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Saggio

La sentenza del Landgericht Berlin di inammissibilità degli interessi negativi ed i presupposti per la produzione degli interessi sui debiti pecuniari*

Bruno Inzitari, Professore nell’Università Bocconi e già Professore ordinario nell’Università Milano-Bicocca

16 Marzo 2022

*Scritto destinato all’Opera collettanea, a cura di Fondazione Nazionale Dottori Commercialisti e della rivista Diritto della Crisi, dal titolo “Ce lo chiede l’Europa”. Dal recupero dell’impresa in difficoltà agli scenari post-pandemia: 15 anni di riforme. Atti del XXVIII Convegno di Alba del 20 novembre 2021, organizzato da Associazione Albese Studi di Diritto commerciale.
Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’Autore ritorna sull’insidioso tema degli interessi negativi sui debiti pecuniari alla luce di un importante arrêt giurisprudenziale.
Riproduzione riservata
1. Il tema dei presupposti e dei limiti per la produzione degli interessi è stato di recente riproposto in relazione alla pretesa manifestatasi da parte di diverse banche dell’Unione Europea di traslare sulla clientela gli oneri conseguenti alla politica di contenimento del tasso degli interessi adottata dalla BCE.
Il carattere del tutto nuovo ed insolito della questione potrebbe indurre a richiamare ironicamente la celebre frase ein Gespenst geht um in Europa e lo spettro in questo caso si è annunciato con la tentazione di applicare interessi negativi sui depositi della clientela bancaria.
La produzione degli interessi sulle somme depositate sui conti dalla clientela è stata, infatti, di recente rivendicata a proprio vantaggio da alcune banche che hanno ritenuto di addebitare interessi negativi calcolati in misura proporzionale alle somme giacenti sul conto sulle somme depositate dalla clientela sui conti bancari aperti presso la banca.
L’obbligazione assunta dalla banca di detenere o custodire le somme raccolte dalla clientela comporterebbe per quest’ultima una onerosità che consisterebbe nella produzione di interessi negativi per la clientela stessa e positivi per la banca stessa[1].
Tale onerosità verrebbe giustificata con riferimento alla tendenza delle banche centrali e della BCE a contenere i tassi di interesse a livelli anche negativi secondo una prassi volta a stimolare l’economia minacciata dalle tendenze recessive diffusamente manifestatasi in molti paesi.
La BCE nelle operazioni di deposito delle eccedenze di liquidità effettuate dalle banche commerciali presso la banca centrale (deposit facility) ha fissato per la prima volta nel giugno del 2014 un deposit rate negativo dello 0,1% successivamente confermato e leggermente aumentato.
Di qui il manifestarsi della tentazione secondo cui un analogo deposit rate negativo possa essere applicato anche a carico della clientela sulla liquidità raccolta e giacente sui conti e sui depositi.
A tal fine talune banche hanno apportato modifiche alle condizioni contrattuali che regolano i rapporti di conto corrente. Sono state così inserite clausole che prevedono a carico del cliente l’applicazione sulla parte di giacenza attiva eccedente un certo ammontare, la maturazione di un interesse positivo per la banca e negativo per il cliente. Questi si trova quindi onerato in proporzione dell’ammontare della liquidità di cui quale depositante è creditore verso la banca.
La prima significativa risposta viene dalla Germania e precisamente dal Landgericht Berlin (LG Berlin, Urteil vom 2.09.2021 - 16 O 43/21) con una recentissima pronuncia emessa a seguito di una specifica azione di classe promossa da una organizzata associazione di consumatori
La decisione è significativa non solo per la tematica che è stata oggetto della decisione ma si segnala anche per l’efficienza, linearità e rapidità del percorso, attraverso il quale sono stati esaminati e decisi interessi diffusi, quali quelli che fanno capo all’amplissima platea della clientela bancaria in relazione ad una fattispecie del tutto nuova e per molti versi problematica, quale quella degli interessi negativi.
A seguito della modifica unilaterale delle condizioni contrattuali effettuata nel settembre 2020 dalla banca berlinese Sparda-Bank attraverso l’inserimento di clausole di addebito degli interessi negativi sui conti che presentino giacenze superiori ad un determinato limite, l’associazione dei consumatori Bundesverband der Verbraucherzentralen (VZBV), ha nel novembre dello stesso anno intimato e quindi citato in giudizio la banca attraverso un’azione di classe nell’interesse indistintamente di tutta la clientela interessata avanti al Tribunale di Berlino per l’eliminazione delle clausole che la banca aveva appena allora introdotte.
A pochissimi mesi di distanza con la sentenza in parola, la decisione del Tribunale di Berlino.
