Nel sistema dell’allerta delineato dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (di seguito, per brevità, solo Codice della crisi o c.c.i.), le vicende del capitale sociale costituiscono uno dei più significativi indizi della presenza di una situazione di crisi dell’impresa. Il primo degli indici[1] elaborati dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, ai sensi dell’art. 13, commi 1 e 2, c.c.i, è - infatti - il patrimonio netto negativo[2] o, per le società di capitali, al di sotto del limite di legge[3]. Come evidenziato nello stesso documento elaborato dall’ente delegato: «Il patrimonio netto diviene negativo o scende sotto il limite legale per effetto di perdite di esercizio, anche cumulate e rappresenta causa di scioglimento della società di capitali (art. 2484, co. 4 cod. civ.). Indipendentemente dalla situazione finanziaria, detta circostanza costituisce quindi un pregiudizio alla continuità aziendale, fintantoché le perdite non siano state ripianate e il capitale sociale riportato almeno al limite legale»[4].
In questa prospettiva (e limitando le considerazioni che seguono alle sole società di capitali), il capitale sociale nominale[5] (costituente una componente del valore del patrimonio netto[6] della società), con il sistema di regole civilistiche approntato per assicurarne la sua effettività rispetto al capitale reale[7] e la consistenza minima stabilita dalla legge, sembra esprimere alcune di quelle funzioni[8] che una parte della dottrina[9], già da tempo, gli assegna: la funzione informativa nei confronti dei creditori e dell’intero mercato, circa la consistenza del patrimonio e l’andamento gestionale della società[10]; la funzione di segnalare, e dunque, prevenire fenomeni di crisi[11], allertando amministratori, soci e terzi circa il verificarsi di una situazione di sovraindebitamento e il pericolo che il rischio di impresa possa traslarsi sui creditori[12].
Immediatamente dopo aver assolto a tali funzioni, tuttavia, le vicende del capitale sociale divengono un “problema” [13], tanto che il Legislatore del Codice della crisi, così come già in precedenza aveva fatto quello della (mini) riforma della Legge fallimentare, si preoccupa di favorire la composizione negoziale della crisi emersa, disinnescando la operatività proprio di quelle stesse regole volte a disciplinare le situazioni patologiche del capitale sociale.
Il riferimento è agli artt. 64 e 89, c.c.i., nonché all’art. 182-sexies L. fall.[14] i quali, in via temporanea, sospendono l’applicazione delle regole sul capitale sociale dettate dagli artt. 2446, commi 2 e 3, e 2482-bis, commi 4, 5 e 6 c.c., per il caso di sua riduzione obbligatoria, nonché dagli artt. 2447 e 2482-ter c.c., per la ipotesi di riduzione al di sotto del minimo legale, ed - inoltre - dispongono la sospensione dell’operatività della causa di scioglimento della società prevista dagli artt. 2448, n. 4, e 2545-duodecies c.c. Ciò allorquando la società in crisi abbia deciso di comporla presentando una domanda per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, una proposta di accordo di ristrutturazione o una domanda di omologazione di quest’ultimo. La sospensione delle regole civilistiche ordinarie opera per un periodo di tempo ben delimitato, che va dal deposito della domanda di accesso alla procedura o della proposta di accordo sino all’omologazione (o al diverso epilogo negativo).
Come è noto, la neutralizzazione degli obblighi di ricapitalizzazione disposta dalle citate norme pone espressamente fine ad una preesistente incertezza[15] circa l’obbligo (o meno) delle società in crisi di ripristinare l’integrità del capitale sociale minimo, perduto in tutto o in parte, prima della presentazione di una domanda di concordato preventivo[16], ma ha anche il dichiarato fine di introdurre «un importante incentivo alla risoluzione delle situazioni di crisi di impresa»[17].
