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Saggio

La regola della par condicio creditorum all’esterno di una procedura di concorso*

Massimo Fabiani, Ordinario di diritto commerciale nell'Università degli Studi del Molise

31 Marzo 2020

*Il saggio è estratto da Il Fall., 3/2020, p. 333
Il contributo è volto ad esaminare se il principio della par condicio creditorum sia invocabile anche nella fase di liquidazione di una società, al di fuori del perimetro di una procedura di concorso, individuale o collettivo.
Riproduzione riservata
1 . Il caso deciso e l’inquadramento della fattispecie
La Corte  di Cassazione  si è occupata di un caso ben specifico costituito da un’azione promossa da un creditore sociale nei confronti del liquidatore della società cui si addebitava la condotta  omissiva di  non  aver  chiesto  la  dichiarazione  della società, ormai insolvente,  così non consentendo l’applicazione del principio della par condicio creditorum.
Tuttavia,  nelle fasi ulteriori del giudizio, l’attenzione  dei giudici si è spostata direttamente  sulla applicabilità delle regole in tema di parità di trattamento  fra creditori e la conclusione è stata quella  per  cui  il  liquidatore  sociale, una  volta apprezzata l’insufficienza dell’attivo per soddisfare tutti  i creditori sociali, deve procedere, a pena di responsabilità, a  distribuire le  risorse attive  del patrimonio sociale in favore dei creditori secondo l’ordine di graduazione del codice civile e, dunque,  dapprima  i  creditori  assistititi  da  cause di prelazione  e,  di  poi,  i  creditori  chirografari  ed infine  i postergati.
La questione che la Corte ha affrontato può essere sintetizzata nell’interrogativo che verte sulla invocabilità della par condicio creditorum  anche  al di fuori di una procedura di crisi o di concorso. Si tratta  di un tema molto importante  che, si noti, sfiora il tema parallelo relativo alla possibilità di soddisfare  un  creditore  postergato, durante societate, quando non è ancora aperta una procedura di concorso.
2 . Preambolo
Discutere di par condicio creditorum, ovvero del principio per il quale ai creditori dovrebbe essere assicurato un eguale diritto di soddisfarsi sul patrimonio del debitore è esercizio complesso [1]. Se ne può dibattere in chiave storica ma anche in chiave prospettica ed  in  particolare  con  riferimento  alle evoluzioni normative in atto innescate dalla L. delega n. 155/2017 di riforma organica delle procedure concorsuali [2] e dal successivo D.Lgs. n. 14/2019
Quando si discute di par condicio si ha a che fare con la dimensione di un principio che ha enormi ricadute pratiche; tuttavia, le soluzioni di tali questioni prati- che presuppongono talune scelte ideologiche e, a loro volta le scelte ideologiche si fondano su giudizi di valore.
3 . Par condicio e insufficienza patrimoniale. Il debitore “civile”
La semplice lettura degli artt. 2740 e 2741 c.c. disegna in modo sistematico qual è la questione di fondo che si vuole esaminare.
In primo luogo, l’art. 2740 c.c. esprime il principio, generalissimo, secondo il quale il creditore ha uno specifico diritto (o, forse, una aspettativa, peraltro giuridicamente rilevante)  sul patrimonio del debitore [3] perché in caso di difetto di cooperazione, può farlo espropriare contro la volontà del debitore e ciò in quanto l’ordinamento processuale non si limita ad attribuire alla parte che ritiene di avere subito un torto (nel caso che qui interessa, il torto è il mancato pagamento di un debito) il diritto ad ottenere  un accertamento giudiziale; infatti, il vero presidio di tutela del diritto di credito è rappresentato dal principio per il quale il diritto alla garanzia patrimoniale si può attuare contro la volontà del debitore. In questo senso si è soliti parlare di diritto alla attuazione della garanzia patrimoniale (art. 2910 c.c.).
Chiunque  sia riconosciuto come creditore di una somma di denaro può far espropriare i beni del debitore perché i beni e più in generale il suo patrimonio costituiscono la garanzia del soddisfacimento della ragione di credito.