Prima ancora di ogni altra considerazione sui termini e sul contenuto della decisione dei giudici della capitale tedesca, va rilevato che le modalità ed i tempi che hanno contrassegnato il sorgere, la trattazione e quindi la soluzione dell’intera vicenda che ha visto contrapposti le iniziative della banca con gli interessi della clientela risultano particolarmente significativi.
Il merito di questi risultato risiede sicuramente nell’adeguato sistema di class action che ha consentito l’immediata rilevazione da parte della associazione dei consumatori della modifica delle condizioni contrattuali potenzialmente lesiva di interessi della clientela bancaria. Di qui l’immediata valutazione della loro rilevanza e quindi, se del caso, la pronta applicazione dei rimedi, quali come in questo caso la dichiarazione di inefficacia delle clausole ritenute illegittime nell’interesse di tutta la clientela della banca.
Con le modifiche dei contratti apportate dalla banca ai contratti con la clientela, veniva previsto a carico del cliente l’addebito a titolo di compenso per la custodia dello 0,5% sulle giacenze attive superiori a euro 25.000 nei conti correnti e nei conti di deposito su giacenze superiori a euro 50.000.
Tali iniziative venivano giustificate adducendo la circostanza che i tassi di interesse negli ultimi anni risultano molto bassi, e che, per effetto della politica monetaria, la stessa Banca Centrale Europea applica un tasso di interesse negativo sulla liquidità ricevuta in deposito dalle banche nazionali.
L’applicazione dell’addebito a titolo di compenso per la custodia della liquidità giacente sul conto veniva quindi giustificata quale conseguenza, sostanzialmente speculare, dell’assunzione da parte delle banche dell’onere richiesto per le somme depositate presso la BCE.
Questo argomento viene contrastato dalle associazioni di consumatori sulla base della considerazione che solo una frazione della raccolta ricevuta viene dalle banche depositata presso la BCE e solo su una parte di essa vien poi concretamente applicato l’addebito da parte della BCE. Secondo le associazioni dei consumatori, infatti dai bilanci delle stesse banche risulterebbe che il volume dei prelievi effettuati a tale titolo sui conti della clientela sono nettamente superiori agli oneri che le banche hanno dovuto riconoscere alla BCE.
Il Tribunale di Berlino ha dichiarato l’illegittimità degli addebiti degli interessi negativi, genericamente denominati spese di custodia, Verwahrentgelte, dalle banche, condannando queste ultime alla restituzione di quanto addebitato a tutta la clientela della banca convenuta. Va segnalato che contemporaneamente la associazione dei consumatori VZBV, al fine di ottenere un orientamento uniforme in tutta la nazione, ha proposto la medesima azione presso diversi Tribunali della Germania, convenendo in giudizio le banche che nelle diverse regioni hanno modificato le condizioni contrattuali e addebitato alla clientela interessi negativi.

2. Le argomentazioni delle parti, come pure le motivazioni della sentenza muovono dall’inquadramento del contratto di conto corrente bancario Girovertrag, con il quale la banca assume la funzione di realizzare i servizi di pagamento e svolge tutte le connesse prestazioni di incasso e di trasferimento del danaro per conto del cliente.
Conformemente al modello del codice tedesco che non contiene una specifica disciplina dei contratti bancari, a differenza del successivo e più analitico codice italiano del 42, la sentenza richiama le norme, talora modificate ed aggiornate che nel BGB stabiliscono i principi cardine della prestazione di servizi. 
L’invalidità delle clausole inserite nei contratti dalla banca deriva secondo l’associazione dei consumatori dai principi relativi al controllo di contenuto, Inhaltskontrolle, di cui al §307 BGB sulle AGB, condizioni generali di contratto[2]. I giudici berlinesi ritengono che tali clausole non trovino valida giustificazione in quanto non possono essere ricomprese in alcuna effettiva prestazione causalmente tipica del contratto, nicht uberprufbare Hauptleistungspflicht. Allo stesso modo, secondo la sentenza, la pretesa pecuniaria introdotta dalla banca a carico della clientela non trova giustificazione in alcuna effettiva e reale controprestazione da parte della banca.
Questi argomenti sono sorretti nella motivazione della sentenza da altre rilevanti considerazioni sui caratteri tipici del contratto e sulle connesse funzioni causali.
Il riferimento è rivolto al contratto di servizi §675 Entgeltliche Geschäftsbesorgung, ed in particolare al collegato e successivamente introdotto §675 f ABS 5,[3] che ha specificato la disciplina nel contratto dei servizi di pagamento, Zahlungsdienstevertrag, stabilendo peraltro il principio della proporzionalità e della corrispondenza del corrispettivo ai reali costi del servizio stesso.
Il Landgericht rileva che l’introduzione dell’addebito dello 0,5% sui conti della clientela, la cui giacenza superi per i Girokonten la somma di euro 25.000 e per i conti di deposito la somma di euro 50,000, confligge con i fondamentali principi del controllo di contenuto delle condizioni generali di contratto AGB, §307 BGB [4], realizzati principalmente attraverso i principi della buona fede, Treue und Glauben secondo le diverse proiezione contenute nella disciplina delle AGB.
Ne consegue l’invalidità ed inefficacia delle clausole che comportano oneri per l’aderente come pure delle clausole che non siano facilmente comprensibili o che la loro portata risulta non adeguatamente avvertita dall’aderente stesso.
Questa conclusione è confermata dalla stessa disciplina del contratto di deposito irregolare relativa al deposito di cose generiche da restituire nella stessa specie e quantità. Vengono i richiamati i principi del deposito irregolare di cose generiche o di danaro di cui al §700, Unregelmäßiger Verwahrungsvertrag BGB[5] (nel nostro sistema art. 1782 c.c.), che nel caso di deposito di cose generiche con facoltà del depositario di utilizzarle e di servirsene, prevede se l’oggetto del deposito è il danaro, l’applicazione della disciplina del mutuo, §488 Vertragstypische Pflichten beim Darlehensvertrag[6]. 
È sulla base di questi principi che la sentenza opportunamente amplia l’analisi alla funzione che svolge della liquidità raccolta dalla banca e giacente sui diversi conti della clientela. Questa, rileva la sentenza, è utilizzata e costituisce lo strumento per lo svolgimento della stessa attività caratteristica della banca consistente nella erogazione del credito. Il deposito da parte della clientela di somme di danaro sui conti bancari da luogo, secondo i giudici berlinesi, a rapporti tra banca e clientela depositante, che debbono essere necessariamente ricondotti alla disciplina del mutuo. 
Di qui la conferma della inefficacia ed invalidità di clausole che comportino l’addebito di oneri proporzionati all’entità della giacenza nel deposito bancario. Queste, infatti, risultano contrarie ai doveri che tipicamente e causalmente regolano e contraddistinguono le prestazioni delle parti del contratto di mutuo, Vertragstypische Pflichten. Tali doveri prevedono infatti l’obbligo del pagamento degli interessi a carico del mutuatario, e la banca si trova a rivestire nel rapporto con la clientela questo ruolo e questa posizione. Al contrario risulta impossibile ricondurre il cliente della banca che presso la banca ha depositato somme di danaro nel ruolo di mutuatario mentre ad esso piuttosto spetta il ruolo di mutuante di somme di danaro alla banca che effettua la raccolta di liquidità pecuniaria.
Secondo la sentenza berlinese, le clausole di addebito di oneri percentuali alla giacenza sul conto introdotte unilateralmente non possono essere ricondotte, come sostenuto dalla banca, ad una prestazione di custodia della stessa liquidità che la banca raccoglie dalla clientela. Nel contratto di conto corrente, infatti, la prestazione di custodia costituisce il principale tratto tipico e funzionale del contratto: die Verwahrfunction ist dem Girovertrag immanent. La prestazione di custodia non può essere in nessun modo considerata quale possibile prestazione ulteriore rispetto a quelle tipicamente e causalmente previste nel contratto, né al cliente potrebbe mai essere riconosciuta la facoltà di rinunciare o meno ad una tale prestazione da parte della banca, in quanto verrebbe meno una delle componenti causali necessarie alla funzionalità dell’intero contratto.
Di qui la dichiarazione di inefficacia delle clausole introdotte dalla banca, la condanna della medesima alla restituzione alla clientela delle somme ingiustificatamente incassate, prevedendo a tal fine la connessa condanna della banca a comunicare i nominativi dei clienti interessati alla restituzione al fine di consentire l’esecuzione della sentenza.

3. La decisione del Landgericht Berlin è particolarmente significativa e va oltre i confini del contenzioso sorto in Germania anche in considerazione della circostanza che il fenomeno dell’inserimento nei contratti bancari di clausole volte a consentire alla banca l’addebito di interessi negativi si è contemporaneamente affacciata nei diversi contesti europei. 
Si tratta inoltre di una delle tematiche che si possono definire d’elezione per la comparazione, considerato il carattere pressoché universale in ogni sistema giuridico ed economico sia della obbligazione degli interessi, sia degli istituti che ne regolano la fonte, come pure dei soggetti investiti dalla questione, tutti riconducibili ad una platea uniforme e ricorrente consistente nella clientela bancaria.