La riduzione del capitale sociale costituisce, infatti, spesso un ostacolo che si incontra nelle operazioni di risanamento e riorganizzazione delle imprese in crisi, rappresentato dalla necessaria messa in liquidazione della società a seguito di perdite che hanno portato il capitale al di sotto del minimo legale[18]. Come è stato condivisibilmente osservato, infatti, lo scioglimento e la liquidazione segnano il venir meno della continuità aziendale e rendono meno agevole l’acquisizione di nuove risorse finanziarie necessarie a mantenere l’impresa in funzionamento, «pregiudicando o, quanto meno, rendendo maggiormente problematica la predisposizione di un piano concordatario o di un accordo con i creditori che permetta all’impresa di rimanere sul mercato»[19].
Lo scopo della norma è anche quello di evitare onerose operazioni sul capitale per evitare che gli amministratori assumano responsabilità per effetto della prosecuzione dell’attività sociale che, se interrotta o sospesa, potrebbe compromettere il risanamento dell’impresa[20].
In tale contesto, siffatta soluzione al “problema” del capitale sociale non appare minare significativamente[21] le funzioni che, secondo la dottrina, sono proprie, in generale (per tutte le società commerciali), del sistema del capitale e, in particolare (per le società di capitali), del (sotto)sistema del capitale nominale minino[22].
Le funzioni informative e di segnalazione preventiva sono state assolte e, per il caso di accesso alla procedura con ricorso cd. in bianco o con riserva, le esigenze conoscitive interinali dei terzi sono ulteriormente garantite, ottemperando agli obblighi informativi periodici stabiliti dall’art. 44 c.c.i. e dall’art. 161, comma 8 L. fall.
Le altre funzioni (in dottrina variamente declinate come: di garanzia[23], di moderazione e regolazione dell’attività sociale nell’interesse di terzi[24], di regolazione degli utili e di sopportazione delle perdite[25], di organizzazione[26], di prevenzione della traslazione del rischio di impresa[27]) non possono dirsi significativamente compromesse, atteso che la sospensione delle regole che le riguardano avviene per un periodo di tempo ragionevolmente assai breve e ben perimetrato, in cui la società opera in un regime di spossessamento attenuato e sotto la vigilanza degli organi concorsuali. Inoltre, in disparte il caso della soluzione liquidatoria pura del patrimonio sociale (e fatta salva l’adesione alla tesi di cui si dirà infra, al paragrafo 10), ai fini della omologazione, la società dovrà confezionare un piano che tenga necessariamente conto della necessità di ricostruire il capitale sociale minimo o di trasformare regressivamente la società[28], a pena di inammissibilità della soluzione negoziale proposta ai creditori[29].
Il capitale sociale ed il ricordato sistema di regole che ne presidiano alcune delle funzioni è apparso un “problema” anche in altri e diversi momenti di difficolta dell’impresa.
L'art. 41, comma 1-octies, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159[30] (cd. Codice antimafia) stabilisce che per le società sottoposte a sequestro ai sensi dello stesso decreto, le cause di scioglimento per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484, comma 1, n. 4), e 2545-duodecies c.c. non operino dalla data di immissione in possesso dell’amministratore giudiziario sino all'approvazione del programma di prosecuzione o ripresa dell’attività e, per lo stesso periodo, non si applichino gli art. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482-bis, commi 4, 5 e 6, e 2482-ter c.c.
In questo caso, il “problema” del capitale sociale si pone per l’amministrazione giudiziaria, sia perché il sequestro può riguardare, in tutto o in parte, le partecipazioni sociali nella società sottocapitalizzata, sia perché ad essa amministrazione giudiziaria compete la gestione dell’azienda e/o della società oggetto della misura di prevenzione, nell’immediato e (almeno) fino all’approvazione del programma di continuazione o ripresa dell’attività da parte del tribunale.
Lo scopo della norma, dunque, appare quello di evitare l’operatività delle regole anzidette per il tempo occorrente all’autorità giudiziaria a valutare se sussistano i presupposti per una prosecuzione o ripresa dell'attività dopo il sequestro e ad assumere le conseguenziali determinazioni (ivi compreso il reperimento dei mezzi e/o degli strumenti giuridici necessari per farvi fronte), senza compromettere la continuità aziendale ed evitando profili di responsabilità in capo all’amministrazione giudiziaria e/o ad eventuali amministratori di diritto, nominati e/o mantenuti tali nel periodo di gestione interinale.
In buona sostanza, anche in questo caso, il capitale sociale e le citate sue regole vengono messi temporaneamente da parte per favorire la prosecuzione di una attività aziendale[31] che, seppur penalmente cautelata, ne è meritevole[32]. Anche in questo caso, tutto sommato, la soluzione al “problema” non appare compromettere le funzioni proprie del complesso sistema di regole che riguardano il capitale sociale, in considerazione del breve spazio temporale nel quale devono intervenire le relative decisioni e dei coevi controlli e gestione giudiziari[33].
Il “problema” del capitale sociale si è riproposto per i momenti di difficoltà delle società cd. start-up innovative e, ancora una volta, lo si è risolto neutralizzandone, a tempo, le ricordate dinamiche civilistiche.
L’art. 26, comma 1, del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221, stabilisce che nelle società cd. start-up innovative il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo stabilito dagli artt. 2446, comma 2 , e 2482-bis, comma 4, c.c., sia posticipato al secondo esercizio successivo. Nelle start-up innovative che si trovino nelle ipotesi previste dagli artt. 2447 o 2482-ter c.c. l’assemblea convocata senza indugio dagli amministratori, in alternativa all’immediata riduzione del capitale e al contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo legale, può deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura dell’esercizio successivo. Fino alla chiusura di tale esercizio non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484, comma 1, n. 4), e 2545-duodecies c.c. Se entro l’esercizio successivo il capitale non risulta reintegrato al di sopra del minimo legale, l’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve deliberare ai sensi degli articoli 2447 o 2482-ter c.c.
La temporanea disattivazione delle regole del diritto societario in tema di riduzione del capitale sociale e di scioglimento nell’ambito della disciplina delle cd. start-up innovative ha lo scopo di agevolare l’avvio della società e di «rientrare fisiologicamente dalle perdite maturate nelle primissime fasi»[34].
In tempi di Covid-19, il capitale sociale è divenuto un “problema” di carattere generale, per la «situazione anomala che coinvolge anche imprese che, prima dell'epidemia, si trovavano in condizioni economiche anche ottimali, traducendosi in una patologica perdita di capitale che non riflette le effettive capacità e potenzialità delle imprese coinvolte. Di riflesso, e nonostante le massicce misure finanziarie in corso di adozione, si palesa una prospettiva di notevole difficoltà nel reperire i mezzi per un adeguato rifinanziamento delle imprese»[35].
In un contesto di misure emergenziali assai ampio e variegato[36], il Legislatore ha – dunque - rispolverato la consueta soluzione al “problema” del capitale sociale, varando una nuova fattispecie di sospensione a tempo degli obblighi di ricapitalizzazione: quella prevista dall’art. 6 del Decreto Legge 8 aprile 2020, n. 23 (di seguito, per brevità, Decreto Liquidità) [37]. Al riguardo è stato precisato che «In questo quadro, la disposizione in esame mira a evitare che la perdita del capitale, dovuta alla crisi da COVID-19 verificatasi nel corso degli esercizi chiusi al 31 dicembre 2020, ponga gli amministratori di un numero elevatissimo di imprese nell’alternativa – palesemente abnorme – tra l’immediata messa in liquidazione, con perdita della prospettiva di continuità per imprese anche redditizie, e il rischio di esporsi alla responsabilità per gestione non conservativa ai sensi dell’articolo 2486 del codice civile. La sospensione degli obblighi previsti dal codice civile in materia di perdita del capitale sociale, per contro, tiene conto della necessità di fronteggiare le difficoltà dell’emergenza del COVID-19 con una chiara rappresentazione della realtà, non deformata da una situazione contingente ed eccezionale»[38].
