Saggio
La regola della par condicio creditorum all’esterno di una procedura di concorso*
Massimo Fabiani, Ordinario di diritto commerciale nell'Università degli Studi del Molise
31 Marzo 2020
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Sommario:
1 . Il caso deciso e l’inquadramento della fattispecie
3 . Par condicio e insufficienza patrimoniale. Il debitore “civile”
4 . Par condicio e insufficienza patrimoniale. Il debitore “civile”
5 . Par condicio e insufficienza patrimoniale. Il debitore “commerciale”
6 . Par condicio e concorso giudiziale
7 . L’azione risarcitoria contro l’autore dell’operazione preferenziale
Tuttavia, nelle fasi ulteriori del giudizio, l’attenzione dei giudici si è spostata direttamente sulla applicabilità delle regole in tema di parità di trattamento fra creditori e la conclusione è stata quella per cui il liquidatore sociale, una volta apprezzata l’insufficienza dell’attivo per soddisfare tutti i creditori sociali, deve procedere, a pena di responsabilità, a distribuire le risorse attive del patrimonio sociale in favore dei creditori secondo l’ordine di graduazione del codice civile e, dunque, dapprima i creditori assistititi da cause di prelazione e, di poi, i creditori chirografari ed infine i postergati.
La questione che la Corte ha affrontato può essere sintetizzata nell’interrogativo che verte sulla invocabilità della par condicio creditorum anche al di fuori di una procedura di crisi o di concorso. Si tratta di un tema molto importante che, si noti, sfiora il tema parallelo relativo alla possibilità di soddisfare un creditore postergato, durante societate, quando non è ancora aperta una procedura di concorso.
In primo luogo, l’art. 2740 c.c. esprime il principio, generalissimo, secondo il quale il creditore ha uno specifico diritto (o, forse, una aspettativa, peraltro giuridicamente rilevante) sul patrimonio del debitore [3] perché in caso di difetto di cooperazione, può farlo espropriare contro la volontà del debitore e ciò in quanto l’ordinamento processuale non si limita ad attribuire alla parte che ritiene di avere subito un torto (nel caso che qui interessa, il torto è il mancato pagamento di un debito) il diritto ad ottenere un accertamento giudiziale; infatti, il vero presidio di tutela del diritto di credito è rappresentato dal principio per il quale il diritto alla garanzia patrimoniale si può attuare contro la volontà del debitore. In questo senso si è soliti parlare di diritto alla attuazione della garanzia patrimoniale (art. 2910 c.c.).
Chiunque sia riconosciuto come creditore di una somma di denaro può far espropriare i beni del debitore perché i beni e più in generale il suo patrimonio costituiscono la garanzia del soddisfacimento della ragione di credito.
Non a caso le disposizioni ancillari della tutela della garanzia patrimoniale sono rappresentate (i) dal sequestro conservativo (art. 2905 c.c.) che mira ad evitare la dispersione del patrimonio del debitore; (ii) dall’azione surrogatoria (art. 2900 c.c.) che mira ad evitare che il debitore rimanendo inerte pregiudichi il diritto del creditore anche sul patrimonio futuro; (iii) dall’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) che è funzionale a reprimere le condotte del debitore che abbiano portato alla diminuzione della garanzia patrimoniale [4].
Il sistema è orientato ad offrire tutela al singolo creditore, ma protegge anche tutti i creditori tutti i creditori, nel senso che ciascuno può esercitare i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale e laddove persista l’inadempimento può far espropriare i beni del debitore [5]. Un ordinamento che crede alla tutela dei diritti (ed il nostro lo eleva a principio costituzionale fondamentale nell’art. 24 Cost.) deve fare in modo che chi ha subito un torto possa ricevere tutto e proprio tutto ciò che gli spetta [6].
L’ordinamento, quindi, pone a disposizione di tutti i creditori la possibilità di reagire all’inadempimento del comune debitore, sì che occorre stabilire come organizzare l’esercizio di queste plurime reazioni.