Posizioni non lontane da quelle dalla sentenza sono state espresse dalla dottrina tedesca che maggiormente ha approfondito il tema del progressivo contenimento del tasso di interessi, sino all’annullamento ed alla negativizzazione del tasso stesso. Anche di recente è stato rilevato che nell’intero diritto civile il sorgere di un obbligo al pagamento degli interessi può essere previsto soltanto a carico del soggetto accipiens della somma di danaro e non certo a carico di colui che tale somma fornisce. Questo si collega del resto con la definizione degli interessi come frutti civili e come controprestazione dovuta da colui che si avvantaggia della disponibilità del danaro altrui per un certo lasso di tempo[7].
In conclusione, i c.d. interessi negativi non sono interessi, né sono riconducibili agli interessi. Le banche (come nel caso della banca tedesca di cui alla sentenza), probabilmente nella consapevolezza della non riconducibilità degli oneri addebitati alla clientela per giacenze oltre un certo limite agli interessi in senso giuridico, hanno tentato di costruire una definizione meno impegnativa, quale il diritto di custodia o simili. Ma anche questa via non risulta invero percorribile. Infatti una tale attività di custodia è già ricompresa nella prestazione cui è tenuta la banca in ogni tipo di contratto che preveda il deposito di somme di danaro presso di essa. La custodia costituisce una prestazione tipica necessariamente dovuta dalla banca in ogni momento del contratto di deposito, considerato che, come ha osservato la sentenza del Tribunale di Berlino, la prestazione della custodia è immanente, deve essere svolta dalla banca in ogni caso ed anche se tale rapporto avesse una durata limitatissima di giorni o di ore[8].

4. Le modificazioni anche rilevanti che si possono verificare nel mercato dei capitali influiscono sulla misura del vantaggio che può essere tratto dalla disponibilità di un capitale monetario sino ad arrivare in determinati casi ad escludere la stessa possibilità di un vantaggio, rendendo al limite possibile anche l’ipotesi che il tasso degli interessi non superi lo 0%. 
La raccolta effettuata dalla banca potrebbe in determinate situazioni incontrare forti limiti nel livello della remunerazione ma in ogni caso resterebbe del tutto priva di giustificazione la pretesa della banca di pretendere un corrispettivo, sia che esso sia definito quale interesse negativo o quale commissione di custodia della liquidità.
Deve essere inoltre considerato che l’insieme dei depositi effettuati dalla clientela costituisce la raccolta che nella misura consentita dalla disciplina di settore, costituisce lo strumento con il quale la banca svolge l’attività di erogazione del credito. Questa è la principale e caratteristica attività riservata alla banca ed appare contraddittorio e ingiustificato gravare di ulteriori oneri la clientela che tale raccolta ha fornito. L’erogazione del credito consente inoltre alla banca di realizzare a proprio vantaggio un flusso di interessi positivi corrisposti da parte dei soggetti finanziati. Pertanto la pretesa di onerare la clientela di interessi negativi appare contraddittoria e priva di giustificazione. La circostanza che i depositi effettuati dalla banca presso la BCE possano in taluni casi risultare onerosi per la banca non costituisce una ragione per “trasferire” impropriamente una siffatta onerosità alla clientela. Essa è piuttosto parte del complessivo coacervo di costi ed oneri che di volta in volta possono accompagnarsi all’attività di gestione dell’attività bancaria ed in particolare possono caratterizzare l’accesso ai diversi strumenti di sostegno alla liquidità offerti dalla BCE.
L’introduzione nei contratti di deposito e conto corrente di clausole di addebito degli interessi negativi sulla raccolta darebbe luogo inoltre ad un inammissibile sistema di onerosità ingiustificato ed incompatibile con la natura e la funzione causale dei contratti di deposito bancario ma verrebbe in modo del tutto arbitrario a contraddire la necessaria correlazione che il regime degli interessi deve necessariamente avere con l’andamento del tasso di inflazione ed il rendimento dei titoli pubblici.
Basta considerare le recenti modificazioni del tasso legale degli interessi in Italia. Il decreto 13 dicembre 20 del Ministero dell’economia dal 1° gennaio 2021 ha portato il tasso degli interessi legali dal 0,01% al 1,25% con un aumento del precedente tasso di ben 125 volte.
La misura del tasso degli interessi legali dopo essere stata fissata nel testo originario del Codice civile al 5% e poi portata dal 1990 al 10% e poi dal 1997 di nuovo al 5% sino al 1997, dalla fine del secolo scorso viene fissata annualmente tenendo conto del rendimento medio dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi e del tasso di inflazione registrato nell’anno.
Considerata la funzione generale di determinazione del costo del danaro secondo il tasso di interesse legale che viene determinato di anno in anno, risulterebbe del tutto contraddittorio ed ingiustificato che la liquidità monetaria raccolta dalla banca oltre a consentire alla banca di realizzare sulle somme della raccolta destinate ai finanziamenti interessi corrispettivi per le erogazioni di credito effettuate, potesse nello stesso tempo fornire ulteriori proventi nella forma di interessi negativi addebitati alla clientela.

5. L’obbligazione degli interessi dunque continua a richiamare l’attenzione degli interpreti non soltanto in relazione agli innumerevoli profili applicativi, quale da ultimo quello degli interessi negativi, ma anche in relazione della individuazione dei presupposti del sorgere della stessa obbligazione degli interessi[9]. Da questo l’emergere di una variegata serie di fattispecie di cui gli interessi negativi sono l’ultimo esempio, che richiedono una valutazione di ammissibilità della pretesa degli interessi in diversi e anche inaspettati ambiti.
L’820 c.c. collegando gli interessi alla teoria dei beni, stabilisce che il denaro può essere “fruttuoso” (così come con “linguaggio datato” afferma il Codice civile nel Libro terzo della proprietà) solo ed in quanto sia detenuto da altri - corrispettivo del godimento che altri abbia-, così recita il terzo comma dell’art. 820 c.c., e quindi giustifica la produzione degli interessi quale corrispettivo per il vantaggio tratto dal godimento di un capitale dovuto dal debitore pecuniario.
La mera esistenza dell’obbligazione pecuniaria non è sufficiente per il sorgere dell’obbligazione accessoria per interessi (legali o corrispettivi) calcolati sulla somma capitale dovuta.
Perché sorga dell’obbligazione degli interessi, debbono ricorrere specifici presupposti, quali principalmente l’esigibilità del credito pecuniario. Questa può sussistere solamente se il debitore pecuniario si trova nella posizione di poter legittimamente eseguire la prestazione pecuniaria o comunque se è effettivamente attuale l’obbligo di eseguire il pagamento, in quanto fintanto questo non sia esigibile ed attuale, l’obbligazione accessoria degli interessi non può sorgere.
L’ordinamento prevede infatti significativi esempi di crediti pecuniari in cui è esclusa la produzione degli interessi legali o corrispettivi per motivi direttamente o indirettamente collegati alla mancanza di esigibilità del credito.
Sono questi i casi degli artt. 2033 e 2036, nonché degli artt. 1207, primo comma, e 1714 c.c. oltre ad altre analoghe fattispecie.
Nell’indebito oggettivo di cui all’art. 2033 c.c., maturano interessi sul debito restitutorio solo se, nel ricevere la prestazione non dovuta, l’accipiens risultava in mala fede. Per l’accipiens infatti, solo da quel momento l’obbligo di pagamento restitutorio sarà attuale ed essendo l’accipiens stesso consapevole del carattere indebito di quanto ricevuto, il credito pecuniario sarà esigibile e, quindi, produttivo di interessi ex art. 1282 c.c.
Al contrario, la maturazione di interessi sul debito pecuniario restitutorio è esclusa allorquando l’accipiens era in buona fede nel ricevere e ritenere l’indebita prestazione. L’onere degli interessi può gravare sul debitore pecuniario, infatti, solo se questi è in grado di potersi liberare pagando il debito pecuniario, ma se, al contrario, l’ignoranza dell’esistenza del debito di restituzione gli impedisce di fare questa scelta liberatoria, il debito pecuniario restitutorio non può essere considerato esigibile nei confronti del debitore pecuniario accipiens e, conseguentemente, non può essere produttivo di interessi ai sensi dell’art. 1282 c.c..
Allo stesso modo e per le stesse ragioni, in caso di indebito soggettivo, ex art. 2036 c.c., non decorrono interessi sul debito pecuniario restitutorio sull’accipiens in buona fede.
Ed ancora, la mora del creditore pecuniario ex art. 1207 c.c. comporta la cessazione della maturazione degli interessi a carico del debitore pecuniario, in quanto lo stesso verificarsi della mora del creditore fa venir meno l’esigibilità del credito e, dunque, fa venir anche l’idoneità richiesta dall’art. 1282 c.c. perché il debito pecuniario possa produrre interessi.
Infine, significativo è quanto previsto nel mandato dall’art. 1714 c.c. Il debito pecuniario del mandatario connesso al pagamento delle somme riscosse per conto del mandante produce interessi dal giorno in cui il mandatario avrebbe dovuto fargliene la consegna. Questo perché il denaro riscosso e detenuto comporta certamente un obbligo di restituzione del danaro ma tale debito pecuniario  non produce interessi e li può produrre solo dal giorno in cui è stata prevista la consegna delle somme, ossia è scattata, per accordi negoziali o per la natura dell’affare, l’esigibilità delle somme, con conseguente produzione solo da quel momento degli interessi in conformità all’art. 1282 c.c..
Quelle esemplificativamente descritte sono tutte fattispecie nelle quali, pur essendo sorto un debito pecuniario liquido e perfetto, se per un qualsivoglia motivo si verifica l’esclusione dell’esigibilità, nello stesso tempo e necessariamente non si verifica o cessa la maturazione degli interessi, siano essi legali o convenzionali.
L’art. 1499 c.c. conferma, inoltre, che non decorrono interessi sul debito pecuniario relativo al prezzo, quando questo non è ancora esigibile, ma lo stesso articolo aggiunge che, in quel caso, per giustificare la decorrenza degli interessi è necessaria una ulteriore circostanza, vale a dire il godimento da parte dell’acquirente della cosa compravenduta prima che abbia effettuato il pagamento del prezzo.
Quanto invece al mutuo di cui all’art. 1815, primo comma, c.c. ma anche l’art. 1825 c.c. in materia di conto corrente, la decorrenza degli interessi compensa il vantaggio conseguito dal mutuatario dall’avvenuta detenzione della somma di denaro mutuata e conferma, anche in questo caso, che il presupposto per la decorrenza degli interessi risiede in un vantaggio conseguente al godimento di un capitale.
Risulta quindi confermato che il credito pecuniario produce interessi soltanto se è effettivamente esigibile. Mancando l’esigibilità il credito pecuniario non è affatto idoneo a produrre interessi corrispettivi o legali o di qualsiasi altro tipo[10].

6. Una recente, peraltro, del tutto isolata pronuncia della Cassazione[11] ha a mio parere erroneamente riconosciuto la decorrenza degli interessi a carico del fallito esigibili dopo il ritorno in bonis dello stesso fallito. In senso contrario va rilevato che la maturazione degli interessi nel corso del fallimento è esclusa da quanto disposto dall’art. 55 l.f. e dall’art. 120 l.f. che rispettivamente prevedono la sospensione degli interessi nel corso della procedura e l’esigibilità del credito per gli interessi pre-fallimentari ammessi al passivo ma rimasti insoddisfatti nel fallimento[12].
Alla maturazione degli interessi a carico del fallito nel corso della procedura concorsuali si oppongono inoltre ulteriori ragioni connesse alla natura ed alla causa giustificatrice del sorgere della obbligazione per interessi. Sono ragioni di natura civilistica, le quali si confrontano con la disciplina fallimentare in relazione alla situazione in cui versa il debitore fallito nella procedura concorsuale.
Va considerato a questo riguardo il profilo della esigibilità del credito, richiesto dall’art. 1282 c.c., quale presupposto per il sorgere dell’obbligazione degli interessi e, nello stesso tempo, la circostanza della non esigibilità del credito nei confronti del debitore fallito durante la procedura concorsuale. Da questo discende l’esclusione della stessa configurabilità della fattispecie degli interessi post-fallimentari a carico del debitore fallito.
Gli interessi di cui si ipotizza la maturazione nel corso del fallimento costituirebbero un’obbligazione accessoria verso il debitore fallito del credito pre-fallimentare sorto nei suoi confronti prima del fallimento. Ma tale credito per capitale sorto prima della dichiarazione di fallimento non è in alcun modo esigibile nel corso del fallimento nei confronti del debitore fallito. Esso è del tutto privo della qualità di esigibilità, in quanto una volta aperta la procedura di fallimento, né il creditore può richiedere al debitore il pagamento, né il debitore, quand’anche volesse, potrebbe eseguire il pagamento.
Al debitore, una volta aperta la procedura concorsuale, è tassativamente preclusa la possibilità di adempiere alle obbligazioni sorte prima della dichiarazione di fallimento, alla cui soddisfazione provvede, nelle forme del concorso tra i creditori, la procedura. Con l’apertura del fallimento il credito diviene tassativamente inesigibile nei confronti del debitore e le condizioni di esigibilità mai si verificano nel corso della procedura. Al debitore fallito è precluso, anzi è fatto divieto, di pagare crediti sorti prima della dichiarazione di fallimento, al punto che il compimento di un tale atto configurerebbe il reato di cui all’art. 216, comma terzo, l.f. e, in ogni caso, il pagamento eseguito dopo la dichiarazione di fallimento sarebbe comunque inefficace ai sensi dell’art. 44 l.f.  
Non appare quindi possibile configurare l’esistenza di un credito esigibile da parte di tutti i creditori che partecipano al fallimento, in quanto nessuno di essi potrebbe pretendere dal debitore il pagamento, né tantomeno agire esecutivamente verso il debitore, considerato l’intervenuto divieto di azioni esecutive individuali di cui all’art. 51 l.f. 
La possibilità della maturazione degli interessi durante il fallimento a carico del debitore fallito è esclusa perché la fattispecie produttiva degli interessi richiede che il soggetto che si assume essere obbligato al pagamento degli interessi, si trovi nella condizione giuridica di poter effettuare il pagamento del debito per capitale, in quanto è dal mancato colpevole adempimento di questa obbligazione per capitale che sorge l’obbligazione accessoria agli interessi.
In conclusione perché sia possibile la produzione degli interessi è necessario che sussista una effettiva esigibilità del credito da parte del creditore, presupposti che non ricorrono peri depositi effettuati dalla clientela presso la banca, per il debito fallimentare cui è tenuto il fallito come pure nelle accennate diverse ipotesi.

Note:

[1] 
Cfr. Quaderni giuridici della CONSOB n. 14, 2017, Effetti dei tassi di interesse negativi su mutui e obbligazioni a tasso variabile Un’analisi dei profili giuridici e finanziari, a cura di S. Alvaro, A. Gentili, C. Mottura; M. F. Campagna, Il credito strutturato rischio e autonomia nei contratti di credito, Giuffrè, 2020 pag. 273 e segg.
[2] 
§ 307 Inhaltskontrolle
(1) Bestimmungen in Allgemeinen Geschäftsbedingungen sind unwirksam, wenn sie den Vertragspartner des Verwenders entgegen den Geboten von Treu und Glauben unangemessen benachteiligen. Eine unangemessene Benachteiligung kann sich auch daraus ergeben, dass die Bestimmung nicht klar und verständlich ist.
(2) Eine unangemessene Benachteiligung ist im Zweifel anzunehmen, wenn eine Bestimmung
1. mit wesentlichen Grundgedanken der gesetzlichen Regelung, von der abgewichen wird, nicht zu vereinbaren ist oder
2. wesentliche Rechte oder Pflichten, die sich aus der Natur des Vertrags ergeben, so einschränkt, dass die Erreichung des Vertragszwecks gefährdet ist.
(3) Die Absätze 1 und 2 sowie die §§ 308 und 309 gelten nur für Bestimmungen in Allgemeinen Geschäftsbedingungen, durch die von Rechtsvorschriften abweichende oder diese ergänzende Regelungen vereinbart werden. Andere Bestimmungen können nach Absatz 1 Satz 2 in Verbindung mit Absatz 1 Satz 1 unwirksam sein.
[3] 
§675 f Zahlungsdienstevertrag
(1) Durch einen Einzelzahlungsvertrag wird der Zahlungsdienstleister verpflichtet, für die Person, die einen Zahlungsdienst als Zahler, Zahlungsempfänger oder in beiden Eigenschaften in Anspruch nimmt (Zahlungsdienstnutzer), einen Zahlungsvorgang auszuführen.
(2) Durch einen Zahlungsdiensterahmenvertrag wird der Zahlungsdienstleister verpflichtet, für den Zahlungsdienstnutzer einzelne und aufeinander folgende Zahlungsvorgänge auszuführen sowie gegebenenfalls für den Zahlungsdienstnutzer ein auf dessen Namen oder die Namen mehrerer Zahlungsdienstnutzer lautendes Zahlungskonto zu führen. Ein Zahlungsdiensterahmenvertrag kann auch Bestandteil eines sonstigen Vertrags sein oder mit einem anderen Vertrag zusammenhängen.
(3) Der Zahlungsdienstnutzer ist berechtigt, einen Zahlungsauslösedienst oder einen Kontoinformationsdienst zu nutzen, es sei denn, das Zahlungskonto des Zahlungsdienstnutzers ist für diesen nicht online zugänglich. Der kontoführende Zahlungsdienstleister darf die Nutzung dieser Dienste durch den Zahlungsdienstnutzer nicht davon abhängig machen, dass der Zahlungsauslösedienstleister oder der Kontoinformationsdienstleister zu diesem Zweck einen Vertrag mit dem kontoführenden Zahlungsdienstleister abschließt.
(4) Zahlungsvorgang ist jede Bereitstellung, Übermittlung oder Abhebung eines Geldbetrags, unabhängig von der zugrunde liegenden Rechtsbeziehung zwischen Zahler und Zahlungsempfänger. Zahlungsauftrag ist jeder Auftrag, den ein Zahler seinem Zahlungsdienstleister zur Ausführung eines Zahlungsvorgangs entweder unmittelbar oder mittelbar über einen Zahlungsauslösedienstleister oder den Zahlungsempfänger erteilt.
(5) Der Zahlungsdienstnutzer ist verpflichtet, dem Zahlungsdienstleister das für die Erbringung eines Zahlungsdienstes vereinbarte Entgelt zu entrichten. Für die Erfüllung von Nebenpflichten nach diesem Untertitel hat der Zahlungsdienstleister nur dann einen Anspruch auf ein Entgelt, sofern dies zugelassen und zwischen dem Zahlungsdienstnutzer und dem Zahlungsdienstleister vereinbart worden ist; dieses Entgelt muss angemessen und an den tatsächlichen Kosten des Zahlungsdienstleisters ausgerichtet sein.
(6) In einem Zahlungsdiensterahmenvertrag zwischen dem Zahlungsempfänger und seinem Zahlungsdienstleister darf das Recht des Zahlungsempfängers, dem Zahler für die Nutzung eines bestimmten Zahlungsinstruments eine Ermäßigung oder einen anderweitigen Anreiz anzubieten, nicht ausgeschlossen werden.
[4] 
V. supra nota 2.
[5] 
§700 Unregelmäßiger Verwahrungsvertrag
(1) Werden vertretbare Sachen in der Art hinterlegt, dass das Eigentum auf den Verwahrer übergehen und dieser verpflichtet sein soll, Sachen von gleicher Art, Güte und Menge zurückzugewähren, so finden bei Geld die Vorschriften über den Darlehensvertrag, bei anderen Sachen die Vorschriften über den Sachdarlehensvertrag Anwendung. Gestattet der Hinterleger dem Verwahrer, hinterlegte vertretbare Sachen zu verbrauchen, so finden bei Geld die Vorschriften über den Darlehensvertrag, bei anderen Sachen die Vorschriften über den Sachdarlehensvertrag von dem Zeitpunkt an Anwendung, in welchem der Verwahrer sich die Sachen aneignet. In beiden Fällen bestimmen sich jedoch Zeit und Ort der Rückgabe im Zweifel nach den Vorschriften über den Verwahrungsvertrag.
(2) Bei der Hinterlegung von Wertpapieren ist eine Vereinbarung der im Absatz 1 bezeichneten Art nur gültig, wenn sie ausdrücklich getroffen wird.
[6] 
§488 Vertragstypische Pflichten beim Darlehensvertrag
(1) Durch den Darlehensvertrag wird der Darlehensgeber verpflichtet, dem Darlehensnehmer einen Geldbetrag in der vereinbarten Höhe zur Verfügung zu stellen. Der Darlehensnehmer ist verpflichtet, einen geschuldeten Zins zu zahlen und bei Fälligkeit das zur Verfügung gestellte Darlehen zurückzuzahlen.
(2) Die vereinbarten Zinsen sind, soweit nicht ein anderes bestimmt ist, nach dem Ablauf je eines Jahres und, wenn das Darlehen vor dem Ablauf eines Jahres zurückzuzahlen ist, bei der Rückzahlung zu entrichten.
(3) Ist für die Rückzahlung des Darlehens eine Zeit nicht bestimmt, so hängt die Fälligkeit davon ab, dass der Darlehensgeber oder der Darlehensnehmer kündigt. Die Kündigungsfrist beträgt drei Monate. Sind Zinsen nicht geschuldet, so ist der Darlehensnehmer auch ohne Kündigung zur Rückzahlung berechtigt.
[7] 
Omlor, Negativzinsen, Bankrechtstag 2017, 45 ss. 
[8] 
Omlor, Lückenfüllung bei unwirksamen Zinsanpassungsklauseln, ZBB 2020, 355; Omlor, Limbach, De Stasio, Luckenschlissung bei unwirksamen Zinsanpassungklauseln im anglo-amerikaniscen,romanischen und deutschen rechtskreis, ZBB- Report, Zbb/JBB 4/21.
[9] 
Cfr. B. Inzitari, Delle obbligazioni pecuniarie, sub - art. 1282 c.c., in Commentario Scialoja e Branca, Bologna, 2011, 265 e segg.
[10] 
Cfr. B. Inzitari, Delle obbligazioni pecuniarie, cit. 2011, 268.
[11] 
Cass. 19 giugno 2020, n. 11983; Cass. 9 luglio 2020, n. 14527 in Rivista della banca e mercati finanziari, 2020, II, 689, con nota critica di M. Anellino, Il decorso e la prescrizione degli interessi in pendenza di procedure concorsuali.
[12] 
Cfr. B. Inzitari, Effetti del fallimento per i creditori in Commentario Scialoja-Branca, sub art. 55, 135. Una domanda di insinuazione tardiva volta alla liquidazione degli interessi che si assumeva si fossero prodotti a carico della società debitrice nel corso della procedura di amministrazione straordinaria, che presentava in questo caso un attivo prospetticamente superiore al fabbisogno concorsuale, è stata rigettata da Trib. Milano, 10 maggio 2012 in Il fallimentarista, con nota di B. Inzitari, Interessi endofallimentari: inammissibilità della domanda di insinuazione, vanno azionati dopo la chiusura della procedura.

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