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Saggio

L’analisi di bilancio applicata all’impresa in crisi*

Matteo Panelli e Matteo Navaroni, Dottori commercialisti e revisori legali in Pavia

23 Dicembre 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Raccogliere e interpretare preventivamente i segnali di crisi rappresenta uno dei pilastri della riforma organica contenuta nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII) - D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14. 
Gli AA. affrontano il mutato approccio alla prevenzione della crisi a seguito della (prematura) scomparsa degli strumenti di allerta, originariamente previsti dal Titolo II del citato decreto e analizzano le tecniche di analisi di bilancio, le quali hanno conservato un ruolo fondamentale per intercettare i segnali della crisi. 
All'esito, gli AA. trattano il ruolo degli indici di bilancio nella valutazione delle c.d. chance di risanamento e al servizio del professionista indipendente chiamato ad esprimersi sulla sua fattibilità. 
 
Collecting and interpreting crisis signals in advance is one of the pillars of the comprehensive reform contained in the Crisis and Insolvency Code (CCII) - Legislative Decree No. 14 of January 12, 2019. 
The AA. addresses the changed approach to crisis prevention following the (premature) disappearance of the warning tools, originally provided for in Title II of the aforementioned decree, and analyzes the techniques of balance sheet analysis, which have retained a key role in intercepting signs of crisis. 
Finally, AA. discusses the role of balance sheet ratios in assessing the so-called “chance” of rehabilitation and in serving the independent professional called upon to express an opinion on its feasibility. 
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
La situazione economica, finanziaria e patrimoniale di un’impresa è rappresentata dal bilancio d’esercizio (di seguito, per brevità, “bilancio”)[1] che può, quindi, essere definito il documento mediante il quale l’imprenditore fornisce all'esterno informazioni circostanziate e sistematiche sulla situazione economica, finanziaria e patrimoniale in cui si trova. 
A sua volta, le analisi di bilancio rappresentano il metodo e la tecnica per esprimere giudizi sull'impresa e sulla sua gestione, tramite lo studio del bilancio di esercizio, dei bilanci intermedi infrannuali, dei bilanci previsionali e dei dati da questo ricavabili[2]. 
Ne consegue che l’analisi di bilancio assume un ruolo primario nell’indagine delle performance dell’impresa e potrebbe prestarsi al ruolo di strumento predittivo, atto a individuare possibili scenari futuri mediante lo studio della redditività aziendale, in correlazione con la sua struttura patrimoniale e finanziaria. 
In questo elaborato, gli autori intendono approfondire l’applicazione delle suddette tecniche al fine della prevenzione della crisi, dell’analisi delle strategie di risanamento e del monitoraggio dei risultati previsti.
2 . Le attività funzionali all’analisi di bilancio
Prima di focalizzare l’attenzione sulla funzione svolta dall’analisi di bilancio applicata alla crisi d’impresa, appare utile ricordare quali siano le attività che l’analista dovrà svolgere in via preliminare, in parte condizionate dagli scopi conoscitivi. Le valutazioni, le scelte e le elaborazioni che egli riterrà di dover preventivamente operare sul bilancio determineranno, infatti, la sua intera analisi e, conseguentemente, dovranno essere attentamente ponderate. 
In primo luogo, occorre procedere con l’identificazione della fonte dati, decidendo se utilizzare (i) bilanci pubblici, depositati presso il Registro Imprese, ed elaborati secondo quanto previsto dal Codice civile, (ii) situazioni contabili analitiche scaturenti dal sistema contabile, (iii) situazioni economico-patrimoniali infrannuali, (iv) budget previsionali ovvero, piani aziendali prospettici, questi ultimi evidentemente corroborati da un’inevitabile incertezza. 
La decisione sulla tipologia di fonte dati da utilizzare non dipende esclusivamente dall’analista in quanto se i bilanci redatti in conformità alle norme civilistiche vigenti[3] sono documenti “pubblici” di facile reperimento, le situazioni contabili, i budget o i piani rappresentano documenti “riservati” che l’analista potrà prendere visione solo con la disponibilità dell’azienda oggetto di analisi. 
Il passaggio successivo implica lo studio della struttura dei dati. Quest’ultima dipenderà necessariamente dalla “fonte” utilizzata ed è finalizzata a rendere omogenei i dati che verranno utilizzati, soprattutto nelle analisi dinamiche. 
In esito a quanto sopra, l’analista dovrà definire i periodi contabili da esaminare e la loro durata (annuale, trimestrale, mensile) anche ai fini di una comparazione temporale[4]. 
Alla luce di quanto sopra, l’analista dovrà stabilire quali schemi di riclassificazione intenda utilizzare e pertanto, già in questo momento, occorre tenere in considerazione gli obiettivi conoscitivi in base ai quali operare la propria scelta. 
Svolte le attività di cui sopra, l’analista potrà dedicarsi alla prima forma di analisi aziendale vera e propria, ovvero la riclassificazione dei dati al fine di (ri)esprimere i medesimi in una modalità che ne consenta e ne agevoli l’interpretazione oltre che ne evidenzi gli elementi salienti quali il capitale di funzionamento per quanto riguarda lo stato patrimoniale e le varie configurazioni di reddito relativamente al conto economico. 
Con riguardo alla riclassificazione dello stato patrimoniale, gli schemi comunemente più utilizzati sono quello finanziario (basato sul criterio della liquidità/esigibilità) e quello funzionale (basato sul criterio della pertinenza gestionale). Mentre il primo può essere agevolmente elaborato avendo a disposizione unicamente un bilancio civilistico ordinario, il secondo richiede dati di maggior dettaglio. Si pensi, a titolo esemplificativo, al caso in cui il bilancio presenti debiti di natura tributaria, previdenziale, commerciale e altri già ampiamente scaduti: in questo caso, tipico dell’impresa in crisi, l’analista non potrà riclassificarli nel capitale circolante netto, dovendoli imputare – salvo casi specifici – nella posizione finanziaria netta. 
Passando alla riclassificazione del conto economico, il criterio maggiormente impiegato è quello a valore aggiunto, ma vengono adottati anche quello a costo del venduto riclassificato per destinazione, il quale opera una distinzione dei costi per aree funzionali (produzione, commerciale, amministrazione) e quello a margini di contribuzione, che, invece, discerne i costi variabili dai costi fissi, consentendo di determinare il punto di pareggio (o break-even point[5]). Con riferimento alle riclassificazioni a costo del venduto e a margini di contribuzione, l’analista dovrà ottenere informazioni di dettaglio che non sono presenti nei bilanci depositati ai fini del rispetto della pubblicità. In particolare, l’analisi dei costi fissi e variabili sarà consentita solo se la società sia dotata di una contabilità analitica (o industriale) attendibile. Tuttavia, è bene ricordare che la riclassificazione del conto economico a margini di contribuzione non è utilizzata nell’analisi di bilancio, ma rappresenta un elemento essenziale del controllo di gestione e della contabilità analitica.
3 . La significatività dei dati
Fatto cenno alle attività funzionali (o preparatorie) all’applicazione dell’analisi di bilancio[6], si ritiene opportuno introdurre la principale problematica nell’applicazione di qualunque “technicality” d’indagine delle performance aziendali: l’attendibilità della base dati ovvero, in altre parole, la veridicità dei bilanci stessi. 