La disposizione di cui all’art. 2741 c.c. dice chiaramente cosa deve accadere quando più creditori vantano più pretese nei confronti del medesimo debitore; sennonché le regole valgono quando si è in presenza di una patologia della gestione del patrimonio del debitore. Nel caso esaminato, invece, il creditore lamentava, direttamente, che chi doveva gestire un patrimonio incapiente (e cioè il liquidatore) lo aveva fatto ignorando il principio della par condicio creditorum.
Orbene, il ragionamento può muovere dalla assunzione per cui, in presenza di più obbligazioni passive, il debitore può pagare chiunque, senza alcun obbligo di rispettare la par condicio creditorum sino a quando vi sia la prospettiva di un regolare soddisfacimento di tutti. Il debitore, imprenditore o no che sia, non deve distribuire le risorse in modo paritario fra i creditori, ma deve soddisfare i creditori secondo la fisiologia del rapporto, guardando innanzi tutto alla scadenza dell’obbligazione.
Quando non esiste una situazione di patologia, i criteri di esecuzione dei pagamenti sono tutt’affatto diversi da quelli ispirati al principio di parità. A tale conclusione si perviene quando si esamina la norma in tema di imputazione dei pagamenti. Nell’ambito del rapporto bilaterale creditore-debitore, se vi sono più obbligazioni [7], il criterio di soddisfacimento non è quello della distribuzione paritaria percentuale (fra più ragioni di credito) ma quello della scadenza del debito e poi quello della protezione del debito meno garantito; la descrizione scalare contenuta nell’art. 1193 c.c. né è un esempio. L’imputazione del pagamento va fatta in modo proporzionale solo quando non soccorrono gli altri (e precedenti) criteri. Il criterio di imputazione dei pagamenti può essere trasferito alla fattispecie nella quale non vi sono più debiti bilaterali, ma vi sono più debiti/crediti fra un debitore e più creditori. Anche in questo caso, le risorse disponibili nel patrimonio del debitore non vanno distribuite paritariamente ma vanno attribuite ai singoli creditori in ragione, ad esempio, della scadenza del debito [8].
Da queste prime e semplici riflessioni, sortisce già una prima, provvisoria, conclusione. Il principio della par condicio creditorum non è assoluto perché non va invocato quando il patrimonio del debitore è sufficiente a garantire il soddisfacimento di tutti i creditori.
Ciò significa che la par condicio è disciplina che si applica solo quando più creditori concorrono sul patrimonio del debitore e quel patrimonio non è capiente per garantire il soddisfacimento di tutti.
Di par condicio, allora, si deve discutere solo in presenza di un concorso; cioè il concorso di più creditori su un patrimonio insufficiente, ma con l’avvertenza che questo concorso potrebbe essere, per il momento, anche solo potenziale e non attuale e cioè consacrato in una procedura esecutiva o di crisi.
L’interrogativo è il seguente: nel caso in cui il debitore avverta che il suo patrimonio non è in grado di far fronte a tutti i debiti contratti, deve osservare il principio di parità di trattamento, compreso il principio che differenzia creditori chirografari e creditori privilegiati? Ed in questo caso deve pagare dapprima i creditori privilegiati perché sarebbero costoro ad essere preferiti in caso di fallimento (o di esecuzione singolare), o deve pagare i creditori chirografari in quanto meno garantiti (v., art. 1193 c.c.), facendo affidamento sul fatto che poi a fallimento dichiarato i creditori privilegiati saranno trattati meglio?
