Vanno innanzitutto enucleati i requisiti per l’ammissione dell’accordo di composizione della crisi, che è la procedura più indicata per risolvere situazioni di crisi da sovraindebitamento per attività d’impresa di piccole dimensioni o per le attività agricole, anche nel caso in cui la crisi derivi da cause legate all’emergenza sanitaria in corso.
Quanto ai presupposti di ammissibilità della procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento, l’art. 7 della L. 3/2012 stabilisce che l’accordo è proposto dal debitore con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi e deve assicurare il regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili, ai sensi dell’articolo 545 c.p.c. e delle altre disposizioni contenute in leggi speciali.
L’accordo di composizione per poter essere ammesso deve prevedere scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi, ed indicare le eventuali garanzie rilasciate per il pagamento dei debiti nonché le modalità per l’eventuale liquidazione dei beni.
La norma è stata oggetto di un intervento della Corte costituzionale nella parte in cui prevedeva l’integrale soddisfazione dei crediti derivanti da tributi che costituiscono risorse proprie dell’Unione Europea, crediti derivanti dall’imposta sul valore aggiunto, ritenute operate e non versate, potendo al massimo dilazionare il relativo pagamento. La Corte costituzionale ha infatti stabilito che è costituzionalmente illegittimo l’art. 7, comma 1, terzo periodo, della Legge 3/2012, limitatamente alle parole: «all’imposta sul valore aggiunto»[6].
L’accordo di composizione della crisi può inoltre prevedere la non integrale soddisfazione dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca, purché sia assicurato il pagamento del credito in misura non inferiore a quella che si presume realizzabile a seguito di liquidazione del patrimonio, tale valutazione deve essere effettuata dagli organismi di composizione della crisi ed attestata dallo stesso gestore.
L’accordo può infine prevedere che il patrimonio del debitore sia affidato ad un gestore per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori, da individuarsi in un professionista in possesso dei requisiti previsti per il curatore fallimentare. Il gestore deve essere nominato dal giudice.
Altri requisiti previsti dalla norma per l’ammissione della procedura vengono richiamati sempre dall’art. 7 L. 3/2012 al comma 2. In particolare, si ricorda che la proposta di accordo è inammissibile quando il debitore ha fatto ricorso, nei precedenti 5 anni, alle procedure per la composizione delle crisi da sovraindebitamento, intendendosi l’inciso “aver fatto ricorso” riferito all’avvenuta effettiva fruizione dell’istituto nei suoi effetti esdebitatori.
Il soggetto richiedente inoltre non deve aver subito per cause a lui imputabili la risoluzione, la revoca e la cessazione dell’omologazione di un precedente accordo, e non deve aver fornito una documentazione che non consente di ricostruire compiutamente la situazione economica e patrimoniale.
Il contenuto dell’accordo è definito dall’art. 8 della legge. L’accordo deve essere formulato in modo da consentire la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti mediante «qualsiasi forma», eventualmente anche attraverso la cessione di crediti futuri[7]. Se i beni e i redditi del debitore non sono tali da garantire tale risultato, egli potrà ricorrere ad uno o più garanti, che dovranno sottoscrivere a loro volta la proposta di accordo e consentire il conferimento, anche parziale, di redditi o beni sufficienti per l’attuabilità dell’accordo medesimo.
È utile a questo punto un richiamo a quanto stabilito dall’art. 8 del Decreto Liquidità[8]. Infatti, tale norma, con l’esigenza di incentivare i canali necessari per assicurare un adeguato rifinanziamento delle imprese, inserisce una disposizione temporanea in materia di finanziamenti alle società disattivando il meccanismo di postergazione dei finanziamenti effettuati dai soci o da chi esercita attività di direzione e coordinamento sino alla data del 31 dicembre 2020. Di tale norma si dovrà pertanto tener conto nella redazione degli accordi, prevedendo per i finanziamenti soci del periodo indicato la loro ammissione come crediti chirografari e non come crediti postergati.
Nella proposta di accordo il debitore potrà impegnarsi a non indebitarsi ulteriormente mediante credito al consumo, utilizzo di carte di credito, sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari. Alla luce delle diverse norme disseminate nel Decreto Cura Italia[9] e nel Decreto Liquidità il debitore potrà far ricorso a rifinanziamenti garantiti dallo Stato per poter costruire accordi di composizione della crisi con i propri creditori.
La L. 3/2012 prevede inoltre la possibilità di una moratoria di un anno dall’omologazione dell’accordo con continuazione dell’attività aziendale per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, «salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione»[10]. Tale norma ha dato diversi problemi interpretativi, tant’è che la Cassazione è intervenuta più volte precisando che negli accordi di ristrutturazione dei debiti, è possibile prevedere la dilazione del pagamento dei crediti prelatizi anche oltre il termine di un anno dall’omologazione previsto dall’art. 8, comma 4, della legge n. 3 del 2012, ed al di là delle fattispecie di continuità aziendale, purché si attribuisca ai titolari di tali crediti il diritto di voto a fronte della perdita economica conseguente al ritardo con cui vengono corrisposte le somme ad essi spettanti.[11] Anche altra Cassazione, richiamata dalla precedente, stabilisce che il principio in base al quale nel concordato preventivo è possibile proporre la dilazione del pagamento dei creditori privilegiati o con prelazione, equiparandoli, ai fini del voto, ai chirografari per la perdita derivante dalla dilazione e dunque per la parte del credito in tal modo non interamente soddisfatta, è applicabile agli accordi di composizione della crisi da sovraindebitamento.[12]
L’art. 9 della L. 3/2012 disciplina poi il deposito della proposta presso il tribunale del luogo in cui ha la residenza, o la sede, il debitore. La disposizione precisa che la proposta dovrà contenere la ricostruzione della posizione fiscale del debitore e l’indicazione di eventuali contenziosi pendenti. Alla proposta dovrà inoltre essere allegata la seguente documentazione: l’elenco di tutti i creditori, con l'indicazione delle somme dovute; l’elenco dei beni e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni; le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni; l’attestazione delle fattibilità del piano; l’elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e della sua famiglia, previa indicazione della composizione del nucleo familiare corredata del certificato dello stato di famiglia. Se il debitore svolge un’attività d’impresa, dovrà depositare anche le scritture contabili degli ultimi tre esercizi.
Tralasciando l’iter procedurale previsto dall’art. 10 Legge 3/2012, preme qui evidenziare che l’accordo con i creditori si considera raggiunto solo se la percentuale di creditori favorevoli è superiore al 60%. Non vengono computati ai fini della percentuale stessa quei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca nei confronti dei quali la proposta preveda l’integrale pagamento. Essi non possono pronunciarsi sulla proposta a meno che non rinuncino al diritto di prelazione. Inoltre, non possono pronunciarsi sulla proposta, né sono computati ai fini della determinazione della maggioranza, il coniuge del debitore, i parenti e gli affini fino al quarto grado, i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno al momento della proposta.
Il termine temporale entro cui i creditori devono fare pervenire all’organismo di composizione della crisi il proprio consenso, è determinato in dieci giorni prima dell’udienza fissata dal giudice. In mancanza di tale comunicazione si ritiene che i creditori abbiano prestato il proprio consenso alla proposta (silenzio-assenso).
Una volta raggiunto l’accordo, questo perde efficacia nei seguenti casi: mancato pagamento entro novanta giorni dalle scadenze previste alle amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie; presenza di atti diretti a frodare i creditori.
L’art. 12 stabilisce che, ove l’accordo sia stato raggiunto, l’organismo di composizione della crisi trasmette ai creditori una relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento delle percentuali fissate dall’articolo 11, nonché il testo dell’accordo. Entro dieci giorni al ricevimento della relazione i creditori possono contestare l’accordo; decorso tale termine, l’organismo di composizione invia al giudice la stessa relazione, allegando l’attestazione definitiva sulla fattibilità del piano e le contestazioni ricevute. Se la prescritta maggioranza è raggiunta - e se le modalità dell’accordo sono ritenute idonee a soddisfare i crediti impignorabili - il giudice procede all’omologazione dell’accordo e ne dispone la pubblicazione. Se il creditore escluso o che non ha aderito, nonché qualsiasi altro interessato, contesta la convenienza dell’accordo, si può procedere all’omologazione qualora il giudice ritenga che il relativo credito possa essere soddisfatto in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria prevista dalla sezione seconda. L’omologazione deve intervenire entro sei mesi dalla presentazione della proposta.
L’accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità di cui all'articolo 10 Legge 3/2012. I creditori con causa o titolo posteriore possono aggredire solo i beni del debitore che non costituiscono oggetto del piano. Tali effetti vengono meno in caso di risoluzione o mancato pagamento di crediti impignorabili e, secondo la modifica, di mancato pagamento di tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, di ritenute operate e non versate. L'accertamento del mancato pagamento è richiesto al tribunale che si pronuncia in camera di consiglio.
Per quanto concerne l’esecuzione dell’accordo, l’art. 13 prevede l’intervento del Giudice investito della procedura solo in ordine alle contestazioni relative alla violazione di diritti soggettivi, nonché sulla sostituzione del liquidatore per giustificati motivi. Il giudice inoltre autorizza lo svincolo delle somme, la cancellazione della trascrizione del pignoramento, delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione e di ogni altro vincolo, sentito il liquidatore e previa verifica di conformità dell’atto dispositivo all’accordo e al piano.
Al comma 4-bis dello stesso articolo si prevede che i crediti sorti in occasione o in funzione di uno dei procedimenti dell’accordo siano soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti. Tale norma ha suscitato un dibattitto sia in dottrina che in giurisprudenza sulla possibilità di antergare i crediti prededucibili ai crediti ipotecari e derivanti da pegno.
Quando l’esecuzione dell’accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, è consentita una modifica della proposta. Tale richiamo della norma appare particolarmente prezioso in questo periodo emergenziale, dove per effetto del lockdown molti debitori potrebbero trovarsi nell’impossibilità di regolarmente proseguire nell’esecuzione dell’accordo precedentemente omologato. A tal proposito si rinvia ad una recente sentenza del Tribunale di Mantova che, a proposito di un piano del consumatore, stabilisce che per effetto del richiamo contenuto nel comma 4-ter dell’art. 13 alle disposizioni di cui al paragrafo 3 della sezione, vada disposta la comparizione delle parti affinché le stesse e, in particolare i creditori, possano interloquire al riguardo[13]. Allo stesso modo ritiene chi scrive che per un accordo vada concessa, ai creditori, la possibilità di votare la modifica della proposta.
La cessazione degli effetti dell’accordo è disciplinata dall’art. 14 che stabilisce che il tribunale agisce in tal senso, su istanza di qualsiasi creditore, nell’ipotesi in cui sia stato dolosamente “o con colpa grave”, aumentato o diminuito il passivo, ovvero sia stata sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo, ovvero siano simulate dolosamente attività inesistenti. Non è ammessa alcuna altra azione di annullamento. Il ricorso per l’annullamento deve proporsi nel termine di sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, non oltre due anni dall’ultimo adempimento previsto.
La risoluzione dell’accordo può aversi invece, previo ricorso di un creditore al tribunale, quando il proponente non adempie agli obblighi derivanti dall’accordo; oppure non vengono costituite le garanzie promesse; o infine l’esecuzione dell’accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore. Il ricorso per la risoluzione deve essere presentato entro sei mesi dalla scoperta o entro il termine perentorio di un anno dalla data dell’ultimo adempimento previsto dall’accordo. La risoluzione non pregiudica comunque i diritti acquisiti da terzi in buona fede.