Qualora l’analisi di bilancio venisse applicata ad uno o più bilanci non redatti in ottemperanza a quanto disposto nell’art. 2423 c.c. e seguenti, nonché al Principio contabile n. 11[7], i risultati ottenuti rappresenterebbero un mero esercizio matematico, perdendo di significatività. 
La verifica dei dati appare particolarmente rilevante soprattutto con riferimento all’analisi applicata alla prevenzione della crisi. 
Al fine di corroborare il presente lavoro di una ricerca empirica (sebbene limitata nel campione statistico), gli autori hanno preso in esame i bilanci approvati dalle società che hanno presentato istanza di ammissione ad una procedura di concordato ai sensi del Codice della Crisi d’Impresa (di seguito, per brevità, “CCII”[8]) sul Tribunale di Milano e presenti sul “Portale Fallimenti”[9]. 
Alla data del 28 settembre 2024, erano presenti sul suddetto portale n. 27 procedure di concordato preventivo, di cui n. 9 liquidatorie (CPL) e n. 18 in continuità (CPC), oltre ad 10 concordati semplificati (CS), questi ultimi esclusi dalla seguente disamina. 
Alla stessa data, erano stati omologati n. 8 concordati preventivi. 
Segue ora l’estrazione dei dati di patrimonio netto, Ebit e Ebitda, ricavati dai bilanci depositati dalle imprese presenti sul suddetto portale, senza aver operato alcuna riclassificazione o elaborazione. Nel proseguo, si intenderà “anno n-1” l’esercizio precedente a quello del deposito del ricorso per l’ammissione, quest’ultimo desunto dal numero di ruolo generale, e “anno n-2” l’esercizio ad esso anteriore. 
Il patrimonio netto (di seguito, per brevità, anche “PN”) complessivo delle n. 27 imprese è positivo per 77 milioni di euro (anno n-2) e negativo per 143 milioni di euro (anno n-1)[10], facendo emergere una erosione complessiva pari a 220 milioni di euro in un solo esercizio (Grafico 1). 
Restringendo l’analisi alle n. 21 imprese che hanno depositato entrambi i bilanci oggetto d’indagine[11], la dinamica del patrimonio netto nel biennio è la seguente (Grafico 2). 
Questo “sottocampione” è caratterizzato da un valore complessivo di PN nell’esercizio n-2 pari a 68 mln di euro contro un importo complessivo negativo di PN nell’esercizio n-1 di 143 milioni con un differenziale di 211 mln di euro. 
Infine, restringendo ulteriormente il campione con le n. 16 imprese che hanno presentato concordato preventivo in continuità e che hanno depositato entrambi i bilanci, è emerso un patrimonio netto positivo di 101 milioni di euro (anno n-2) e negativo di 102 milioni di euro (anno n-1), con un differenziale di 203 milioni di euro (Grafico 3).
Rispetto a un’analisi reddituale delle sole imprese che hanno depositato entrambi i bilanci oggetto d’indagine, il risultato operativo (Ebit) complessivo si è ridotto di 334 milioni di euro, passando da valore positivo di 163 milioni di euro (anno n-2) a uno negativo di 171 milioni di euro (anno n-1) (Grafico 4).
Quelle stesse n. 21 imprese hanno visto ridursi il proprio Ebitda di 301 milioni di euro, passando da un valore complessivo di 175 milioni di euro (anno n-2) a uno complessivo e negativo di 126 milioni di euro (anno n-1)[12] (Grafico 5). 
Nessuna ulteriore indagine è stata condotta dagli autori su quali fossero state le ragioni che hanno determinato i risultati economici e patrimoniali sopra descritti, né tanto meno se gli eventi che hanno inciso sui suddetti bilanci siano riconducibili a esercizi precedenti. 
Ciò premesso, in assenza di adeguati approfondimenti, i dati assoluti (i.e. riduzione del PN pari a 203 milioni di euro) potrebbero non risultare particolarmente significativi dal momento che una sola entità ha fatto registrare una riduzione di PN pari a 117 milioni di euro. Quello che, al contrario, appare interessante evidenziare è come la quasi totalità delle altre imprese (tutte tranne una) abbiano eroso il PN nell’esercizio anteriore a quello della presentazione dell’istanza di ammissione al concordato preventivo in continuità. Questa circostanza non implica necessariamente la mancata veridicità dei dati contabili, ma lascerebbe tuttavia supporre che l’emersione anticipata della crisi non sia avvenuta con successo[13] dal momento che tutte le imprese analizzate avevano ormai eroso il proprio patrimonio già nell’esercizio precedente. 
4.1 . Gli indicatori della crisi nella loro originaria previsione
Come sappiano, l’originaria versione del Codice della Crisi e dell’insolvenza[14] prevedeva un sistema di allerta rimesso non solo all’iniziativa dell’imprenditore ma anche alla segnalazione da parte di soggetti qualificati. 
Sebbene il sistema di allerta previsto nella formulazione originaria del Codice della Crisi e dell’insolvenza non sia mai entrato in vigore, è parere degli autori effettuare un breve e limitato exursus sulla tematica approfondendo i principi ispiratori della norma. 
Ma andiamo per ordine. 
Nella versione del Codice - mai entrata in vigore -, l’art. 13, CCII, rubricato “Indicatori della crisi” riempiva di contenuti gli “strumenti di allerta” previsti dall’art. 12, CCII il quale - rubricato “Nozione, effetti e ambito di applicazione” - disponeva che gli strumenti di allerta fossero costituiti da obblighi di segnalazione posti a carico del revisore contabile e della società di revisione (art. 14) e dei creditori pubblici qualificati, ovvero Agenzia delle entrate, Istituto nazionale della previdenza sociale e Agente della riscossione (art. 15), finalizzati alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa ed alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione. Per espressa previsione normativa, tali obblighi non si sostituivano a quelli organizzativi posti a carico dell’imprenditore dal codice civile, ma rappresentavano comunque l’evidente responsabilizzazione dei terzi, rispetto all’emersione anticipata della crisi del debitore. Alcuni creditori (c.d. qualificati) venivano, quindi, onerati (o onorati) di attivare la procedura di allerta in esito alla quale si sarebbe potuta aprire la Composizione Assistita della Crisi. 
Sebbene la normativa non si applicasse a tutti gli imprenditori[15], la sua (potenziale) portata apparve da subito di straordinario impatto, perché allargava la platea dei soggetti licenziati a prevenire la crisi, conferendo loro strumenti per la sua precoce emersione. 
L’art. 13, il introduceva il concetto di “sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi”, oltre alle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione fosse inferiore a sei mesi, quantomeno per i sei mesi successivi. A tal fine, la norma definiva “indici significativi” quelli in grado di misurare “la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi”. 
Operativamente, la normativa mai entrata in vigore prevedeva quali indicatori di crisi, i ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, di cui all’art. 24, ovvero: 
a) debiti per retribuzioni scaduti da almeno sessanta giorni per un ammontare pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni; 
b) debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; 
c) il superamento, nell’ultimo bilancio approvato, o comunque per oltre tre mesi, degli indici elaborati (ai sensi dell’articolo 13, commi 2) dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (di seguito, per brevità, CNDCEC). 
Il comma 3 dell’art. 13 prevedeva, infine, che, qualora l’impresa che non avesse ritenuto adeguati, in considerazione delle proprie caratteristiche, gli indici elaborati dal CNDCEC, ne avrebbe dovuto specificare le ragioni nella nota integrativa al bilancio di esercizio e indicare, nella medesima nota, gli indici idonei a far ragionevolmente presumere la sussistenza del suo stato di crisi. L’adeguatezza di tali indici rispetto alle specificità dell’impresa avrebbe dovuto essere attestata da un professionista indipendente, la cui relazione - allegata alla nota integrativa al bilancio di esercizio - ne avrebbe costituito parte integrante, producendo i suoi effetti per l’esercizio successivo.
 