Abbiamo visto che in una situazione di fisiologia dei rapporti i debiti chirografari debbono essere saldati prima di quelli privilegiati (a parità di scadenza) in quanto meno garantiti. Ma nel caso di uno scenario di patologia, il criterio si deve invertire e i creditori privilegiati vanno soddisfatti per primi. Come è agevole notare, l’insufficienza patrimoniale, da sola, può generare condotte avverse rispetto a quelle legittimamente poste in essere immediatamente prima. Il debitore deve assumere una condotta prudente e già allineata ad una possibile distribuzione coattiva delle risorse. Vanno soddisfatti i creditori privilegiati sino a quando c’è liquidità per soddisfarli tutti e per intero; poi vanno remunerati gli altri in misura proporzionale.
Se questa è la soluzione, dal punto di vista pratico potrà spesso porsi il tema che pertiene alla difficoltà di verificare, costantemente e in modo aggiornato, se vi sia questa sufficienza del patrimonio; poiché non è sicuro che questo sia un comportamento esigibile, si potrebbe ben dire che la parità di trattamento vada invocata solo in presenza non solo di un concorso fra creditori, ma di un concorso che abbia il crisma della giurisdizionalità. Il che si tradurrebbe in una conclusione opposta a quella patrocinata dal giudice di legittimità.
Per sciogliere questo enigma il codice civile non è più sufficiente perché detta una regola, quella della irrevocabilità del pagamento dei debiti scaduti (art. 2901 c.c.) che rileva solo quando il debitore non è assoggettabile al fallimento (e alla liquidazione giudiziale, un domani,
nonché alle altre procedure coattive imposte, come la liquidazione coatta amministrativa e l’amministrazione straordinaria).
Pertanto, poiché di fronte ad un pagamento di un debito scaduto, il creditore rimasto insoddisfatto non ha strumenti di reazione nei confronti di chi si è avvantaggiato, quando il patrimonio del debitore non è in grado di generare risorse sufficienti dobbiamo concludere che rispetto al debitore non assoggettabile al fallimento (o alla liquidazione giudiziale) la sola insufficienza del patrimonio esclude l’applicazione della par condicio. Né la possibile concorsualizzazione dell’insolvenza del debitore civile può modificare l’assetto, dal momento che nella procedura di liquidazione del debitore sovraindebitato (art. 274, D.Lgs. n. 14/2019) non esistono azioni simili alle revocatorie concorsuali. Anzi è proprio da tale disposizione e che evoca l’esercitabilità (soltanto) dell’azione revocatoria ordinaria da parte del liquidatore che si desume l’impraticabilità delle azioni revocatorie concorsuali. Pertanto, in presenza di un debitore che non ha la veste di imprenditore, si potrà discutere di parità di trattamento soltanto qualora venga aperta la procedura esecutiva, e dunque solo con riguardo a quei creditori che parteci- pano alla procedura.
Questa postulazione può essere (verosimilmente) estesa anche all’imprenditore sotto-soglia (v., art. 1 l.fall.) nel regime attuale, ma è destinata ad essere superata con il codice della crisi; difatti, l’imprenditore minore che, pur non sarà soggetto a liquidazione giudiziale, deve dotarsi di misure o strumenti (v. artt. 3 CCII e art. 2086 c.c.) idonei a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e deve adottare senza indugio le reazioni adeguate. In tale contesto, mutato il quadro di riferimento normativo, ben si può predicare che l’imprenditore (senza alcuna ulteriore frammentazione dimensionale) fin dall’apparire di uno scenario di crisi, avendo il dovere di intercettarlo con anticipo [9], sarà tenuto a rispettare l’ordine di graduazione verticale, preferendo i creditori privilegiati a quelli chirografari senza più tener conto del criterio della scadenza. Così, se il comportamento virtuoso atteso è una tempestiva attivazione di una soluzione regolativa della crisi, questa mancata reazione genera responsabilità - per violazione delle regole di par condicio - quando il debitore è un imprenditore, pur se a procedura aperta non potrà essere ripristinata la parità di trattamento rispetto ai creditori che siano stati soddisfatti per l’impossibilità di pervenire alla revocatoria dei pagamenti dei debiti scaduti.
*Il saggio è estratto da Il Fall., 3/2020, p. 333
Note: