperto che non trova riscontro nella legge.
E’ comunque maggioritario in giurisprudenza l’orientamento che riconosce l’efficacia erga omnes alle misure protettive.
Quando, e fino a quando, è possibile una selezione delle misure protettive, o dei loro destinatari?
La selettività delle misure protettive può operare fin dalla presentazione dell’istanza alla Camera di commercio: l’imprenditore può stabilire, già allora, se inibire l’esercizio del potere esecutivo alla generalità dei creditori o ad alcuni soltanto di essi (quelli, ad es., che si ritiene di invitare al tavolo delle trattative), ovvero se precludere solo la prosecuzione delle esecuzioni pendenti.
Lo si poteva ricavare dalla lettura dell’art. 6, commi 1 e 4, e dall’art. 7, D.L. n. 118/2021, e ancor più nitidamente emerge dall’art. 18 CCII, il cui comma 1 – nel ribadire che l’imprenditore, all’atto di istanza di nomina dell’esperto (ma anche dopo) può dichiarare di volersi avvalere di misure protettive del patrimonio – precisa appunto che quelle misure prenderanno effetto (dalla pubblicazione dell’accettazione dell’esperto) nei confronti di coloro che sono interessati.
Con la domanda di conferma, l’imprenditore, che si sia inizialmente avvalso della protezione erga omnes, potrà chiederne la conferma rispetto ad alcuni soltanto dei creditori, o solamente ad alcune categorie di essi.
In questo caso, l’effetto protettivo erga omnes cesserà con il deposito dell’ordinanza che il giudice emetterà a valle dell’udienza; la protezione del patrimonio continuerà invece ad operare nei confronti dei soli creditori, che l’imprenditore abbia individuato nel ricorso ex art. 19 CCII, sempre che questo sia stato loro notificato, insieme al decreto di fissazione d’udienza. Resta inteso che nulla vieta all’imprenditore di domandare la conferma delle misure protettive verso la generalità dei creditori, a condizione, peraltro, che in questo caso il contraddittorio sia correttamente instaurato nei confronti di tutti. Altrettanto possibile è l’ampliamento soggettivo delle misure protettive, in pendenza della composizione negoziata: lo chiarisce l’art. 18, comma 1, CCII, purché l’istanza sia presentata “con le modalità di cui all’art. 17, comma 1”. Si rende, cioè, necessaria la preventiva pubblicazione della domanda nel registro delle imprese, seguita dal deposito del ricorso ex art. 19 CCII, ai fini della sua conferma.
4 . Le misure cautelari
Le misure cautelari sono concesse dal giudice su istanza del debitore a garanzia e rispondono alla esigenza di evitare la disgregazione degli asset aziendali ed hanno un contenuto diverso rispetto alle misure protettive.
Anche la definizione di misure cautelari, che si ritrova nell’art. 2 lett. q), comprende quelle destinate ad operare nella composizione negoziata, là dove si fa riferimento alla necessità di assicurare il buon esito delle trattative tramite provvedimenti cautelari emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio o dell’impresa del debitore.
Si tratta di misure dalla durata provvisoria, dal contenuto necessariamente atipico perché destinate ad operare de residuo rispetto alle misure protettive, di cui condividono la finalità, nonché la previsione che l’unico legittimato a chiederle sia il debitore.
Dalle misure protettive, quelle cautelari divergono però quanto alla disciplina: lungi dal rispondere ad un regime di semi-automaticità, la loro efficacia resta subordinata all’accoglimento della domanda, che sarà trattata e decisa nel procedimento ex art. 19 CCII.
La strumentalità delle misure cautelari rispetto al buon esito delle trattative spiega perché l’art. 19, comma 7, CCII precisi che non trovano applicazione gli artt. 669 octies, primo secondo e terzo comma, e 669 novies c.p.c.: non v’è appunto alcun onere di instaurare un giudizio di merito, per preservare l’efficacia di quelle misure.
Le misure cautelari non sono a contenuto predeterminato e del resto non avrebbe senso poiché le possibili misure possono essere adattate alla variabile situazione da cautelare e perché è l’imprenditore che deve indicare quale di suo interesse ed il tribunale valutare se esso sia o meno giustificato e quindi il tribunale ha la facoltà di determinarle discrezionalmente a seconda delle esigenze da cautelare.
Le misure cautelari sono misure atipiche , non catalogabili in via preventiva, analoghe ai provvedimenti adottabili ex art 700 c.p.c.; hanno natura essenzialmente conservativa del patrimonio; non possono essere definitive e devono essere reversibili perciò non è ammesso lo scioglimento di un contratto che non sarebbe reversibile; si fondano sui presupposti di ogni cautela , cioè il fumus boni iuris (la probabile fondatezza del diritto , cioè la realizzabilità dello scopo del risanamento) ed il periculum in mora (il pericolo che lo scopo venga vanificato per il ritardo con cui viene attuato con i normali strumenti previsti dalla legge); devono essere proporzionate , quindi non possono andare oltre lo scopo prefisso, attribuendo vantaggi non strettamente funzionali alla parte che ne beneficia; possono riguardare i contratti ed i rapporti pendenti incidendo sulle prestazioni delle parti; seguono il rito speciale del codice della crisi e non quello ordinario del c.p.c.
Occorre soffermarsi sul possibile contenuto dei provvedimenti cautelari. Proprio la loro atipicità, ne rende impossibile una esaustiva descrizione nel concreto.
Non può trattarsi di provvedimenti dagli effetti irreversibili, né di misure che producano effetti che solo l’autonomia negoziale (o una sentenza) potrebbe far conseguire.
In questo senso, è stata respinta la richiesta di un provvedimento cautelare che sospendesse, in capo al debitore, il pagamento delle rate di leasing dovute alla controparte in bonis, sul rilievo che il potere di incidere sul contenuto di un contratto spetta esclusivamente alle parti e non al giudice;
Sarebbe poi da escludersi che tramite un provvedimento cautelare sia possibile ottenere lo scioglimento di un contratto.
Invece, appare ammissibile l’istanza di sospensione degli effetti di un contratto, che sollevi provvisoriamente entrambe le parti dall’adempimento delle prestazioni negoziali.
La misura della sospensione dei pagamenti o dei contratti è senz’altro una misura cautelare, non è una misura protettiva, non avendo natura difensiva rispetto ad azioni aggressive dei creditori. Si è negato che la sospensione dei pagamenti, essendo riconducibile alla figura della sospensione dei contratti, possa essere utilizzata come misura cautelare nell’ambito della composizione negoziata, dovendosi ricorrere per ottenerne l’effetto, alla fattispecie della rinegoziazione per eccessiva onerosità sopravvenuta di cui all’art. 17 comma 5.
Questa lettura non è condivisibile perché, da un lato, la rinegoziazione è il frutto di un approccio sicuramente meno agile della misura cautelare, e potrebbe non arrivare in tempo, perciò inadatto allo scopo e, dall’altro lato, essa presuppone sempre che si trovi un nuovo equilibrio contrattuale, cioè un diverso sinallagma funzionale inter partes, comunque equo per entrambe le parti cioè un diverso sinallagma funzionale inter partes, comunque equo per entrambe le parti, mentre la sospensione cautelare dei pagamenti o dei contratti può in concreto danneggiare una sola parte e quindi prescindere dalla ricerca di un diverso equilibrio contrattuale.
In giurisprudenza proprio per questo motivo si è ammessa la sospensione dei pagamenti rateali al fisco, tuttavia seguendo un percorso argomentativo che non convince appieno, assimilando cioè la misura alla sospensione di un rapporto pendente, ravvisato in un contratto di diritto pubblico tra il fisco ed il contribuente e richiamando la norma per cui i creditori controparti non possono rifiutare l’adempimento della loro prestazione a fronte del mancato pagamento del dovuto.
In realtà non è dato ravvisare alcun diretto sinallagma tra il fisco ed il contribuente sicché è arduo agganciarsi alla figura della sospensione del rapporto ed inoltre la sospensione dei pagamenti fiscali, ove ricondotta al tipo della sospensione del rapporto, potrebbe valere per i soli debiti scaduti e non anche per i pagamenti a venire.
Bisogna perciò ritenere che la misura cautelare concedibile in materia di risanamento aziendale ha queste caratteristiche: 1) non deve essere riconducibile alla disciplina generale dell’art. 97 perché sarebbe troppo sbilanciata in favore di una delle parti e cioè il ricorrente debitore , cosa che la norma richiamata non consente; 2) la stessa cosa può dirsi della rinegoziazione nella composizione negoziata, che pure richiede la ricerca di un nuovo equilibrio contrattuale; 3) la misura cautelare ha sempre una sua propria giustificazione causale distinta da quella di altre eventuali misure tipiche; 4)la causa autonoma della misura cautelare è quella prevista dall’art. 2, comma 1, lett. q) di assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative e gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi e o dell’insolvenza e delle procedure di insolvenza e va misurata in concreto ex ante, in quanto appaia secondo le circostanze la più idonea .   
È stata invece concessa, in via cautelare, la sospensione di contratti bancari di affidamento e di finanziamento su fatture, con divieto per gli istituti di credito di estinguere per compensazione (nella misura dell’importo incassato) il credito da essi vantato nei confronti dell’imprenditore, lasciando quest’ultimo nella piena disponibilità di quelle somme
Ancora. Posto che le misure protettive si dirigono soltanto nei confronti dei creditori dell’imprenditore, ma non di soggetti terzi, è possibile una misura cautelare volta ad inibire al creditore l’escussione di fideiussori del debitore.
In questo caso i terzi devono essere sentiti: lo impone l’art. 19, comma 4, CCII. Se ammissibile, la misura sarà accolta, al ricorrere dei presupposti comuni ad ogni provvedimento cautelare: il fumus boni iuris, qui da intendersi quale strumentalità della misura al buon esito delle trattative, e il periculum in mora, da ricondursi al pregiudizio che il debitore subirebbe in caso di mancata concessione del provvedimento.
Le misure cautelari possono essere disposte (fermo restando il loro carattere di atipicità) non solo per la specifica protezione del patrimonio della società in crisi (in senso stretto e, dunque, per sterilizzare azioni esecutive che potrebbero essere avviate o coltivate al fine di procurare l’espropriazione forzata di un bene della società debitrice), ma anche per garantire la salvaguardia dell’impresa nel suo complesso e, più precisamente, della continuità aziendale.
Per quanto riguarda il primo profilo (la tutela del patrimonio), è stata ampiamente riconosciuta la possibilità di inibire, per mezzo delle misure cautelari, azioni esecutive o cautelari sul patrimonio della società debitrice, o, comunque, sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa.
A conferma di tale conclusione, è appena il caso di citare l’orientamento della giurisprudenza di merito: il tribunale di Milano ha ritenuto ammissibile una istanza di concessione di misure cautelari aventi ad oggetto l’inibizione di azioni esecutive e cautelari di terzi in contesto di composizione negoziata della crisi, nel caso Acciaierie d’Italia;
con ordinanza del 29 gennaio 2024 (in quel caso, la società ricorrente aveva richiesto, appunto, di inibire a taluni creditori di promuovere azioni esecutive o cautelari o istanze di apertura di procedure concorsuali); analogamente, secondo una diversa pronuncia del tribunale di Torino, le misure cautelari possono essere disposte “per scongiurare il rischio che i creditori possano instaurare o proseguire azioni esecutive individuali e realizzare l'eventuale soddisfacimento del loro pretese, con irrimediabile lesione del principio di par condicio creditorum e violazione della normativa concorsuale;
in termini non diversi si sono espresse altre corti territoriali, tra cui il tribunale di Avellino, che ha riconosciuto che, tra gli obiettivi della tutela cautelare, “senz'altro vi è quello di precludere ai creditori anteriori la realizzazione uti singuli del credito nelle forme dell'esecuzione individuale. Secondo una parte della dottrina, non è neppure preclusa una domanda cautelare diretta ad inibire l’esecuzione forzata su un bene detenuto dal debitore (in ipotesi, in virtù di un contratto di leasing), pur se di proprietà di un terzo, in quanto funzionale all’esercizio dell’impresa.
Per quanto riguarda, invece, il secondo profilo (l’attitudine delle misure cautelari a salvaguardare l’impresa nel suo complesso, spostando il focus dalla tutela del patrimonio alla salvaguardia della continuità aziendale), già chiaramente desumibile in via interpretativa (almeno, a parere di chi scrive), dall’art. 2 CCII, questo è soggetto a perplessità da parte di diversi Autori, che hanno sottolineato, invece, il carattere puramente residuale delle misure cautelari (rispetto alle misure protettive, che dovrebbero rappresentare, invece, il principale terreno di elezione delle protezioni delineate nel CCII), in contrasto con qualsiasi interpretazione estensiva delle misure cautelari. Eppure, il principio che legittima l’uso delle misure cautelari anche al di fuori della mera tutela patrimoniale (con il solo limite di non poter imporre ai creditori o ai terzi una condotta slegata dall’esigenza di assicurare il buon esito delle trattative o gli effetti del futuro provvedimento del tribunale, e che potrebbe discendere, semmai, da decisioni assunte soltanto sul piano negoziale) sembra trovare conforto nella giurisprudenza di merito: basti citare, tra le altre, una sentenza del tribunale di Trento, che si è pronunciato (con esito favorevole al debitore) proprio sulla richiesta di concessione di misure cautelari . 
Secondo tale pronuncia, “la posizione di un singolo creditore deve - almeno provvisoriamente - recedere rispetto alla posizione del debitore che abbia fatto accesso, nelle forme e nei modi di legge, ad una procedura collettiva di regolazione della sua crisi in via alternativa alla liquidazione giudiziale, come tale potenzialmente mirante a salvaguardare gli interessi della massa dei creditori e di ogni altro soggetto orbitante attorno alle economie generate dalla conduzione aziendale, tanto più quando tale procedura sia volta alla conservazione dei valori aziendali mediante la continuità d’impresa”; considerato tale aspetto, si dovrebbe ritenere che la salvaguardia della continuità aziendale, se adeguatamente sostenuta e corroborata (in alternativa alla liquidazione giudiziale), possa assurgere a criterio-guida per la valutazione sulla concessione delle misure cautelari e che queste “siano precipuamente volte ad impedire che l’interesse di un singolo creditore - specie quanto strategico nell’economia dell’azienda condotta dal debitore, mettendo il debitore in una condizione di dipendenza economica della quale occorre evitare abusi - possa prevalere su quelli superindividuali riconducibili alla pendenza di una procedura concorsuale, impedendo che essa possa avere seguito”. 
In termini analoghi, secondo il tribunale di Bologna, “le misure cautelari hanno contenuto atipico e possono essere disposte non solo per tutelare il patrimonio del debitore da eventuali atti dispositivi dello stesso ovvero da iniziative individuali dei creditori ma anche per conservare il valore dell'impresa in continuità aziendale mediante la gestione della stessa in via provvisoria e strumentale, stante la atipicità della misura cautelare. 
La tesi in esame, che vede un rinnovato “protagonismo” delle misure cautelari (anche rispetto alle misure protettive) sembra confermata, peraltro, anche da alcuni Autori, che intravvedono (a fortiori alla luce dello schema di decreto correttivo al CCII) scenari in cui le misure cautelari in CNC potrebbero godere di un ambito di applicazione più ampio (anche sulla scorta del richiamato orientamento giurisprudenziale). 
In ogni caso, volendo definire le possibili “declinazioni” delle misure cautelari, dall’analisi della disciplina applicabile (così come interpretata dalla giurisprudenza) emergono i seguenti elementi: 
(i) da un lato, i comuni caratteri di atipicità, proporzionalità, strumentalità e di “minimo mezzo” (e di lesività non oltre lo stretto necessario delle aspettative creditorie) delle misure cautelari; e (ii) dall’altro, la possibilità di includere, nell’ambito di applicazione delle stesse, il divieto, per i creditori, di promuovere o coltivare una istanza di liquidazione giudiziale. Se ne può trarre la conseguenza per cui: (i) le misure protettive hanno contenuto atipico e, dunque, di per sé flessibile e suscettibile di essere modellato sulla base delle esigenze cautelari che vengono in rilievo; (ii) pur tenuto conto delle diversità e (al tempo stesso) delle analogie delle misure cautelari previste in “ambiente” di composizione negoziata rispetto a quelle previste dall’art. 54 CCII, le misure cautelari possono essere disposte non solo per la protezione del patrimonio della società in crisi (in senso stretto), ma anche per garantire la protezione da effetti che possano pregiudicare il percorso di risanamento, in ottica di funzionalità e strumentalità rispetto a tale fine (dunque, anche riguardo all’apertura di procedure di liquidazione giudiziale, che pregiudicherebbero il percorso di risanamento avviato); (iii) l’art. 54 CCII (contenente, come detto, una delle possibili “declinazioni” delle misure “cautelari e protettive”) prevede espressamente, al comma 2, la possibile inibizione della dichiarazione di liquidazione giudiziale (o di accertamento dello stato di insolvenza). 
Così, non sembra potersi dubitare dell’attitudine delle misure cautelari a proteggere la società debitrice dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale (sulla base sia dei citati richiami testuali e sistematici, sia delle caratteristiche strutturali delle misure cautelari). 
Qualora la società debitrice abbia già ottenuto le misure protettive (per ipotesi, contestualmente all’avvio della composizione negoziata della crisi), l’effetto di inibizione della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale non decade con l’estinzione delle stesse misure protettive, ma rimane vigente fino alla conclusione delle trattative (o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata). Tale conclusione è basata sull’art. 18, comma 4 CCII, che, come noto, inibisce l’apertura della liquidazione giudiziale dal giorno della pubblicazione dell’istanza di conferma delle misure protettive “fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata”. 
Di conseguenza, la mera sussistenza della composizione negoziata (pur a fronte della scadenza, nel frattempo, delle misure protettive) già comporta il divieto di pronunciare la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale (fino all’archiviazione della CNC o alla conclusione delle trattative). 
L’art. 18, comma 4 CCII è stato ampiamente recepito dall’orientamento formatosi in giurisprudenza in tema di misure di protezione nell’ambito della composizione negoziata della crisi d’impresa. Secondo taluni precedenti, oltretutto, non deve neppure essere oggetto di conferma da parte del giudice (perché opera ex lege) il divieto di pronunciare sentenza di apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del debitore dal giorno della pubblicazione dell’istanza di applicazione delle misure protettive fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata. Ci si riferisce, in particolare, alle seguenti pronunce: 
secondo il tribunale di S. Maria Capua Vetere, “rispetto alla inibizione delle istanze di fallimento, non sussista la facoltà per il Giudice di esercitare il proprio sindacato, conseguendo l’improcedibilità dell’eventuale dichiarazione di fallimento proposta alla mera iniziativa del debitore e perdurando fino alla conclusione delle trattative o fino all’archiviazione della composizione negoziata della crisi, senza che il Giudice possa confermare o revocare la misura. Peraltro, in dottrina, non si è mancato di evidenziare che il divieto di proposizione dell’istanza di fallimento più che una misura vera e propria, costituisce un ‘vantaggio collaterale aggiuntivo’ che non mira a favorire il buon esito delle trattative, bensì lo stesso svolgimento alla procedura di composizione negoziata la quale resterebbe inevitabilmente compromessa dallo spossessamento dell’imprenditore conseguente al suo fallimento o dal verificarsi di una causa di scioglimento della società con conseguente limitazione dei poteri gestori dell’organo amministrativo”. Nel caso di specie, appunto, il debitore, dopo avere ottenuto l’accesso alla composizione negoziata della crisi ed avere fatto istanza per la conferma delle misure protettive, aveva richiesto al tribunale di confermare - l’altro - il divieto di pronunciare la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. 
Di conseguenza, pur a fronte della scadenza delle misure protettive (ma in costanza di CNC), l’inibizione delle istanze di liquidazione giudiziale resta operante: le misure cautelari richieste per ottenere tale inibizione potrebbero, quindi, essere concesse (l’istante non potrebbe dimostrare efficacemente la sussistenza di un periculum in mora, che, di fatto, non esisterebbe). Per converso, qualora le misure protettive non fossero state richieste al momento dell’avvio della CNC (o, se richieste, non fossero state confermate dal tribunale), le misure cautelari potrebbero essere richieste e attivate (anche in una fase avanzata della CNC o, al limite, in prossimità della sua archiviazione), al fine di acquisire una protezione da istanze di apertura della liquidazione giudiziale.
5 . Abuso nel ricorso alle misure cautelari
Considerato, allora, che le misure cautelari possono essere concesse per inibire l’avvio (o la prosecuzione) della liquidazione giudiziale e (ii) una istanza per concessione di misure cautelari può essere depositata anche in via autonoma e successivamente al provvedimento di conferma delle misure protettive (e, per ipotesi, dopo la scadenza di queste ultime) , occorre chiedersi se possano configurarsi condotte abusive da parte del debitore, nella misura in cui le misure cautelari possano apparire come uno strumento per estendere surrettiziamente le misure protettive (di cui riprodurrebbero pedissequamente il contenuto), eludendo, così, i limiti di durata massima di queste ultime (il termine di 240 giorni o il termine annuale di cui all’art. 8). 
Il tema è stato posto in luce da una recente pronuncia del tribunale di Milano, che stigmatizza la condotta del debitore che si limiti a richiedere la concessione di misure con un contenuto ed effetti sovrapponibili a quelli delle misure protettive. Al fine di ovviare ad un possibile motivo di rigetto dell’istanza cautelare, potrebbe rendersi opportuno, allora, ricordare che le misure cautelari, a differenza delle misure protettive atipiche (di cui condividono, ictu oculi , la gran parte delle caratteristiche, prima fra tutte la atipicità), non hanno uno specifico destinatario e sono per definizione provvedimenti selettivi, plasmabili con riferimento ai suoi specifici destinatari, e sono concesse a tutela del patrimonio o dell’impresa qualora, secondo le circostanze, appaiano idonei ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative e gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi (o delle procedure di insolvenza) . Tenuto conto, dunque, delle indicazioni offerte dall’art. 2, lett. q) CCII, appare senz’altro possibile differenziare le misure cautelari dalle misure protettive (atipiche). Piuttosto, come rilevato in una recente pronuncia del Tribunale di Imperia (anche sulla scorta della precedente ordinanza del Tribunale di Torino, Sez. VI, del 5/12/2023), “ l’obiezione dell’elusione normativa del termine di 240 giorni o del termine annuale di cui all’art. 8 CCII, appare superabile rimettendo al giudice il vaglio concreto della proporzionalità del sacrificio imposto ai singoli creditori oggetto di inibitoria cautelare e la risoluzione negoziata della crisi di impresa non essendo al giudicante preclusa la fissazione di un ulteriore termine, coerente con la proroga della composizione negoziata, per contemperare i contrapposti interessi . Il riferimento al principio della “proporzione” del sacrificio imposto ai creditori sembra, peraltro, riecheggiare la disciplina sulla revoca (o abbreviazione del termine di efficacia) delle misure protettive: come noto, tali misure possono essere revocate (ola loro durata può essere abbreviata), in qualunque momento, su istanza dell’imprenditore o di un creditore o su segnalazione dell’esperto, sentite le parti interessate (e, in ogni caso, a seguito dell’archiviazione dell’istanza ai sensi dell’articolo 17, commi 5 e 8 CCII), quando esse “non soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti”. Il principio della proporzione sembra, dunque, poter assurgere a criterio di applicazione generale (comune alle misure protettive e alle misure cautelari, quanto meno quelle che si pongano in ottica di “continuità” rispetto alle misure protettive precedentemente concesse). 
In ogni caso, anche considerata la sottile linea di confine tra misure protettive atipiche (di cui si suppone che il debitore abbia già fruito) e misure cautelari, il debitore dovrà farsi carico di oneri probatori particolarmente pregnanti, sotto il profilo sia del fumus boni iuris, sia del periculum in mora (requisiti che dovranno essere soggetti ad un vaglio particolarmente rigoroso, trattandosi di estendere effetti, di fatto, già prodotti da misure già concesse e ormai scadute). 
6 . Profili processuali del procedimento di conferma, revoca modifica delle misure protettive e/o concessione delle misure cautelari
Il procedimento volto alla conferma delle misure protettive (e/o a rilascio dei provvedimenti cautelari) è descritto dall’art. 19 CCII. 
Tale disposizione impone al debitore, il giorno successivo alla pubblicazione dell’accettazione della nomina da parte dell’esperto nel registro delle imprese, di depositare presso il tribunale competente ai sensi dell’art. 27 CCII una domanda giudiziale (nella forma del ricorso, che dovrà essere sottoscritto da un difensore) con cui si chiede la conferma delle misure protettive di cui si sia già avvalso. Quello stesso ricorso potrà anche contenere l’istanza di misure cautelari, se l’imprenditore le ritiene opportune. Si stabilisce che, entro 30 giorni dalla pubblicazione dell’accettazione dell’esperto nel registro delle imprese, sia pubblicato anche il numero di ruolo generale del procedimento instaurato. Il mancato rispetto dei termini qui indicati è causa di improcedibilità della domanda. Lo prevede l’art. 19, comma 1, CCII secondo cui l’omesso o il ritardato deposito del ricorso importa l’inefficacia delle misure protettive che il giudice può dichiarare senza necessità di fissare udienza. Si tratterà, ovviamente, di una declaratoria di improcedibilità parziale se il ricorso abbia quale petitum, oltre che la conferma delle misure protettive, la concessione di misure cautelari: il procedimento in questo caso dovrà proseguire (e il giudice sarà tenuto a fissare un’udienza) per la sola cognizione e istruzione sulle istanze cautelari 
L’ipotesi sopra richiamata non è l’unica in cui il giudice può revocare l’efficacia delle misure protettive, senza la necessità di instaurare il contraddittorio. L’ultima parte dell’art. 19, comma 3, stabilisce che «gli effetti protettivi prodotti ai sensi dell’art. 18, comma 1, cessano altresì se, nel termine di cui al primo periodo, il giudice non provvede a fissare udienza». Si tratta di capire quando ciò possa accadere. Un caso potrebbe essere quello in cui il debitore avesse omesso di depositare, insieme al ricorso, i documenti analiticamente elencati dall'art. 19, comma 2, CCII, senza i quali il tribunale non è in grado di stabilire se le misure protettive di cui il debitore si sia avvalso siano funzionali al buon esito delle trattative55, e non comportino un eccessivo sacrificio per i creditori e i terzi (ciò vale, in particolar modo, per il piano finanziario, la descrizione della situazione patrimoniale finanziaria e la dichiarazione prevista dalla lett. e) dell’art. 19, comma 2, CCII). 
Riterrei che, in luogo di un rigetto de plano dell'istanza, nei 10 giorni successivi al deposito del ricorso (termine entro il quale l'udienza dovrebbe essere fissata) il giudice, con decreto, potrebbe assegnare al debitore un termine, all’interno di quell’arco temporale, per integrare la produzione documentale richiesta . 
In tal caso, il giudice potrà evitare di fissare l'udienza quando, nonostante la sollecitazione, la documentazione non risultasse completa. 
V’è poi un altro caso in cui le misure protettive sono destinate a perdere di effetto, senza che il giudice fissi l’udienza. 
In forza dell’art. 25 quinquies CCII, l’accesso alla composizione negoziata della crisi è precluso all’imprenditore nei cui confronti sia pendente uno strumento di regolazione della crisi, o che vi abbia rinunciato da meno di quattro mesi.
In presenza di una siffatta situazione, a ben vedere, già la commissione nominata dalla Camera di Commercio dovrebbe rigettare l’istanza di nomina dell’esperto (arg. ex art. 17, comma 3, lett. d) che richiede all’imprenditore di depositare, insieme all’istanza di nomina dell’esperto, una dichiarazione in cui il primo attesti di non aver depositato ricorsi ai sensi dell’art. 40. 
Qualora l’esperto venisse nominato e dovesse accettare l’incarico, l’eventuale ricorso depositato dall’imprenditore per la conferma delle misure protettive dovrà essere dichiarato inammissibile. Ancora una volta, senza la necessità per il giudice di fissare l’udienza. Potrebbe altresì capitare che, per ragioni legate al carico di lavoro, il magistrato non riesca ad emettere il provvedimento nei dieci giorni previsti dalla norma. Anche per questa ipotesi, è pensata la norma: le misure protettive, efficaci a far data dalla pubblicazione dell’accettazione dell’esperto nel registro delle imprese, verranno meno ma ex nunc; l’imprenditore sarà tenuto a riproporle, nei modi indicati dagli artt. 17, primo comma e 18 (pubblicando cioè l’istanza nel registro delle imprese e depositando ricorso presso il tribunale competente ex art. 27 CCII, il giorno successivo).
Il giudice è sempre tenuto a fissare l’udienza per la conferma, la revoca o la modifica delle misure protettive, ovvero per la concessione delle misure cautelari. Il termine indicato dall’art. 19, comma 3, CCII è legato al deposito del decreto per la fissazione dell’udienza; per contro la norma non specifica entro quando l’udienza vada celebrata. Tuttavia, trattandosi di stabilire la sorte di misure che comprimono i diritti dei creditori, già efficaci, è evidente che l’udienza dovrà svolgersi a stretto giro, onde vagliare se si tratti davvero di misure necessarie ad assicurare lo svolgimento delle trattative. Qui potrebbe invocarsi in via analogica la previsione contenuta nell’art. 669 sexies, comma 2, c.p.c., per cui l'udienza dovrà essere convocata al più tardi quindici giorni dopo l'emissione del decreto. 
All’indomani della pubblicazione del D.L. n. 118/2021, gli interpreti si sono interrogati sulle ragioni del mancato richiamo del p.m. nel testo di legge. Già in quel contesto, si era osservato come quella compiuta dal legislatore fosse stata una scelta consapevole, dettata dall’idea che non si è all’interno di una procedura concorsuale ma di un percorso negoziale.
L’art. 12 comma 3 CCII stabilisce oggi che «alla composizione negoziata non si applica l’art. 38», e che l'applicazione di tale norma resta invece ferma nel caso dei procedimenti ex artt. 19 e 22 CCII.
Il senso della disposizione (e in particolare dei richiami agli artt. 19 e 22) dovrebbe a mio avviso ravvisarsi in ciò: la segnalazione giudiziale della notitia decotionis al p.m. potrà avvenire se uno stato di insolvenza reversibile emerga nel corso del procedimento di conferma delle misure protettive, del rilascio delle autorizzazioni previste dall’art. 22, nonché, vi è da credere, anche in sede di revoca ex art. 19, comma 5.
Il richiamo, per quanto non espressamente disposto, al procedimento cautelare uniforme, contenuto nell’art. 19 CCII, lascia intendere che – rispetto alle misure cautelari – sia possibile invocare l’art. 669 sexies, primo comma, c.p.c. Là dove perciò ricorrano particolari ragioni di urgenza, è possibile domandare al giudice la pronuncia di un decreto inaudita altera parte con il quale la misura sia concessa, salva successiva conferma, revoca o modifica a valle dell’udienza che il giudice avrà fissato. 
7 . I poteri del giudice nella valutazione delle misure protettive
Nella disciplina delle misure protettive, assumono un’importanza centrale l’udienza e il tipo di istruttoria che il giudice è chiamato a compiere, con l’ausilio di un consulente nominato ai sensi dell’art. 68 c.p.c.
E’ stato affermato che nel momento in cui è chiamato a confermare o meno le misure protettive, o a rilasciare le misure cautelari richieste dal debitore, il tribunale deve operare un bilanciamento tra gli interessi del debitore e le aspettative dei creditori: «un ruolo nevralgico, di grande responsabilità, che impone probabilmente una professionalità del tutto nuova, perché ciò che si richiede al giudice è di cogliere le dinamiche dell’impresa da una prospettiva diversa, per verificare l’utilità di un percorso che dovrebbe restituire valore e benessere collettivo ai consociati e nuove opportunità all’imprenditore, senza pregiudicare ingiustamente i creditori».
A questo serve l’ausiliario nominato ex art. 68 c.p.c., che non potrà essere l’esperto, e che sarà chiamato a verificare le potenzialità ma anche le criticità dell’impresa (dunque, verosimilmente, un aziendalista).
Altrettanto rilevante è il ruolo che l’esperto svolge in udienza. La sua audizione non serve (tanto o soltanto) a conoscere lo stato delle trattative (che si trovano, spesso, ad uno stadio iniziale) quanto piuttosto a riferire dell’esito del test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento e del progetto di piano di risanamento, allegato alla domanda di conferma delle misure protettive e dell’eventuale interlocuzione con gli organi di controllo dell’impresa; ad appurare se possa considerarsi veritiero e completo il quadro rappresentato dall’imprenditore e se il progetto di piano proposto non sia esclusivamente finalizzato alla ristrutturazione dei debiti, con un contenuto schiettamente liquidatorio.
Sentendo l’esperto il giudice potrebbe convincersi di non dover confermare lo stay di azioni esecutive rispetto a creditori che abbiano pignorato beni appartenenti ad un ramo di azienda diverso da quello che l’imprenditore intende cedere ad un terzo.
Non è un caso che l’art. 19, comma 4, CCII (discostandosi in parte dall’art. 7, D.L. n. 118/2021) precisi che l’esperto è chiamato dal tribunale ad esprimere il proprio parere sulla funzionalità delle misure richieste ad assicurare il buon esito delle trattative. Rispetto allo stay delle azioni esecutive, l’audizione dell’esperto può servire a comprendere se l’inibitoria riguardi davvero esecuzioni in cui siano stati pignorati asset strategici. Esemplificando: è verosimile pensare che il giudice convalidi l’inibitoria di un’azione esecutiva pendente, se il pignoramento cada su un bene funzionale all’attività di impresa. Per la stessa ragione, potrebbe essere confermata l’inibitoria all’acquisto di un diritto di prelazione non concordato con l’imprenditore: si vuole evitare che un asset aziendale finisca gravato da un’ipoteca quando quel bene possa essere ceduto a un terzo, disposto a proseguire l’attività di impresa. All’udienza saranno presenti anche i creditori interessati dalle misure protettive, i quali potranno rappresentare le ragioni della loro eventuale opposizione (paventando, ad esempio, una possibile situazione di crisi a catena, oppure l’eccessivo pregiudizio che essi rischierebbero di subire se la vendita forzata del bene pignorato fosse sospesa, tenuto conto del deprezzamento che il bene subirebbe se fosse venduto a distanza di tempo). Il giudice potrebbe non confermare lo stay di un’esecuzione forzata promossa da un creditore ipotecario, se essa sia già giunta all’aggiudicazione e si dimostri che il prezzo di vendita è in linea con la perizia.
Il tribunale può assumere informazioni anche da creditori che non risultano interessati dalle misure protettive, ma che figurano nell’elenco che il debitore deve depositare insieme al ricorso ex art. 19, comma 2, CCII. Tra quelli incisi dalle misure protettive, rientra anche il creditore che abbia depositato istanza di apertura della liquidazione giudiziale. È opportuno che il contraddittorio venga esteso anche nei suoi confronti, senza peraltro che l’omessa notifica del ricorso ex art. 19 CCII comporti alcuna conseguenza sul piano della tenuta della misura. 
In generale, l’audizione dell’esperto, unita all’interlocuzione dei creditori interessati dalle misure comparsi all’udienza (o che abbiano depositato memorie), appare determinante per stabilire la funzionalità delle misure protettive ad un risanamento dell’impresa. 
Ciò che risulta controverso, fra gli interpreti, è se la strumentalità delle misure protettive rispetto alla buona riuscita delle trattative debba essere oggetto di un vaglio in astratto o possa spingersi sino ad un sindacato in concreto. Nel primo caso, sarebbe sufficiente una valutazione in negativo, ossia la dimostrazione che, confermate le misure protettive, il risanamento non risulti manifestamente implausibile, in ragione di una palese inettitudine del progetto di piano di risanamento. 
Nel secondo caso, invece, il giudice dovrebbe valutare, in concreto, la ragionevolezza e la solidità delle assunzioni del progetto di piano di risanamento. La natura schiettamente negoziale del percorso, unita al fatto che la conferma delle misure protettive avviene in fase di avvio della composizione negoziata (quando il piano di risanamento può essere anche solo tratteggiato a grandi linee ed è verosimilmente soggetto a modifica, anche in ragione dell’andamento delle trattative) induce a ritenere preferibile la prima delle due soluzioni prospettate. Il giudice, in fase di conferma, non potrebbe (né dovrebbe) saggiare la fattibilità del piano di risanamento (di cui oltretutto è richiesto solo un progetto). Sono le conclusioni dell’esperto, in ordine alla prospettiva di risanamento dell’impresa, unite alle dichiarazioni rese in udienza dai creditori che dovrebbe indurre il giudice a confermare o revocare le misure. 
8 . La durata delle misure protettive
Nel confermare le misure protettive il tribunale è chiamato a prevederne la durata. Solo ove occorra, dispone l’art. 19 comma 4, al giudice è richiesto di fissare un termine per le misure cautelari; in mancanza, esse perderanno effetto con il provvedimento di archiviazione della composizione negoziata (art. 17, comma 8). 
Anche la durata delle misure protettive rappresenta una novità del CCII, imposta dalla dir. UE 1023/2019. L’art. 8 CCII, collocato tra i principi generali, stabilisce che le misure protettive non possano avere una durata superiore ai dodici mesi, anche non consecutivi, tenuto conto di eventuali proroghe o rinnovi: un termine, quello introdotto, che comprende sia le misure protettive che si affiancano alla domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi, sia quelle che operano nella composizione negoziata. Il termine annuale non soffre la sospensione feriale dei termini, ex art. 1 l. 742/1989, vuoi in ragione della matrice cautelare propria delle misure protettive, vuoi in virtù della inequivocabile previsione dell’art. 9 CCII87. 
Nel caso della composizione negoziata della crisi, il legislatore attribuisce al giudice la facoltà di fissare la durata delle misure protettive, da un minimo di 30 a un massimo di 120 giorni. 
Si tratta di un termine prorogabile, anche più di una volta, fino a 240 giorni. La proroga, che è subordinata ad un’istanza delle parti (dunque, in astratto anche di un creditore) e al parere positivo dell’esperto, può essere concessa se è funzionale a condurre a termine le trattative, se si dimostri, cioè, che sussiste una ragionevole probabilità di risanare l'azienda, ciò che risulterebbe compromesso dal venir meno delle misure. 
È infine necessario che la proroga non comporti un eccessivo pregiudizio in capo ai creditori destinatari delle misure: lo dispone l’art. 19, comma 5, che, diversamente dal comma 6 (dettato per la revoca delle misure protettive) non chiarisce se la decisione esiga la preventiva instaurazione del contraddittorio con gli interessati, mediante fissazione di udienza. La giurisprudenza di merito, pur avendo accolto a riguardo soluzioni differenti, ritiene in ogni caso indispensabile la prova del fatto che tutti i creditori coinvolti dalle misure protettive siano stati previamente informati e abbiano espresso il loro assenso, o comunque la loro non opposizione, anche per assenso implicito a seguito dell’instaurazione del contraddittorio; rimane tuttavia ferma la possibilità di sindacare un dissenso manifestamente preconcetto, immotivato o irragionevole derivante da assenza di collaborazione alle trattative. Infine, se la richiesta di proroga sia funzionale al buon esito delle trattative, non può escludersi la richiesta di una seconda proroga, purché la durata complessiva della protezione non superi 240 giorni. Per ragioni simmetriche a quelle previste per la proroga, è possibile domandare la revoca delle misure protettive. L’art. 19, comma 6, cit., esige un’apposita istanza del debitore, dei creditori, ovvero una segnalazione dell’esperto. Ciò potrà accadere ogni qualvolta quest’ultimo intenda archiviare la composizione negoziata, ovvero quando le misure protettive che già operano appaiano sproporzionale rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori, oppure incapaci di soddisfare il buon esito delle trattative. 
9 . Revoca o mancata conferma misure protettive
La novità di maggior rilievo introdotta dal CCII, nella disciplina delle misure protettive, riguarda la soluzione al problema, se il loro venir meno (per revoca o scadenza del termine assegnato dal giudice) abbia effetto retroattivo o irretroattivo. Nel silenzio della legge, è stato affermato che la cessazione della protezione del patrimonio avesse efficacia retroattiva, con conseguente reviviscenza degli effetti di tutti gli atti compiuti in violazione delle misure protettive. Era questa una soluzione già sostenuta in dottrina, nella vigenza della legge fallimentare per il diverso caso in cui, a seguito della proposizione di una domanda di concordato in bianco, il debitore non avesse provveduto a depositare il piano e la documentazione d’accompagnamento entro la scadenza del termine assegnato dal giudice. A tal proposito, si era osservato come, in questi casi, l’imposizione di un vincolo sul patrimonio si riveli del tutto priva di giustificazione, ancorché a posteriori, dal momento che nessuna procedura concorsuale è stata aperta. Il CCII, invece, compie una scelta diversa e stabilisce che, in caso di revoca o cessazione delle misure protettive, il divieto di acquisire diritti di prelazione, se non concordati con l’imprenditore, viene meno a far data dalla revoca o dalla cessazione delle misure. La soluzione è la stessa che si legge all’art. 55, comma 7, CCII quanto alla sorte delle misure protettive, che accompagnano una domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi. La questione è destinata a porsi in tutti quei casi in cui, in violazione dell’ombrello protettivo, un creditore abbia promosso un’azione esecutiva, domandando il pignoramento, quando l’iniziativa doveva essergli inibita, ovvero quando, in violazione dell’art. 18 CCII, sia stata iscritta un’ipoteca non concordata con il debitore.
L’art. 19, comma 8, si occupa espressamente di questa seconda ipotesi, stabilendo che il divieto di acquisire diritti di prelazione viene meno a far data dalla revoca o dalla cessazione delle misure protettive. L’efficacia della protezione in questo caso cessa ex nunc, condannando all’illegittimità l’iscrizione ipotecaria che sia stata medio tempore effettuata. Il fatto che non sia stato espressamente previsto che quell’illegittimità sia dichiarata dal tribunale, con il provvedimento con cui dichiara cessati o revocati gli effetti delle misure protettiva, lascia aperta la questione, quale sia l’impatto di quella iscrizione (che, pur illegittima, non sia stata cancellata) sulla successiva circolazione dell’immobile. A ben vedere, però, il problema è destinato a porsi soltanto se, archiviata la composizione negoziata, non si abbia l’apertura di uno strumento di regolazione della crisi ovvero una liquidazione giudiziale. In questo secondo caso, è facile immaginare che il creditore (asseritamente munito di causa di prelazione) sarà ammesso al chirografo; la liquidazione concorsuale del bene su cui insisteva l’ipoteca illegittimamente iscritta comporterà la purgazione di quell’iscrizione. Nel caso, invece, in cui il debitore abbia scelto di proporre domanda di accesso ad uno strumento, quanto meno quando si tratti di concordato preventivo, opererà l’effetto di inopponibilità delle ipoteche iscritte nei 90 giorni antecedenti alla domanda di concordato (che opera tutt’ora ex lege, in forza dell’art. 46 CCII). In tutti gli altri casi, invece, sarà necessario promuovere un apposito giudizio per provvedere alla cancellazione dell’ipoteca, come prevede l’art. 2884 c.c. L’art. 19, comma 8, CCII prende posizione solo sulla sorte dell’ipoteca iscritta in spregio al divieto di cui all’art. 18 e traccia, solo per questa precisa ipotesi, la cessazione degli effetti protettivi con efficacia irretroattiva. Se ne ricava che per le altre misure protettive (lo stay esecutivo e cautelare), il venir meno della protezione salva gli atti esecutivi compiuti medio tempore. Ciò significa che eventuali pignoramenti disposti, durante il periodo in cui era efficace la misura protettiva, debbono considerarsi legittimamente compiuti, una volta che essa sia venuta meno. 
10 . La proponibilità di una istanza cautelare in via autonoma e successiva rispetto alle misure protettive
Anzitutto, ci si dovrebbe chiedere, in via pregiudiziale, se una istanza di misura cautelare possa essere proposta in via autonoma e separata rispetto ad una (precedente) domanda di conferma delle misure protettive (magari già scadute nel frattempo, o in via di scadenza).
A parere di chi scrive, è possibile ritenere che l’istanza cautelare ex art. 19, comma 1, CCII possa essere proposta con piena ammissibilità, in un procedimento cautelare proposto ex novo (separato rispetto al procedimento già avviato per la conferma delle misure protettive) con un ‘proprio’ specifico contraddittorio, avente ad oggetto la sola richiesta cautelare in corso di composizione negoziata (in via autonoma e separata rispetto al procedimento per la conferma delle misure protettive). Militano in tal senso diverse ragioni: 
1) appare del tutto coerente che istanze cautelari possano essere formulate nell’ambito della composizione negoziata, non solo con il ricorso per conferma delle misure protettive di cui all’art. 19, comma 1, CCII, ma anche con separati ricorsi, per tutto il corso della composizione negoziata, laddove le esigenze cautelari siano sopravvenute; non pare potersi ritenere che le esigenze cautelari possano essere valutate solo in limine della composizione negoziata (cioè in ottica necessariamente contestuale all’avvio del procedimento), né ciò risulta dal testo normativo, né appare coerente con un impianto di protezione che vuole essere funzionale a percorsi negoziali di risanamento articolati ed ‘in divenire’, ricalcandone le mutevoli vicende. Tale considerazione appare, peraltro, anche in linea con la relazione illustrativa al D.L. n. 118/2021 (che non sembra in contrasto con la possibilità di depositare istanze a “correzione” dell’assetto di protezione iniziale; 
2) la giurisprudenza di merito si è espressa in senso nettamente favorevole alla conclusione. Tra gli altri, il tribunale di Torino ha confermato la possibilità di proporre istanza cautelare in termini non coincidenti (e in via posticipata) rispetto alle misure protettive, per circostanze sopravvenute, “non potendosi limitare la formulazione di istanze cautelari solo nella fase iniziale della composizione negoziata ; ciò in quanto non sono ravvisabili limitazioni cosiffatte nella disciplina normativa e l' introduzione delle stesse appare incoerente con un iter negoziale di risanamento (con correlate esigenze di misure protettive cautelari) che si estende sino a 120 giorni , con possibilità di proroga per ulteriori 120 giorni, come avvenuto nel caso in esame, trattandosi di percorso complesso e articolato; 
3) il tribunale di Gorizia ha concesso all’istante le misure cautelari richiesta (anche in quel caso, in ottica formalmente separata – pur se contestuale – con le misure protettive), sottolineando che, ai fini della concessione di misure cautelari, è necessario accertare “un nesso di funzionalità tra le stesse e il buon esito delle trattative, in quanto si tratta di provvedimenti volti tutti […] a impedire che nelle more della conclusione delle trattative la società si trovi costretta a pagare dei debiti pregressi e così a distrarre la liquidità necessaria, unitamente all'ottenimento di una nuova linea di credito, dall'esercizio dell'attività di costruzione immobiliare che le permetterebbe di ottenere il risanamento aziendale e così, infine, di pagare anche i debiti pregressi (alle condizioni auspicabilmente rinegoziate in sede di conclusione degli accordi di composizione negoziata); 
4) il tribunale di Milano si è pronunciato su un caso affine (sia pur riguardante misure di protezione collegate ad un ricorso ex art. 40 CCII), confermando un principio che si ritiene applicabile, in via trasversale, anche al caso in esame (attesa la evidente comunanza della ratio sottostante). Secondo il tribunale di Milano come si desume anche dalla relazione illustrativa al D.Lgs. n. 83/2022, può dirsi coerente con la disciplina del CCII consentire al debitore di richiedere, in un momento successivo a quello del deposito del ricorso ex art. 40 CCII, misure di protezione anche ulteriori; ciò nell’ipotesi in cui l’esigenza di protezione del patrimonio, eventualmente mirata, emerga solo in un momento successivo al deposito del ricorso, ovvero nel caso in cui il debitore non abbia inteso accedere immediatamente alla protezione per non ‘consumare’ il termine di dodici mesi ex art. 8 CCII, ovvero nel caso in cui vi sia stata una sua omissione dovuta a dimenticanza nel ricorso iniziale, ipotesi che giustifica la locuzione ‘con successiva istanza’: in tutti questi casi, il patrimonio imprenditoriale non rimarrebbe esposto, per tutta la durata della procedura, alle possibili aggressioni, per evitare che determinate azioni di uno o più creditori possano pregiudicare il percorso di risanamento intrapreso; in termini affini alla pronuncia del tribunale di Milano si è espresso anche il tribunale di Roma (pur trattandosi di misure ex art. 54, emerge, ancora una volta, un principio interpretativo applicabile all’”impianto” di protezione nel suo complesso), secondo il quale “ la richiesta di misure ex art. 54, comma 2, CCII può essere avanzata anche successivamente all'iniziale deposito della domanda ex art. 40 CCII di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o dell'insolvenza (piena o prenotativa ex art. 44 CCII). 
Analoga ratio può ritenersi applicabile anche alle misure cautelari previste dall’art. 18 CCII, considerata la definizione unitaria di “misure cautelari”, di cui all’art. 2, lett. q), CCII (tale norma, infatti, contiene una definizione di “misure cautelari” senza distinguere a seconda del contesto procedurale in cui le stesse, di volta in volta si collocano); tale conclusione appare confermata, da ultimo, anche da trib. Milano, decr. 7 luglio 2024, con il quale sono state concesse misure cautelari inaudita altera parte (nei confronti di specifici creditori dell’istante) , a fronte dell’avvenuta scadenza delle misure protettive a suo tempo confermate, nel contesto della composizione negoziata della crisi (le misure cautelari venivano, così, concesse con scadenza finale coincidente con quella della CNC, prorogata ex art. 17 CCII); lo stesso art. 19, comma 3, ultimo periodo, CCII ammette espressamente la riproposizione della domanda di misure protettive, ovvero di misure cautelari in corso di composizione negoziata, ove precedentemente non concesse ; con la proposizione di un nuovo ricorso, appositamente iscritto a ruolo, il contraddittorio viene costituito ex novo : il ricorso e il provvedimento di fissazione dell’udienza, infatti, potranno essere notificati ai creditori interessati, atteso che, ai sensi dell’art. 19, comma 7, CCII, “i procedimenti disciplinati dal presente articolo si svolgono nella forma prevista dagli articoli 669 bis e seguenti del codice di procedura civile , salvaguardandosi, così, in ogni caso, il diritto dei terzi controinteressati di formulare osservazioni o opposizioni.
11 . Il divieto di sospensione e revoca degli affidamenti bancari
L’art. 16, comma 5, CCII, oltre a sancire il dovere di buona fede “rinforzata” in capo a banche e intermediari finanziari, dispone che l’accesso alla composizione negoziata – indipendentemente dalla richiesta di misure protettive – non costituisce di per sé causa di sospensione o revoca degli affidamenti bancari concessi agli imprenditori. 
In questo modo, si dovrebbe evitare qualsiasi automatismo tra la situazione di crisi/insolvenza reversibile/squilibrio economico finanziario da parte dell’imprenditore e interruzione del sostegno finanziario. La ratio della norma, infatti, è quella di garantire la continuità dell’impresa nel corso delle trattative, agevolando il buon esito delle stesse. 
A ciò fa dà contraltare il fatto che le banche sono soggette a norme regolamentari che rischiano di porsi in contrasto con tale disposizione, in quanto la revoca degli affidamenti può rendersi necessaria in caso di aggravamento del livello di rischio associato al cliente che ha fatto accesso alla composizione negoziata. Pertanto, il legislatore, a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 18 giugno 2022, n. 83, ha precisato che la sospensione e la revoca possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, con comunicazione che dia conto della decisione assunta.
La norma in questione pone una serie di interrogativi.
Il primo riguarda la nozione di “affidamento”: il termine utilizzato dal legislatore è atecnico, dal momento che l’ordinamento non tipizza un contratto di “affidamento. Occorre, quindi, ricercare il significato del termine nella prassi bancaria, al fine di individuare quali tipologie o forme tecniche di contratti possano essere ricondotti a tale nozione. 
Si ritiene che il legislatore abbia voluto far riferimento essenzialmente a mutui, aperture di credito, linee autoliquidanti e, in generale, a tutte le linee di credito concesse e in corso di esecuzione al momento dell’accesso alla composizione negoziata non ancora scadute. 
Anche il termine “revoca” utilizzato dal legislatore risulta eccessivamente generico, in quanto riferibile solo a contratti, quali le aperture di credito, aventi ad oggetto la concessione di una “disponibilità”. Si ritiene, dunque, che, con tale nozione, il legislatore abbia inteso far riferimento tanto al recesso, ammesso nei rapporti contrattuali a tempo indeterminato (come sono tutti i contratti di finanziamento bancario), quanto alla risoluzione, laddove l’imprenditore abbia tenuto un comportamento che integri un inadempimento, e alla decadenza dal beneficio del termine, con riferimento a tutti quei contratti aventi a oggetto non una “disponibilità”, bensì una erogazione. 
Il divieto di revoca e sospensione degli affidamenti dovrebbe, inoltre, valere con riferimento allo scaduto non pagato, ma non con riferimento alle prestazioni ancora da eseguire in quanto ciò si tradurrebbe sostanzialmente in un obbligo di finanziamento a carico della banca, contrario al principio di ragionevolezza. 
Il secondo tema da affrontare è quello relativo alla possibilità per le banche di disporre la revoca o la sospensione degli affidamenti per ragioni diverse rispetto al semplice accesso del debitore alla composizione negoziata. 
L’interpretazione più ragionevole, ad avviso di chi scrive, è quella di considerare ingiustificato un recesso ad nutum da parte della banca, recesso che invece dovrebbe ritenersi senz’altro possibile in presenza di una giusta causa relativa al merito del rapporto, per motivi obiettivi relativi all’andamento del conto o al mancato rispetto dei limiti dell’affidamento.
La sospensione o la revoca dovrebbero, quindi, poter essere disposte per ragioni di ordine diverso rispetto al mero accesso alla composizione negoziata, quali ad esempio: a) la presenza di anomalie incompatibili con la continuazione dell’erogazione del credito, tra cui l’eccessiva concentrazione del portafoglio in un numero limitato di clienti, b) l’utilizzo continuativo del fido accordato senza rientri, c) nonché veri e propri illeciti quali la presentazione allo sconto di titoli di comodo o la duplicazione di titoli; e percentuali anomale di insoluti sul portafoglio anticipato, distrazione di incassi sul portafoglio anticipato che l’impresa abbia “decanalizzato” presso altro intermediario. 
Va sottolineato, inoltre, come la richiesta di misure protettive da parte del debitore sia determinante ai fini della decisione delle banche di revocare o sospendere gli affidamenti. 
Da ultimo, si evidenzia che la sospensione o la revoca saranno sicuramente possibili se dettate da ragioni di vigilanza prudenziale, ossia in tutte quelle ipotesi in cui il mantenimento delle linee di credito si ponga in contraddizione con il principio di “sana e prudente gestione” gravante sulla banca ex art. 5 D.Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario), cui la stessa deve attenersi anche per escludere il rischio di imputazione dell’illecito di concessione abusiva di credito.
Questo potrà verificarsi, ad esempio, laddove le condizioni dell’impresa non offrano alcuna garanzia di restituzione del fido accordato e, quindi, la prognosi sul futuro dell’impresa, alla luce delle indicazioni della normativa di vigilanza prudenziale, risulti infausta. 
La sospensione o la revoca potrebbero, inoltre, essere disposte a seguito di provvedimento adottato dall’Autorità di Vigilanza, la quale – nell’ambito del processo di revisione e valutazione, può, adottare provvedimenti finalizzati al contenimento del livello dei rischi anche attraverso il divieto di effettuare determinate operazioni. Non sembra, invece, sufficiente a giustificare la sospensione o la revoca dell’affidamento il semplice fatto che la disciplina di vigilanza prudenziale comporti effetti economici negativi per la banca, derivanti dal peggioramento della classificazione della posizione e dai maggiori accantonamenti a fondo rischi, che renderebbero non più economicamente conveniente il mantenimento dell’utilizzabilità del credito concesso. 
La disposizione prevede poi un’inversione dell’onere della prova a carico della banca: mentre, infatti, fuori dalla composizione negoziata è onere del debitore provare la contrarietà a buona fede della condotta della banca che revochi le linee di credito, durante la composizione negoziata è, invece, onere della banca motivare le ragioni della revoca, che deve fondarsi su fatti diversi dal mero accesso alla composizione negoziata o deve essere comunque imposta dalla disciplina di vigilanza prudenziale. 
Si è osservato, dunque, come anche nel Codice della Crisi risulti particolarmente complessa la scelta del “buon banchiere”, il quale è stretto tra il rischio di mancato recupero dell’importo finanziato (con conseguente compromissione della situazione economica del debitore), da un lato, e la responsabilità da concessione abusiva di credito, dall’altro.
12 . Misure protettive e cautelari ed affidamento bancario
Qualora l’imprenditore, con l’istanza di nomina dell’esperto o successivamente, richieda l’applicazione di misure protettive del patrimonio e queste siano confermate dal Tribunale competente, le banche saranno soggette altresì al disposto dell’art. 18, comma 5, CCII, ai sensi del quale i creditori non possono avvalersi di rimedi contrattuali quali la risoluzione, il recesso, la decadenza dal beneficio del termine o l’eccezione di inadempimento “per il solo fatto” del mancato pagamento da parte dell’imprenditore ammesso alla composizione negoziata di crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza di richiesta delle misure protettive. 
Ne consegue che le banche non solo non possono interrompere il sostegno finanziario all’imprenditore per il solo fatto dell’accesso alla composizione negoziata, ma sono altresì tenute a mantenere il sostegno finanziario in precedenza accordato all’impresa che abbia chiesto e ottenuto misure protettive. Si impone così alle banche un rafforzamento del proprio supporto, dal momento che − al generale divieto di sospensione/revoca degli affidamenti già previsto all’art. 16, comma 5, CCII − si aggiunge il divieto (di portata ben più ampia) di opporre al debitore gli inadempimenti pregressi che legittimerebbero il creditore ad invocare i consueti rimedi contrattuali. 
Questo pone le banche di fronte ad evidenti criticità sia finanziarie che regolamentari, dal momento che le stesse sono costrette ad erogare credito e, quindi, ad incrementare l’esposizione, nei confronti di un debitore verosimilmente in crisi o insolvente. 
La limitazione predetta non sembra, tuttavia, deporre a favore di un divieto assoluto per i creditori di sciogliere i contratti pendenti: sul punto si è, infatti, osservato, da un lato , la diversa formulazione rispetto al disposto dell’art. 94 bis CCII in materia di concordato in continuità, laddove si fa espresso riferimento ai contratti essenziali per la prosecuzione dell’attività del debitore , dall’altro, la circostanza per cui la composizione negoziata non rientra nell’ambito dei quadri di ristrutturazione ai sensi della Direttiva UE 2019/1023 (c.d. Direttiva Insolvency, né nella nozione di “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” ex art. 2, comma 1, lett. m bis CCII; si tratta, invece, di un percorso che può sfociare in un accordo o porre le basi per accedere a una procedura di ristrutturazione: di conseguenza, non dovrebbe applicarsi il divieto di scioglimento dei contratti pendenti. 
A ciò deve aggiungersi che, al divieto di cui all’art. 18, comma 5, CCII, fa da contraltare la precisazione, contenuta nella medesima disposizione, per cui i creditori nei cui confronti operano le misure protettive sono comunque liberi di sospendere l’adempimento dei contratti pendenti dalla pubblicazione dell’istanza di richiesta delle misure protettive fino all’eventuale conferma delle stesse da parte del Tribunale. 
Per massimizzare la propria tutela e preservare l’utilizzo delle linee di credito a garanzia della continuità aziendale è verosimile che l’impresa che acceda alla composizione negoziata richieda, oltre alle misure protettive, anche la concessione di misure cautelari, le quali devono essere funzionali a garantire il buon esito delle trattative per il risanamento dell’impresa. 
A differenza delle misure protettive – che operano automaticamente dalla pubblicazione dell’istanza nel Registro delle Imprese (salva poi conferma o revoca da parte del Tribunale) e hanno contenuto tipico predeterminato per legge – le misure cautelari, oltre ad avere contenuto atipico, operano solo a partire dall’emanazione del provvedimento del giudice. 
Mancando, dunque, una tipizzazione legislativa di tali misure, occorre chiedersi quali possano essere i provvedimenti richiesti dal debitore in composizione negoziata e i beni interessati. Di seguito alcuni esempi di misure cautelari concesse, in taluni casi, nella prassi e oggetto di specifica pronuncia giurisprudenziale: 
(i) sospensione dei contratti di affidamento e di finanziamento per anticipo fatture, con divieto per gli istituti di credito di estinguere la propria posizione creditoria, in qualsiasi forma contrattuale prevista; 
(ii) inibitoria della decadenza dal beneficio della rateizzazione in caso di mancato pagamento di alcune rate in scadenza.
13 . L’inibitoria delle segnalazioni in Centrale rischi
I dati disponibili in Centrale Rischi risultano rilevanti in seno alla composizione della crisi, atteso che l’archivio gestito da Banca d’Italia fornisce il dettaglio dell’indebitamento dell’imprenditore verso il sistema bancario e finanziario.
La Centrale Rischi è alimentata dalle informazioni che gli intermediari partecipanti trasmettono relativamente ai crediti e alle garanzie concessi alla propria clientela (c.d. posizioni di rischio). 
Alla luce di quanto precede, le informazioni presenti in Centrale Rischi costituiscono il “biglietto da visita” che l’imprenditore può spendere presso il sistema creditizio e, se adeguatamente effettuate, consentono agli istituti di credito di rilevare tempestivamente eventuali criticità. 
Tra le misure cautelari che l’imprenditore in composizione negoziata potrebbe richiedere nei confronti delle banche si può annoverare proprio l’inibitoria delle menzionate segnalazioni in Centrale Rischi. 
Su tale tema si è già registrato un contrasto nella più recente giurisprudenza di merito: una parte della giurisprudenza ritiene ammissibile la richiesta di siffatta misura, ritenuta necessaria per non vanificare la misura cautelare di sospensione del pagamento della quota capitale degli ammortamenti e delle rateazioni a scadere nei confronti degli istituti finanziari, nonché di revoca delle linee di credito già esistenti e utilizzate. Tale rischio, infatti, non potrebbe essere scongiurato ex lege dal disposto dell’art. 16, comma 5, CCII, dal momento che la sospensione o la revoca potrebbero essere comunque disposte se richiesto dalla normativa di vigilanza prudenziale. 
Alla luce di ciò, secondo la giurisprudenza in commento, dovrebbe potersi considerare necessaria e, come tale accoglibile – per assicurare il buon esito delle trattative – l’istanza di concessione dell’inibitoria della segnalazione in Centrale Rischi di eventuali revoche di linee di credito già esistenti e utilizzate. Si tratterebbe, infatti, di una misura consistente in un mero “pati” che esula dalla possibilità di imporre alla controparte un facere. 
Di contro, altra parte della giurisprudenza ha rigettato l’istanza del debitore in composizione negoziata di concessione dell’inibitoria delle segnalazioni in Centrale Rischi, sostenendo che si tratti di una misura che non impedisce lo svolgimento delle trattative (non incidendo sul patrimonio del ricorrente) né appare strumentale al buon esito delle stesse.
Ad avviso di chi scrive, le segnalazioni in Centrale Rischi dovrebbero essere inibite, nel contesto della composizione negoziata, nell’ipotesi in cui espongano la società al rischio di non poter accedere, per effetto della segnalazione, al credito necessario per la realizzazione del proprio piano di risanamento. Ciò anche tenuto conto che la segnalazione da parte di un istituto di credito potrebbe comportare un “effetto sistemico” sul sistema creditizio, creando delle difficoltà nella gestione delle trattative nella composizione negoziata: la segnalazione, infatti, sarebbe visibile agli intermediari partecipanti alla Centrale Rischi, i quali hanno facoltà di chiedere informazioni su soggetti che essi non segnalano laddove ciò sia utile ai fini della valutazione del merito di credito della clientela potenziale o effettiva. 
14 . Il coordinamento tra l’art. 16, comma 5, CCII e l’art. 18, comma 5, CCII
Ci si pone il quesito circa il rapporto sussistente tra la disposizione di cui all’art. 16, comma 5, CCII e quella di cui all’art. 18, comma 5, CCII. 
Le due norme hanno, innanzitutto, ambiti di applicazione differenti, in quanto la prima fa riferimento solo ai creditori finanziari, la seconda, invece, a qualsiasi tipologia di creditori. 
Sotto il profilo oggettivo, poi, la prima fa riferimento solo agli “affidamenti”, mentre la seconda a qualsiasi tipologia di contratto. 
Sul piano strutturale, la prima opera automaticamente per il solo effetto dell’accesso del debitore alla composizione negoziata, mentre la seconda opera solo in caso di richiesta di misure protettive da parte dell’imprenditore e ha un effetto temporaneo, destinato a venire meno con la cessazione delle misure protettive stesse. 
Infine, mentre l’effetto “impositivo” della norma di cui all’art. 16, comma 5, CCII non è soggetto ad alcuna valutazione giudiziale, quello di cui all’art. 18, comma 5, CCII è condizionato alla conferma delle misure protettive nel procedimento dinnanzi al Tribunale, con contraddittorio con il creditore banca. 
Considerando le due norme sul piano sistematico, si deduce che: a) in assenza di misure protettive (o perché l’imprenditore non ne ha fatto richiesta o perché queste non sono state confermate dal Tribunale), l’imprenditore è esposto alle azioni esecutive e cautelari dei creditori, con il limite, dettato dall’art. 16, comma 5, CCII per i creditori finanziari, del divieto di revoca e sospensione degli affidamenti, che impedisce l’immediata esigibilità del saldo debitorio e, dunque, l’azione esecutiva; b) in presenza di misure protettive, l’ “effetto impeditivo” rispetto ad azioni esecutive e cautelari dei creditori (anche bancari) si produce per il sol fatto dell’iscrizione a Registro Imprese dell’istanza di applicazione delle misure protettive ex art. 18, comma 1, CCII, senza che ciò possa essere derogato dalla sussistenza di inadempimenti pregressi del debitore. 
Dal coordinamento tra le due disposizioni, dunque, si desume che, in astratto, la banca che ha disposto la revoca dell’affidamento per ragioni diverse dal mero accesso alla composizione negoziata o per ragioni di vigilanza prudenziale potrebbe comunque vedersi paralizzata, per effetto della richiesta nei suoi confronti di misure protettive. 
È quanto si è verificato in un recente caso oggetto di decisione da parte del Tribunale di Padova: un istituto di credito aveva deciso di sospendere l’operatività degli affidamenti nei confronti del debitore in composizione negoziata, in ragione del dovere di rispettare gli obblighi di vigilanza prudenziale, nonché a causa degli ingenti inadempimenti nei rapporti di anticipo fatture. 
Nel procedimento di conferma delle misure protettive richieste dal debitore – tra cui, ex art. 18, comma 5, CCII, il divieto per i creditori (anche quelli finanziari) di risolvere i contratti in essere, anticiparne la scadenza, nonché sospendere o rifiutare l’adempimento delle prestazioni imposte a carico del contraente in bonis dai contratti stessi – il Tribunale ha affermato che, laddove l’imprenditore si avvalga delle misure protettive, anche le banche, al pari di tutti gli altri contraenti/creditori, sono soggette alle limitazioni dell’esercizio unilaterale dei diritti derivanti dai contratti sottoscritti, quandanche questi siano contratti di finanziamento che non hanno trovato completa esecuzione. La presenza di insoluti, infatti, ove anteriori all’avvio della procedura, non autorizzerebbe il rifiuto della prestazione da parte dell’istituto di credito. 
Quanto all’apparente antinomia tra l’art. 18, comma 5 CCII e l’art. 16, comma 5, CCII, il Tribunale di Padova ha osservato che tale ultima disposizione – prevista in termini generali per il caso di ricorso da parte dell’imprenditore alla composizione negoziata – trovi il proprio limite ove siano richieste e concesse misure protettive che riducono ulteriormente la libertà di determinazione del creditore (anche bancario), con riferimento ai contratti pendenti (inclusi i contratti bancari autoliquidanti) e agli inadempimenti pregressi. 
Quanto precede potrebbe esporre le banche al rischio di concessione abusiva di credito, laddove il mantenimento delle linee “autoliquidanti” pendenti alla data di accesso dell’imprenditore alla composizione negoziata dovesse essere equiparato a nuova finanza e in assenza di ragionevoli prospettive di risanamento del debitore. 
Dal quadro delineato emerge, dunque, come le disposizioni in commento possano essere intese dalle banche quale causa di incremento del loro rischio di credito potenziale, tale da indurle a decidere di rafforzare i propri presidi di monitoraggio, richiedendo, ad esempio, maggiori garanzie. 

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