La normativa dettata per fronteggiare gli effetti della pandemia da Covid-19, di cui si dirà infra e che sostanzialmente evoca quella già sopra esaminata, tende, dunque, ad evitare che una rappresentazione deformata della realtà - provocata dalla situazione di crisi generalizzata e contingente[39]- determini l'insorgere, in relazione ad un numero enorme di imprese, dell'obbligo di intervenire per ricapitalizzare ovvero accertare una causa di scioglimento[40]. E, in effetti, non sembra una forzatura affermare che, quella che in un contesto normale sarebbe una patologia, nell'attuale fase pandemica risulta essere una condizione che interessa gran parte degli operatori, quasi fisiologica, che rende inattendibili i tradizionali criteri di valutazione della “salute” di un’impresa[41].
Per quanto, anche in questi ultimi due casi (delle start-up innovative e delle imprese colpite dalla pandemia da Covid-19), la soluzione al “problema” del capitale sociale sia affidata a norme di contenuto sostanzialmente analogo a quelle previste nell’ambito delle discipline concorsuali e penali, diverso appare l’impatto della neutralizzazione di tali regole sul complessivo sistema del capitale sociale.
La sospensione pro start-up innovative e quella anti Covid-19 avvengono in un contesto non soggetto ad alcun controllo giudiziario immediato (diretto o indiretto)[42] e nell’ambito di una gestione che rimane affidata agli stessi amministratori, senza alcuna particolare limitazione dei rispettivi poteri. Essi mantengono, infatti, i poteri di gestione ordinari e non necessariamente conservativi[43].
L’inertizzazione delle regole sul patrimonio netto negativo e la sospensione della relativa causa di scioglimento della società dovrebbero impedire l’operatività dell’indice primario di allerta elaborato dal CNDCEC, neutralizzando le ricordate funzioni di “campanello di allarme” del sistema del capitale nominale minimo[44]. Se la causa di scioglimento non opera e non vi è obbligo di ricapitalizzare per un dato tempo, non dovrebbe potersi trarre argomento da quell’indice per sostenere la esistenza di uno stato di crisi, potendo – al più - farsi ricorso all’utilizzo degli altri[45].
La sospensione delle regole civilistiche può essere assai lunga e, addirittura, può essere ricorrente. Secondo la norma anti Covid-19, la ricostruzione del capitale può avvenire entro cinque anni. Per le start-up innovative, la neutralizzazione delle citate regole è di un biennio, ma può non essere sporadica e ricorrere più volte nel corso della vita sociale, perché le stesse beneficiano di tale regime per tutto il tempo (cinque anni) in cui sono considerate tali dalla legislazione di riferimento. Per l’effetto, si consente alle società di operare sul mercato in condizioni di capitale sociale minimo ridotto o assente per un lungo periodo di tempo, con il pericolo anche di traslare sui creditori il rischio di impresa. In dottrina, già da tempo, si è segnalato che, nelle situazioni di crisi, «i soci hanno normalmente un forte incentivo economico ad investire in progetti imprenditoriali ad altissimo rischio, visto che il caso di risultato positivo i guadagni andranno a loro favore, mentre in caso di risultato negativo le perdite ricadranno sui creditori sociali, con conseguente partecipazione asimmetrica alla distribuzione de dei potenziali profitti e perdite»[46]. Ed ancora che «all'assottigliarsi del “netto” cresce l'incentivo dei soci a favorire scelte di investimento particolarmente rischiose nell'intento di recuperare le perdite in precedenza subite, giacché l'eventuale esito negativo graverebbe principalmente sui creditori, non avendo i soci più nulla da perdere essendo stato il loro investimento già “eroso” dalle perdite pregresse»[47].
La più recente evoluzione legislativa della soluzione al “problema” del capitale sociale nei momenti di difficoltà dell’impresa sembra, così, segnare un ulteriore passo verso il già segnalato “declino del sistema fondato sul capitale sociale”[48], il quale non sembra più fornire alcuna effettiva tutela ai creditori[49]. E di ciò sembra necessariamente doversi tener conto nella interpretazione della più recente disciplina anti Covid-19 che, almeno, ad una prima lettura non appare di agevole applicazione, ed anche nell’eventuale rimeditazione circa la portata applicativa delle regole (vecchie e nuove) dettate in materia dalle leggi sulla crisi d’impresa e dell’insolvenza.