Figura 1 - mappa dello stato di crisi
 
Fonte: Crisi d’impresa - Gli indici di allerta. Documento CNDCEC[16] 

Diligentemente, il CNDCEC ha ottemperato alla previsione normativa, predisponendo degli indicatori della crisi, ben rappresentanti da un processo logico di indagine che, partendo dalla verifica sul patrimonio netto, prevede alternativamente la determinazione del c.d. Debt Service Coverage Ratio (brevemente anche “DSCR”) o di appositi indici settoriali, questi ultimi soggetti a periodico aggiornamento[17] (Figura 1). 
Il punto di partenza di questa indagine era, quindi, rappresentato dalla verifica se il patrimonio netto (PN) fosse stato o meno positivo. Nel caso di PN negativo, si poteva già presumere uno stato di ragionevole crisi. L’assunto sembrerebbe banale, ma dobbiamo ricordare che il 5,5% delle PMI che avevano presentato almeno uno dei bilanci nel triennio 2017-2018-2019 mostravano un PN negativo[18]. 
Accertato che il patrimonio netto fosse positivo, l’imprenditore avrebbe dovuto determinare l’indice Debit Service Coverage Ratio
Già noto al mondo bancario, che lo ha impiegato (o avrebbe dovuto) ai fini del merito creditizio, il DSCR è dato dal rapporto tra il flusso di cassa prodotto dalla gestione caratteristica al netto delle imposte sul reddito d’esercizio e il flusso finanziario per il pagamento degli interessi passivi, nonché della quota capitale dei finanziamenti nel periodo considerato. 
Ove il rapporto fosse maggiore di 1, il flusso di cassa risulterebbe sufficiente alla copertura degli impegni finanziari e non emergerebbero ragionevoli presunzioni dello stato di crisi[19]. 
Tuttavia, nello scenario in cui l’imprenditore non lo avesse ritenuto attendibile o – più probabilmente – non fosse stato in grado di determinarlo, si sarebbero applicati gli indici settoriali di seguito descritti (Tabella 1). 
 
Tab. 1 - Indici settoriali 
Fonte: Crisi d’impresa - Gli indici di allerta. Documento CNDCEC  

A parere degli autori, sebbene la normativa attuale abbia superato l’impostazione di un sistema di allerta basato su indicatori di bilancio predeterminati, si ritiene che il calcolo ed il costante monitoraggio di tali indicatori possa rappresentare un efficace strumento di controllo del proprio stato di salute e di allerta anticipata rispetto a situazioni di crisi. 
Il quadro si completava nell’art. 15 rubricato “Obbligo di segnalazione di creditori pubblici qualificati”, il quale prevedeva l’obbligo di avvisare il debitore quando venivano superati determinati importi da parte di: a) Agenzia delle Entrate[20]; b) Istituto Nazionale della Previdenza Sociale[21]; c) Agenzia Entrate - Riscossioni[22].
Esula dagli obiettivi del presente lavoro confrontare il contenuto del vigente art. 25 novies, CCII rubricato “Segnalazione dei creditori pubblici qualificati”, rispetto al mai entrato in vigore art. 15, ma appare utile ricordare che sia venuto meno il contenuto “obbligatorio” e (soprattutto) le conseguenze per l’inattività, ovvero l’inefficacia del titolo di prelazione spettante sui crediti dei quali sono titolari per i primi due e l’inopponibilità del credito per spese ed oneri di riscossione per il terzo.
4.2 . Le ragioni della prematura scomparsa degli strumenti di allerta
La previsione normativa di specifici indicatori di bilancio - con la conseguente “elevazione” dell’analisi di bilancio a principale strumento di emersione anticipata della crisi – è venuta meno con la prematura scomparsa degli strumenti di allerta, originariamente previsti dal Titolo II, Capo I del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14. Di conseguenza, anche il procedimento di composizione assistita (Capo III) non ha mai avuto applicazione, sostituito dalla composizione negoziata della crisi (di seguito, per brevità, CNC), originariamente assente dal CCII. 
Le ragioni che hanno indotto il legislatore a riformare le norme volte all’emersione anticipata della crisi, senza neppure metterle alla prova, sono state genericamente ricondotte all’emergenza sanitaria, esplosa poco prima che le nuove disposizioni avrebbero dovuto entrare in vigore. 
Come tutti sappiamo, il Covid 19 ha generato vittime e condizionato la vita della maggior parte della popolazione mondiale ma ha anche messo in luce la fragilità dell’economia di tutti i paesi, rispetto ad eventi di così ampia portata. 
In questo contesto, i Governi di tutti i paesi sono intervenuti emanando provvedimenti a tutela della popolazione e del tessuto imprenditoriale. La c.d. “normativa emergenziale” ha avuto un impatto significativo e, quanto meno nelle intenzioni, ha fronteggiato la crisi a vario titolo[23]. 
Rispetto all’imminente entrate in vigore del Codice della Crisi (originariamente prevista nell’agosto 2020), tuttavia, il legislatore italiano non ha ritenuto di limitare il suo intervento ad un semplice rinvio ma ne ha riformato anche i contenuti. 
Così facendo, il CCII - entrato in vigore il 15 luglio 2022 – fu reso privo degli strumenti di allerta, idealmente sostituiti dagli adeguati assetti (art. 3), e della procedura di composizione assistita, al cui posto ha visto la luce la composizione negoziata (art. 12 e segg.). 
Ai fini del presente lavoro, appare utile chiedersi se le ragioni per cui il legislatore abbia ritenuto di stravolgere le suddette previsioni siano esclusivamente riconducibili al pericolo di nuovi squilibri a livello mondiale, oppure se vi possano essere altre motivazioni. 
Il dubbio nasce dal fatto che, per fronteggiare future situazioni emergenziali (non necessariamente di natura sanitaria) di così ampia portata, i Governi dei paesi coinvolti potranno comunque valutare l’opportunità di legiferare a favore delle imprese operanti sul territorio nazionale. 
Partendo da questa logica considerazione, il Covid19 può essere considerato il motivo che ha innescato il rinvio nell’entrata in vigore del nuovo Codice, ma non anche la ragione per cui sia stato riformato così ampiamente nella parte in cui avrebbe dovuto recepire il c.d. “early worning” previsto dalla Direttiva 20 giugno 2019, n. 2019/1023/UE (c.d. Direttiva Insolvency). 
Una lucida risposta al quesito appare rinvenibile nel provvedimento del Tribunale di Bologna 8.11.2022, Est. Atzori, nel quale il Giudice argomenta in merito alla c.d. “ritrosia italica” quale elemento caratterizzante il recepimento da parte della legislazione italiana della Direttiva Insolvency
Il tema affrontato dal Tribunale di Bologna riguardava la concessione delle misure protettive, ai sensi dell’art. 19, comma 2, lett. a) e c), CCII, in seno ad una procedura di Composizione Negoziata della Crisi. In tale sede, il Giudice si è dovuto interrogare sul requisito soggettivo della CNC, chiedendosi se anche un’impresa insolvente potesse accedere a tale strumento. 
La tesi più restrittiva escludeva che un’impresa già insolvente potesse accedere alla CNC, sul presupposto che l’obiettivo da perseguire fosse la tempestiva e anticipata emersione della crisi. Come ha osservato parte della Giurisprudenza, “la capacità del nuovo strumento di determinare un’emersione effettivamente precoce della crisi può essere assicurata solamente bloccando l’accesso a tali strumenti alle imprese insolventi”[24]. 
I sostenitori di questa impostazione, quindi, riconoscevano - quale condizione oggettiva di accesso alla CNC - una situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che avrebbe reso probabile la crisi o l’insolvenza dell’impresa; al contrario, la manifesta incapacità ad adempiere alle proprie obbligazioni avrebbe determinato la preclusione di accedere al suddetto strumento di regolazione della crisi. 
Questa tesi appare coerente con la Direttiva Insolvency che, come si è evidenziato, ha posto al centro del dibattito l’early warning, ma non può essere dimenticato che gli strumenti di allerta non hanno mai visto effettiva luce nel Codice. 
In questo contesto, nella sentenza soprarichiamata il Giudice osserva, infatti, che “il tanto atteso e già tardivo adeguamento della legislazione interna a quella di altre realtà europee è in breve apparso e scomparso …” con la conseguenza “… di una consapevole scelta di depotenziamento dell’early worning”. Le ragioni di questa scelta vengono ricondotte alla “prevedibili criticità conseguenti soprattutto alla ritrosia culturale dell’imprenditoria italica a scoprire le carte e a condividere le difficoltà economiche e strategiche con “estranei” anche quando ciò ha il fine collettivo di salvare l’impresa”. 
Nel caso in specie, il Tribunale di Bologna ammetterà l’impresa insolvente alla CNC, ma – ai nostri fini – quello che risulta maggiormente interessante è che vengono messe in luce le ragioni effettive per cui il legislatore italiano abbia ritenuto di fare un passo indietro, temendo che il tessuto imprenditoriale italiano non fosse pronto. 
La questione appare successivamente e definitivamente risolta dal Decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 21 marzo 2023 il quale, descrivendo la piattaforma informatica, a pag. 48, precisa che: "La piattaforma contiene un campo nel quale l’impresa inserisce la sintesi del contenuto della domanda e, in particolare, le seguenti informazioni: a. se l’impresa si trova in stato di pre-crisi, di crisi o di insolvenza reversibile; b. […]", ammettendo apertamente che già in fase di domanda introduttiva l'impresa possa dunque essere insolvente, sebbene in un contesto di reversibilità[25]. 
In effetti, la successiva discussione si è spostata sull’ammissibilità della CNC in pendenza del procedimento introdotto con ricorso depositato ai sensi dell’articolo 40 e, in particolare, di una istanza per l’apertura della liquidazione giudiziale. La giurisprudenza non è stata unanime nell’interpretare l’art. 25 quinquies CCII, rubricato "Limiti di accesso alla composizione negoziata"[26] ma le modifiche apportate dal Decreto correttivo approvato dal Consiglio dei ministri il 4 settembre 2024, dovrebbero risolvere la questione a favore del Debitore.
4.3 . Il depotenziamento degli strumenti di analisi di bilancio
A prescindere da quali siano state le ragioni che hanno condotto il legislatore a fare un passo indietro rispetto all’originaria previsione dell’allerta precoce, quello che rileva ai nostri fini è un depotenziamento degli strumenti di analisi di bilancio. Appare, infatti, evidente che la previgente normativa aveva elevato gli indici di bilancio quale principale tecnica d’indagine degli squilibri finanziari, economici e patrimoniali, riconoscendole una capacità predittiva di stati di crisi, che avrebbero potuto portare all’insolvenza. Gli indici di bilancio e l’analisi per flussi, applicate alternativamente ai bilanci consuntivi il primo e ai previsionali la seconda, avrebbero dovuto fornire esplicite informazioni all’imprenditore e all’organo di controllo affinché questi potessero intervenire anticipatamente, rispetto all’effettiva emersione della crisi. 
Attualmente, venuti meno gli indicatori della crisi, il vigente sistema volto alla prevenzione della crisi è riconducibile al combinato disposto dell’art. 3, comma 3 e dell’art. 25 novies del CCII. 
Per quanto il sistema di allerta, a suo tempo previsto dall’art. 13 “Indicatori della crisi”, sia superato, al fine di rispettare l’art. 3 “Adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d'impresa” è comunque necessario individuare degli strumenti idonei. 
Come noto, l’art. 3, CCII riprende gli obblighi di cui all’art. 2086, comma 2, c.c. il quale disciplina il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi nonché della perdita della continuità aziendale. 
Al comma 3, esso prevede che l’imprenditore prevenga tempestivamente l'emersione della crisi d'impresa. garantendo un assetto organizzativo, amministrativo e contabile in grado di “a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell'impresa e dell'attività imprenditoriale svolta dal debitore; b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4; c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all'articolo 13, al comma 2”. 
Il comma 4 – recentemente riformato[27] - specifica poi quali sono i segnali della crisi, ovvero “a) l'esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni pari a oltre la metà dell'ammontare complessivo mensile delle retribuzioni; b) l'esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; c) l'esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni; d) l'esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall'articolo 25 novies, comma 1”. Quest’ultimo – rubricato “Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati” e in continuità con il previgente art. 15 rubricato “Obbligo di segnalazione di creditori pubblici qualificati”[28]. 
Il quadro delineato dal combinato disposto delle norme sopra esposte impone all’imprenditore di monitorare l’andamento economico e finanziario con una visione prospettica a 12 mesi. In altre parole, egli dovrà dotarsi di un sistema informativo che gli consenta di stimare i flussi previsionali e di monitorarne costantemente la corretta esecuzione. 
In conformità a quanto sopra enunciato, dovrebbe sorgere una domanda: “Che cosa muta rispetto all’originaria previsione contenuta nell’art. 13 e nel relativo sistema di allerta?”. 
A parere di chi scrive, il vero cambio di rotta è da rinvenire nell’aver abbandonato l’ipotesi che soggetti terzi rispetto all’imprenditore possano attivarsi per l’emersione anticipata della crisi, rimettendo, quindi, a quest’ultimo il dovere di adempiere alla suddetta normativa. La conseguenza diretta – come osservato dalla giurisprudenza[29] – è il depotenziamento dell’early worning, ma non anche degli obblighi imposti all’imprenditore. In questo contesto, l’analisi di bilancio – per quanto “depotenziata” – assume un ruolo fondamentale che non si limita peraltro alla fase di prevenzione.
5 . L’analisi di bilancio applicata alla prevenzione della crisi
Ai fini di un’adeguata prevenzione della crisi, un ruolo primario è assunto dall’analisi per flussi, in ragione del focus che essa pone sulle dinamiche finanziarie. Le informazioni che possono essere acquisite permettono di comprendere quale area dell’impresa generi o assorba liquidità e in quale misura. Tali dati dovranno essere letti coerentemente con le strategie dell’azienda. 
Ciò premesso, è nella redazione di un rendiconto finanziario prospettico che si ravvede lo strumento di previsione della crisi per eccellenza; esso, infatti, permetterebbe, di stimare le entrate e le uscite, determinando la dinamica della giacenza di cassa nell’intero periodo. 
Quest’analisi implica un costante monitoraggio, volto a verificare che le assumption utilizzate nella redazione delle previsioni siano puntualmente confermate, permettendo di affinare il modello a fronte di eventuali scostamenti. 
Mutuando dal concetto generale di machine learning (o apprendimento automatico), il continuo perfezionamento del modello sulla base degli scostamenti rilevati, dovrebbe permette di creare una maggiore capacità predittiva. L’esperienza maturata nel tempo impreziosisce l’analisi di una sempre maggiore capacità di prevedere la crisi, con l’obiettivo di ridurre gli errori agli eventi straordinari[30]. 
Tuttavia, l’analisi per flussi prospettici presenta una criticità. 
La principale problematica di tale strumento è legata alla soggettività che corrobora le previsioni su cui si fonda la redazione del rendiconto finanziario prospettico. In altre parole, a differenza dei dati di bilancio consuntivi, le previsioni economico-finanziarie implicite nel cash flow ne limitano l’attendibilità. 
Se, quindi, l’analisi per flussi prospettici apparirebbe più significativa rispetto a quella per indici, quest’ultima, fondandosi su dati consuntivi, è meno soggettiva, creando una dicotomia tra i due approcci, che ne implica l’utilizzo congiunto. 
 
Grafico 2 - Trade off oggettività e significatività degli indicatori di bilancio 
In dottrina, si sono così affermati alcuni indicatori di bilancio ritenuti particolarmente significativi al fine dell’allerta, identificata prioritariamente nella preservazione dell’equilibrio finanziario. Quest’ultimo si ricava anche nelle linee Guida EBA-GL LOM (Guidelines on loan origination and monitoring), le quali – ridisegnando una nuova forma di rapporto banca-impresa – impongono una visione forward-looking e un monitoraggio costante e più ampio delle dinamiche aziendali, tra cui rientra la determinazione dei KPI (Key Performance Indicator), molti dei quali adottabili anche per la prevenzione. 
Non tutti i tradizionali indicatori di bilancio sono, però, ritenuti significativi al fine della prevenzione e, quindi, occorrerà valutare quali siano adatti allo specifico scopo conoscitivo, anche nell’ottica della costruzione di sistemi di analisi più complessi rispetto al singolo indicatore. 
Nella prassi, gli indici di bilancio vengono preferibilmente adottati congiuntamente, anche al fine di creare un sistema di prevenzione, inserito anche in un contesto più ampio di misurazione delle prestazioni. 
5.1 . Debt Service Coverage Ratio
Il Debt Service Coverage Ratio rappresenta il rapporto tra il flusso di cassa prodotto dalla gestione caratteristica al netto del flusso fiscale relativo al pagamento delle imposte sul reddito d’esercizio (“Cash flow operativo - tax”) e il flusso finanziario per il pagamento degli interessi passivi, nonché della quota capitale dei finanziamenti nel periodo considerato (“Flusso finanziario a servizio del debito”). 
Chiamato in causa” dall’art. 13, comma 2, D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, il CNDCEC ne aveva predisposto due modalità di calcolo. 
La prima modalità di determinazione del DSCR appare più adatta alle PMI, che non sono obbligate alla redazione del rendiconto finanziario in sede di bilancio.
Al numeratore, la formula somma alla giacenza di casa iniziale, tutti i flussi di cassa diversi da quelli di natura finanziaria, quindi anche i finanziamenti soci purché derivanti da espresso impegno scritto eseguibile. I flussi netti di cassa dalla gestione operativa possono esser desunti dal budget economico (risultato del periodo + costi non monetari – ricavi non monetari), così come previsto dall’OIC 9 “Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali” applicando il metodo semplificato per la stima dei flussi di cassa futuri nelle situazioni di impairment test[31]. 
La seconda modalità di determinazione del DSCR prevede, invece, la distinzione tra debiti scaduti e/o rateizzati, tipicamente presenti nelle imprese che già si trovano in difficoltà finanziaria. 
L’applicazione della formula, richiedendo la determinazione del free cash flow prospettico (come definito dall’OIC 10 “Rendiconto finanziario”), presuppone la redazione di un rendiconto finanziario prospettico, secondo lo schema contabile del suddetto principio contabile. 
Questa modalità di calcolo considera i pagamenti per debiti arretrati o rateizzati alla stregua di debiti finanziari a differenza della prima modalità che non ne esplicita l’esistenza, includendoli con il segno negativo negli altri pagamenti del numeratore. 
Rispetto all’esigenza di cogliere i segnali della crisi, questa seconda versione del DSCR appare più adatta, in quanto tiene conto di eventuali debiti scaduti e pone in evidenza la presenza di rateizzazioni in corso. Queste ultime, infatti, pur non implicando necessariamente una situazione di allerta, equivalgono ad uscite finanziarie “fisse”, cioè non legate a variabili economiche quali il fatturato o il margine di contribuzione. Ne consegue che riduzioni di free cash flow potrebbero determinare l’impossibilità ad adempiere agli impegni di rateizzazioni predefiniti. 
In ogni caso, si deve segnalare che entrambe le modalità di determinazione del DSCR hanno il vantaggio/svantaggio di basarsi su dati previsionali. Questo implica che l’imprenditore abbia analizzato accuratamente gli scenari futuri del proprio business, traendone le proiezioni che ha poi posto alla base della redazione del budget economico o del rendiconto finanziario. Se da una parte ciò rappresenta una “best practice”, d’altro canto è insita in ogni previsione un’alea di incertezza che alimenta il rischio. A ciò deve, inoltre, aggiungersi che “l’imprenditore è un inguaribile ottimista e questo approccio mal si sposa con il principio di prudenza, che tutela gli interessi dei terzi creditori (o più in generale degli stakeholders)”
Per ovviarvi, si è sviluppata una versione semplificata di DSCR che prevede il seguente rapporto:
In ambito bancario, al fine del giudizio di merito creditizio, viene considerato adeguato con valori pari o superiori a 1.1. 
Evidentemente, questo indicatore rappresenta una semplificazione, a volte eccessiva, della formula originaria, ma conserva una sua dignità soprattutto in ottica di “quick analisys”. 
Si potrebbe intervenire sulla formula semplificata introducendo a numeratore la cassa disponibile e a denominatore la quota in scadenza a 12 mesi dei debiti rateizzati e/o scaduti ottenendo una nuova versione del DSCR.
Anche in questo caso, può essere ritenuto adeguato un valore pari o superiore a 1.1. 
Questa versione ha il vantaggio di tenere in considerazione l’eventualità che l’impresa in oggetto possa avere in corso rateizzazioni di natura commerciale, fiscale, previdenziale o altra che assorbiranno necessariamente risorse finanziarie diverse rispetto a quelle già necessarie per il normale ciclo produttivo. 
Il DSCR rappresenta il punto di partenza di un’analisi di bilancio finalizzata alla prevenzione della crisi e, come abbiamo già premesso, è nelle due versioni licenziate dal CNDCEC che esso esprime la sua massima significatività; tuttavia, l’impiego di dati previsionali conferisce un inevitabile grado d’incertezza. Nelle versioni semplificate, il DSCR utilizza, invece, dati consuntivi che gli conferiscono una minore incertezza ma che scontano inevitabilmente una significatività più ridotta.
5.2 . Altri indicatori utili alla prevenzione della crisi
Esaminato il DSCR nelle sue varie formulazioni, è ora intenzione degli autori introdurre altri rilevatori utili ai fini della prevenzione, in parte anche ricavati dai sistemi di rating bancario nonché dall’esperienza professionale. 
Un primo indicatore mutuato dalle analisi e dall’esperienza bancaria è il rapporto tra Posizione Finanziaria Netta e Ebitda.
L'indice misura in quanti anni[32] l'impresa sarebbe in grado di ripagare i propri debiti finanziari, nel caso essa utilizzasse, al servizio del debito, tutti i flussi derivanti dall’attività caratteristica, oltre all'attuale disponibilità di risorse liquide.
Altrettanto noto in ambito finanziario, l’indice di adeguatezza patrimoniale è il rapporto tra la sommatoria dei debiti a breve e a medio lungo termine e il patrimonio netto. Conosciuto anche nella sua (identica) formulazione di capitale di terzi/capitale proprio (o debt/equity), questo indicatore può essere rappresentativo dell’indipendenza finanziaria dell’impresa rispetto ai terzi e dovrebbe assumere un valore inferiore a 4. Il superamento di tale soglia indicherebbe una fragilità patrimoniale[33]. 
L’indice di liquidità (o current test ratio) è dato dal rapporto tra l’attivo a breve termine e il passivo a breve termine. 
L’attivo a breve termine è dato dalla somma tra l’attivo circolante esigibile entro l’esercizio successivo sommato a ratei e risconti attivi, mentre il passivo a breve termine è rappresentato dai i debiti esigibili entro l’esercizio successivo sommati ai ratei e risconti passivi. 
Quest’ultimo è un parametro usato per determinare un quadro dello stato di salute dell’impresa, poiché fornisce informazioni sulla capacità di essa di far fronte agli impegni finanziari assunti.
Correlato al suddetto indice, il capitale circolante netto (CCN o nella denominazione inglese Net Working Capital, NWC) rappresenta la differenza tra le attività correnti e le passività correnti rappresentate nello stato patrimoniale, ovvero l’equilibrio strutturale di breve termine. Se esso assume un valore maggior di zero, significa che una parte del passivo consolidato sta finanziando attività correnti e ciò conferisce elasticità finanziaria.
Come noto, il c.d. “credit crunch” e l’apparente atteggiamento silente del creditore pubblico hanno indotto l’imprenditore italiano a finanziarsi mediante l’indebitamento nei loro confronti. 
Questa prassi ha fatto nascere l’esigenza di tenere sotto controllo – tra gli altri - il debito verso gli enti locali, l’Agenzia delle Entrate e l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, monitorandone l’evoluzione e il rapporto rispetto all’attivo. 
L’indice di indebitamento previdenziale e tributario è, infatti, dato dal rapporto tra il debito verso tali enti, indipendentemente dalla quota a breve e medio lungo termine, e il totale attivo. 
Dal numeratore, possono essere dedotti i relativi crediti, ma occorrerà verificarne l’esigibilità soprattutto con riferimento al proliferarsi dei crediti d’imposta energetici. 
I ratios sopra proposti rappresentano un paniere “calibrato” rispetto a una indagine complessiva dello stato dell’impresa, ma non rappresentano l’interezza degli strumenti a disposizione dell’analista che potrà scegliere anche altri indicatori ritenuti significativi.
5.3 . Gli indicatori di bilanci contemplati dal Codice della Crisi
L’art. 3, comma 4, CCII e il richiamato art. 25 novies, comma 1, CCII individuano specifici indicatori che non possono essere ignorati al fine della prevenzione. 
Il primo indicatore (lett. a) è rappresentato dall’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni. 
La minima tolleranza prevista dal legislatore rispetto a questa categoria di creditori è riconducibile alla generale esigenza di tutela sociale. 
Il secondo (lett. b) si preoccupa di verificare l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti. 
Questo indicatore ha certamente il vantaggio di essere di facile determinazione ma potrebbe non intercettare correttamente situazioni di crisi. Si pensi, ad esempio, al caso in cui un’impresa abbia riscadenzato i debiti commerciali a medio-lungo termine per oltre la metà dell’intero indebitamento, ma non sia in grado di onorare ugualmente l’impegno preso con i debiti commerciali già scaduti. 
Il terzo (lett. c) impone di accertare l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni. 
Rispetto ai vincoli introdotti nei confronti dei creditori commerciali, quelli previsti per i creditori finanziari appaiono molto più stringenti. La scelta operata dal legislatore deve far riflettere anche con riferimento al fatto che gli operatori finanziari hanno specifici obblighi di segnalazione in Centrale Rischi. 
Al punto d), l’art. 3, comma 4, CCII rimanda al primo comma dell’art. 25 novies il quale prevede le c.d. “Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati” dovute al superamento dei limiti previsti dal legislatore per ciascuno di loro. 
Con riferimento all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, è ritenuto un segnale di crisi il ritardo di oltre novanta giorni nel versamento di contributi previdenziali di ammontare superiore: 1) per le imprese con lavoratori subordinati e parasubordinati, al 30 per cento di quelli dovuti nell’anno precedente e all’importo di euro 15.000; 2) per le imprese senza lavoratori subordinati e parasubordinati, all’importo di euro 5.000. 
Per l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, il parametro di riferimento è, invece, l’esistenza di un debito per premi assicurativi scaduto da oltre novanta giorni e non versato superiore all’importo di euro 5.000. 
Con riferimento all’Agenzia delle entrate, occorrerà invece accertare un debito scaduto e non versato relativo all’imposta sul valore aggiunto superiore all’importo di euro 5.000 e, comunque, non inferiore al 10 per cento dell’ammontare del volume d’affari risultante dalla dichiarazione relativa all’anno d’imposta precedente, ovvero, in ogni caso, un debito superiore all’importo di euro 20.000. 
Infine, per l’Agenzia delle entrate-Riscossione è ritenuto un segnale di crisi l’esistenza di crediti affidati per la riscossione, auto dichiarati o definitivamente accertati e scaduti da oltre novanta giorni, superiori, per le imprese individuali, all’importo di euro 100.000, per le società di persone, all’importo di euro 200.000 e, per le altre società, all’importo di euro 500.000. 
Sebbene questi indicatori debbano necessariamente far parte del sistema di analisi messo in atto dall’imprenditore - se non altro perché specificatamente contemplati dal legislatore stesso - essi potrebbero risultare inefficaci allo scopo di prevenire una crisi. A parere degli autori, fatto salvo l’indicatore inerente all’indebitamento finanziario, che potrebbe anche dare come esito il c.d. “falso positivo”, gli altri parametri metterebbero in evidenza una situazione di crisi già in atto, incapaci di dare un contributo effettivo nell’ambito dell’allerta. 
5.4 . L’analisi temporale finalizzata alla prevenzione
In un sistema di allerta, non posso mancare le indagini temporali, ovvero l’osservazione dell’evoluzione dei risultati patrimoniali, economici e finanziari, finalizzate ad individuare eventuali situazioni di peggioramento che dovranno essere attentamente valutati rispetto ad altre variabili[34]. 
A tal fine, è genericamente ritenuta attenzionabile una riduzione del fatturato superiore al 30% rispetto a quello dell’esercizio precedente. Sebbene una variazione di fatturato negativa possa avere svariate motivazioni, molte delle quali non riconducibili a segnali di crisi, significativi cali nel livello dei ricavi implicano necessariamente un approfondimento. 
Si ritiene consigliabile utilizzare un arco temporale anche superiore a due esercizi, al fine di verificare un trend storico maggiore, soprattutto quando la riduzione di fatturato non fosse un evento sporadico nella vita dell’impresa.
L’analisi temporale appare particolarmente significativa se applicata agli indicatori già visti in precedenza. 
Si pensi, ad esempio, al trend degli indici di adeguatezza patrimoniale, di liquidità o di indebitamento previdenziale e tributario. 
Tuttavia, se analizzati nella loro evoluzione, molti altri indicatori assumono una rilevanza ai fini della prevenzione. Si pensi ad esempio all’indice di rotazione del magazzino, ovvero il rapporto tra ricavi di vendita e le rimanenze. Esso esprime quante volte le rimanenze di magazzino vengono sostituite durante l’anno e misura quindi l’efficienza organizzativa dell’impresa. Il valore di riferimento di questo quoziente dipende molto dal settore di appartenenza della società, ma una sua riduzione potrebbe essere sintomatica di una mancata svalutazione di scorte obsolete. 
In generale, si ritiene di poter affermare che lo studio e la determinazione del trend storico dei principali margini e indicatori di bilancio consente di trarre preziose informazioni tanto nella fase di prevenzione della crisi, quanto nell’analisi strategica delle misure correttive. 
5.5 . Indici compositi
Gli indici di bilancio sopra analizzati possono far parte di un “sistema integrato” di indicatori, in grado di fornire informazioni utili sullo stato di salute dell’entità oggetto d’indagine. 
La formazione dei c.d. “indici compositi” prevede – in aggiunta alle attività preparatorie già brevemente citate nel paragrafo 2 – la selezione di quozienti ritenuti significativi al caso in specie e la determinazione di un fattore di ponderazione da applicarvi. 
A sua volta, scegliere quali indici abbiano il diritto di entrare a far parte del c.d. “scoring” implica un’attività d’indagine sul campo che può assumere diverse configurazioni e distinguersi in base al settore di appartenenza, alle dimensioni dell’impresa e ad altre variabili ritenute significative. 
Come tutti ricorderanno, uno dei più famosi indicatori compositi di predizione della crisi d’impresa fu ideato dal professor Edward I. Altman[35], il quale, sviluppò un modello matematico analizzando i dati di bilancio di 66 società americane, metà delle quali con una struttura finanziaria “solida”, le altre in stato fallimentare o già dichiarate fallite. In esito ai suoi studi, Altman elaborò un algoritmo in grado di prevedere con un’attendibilità del 95% il rischio di default delle imprese entro un arco temporale di due anni. Tale indicatore, comunemente chiamato Z-Score, è stato poi perfezionato con diverse applicazioni per dimensione (imprese quotate e non quotate in mercati regolamentati), per tipologia di settore di attività (imprese manifatturiere, imprese di servizi). Successivamente, sono sorti molti altri modelli basati sulla stessa logica, quali l’indice Conan-Holder, l’Ohlson’s Score (O-Score), lo Zmijewski Score (X-Score) e il Damodaran Score. 
La domanda che ci si pone è se questi modelli siano totalmente affidabili e possano essere utilizzati senza una preventiva attività di ponderazione. 
La risposta è negativa. 
Nella maggior parte dei casi, i modelli restituiscono i c.d. “falsi positivi”. 
Questa circostanza porta con sé il rischio che si generino una serie di conseguenze negative. 
In una fase iniziale, l’effetto generato sarà ragionevolmente un incremento di costi (in termini di tempo dedicato e di risorse anche economico-finanziarie) per affrontare il segnale di pericolo. 
Inoltre, non si può ignorare anche la possibilità che ciò generi preoccupazioni tali dall’indurre l’imprenditore ad accedere ad una procedura di risanamento di cui non solo non aveva bisogno, ma che potrebbe generare l’effetto contrario. La principale ritrosia del debitore rispetto agli strumenti di risanamento aziendale è, infatti, riconducibile alla risposta del mercato (ovvero dei principali stakeholders) che giudicano con diffidenza e preoccupazione situazioni emergenziali. Orbene, se l’impresa è in crisi ha il dovere (prima ancora che il diritto) di ottemperare alle norme di salvaguardia dei propri creditori, accedendo alla CNC, ad uno strumento di regolazione della crisi ovvero, in ultima analisi, alla liquidazione giudiziale, ma – nella circostanza in cui non sia in tale condizione – l’errato accesso ad uno qualunque di tali istituti potrà ragionevolmente generare perdita di valore a danno degli stessi stakeholders
Infine, l’eccesso di falsi positivi potrebbe determinare una sorta di “abitudine” che renderebbe il sistema di allarme inefficace (al pari di un allarme antincendio che rimane sempre attivo). 
La logica conclusione di questa disamina è che i modelli di scoring devono essere utilizzati per prevenire la crisi, ma non possono mai elevarsi a strumenti in grado di giudicare senza la sensibilità dell’analista la presenza o meno di una situazione di crisi. 
Conseguentemente, tali modelli dovranno essere a loro volta verificati periodicamente e aggiornati secondo le evoluzioni. I risultati ottenuti dalla loro applicazione dovranno stimolare il management affinché questi valuti le strategie più coerenti.
5.6 . Balanced scorecard
Gli indici di bilancio analizzati in precedenza, ivi compresi gli indicatori compositi (o modelli di scoring), possono validamente far parte di sistemi d’indagine più complessi. 
Nella dottrina e nella prassi aziendale, si sono sviluppati modelli di analisi delle performance “multi-parametro” ovvero strumenti che approfondiscono le analisi di bilancio adottando un approccio che supera i tradizionali indicatori esclusivamente di matrice economico finanziaria. 
Il modello più famoso è quello basato sulla balanced scorecard o “scheda di valutazione bilanciata” sviluppato e promosso da Kaplan e Norton (BSC)[36]. 
Nato come sistema di misurazione delle prestazioni e volto al controllo previsionale e strategico[37], il modello BSC ha avuto in Italia una diffusione circoscritta alle realtà aziendali di più grande dimensione, sebbene sia auspicabile un utilizzo più ampio con la previsione e l’auspicio di adeguare il sistema, nella sua formulazione iniziale, a metodologia di analisi applicabile alla prevenzione della crisi. 
Questa evoluzione si basa sul fattore comune che caratterizza la gestione aziendale da un lato e gli elementi strategici di analisi della crisi dall’altro; in altri termini, il carattere qualitativo di alcuni elementi che possono inficiare, anche profondamente, gli aspetti tipicamente quantitativi esplicitati nei bilanci. 
In termini generali, il modello BSC si fonda sul presupposto che risultati di bilancio positivi possano essere sempre minati in un arco temporale di medio termine, con pregiudizio della continuità aziendale nella suo interezza, da elementi soft/qualitativi non evidenziati nei rendiconti contabili e riconducibili a titolo esemplificativo a mutamenti nella compagine sociale o contenziosi tra i soci che impediscono un corretto rapporto fiduciario tra proprietà e management, scarsa innovazione dei prodotti e/o formazione nel personale, scarsa soddisfazione dei clienti e/o percezione del prodotto/servizio ormai superato. 
L’applicazione del modello proposto dalla BSC non si limita, infatti, a un’analisi quantitativa ma fonda la sua natura sull’approfondimento delle c.d. “prospettive”, svelando quindi la propria propensione volta a svelare gli scenari futuri[38]. 
L’utilizzo del modello BSC potrebbe quindi rappresentare oltre che uno strumento di gran lunga più efficace rispetto a un più elementare sistema di budgeting/reporting (legato a dati storici/consuntivi), un sistema potenzialmente efficace e capace di comprendere preventivamente potenziali e/o solo eventuali elementi di discontinuità nei processi gestionali. 
Un approccio razionale e prudenziale alla trattazione del modello non può comunque trascurare il fatto che se da un punto di vista teorico la BSC supera molti dei limiti di un modello di controllo esclusivamente basato su indicatori di matrice economico finanziaria, dall’altro presenta molte difficoltà di matrice operativa/esecutiva dovuto all’incremento del numero di target da considerare. 
Se è infatti indubbio che il modello BSC sia uno strumento complesso e che necessita di un impegno di tutta l’organizzazione al fine di ottenere uno strumento efficace[39], altrettanto complesso sarà l’efficacia del medesimo in un ambiente caratterizzato da incertezza con declinazioni di potenziale crisi. 
Superati i limiti brevemente richiamati, un’esecuzione rodata e consolidata potrebbe sicuramente rappresentare una risposta esauriente a quanto previsto dalla normativa al fine di circoscrivere le responsabilità degli organi di amministrazione e controllo rispetto agli impegni/obbligazioni assunte dalla società verso i terzi.
6.1 . I fattori che compongono il test pratico
Con Decreto 21 marzo 2023, il Dipartimento per gli affari di giustizia recepiva l’“aggiornamento del documento già predisposto nell’ambito dei lavori della Commissione di studio istituita dalla Ministra della giustizia con decreto del 22 aprile 2021”, trasmesso dall’Ufficio Legislativo con nota prot. DAG 58923.E del 15 marzo 2023. 
Nella sezione I, si disciplina il “test pratico”, il quale ambisce a misurare il grado di difficoltà del percorso che l’imprenditore dovrà affrontare per il risanamento e in quale misura il successo dell’operazione dipende dall’adozione di iniziative in discontinuità rispetto al passato. 
Tale strumento di analisi stima la complessità del risanamento attraverso il rapporto tra l’importo del debito da ristrutturare e i flussi finanziari liberi prospettici che possono essere posti annualmente al suo servizio: tanto più sarà elevato il rapporto e tanto meno probabile sarà risanamento.
La prima variabile da calcolare è l’entità del debito oggetto di ristrutturazione, determinato applicando la seguente formula:

Per completezza, si ricorda che, con il decreto del 21/03/2023[40], il Ministero della Giustizia ha disposto l’inserimento anche delle disponibilità finanziarie dell’impresa, senza tuttavia modificare il format di inserimento dati. Di conseguenza, se il saldo delle disponibilità finanziarie fosse negativo - ovvero l’esposizione debitoria a breve verso le banche fosse maggiore rispetto alla liquidità - l’entità del debito da ristrutturare aumenterà. Al contrario, in presenza di una disponibilità finanziaria positiva, il debito da ristrutturare si ridurrà di pari importo. 
La seconda variabile da determinare è il flusso annuo al servizio del debito: 

Il test pratico può essere effettuato anche senza disporre di un piano industriale, ma occorre stimare preventivamente le azioni che si intendono adottare in termini di apporti di capitali, le rateizzazioni concordate e/o da definire, gli investimenti o disinvestimenti previsti e – soprattutto - i risultati reddituali previsionali. 
Calcolati i termini del rapporto, il debito da ristrutturare è diviso per i flussi annui disponibili, determinando il c.d. “grado di difficoltà” da cui discende un giudizio sull’intensità della crisi, come indicato nella successiva tabella:

 
In sintesi, il test pratico rapporta l’indebitamento da ristrutturare con i flussi annui prospettici al suo servizio, al fine di determinare la capacità dell’impresa di ristabilire il proprio equilibrio finanziario. Applicato a un’impresa che intenda accedere alla CNC, ovvero quantomeno in crisi, se non anche insolvente, esso ha l’obiettivo di determinare in quale misura sia ragionevolmente perseguibile il risanamento, ovvero in quanto tempo ciò possa avvenire.
6.2 . Il test pratico applicato alla generalità delle imprese
Essendo ideato per valutare lo stato di difficoltà aziendale, il test pratico presuppone una situazione di crisi d’impresa, ovvero la previsione di un futuro evento di insolvenza, ma risulta applicabile anche quando l’evento di insolvenza sia già avvenuto. 
In effetti, il primo fattore da sommare per determinare l’importo oggetto di ristrutturazione è proprio il debito scaduto e ciò sembra ulteriormente confermare la previsione che alla CNC possano accedere sia le imprese in crisi sia quelle insolventi. 
Tuttavia, il rapporto tra debito scaduto ed evento d’insolvenza merita un approfondimento. 
Le domande che, in effetti, sembra interessante porsi sono se a) la presenza di un debito scaduto presupponga sine qua non uno stato di crisi o di insolvenza e b) il test pratico sia applicabile anche dalle imprese per verificare la presenza di una eventuale crisi (ma non per prevenirla). 
Se partiamo dalla definizione d’insolvenza contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. b), CCII rileviamo che essa sia “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni” la risposta apparirebbe affermativa. 
Tuttavia, l’esistenza di un rapporto sinallagmatico tra debito scaduto e insolvenza non appare così scontato. 
A titolo esemplificativo, si pensi alle norme sulla rottamazione delle cartelle esattoriali emesse dall’Agenzie Entrate Riscossioni: se la presenza di un debito scaduto determinasse sine qua non uno stato d’insolvenza, nessun imprenditore potrebbe aderire alla definizione agevolata dei carichi tributari [41] al di fuori di uno strumento di risanamento, che dipenderà della rapidità con cui la crisi si manifesta. 
La logica conclusione è che un debito scaduto sia indicatore di una possibile (o probabile) crisi, ma non determini (di principio) uno stato d’insolvenza, dovendosene prima valutare l’entità, le circostanze che l’hanno determinata e le prospettive future. 
6.3 . Il test pratico quale indice di bilancio
Se, quindi, la presenza di un debito scaduto non implica necessariamente lo stato di crisi, allora si può affermare che il test pratico sia applicabile a qualunque impresa? 
Certamente, quest’ultimo non è stato ideato come strumento di prevenzione della crisi e l’affermazione contenuta al punto 1 della sezione I del Decreto 21 marzo 2023 [42] lo conferma senza ombra di dubbio. 
In effetti, anche assumendo che la presenza di un debito scaduto non determini sine qua non uno stato di crisi, la formula è chiara nel riferirsi al debito da ristrutturare e questo sembrerebbe implicare una situazione di crisi che lo renderebbe inidoneo alla prevenzione. 
D’altronde, però, prevenire la crisi vuol dire – prima di tutto – mettere in atto azioni che permettano ai flussi prospettici di essere in equilibrio, preservando la redditività aziendale e il patrimonio netto. 
In esito a quanto sopra, si ritiene che sebbene il test pratico non sia - nei fatti e nelle intenzioni – uno strumento di prevenzione della crisi, esso possa rappresentare un indicatore delle chance di successo del risanamento dell’impresa, adottabile sia in seno alla CNC sia allorquando l’imprenditore ritenga di adottare autonomamente un piano di risanamento. 
Conseguentemente, il test pratico[43] rappresenta l’applicazione dell’analisi di bilancio per una finalità diversa (e successiva) rispetto alla prevenzione, ovvero come strumento di verifica (semplificata) di fattibilità del piano di risanamento.
7 . L’analisi di bilancio al servizio del professionista indipendente
Fin dal 2012, il documento denominato “Principi di attestazione dei piano di risanamento”[44] (di seguito, per brevità, “Principi di attestazione”) ha rappresentato uno strumento imprescindibile per ogni professionista indipendente e, più in generale, per ogni operatore della crisi d’impresa.  Seppure siano privi di efficacia normativa, i Principi di Attestazione rappresentano, inoltre, un valido orientamento idoneo a valutare la qualità delle attestazioni[45], plasmandosi alle riforme che nel tempo si sono susseguite. 
Conseguentemente, il rapporto tra analisi di bilancio e principi di attestazione rappresenta la correlazione tra tali strumenti e l’attività di indagine del professionista indipendente. 
Nel proseguo, è intenzione degli autori apprezzare il rapporto. 
Si deve premettere che, nei principi di attestazione, l’analisi di bilancio è esplicitamente contemplata una sola volta (par. 8.2.5[46]). Nel documento ultimo licenziato dal CNDCEC, si fa invece sovente riferimento alle tecniche che fanno parte di tale disciplina aziendalistica, ovvero agli indici di bilancio (o indicatori economici, patrimoniali e finanziari) e all’analisi dei flussi. 
In particolare, l’analisi di bilancio viene applicata al fine di determinare gli effetti delle cause della crisi sui risultati aziendali e per indagare sulla fattibilità del piano di risanamento. 
Al paragrafo 5, i Principi di attestazione trattano la diagnosi delle cause e dello stato di crisi, riservando al professionista indipendente il compito di verificare se, e in quale misura, gli interventi previsti dalla manovra siano in grado di rimuovere le criticità che hanno determinato la crisi. A tal fine, viene suggerito al professionista indipendente l’esame, anche comparato, degli indici di bilancio di redditività, liquidità, efficienza e solidità patrimoniale. La verifica degli effetti della crisi sui principali ratios di bilancio viene ritenuto necessario per l’apprezzamento degli effetti della strategia di risanamento sui risultati prospettici, operando sia una analisi temporale sia settoriale[47]. 
Al paragrafo 6, viene trattata la verifica della fattibilità del piano, imponendo all’attestatore di verificare – tra gli altri – che le previsioni contenute nel piano siano coerenti con la manovra economico-finanziaria. In particolare, al netto degli effetti derivanti dall’eliminazione delle cause della crisi, l’attestatore dovrà porre la sua attenzione nel verificare la concreta fattibilità delle previsioni che si discostino significativamente dagli ultimi risultati. Qualora il professionista indipendente ritenga fattibile il piano proposto, egli dovrà verificarne la capacità di sopportare scostamenti nei risultati attesi, applicando la c.d. analisi di sensibilità (o “what-if analysis”). La tenuta del piano rispetto ad eventi imprevisti o non adeguatamente stimati viene misurata ipotizzando scenari peggiorativi rispetto a quello contemplato nel piano. Normalmente, il punto di partenza è quello di ridurre il livello di ricavi attesi. Tuttavia, un calo dei ricavi preso asetticamente non potrà corrispondere ad una previsione plausibile, perché – quanto meno – dovranno ridursi i costi degli acquisti corrispondenti[48]. L’attestatore potrà, quindi, utilizzare gli indicatori economici previsti a piano, confrontarli con quelli storici (depurati dagli effetti delle cause della crisi) e, conseguentemente, predisporre una sensibility analysis attendibile. 
Dalla lettura dei Principi di Attestazione si evince, quindi, che l’analisi di bilancio svolga una funzione di supporto all’attività del professionista indipendente, riconducibile principalmente a) alle indagini sulle ragioni della crisi, in funzione alla valutazione delle azioni poste per superarne le cause e b) alla verifica della sostenibilità del piano, mediante l’applicazione delle tecniche di sensibility.  
Si ritiene inoltre che i tradizionali indicatori di bilancio - distinti in indici di redditività, di liquidità e di struttura finanziaria – vadano applicati anche al fine del monitoraggio dei risultati raggiunti da parte dell’imprenditore, ovvero degli organi della procedura o del Chief Risk Officer (CRO). Trattasi ovviamente di un’attività estranea (oltre che successiva) rispetto a quella svolta dall’attestatore ma che merita attenzione vista l’importanza di completare con successo il percorso di risanamento dell’impresa. 

Note:

[1] 
“«Bilancio di impresa» è una espressione generica, impiegata per designare qualsiasi bilancio che si rediga in una impresa, indipendentemente dall’oggetto e dallo scopo di rilevazione”, V. Coda, G. Frattini, Introduzione alle valutazioni di bilancio, Libreria Universitaria Editrice, Venezia, 1990. 
[2] 
Così si denomina l’insieme delle tecniche tramite le quali si elabora il bilancio di esercizio con l’obiettivo di ottenere un sistema d’informazioni circa: a) il rendimento degli investimenti aziendali, b) l’economicità della gestione, c) la solidità del patrimonio”. P. Mella, “Analisi bilancio”, in Contabilità e bilancio, 1987. 
[3] 
Nel presente lavoro, gli autori non tratteranno le problematiche operative dell’applicazione dei principi contabili internazionali (IAS/IFRS). 
[4] 
Sebbene non contemplata in dottrina, questa fase può essere arricchita dalla verifica di dati medi di settore da utilizzare per il confronto o dall’individuazione di specifici competitors su cui impiegare le stesse tecniche per un’analisi comparativa. 
[5] 
Questo tipo di analisi appare particolarmente utile all’attestatore nel giudizio di fattibilità del piano di risanamento e, a giudizio di chi scrive, possono rientrare nel concetto di “punto di rottura” più volte citato nel documento “Principi di Attestazione” (versione 2024) sebbene – in quel contesto – inteso più genericamente come “la soglia sotto la quale le assunzioni del Piano andrebbero completamente riviste e si renderebbe necessario adottare iniziative correttive nel caso di scostamento tra gli obiettivi pianificati e quelli raggiunti”. 
[6] 
 Per approfondimenti, si segnala: P. Mella e M. Navaroni, “Analisi di bilancio”, Maggioli Editore, 2012.
[7] 
Principio Contabile n. 11 “Finalità e postulati del bilancio d’esercizio” a cura dell’Organismo Italiano di Contabilità Principi Contabili - https://www.fondazioneoic.eu/. 
[8] 
Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, aggiornato al D.Lgs. 6 dicembre 2023, n. 224. 
[9] 
http://www.fallimenti.tribunale.milano.it/. 
[10] 
Il dato è destinato a peggiorare. Con riferimento alle imprese che, alla data di riferimento della presente indagine, non avevano ancora depositato il bilancio nell’esercizio precedente all’istanza di accesso alla procedura di concordato è ragionevole supporre che evidenzieranno un patrimonio netto negativo (altrimenti non si giustificherebbe l’accesso alla procedura). 
[11] 
A differenza del Patrimonio netto (indagine patrimoniale) – vedi nota sopra -, si ritiene che ai fini reddituali non sia significativo il confronto di bilanci per i quali manchi il dato dell’esercizio precedente. 
[12] 
Le svalutazioni operate nei bilanci analizzati hanno interessato – oltre alla voce “10.d) svalutazioni dei crediti compresi nell'attivo circolante e delle disponibilità liquide” - anche la “14) altri oneri di gestione” e la “13) altri accantonamenti”, quest’ultimo pari, in un singolo caso, a 89 milioni di euro. 
[13] 
Il comma 2 dell’art. 2086, c.c. è stato introdotto dal D. Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14. 
[14] 
Decreto Legislativo n. 14 del 12/01/2019, GU n. 38 del 14/02/2019. 
[15] 
Per espressa previsione normativa (comma 4), la Composizione Assistita della crisi si applicava ai debitori che svolgono attività imprenditoriale, esclusi le grandi imprese, i gruppi d’imprese di rilevante dimensione, le società con azioni quotate in mercati regolamentati, o diffuse fra il pubblico in misura rilevante secondo i criteri stabiliti dal Regolamento della Commissione nazionale per le società e la borsa – Consob concernente la disciplina degli emittenti. Ai sensi del comma 5, l’applicazione degli strumenti di allerta era esclusa (tra gli altri) agli istituti di credito, imprese di assicurazione e attività correlate al settore finanziario.
[16] 
Documento in bozza del Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili emanato il 20 ottobre 2019 e, a suo tempo, sottoposto al vaglio del Ministero dello Sviluppo Economico. 
[17] 
Come previsto dall’art. 13 comma 2, il CNDCEC avrebbe dovuto elaborarli con cadenza “almeno triennale”. 
[18] 
Osservatorio sui bilanci delle srl 2019 trend 2017-2019 a cura del CNDCEC del 25 ottobre 2021. 
[19] 
Per approfondimenti, si rimanda ai successivi paragrafi. 
[20] 
Quando l’ammontare totale del debito scaduto e non versato per l’Imposta sul Valore Aggiunto, risultante dalla comunicazione della liquidazione periodica di cui all’articolo 21 bis del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, fosse pari ad almeno il 30 per cento del volume d’affari del medesimo periodo e non inferiore a euro 25.000 per volume d’affari risultante dalla dichiarazione modello IVA relativa all’anno precedente fino a 2.000.000 di euro, non inferiore a euro 50.000 per volume d’affari risultante dalla dichiarazione modello IVA relativa all’anno precedente fino a 10.000.000 di euro, non inferiore a euro 100.000, per volume d’affari risultante dalla dichiarazione modello IVA relativa all’anno precedente oltre 10.000.000 di euro. 
[21] 
Quando il debitore fosse in ritardo di oltre sei mesi nel versamento di contributi previdenziali di ammontare superiore alla metà di quelli dovuti nell’anno precedente e superiore alla soglia di euro 50.000. 
[22] 
Quando la sommatoria dei crediti affidati per la riscossione dopo la data di entrata in vigore del codice, autodichiarati o definitivamente accertati e scaduti da oltre novanta giorni avesse superato, per le imprese individuali, la soglia di euro 500.000 e, per le imprese collettive, la soglia di euro 1.000.000. 
[23] 
Si fa riferimento sia alle norme che hanno inciso sugli aspetti finanziari (i.e. dalla garanzia sull’erogazione di “nuova” finanza, alla sospensione dei pagamenti delle rate dei finanziamenti bancari e delle dilazioni con l’Agenzia delle Entrate Riscossioni), patrimoniali (i.e. il rinvio delle perdite a 5 anni e la rivalutazione dei beni aziendali) ed economici (i.e. i contributi a fondo perduto). 
[24] 
Tribunale di Siracusa, 14.09.2022 Pres. Milone, Est. Maida. 
[25] 
Il paragrafo 2.4 del “Protocollo di conduzione della composizione negoziata” contenuto nella Sezione III del Decreto Dirigenziale 21 marzo 2023, chiarisce che “a fronte (i) di una continuità aziendale che distrugge risorse, (ii) dell’indisponibilità dell’imprenditore a immettere nuove risorse, (iii) dell’assenza di valore del compendio aziendale, le probabilità che l’insolvenza sia reversibile sono assai remote indipendentemente dalle scelte dei creditori, e dunque che in questi casi è inutile avviare le trattative.” 
[26] 
In senso restrittivo: Bologna (23 giugno 2023), Trani (30 settembre2023), Torre Annunziata (20 luglio 2023) e Savona (4 giugno 24) e in senso estensivo Tribunale di Lagonegro (28 febbraio 2023). 
[27] 
Decreto correttivo approvato dal Consiglio dei ministri il 4 settembre 2024. 
[28] 
Si veda quanto già precisato in merito alla scomparsa dell’”obbligo” imposto ai creditori pubblici qualificati. 
[29] 
Tribunale di Bologna 8.11.2022, Est. Atzori. 
[30] 
Un modello di anticipazione della crisi non può prevedere eventi straordinari o eccezionalità ma deve essere in grado di rispondere a tali eventi rielaborando i dati prospettici. 
[31] 
Il principio contabile OIC 9 tratta il c.d. impairment test, ovvero il test di verifica della recuperabilità di un asset come l’attualizzazione dei flussi di cassa prospettici e, nella versione semplificata, non impone di tener conto della congrua remunerazione del capitale ai fini della determinazione della capacità di ammortamento. 
[32] 
Secondo gli asset quality review della Banca Centrale Europea, al raggiungimento di un valore pari o superiore a 6, un’impresa debitrice passa da Stage 1 a Stage 2 con un effetto diretto sul merito di credito. 
[33] 
In alcuni casi, il suddetto rapporto viene invertito (PN/Debiti), con la conseguenza che la soglia di osservazione sarà pari al 25%. 
[34] 
Sul tema si richiama la scarsa significatività del valore puntuale degli indici di bilancio se non osservati in secondo una prospettiva più ampia di dinamica nel tempo (evoluzione del valore dell’indicatore nel tempo) e nello spazio (confronto del valore dell’indicatore con altre imprese comparabili). 
[35] 
Altman Edward I. , "Financial Ratios, Discriminant Analysis and the Prediction of Corporate Bankruptcy", Journal of Finance,  1968. 
[36] 
Robert Kaplan, David Norton, “The Balanced Scorecard - Measures that Drive Performance”, Harvard Business Review, 1992. 
[37] 
La BSC nasce con l’obiettivo di superare i limiti insiti nei metodi di monitoraggio che fanno esclusivo riferimento ai dati storici, attraverso quattro diverse prospettive a) dei clienti; b) dei processi gestionali interni; c) dei processi di formazione e crescita; d) finanziaria. A tal fine, la BSC individua gli obiettivi, le misure e le azioni chiave che ne permetteranno il raggiungimento. Per approfondimenti, si veda “L'impresa orientata dalla strategia. Balanced Scorecard in azione”, Robert S. Kaplan, David P. Norton - Editore ISEDI, 2002. 
[38] 
Le “prospettive” su cui si fonda il modello sono: a) finanziaria costituita dai classici indicatori/misure economico-finanziarie; b) dei clienti costituita dagli indicatori afferenti l’attitudine aziendale rispetto al soddisfacimento delle richieste dei clienti (qualità del prodotto/servizio, puntualità, rapporto qualità/prezzo) c) dei processi interni costituita dagli indicatori di efficienza ed efficacia rispetto alla creazione di valore e alla presenza dell’azienda sul mercato, d) di apprendimento e crescita costituita dagli indicatori volti al monitoraggio della capacità dell’impresa di migliorare e crescere nel medio/lungo termine. 
[39] 
Kaplan e Norton svilupparono il modello BSC nell’implementazione di un lavoro di ricerca su una dozzina di aziende di grandi dimensioni caratterizzate da processi di controllo economico-finanziario già consolidati. 
[40] 
Integrando il decreto del 23/09/2022. 
[41] 
La Definizione agevolata (o "Rottamazione-quater”) è stata introdotta dall’art. 1, commi da 231 a 252, della Legge n. 197/2022. 
[42] 
Al punto 1, della sezione I, si legge testualmente che “Il test pratico, che non ha la funzione di individuare una situazione di crisi (non è un indicatore della crisi), consente all’imprenditore di valutare in che misura sia ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa e, nel contempo, aiuta l’esperto a comprendere se vi sono concrete prospettive di risanamento”. 
[43] 
La ratio ed il funzionamento del test pratico per l’accesso al percorso di risanamento”, di Lorenzo Gambi, Rivista Diritto della Crisi, 21 Dicembre 2021. 
[44] 
Nel proseguo, si farà riferimento alla versione del 2024, aggiornata al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, curata dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. 
[45] 
Tribunale di Genova, 7 luglio 2014. 
[46] 
Il riferimento specifico è all’analisi di bilancio in funzione di una “valutazione critica delle cause della crisi indicate dal debitore”. 
[47] 
A differenza dell’analisi temporale, l’analisi settoriale implica informazioni specifiche sui principali competitors ovvero dati medi di settore che – a giudizio degli scriventi – dovrebbero già essere contenuti nel piano di risanamento e che l’attestatore è chiamato a giudicare, anche mediante propri approfondimenti, basati sull’esperienza e guidati dal c.d. “scetticismo professionale”. 
[48] 
Fanno eccezione i concordati preventivi liquidatori, rispetto ai quali l’analisi di sensitività si limita normalmente agli scostamenti nei prezzi di vendita e l’applicazione dell’analisi di bilanci assume un ruolo residuale. 

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