Non a caso le disposizioni ancillari della tutela della garanzia patrimoniale  sono  rappresentate  (i)  dal sequestro conservativo (art. 2905 c.c.) che mira ad evitare la dispersione del patrimonio del debitore; (ii) dall’azione surrogatoria (art. 2900 c.c.) che mira ad evitare che il debitore rimanendo inerte pregiudichi il diritto del creditore anche sul patrimonio futuro; (iii) dall’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) che è funzionale a reprimere le condotte del debitore che abbiano portato alla diminuzione della garanzia patrimoniale [4].
Il sistema è orientato ad offrire tutela al singolo creditore, ma protegge anche tutti i creditori tutti i creditori, nel senso che ciascuno può esercitare i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale e laddove persista l’inadempimento può far espropriare i beni del debitore [5]. Un ordinamento che crede alla tutela dei diritti (ed il nostro lo eleva a principio costituzionale fondamentale nell’art. 24 Cost.) deve fare in modo che chi ha subito un torto possa ricevere tutto e proprio tutto ciò che gli spetta [6].
L’ordinamento, quindi, pone a disposizione di tutti i creditori la possibilità di reagire all’inadempimento del comune debitore, sì che occorre stabilire come organizzare l’esercizio di queste plurime reazioni.
La disposizione di cui all’art. 2741 c.c. dice chiaramente cosa deve accadere quando più creditori vantano più pretese nei confronti del medesimo debitore; sennonché le regole valgono quando si è in presenza di una patologia della gestione del patrimonio del debitore. Nel caso esaminato, invece, il creditore lamentava, direttamente, che chi doveva gestire un patrimonio incapiente (e cioè il liquidatore) lo aveva fatto ignorando il principio della par condicio creditorum.
Orbene, il ragionamento può muovere dalla assunzione per cui, in presenza di più obbligazioni passive, il debitore può pagare chiunque, senza alcun obbligo di rispettare la par condicio creditorum sino a quando vi sia la prospettiva di un regolare soddisfacimento di tutti. Il debitore, imprenditore o no che sia, non deve distribuire le risorse in modo paritario fra i creditori, ma deve soddisfare i creditori secondo la fisiologia del rapporto,  guardando  innanzi  tutto  alla  scadenza dell’obbligazione.
Quando  non  esiste una  situazione di patologia, i criteri di esecuzione dei pagamenti sono tutt’affatto diversi da quelli ispirati al principio di parità. A tale conclusione si perviene quando si esamina la norma in tema di imputazione dei pagamenti. Nell’ambito del rapporto bilaterale creditore-debitore, se vi sono più obbligazioni [7], il criterio di soddisfacimento non è quello della distribuzione paritaria percentuale (fra più ragioni di credito) ma quello della scadenza del debito e poi quello della protezione del debito meno garantito; la descrizione scalare contenuta nell’art. 1193 c.c. né è un esempio. L’imputazione del pagamento  va  fatta  in  modo  proporzionale solo quando non soccorrono gli altri (e precedenti) criteri. Il criterio di imputazione dei pagamenti può essere trasferito alla fattispecie nella quale non vi sono più debiti bilaterali, ma vi sono più debiti/crediti fra un debitore e più creditori. Anche  in questo caso, le risorse disponibili nel patrimonio del debitore non vanno distribuite paritariamente ma vanno attribuite ai singoli creditori  in  ragione, ad esempio, della scadenza del debito [8].
Da queste prime e semplici riflessioni, sortisce già una prima, provvisoria, conclusione. Il principio della par condicio creditorum  non  è assoluto perché non  va invocato quando il patrimonio del debitore è sufficiente  a  garantire  il  soddisfacimento di  tutti i creditori.
Ciò significa che la par condicio è disciplina che si applica solo quando più creditori concorrono sul patrimonio del debitore e quel patrimonio non è capiente per garantire il soddisfacimento di tutti. 
Di par condicio, allora, si deve discutere solo in presenza di un concorso; cioè il concorso di più creditori su un patrimonio insufficiente, ma con l’avvertenza che questo concorso potrebbe essere, per il momento, anche solo potenziale e non attuale e cioè consacrato in una procedura esecutiva o di crisi.
4 . Par condicio e insufficienza patrimoniale. Il debitore “civile”
La postulazione espressa in chiusura del Par. precedente deve, ora, essere più compiutamente dettagliata. Dobbiamo chiederci, infatti, se il concorso sussista già per effetto di un patrimonio insufficiente (come nel caso deciso), ovvero se di concorso si possa parlare solo quando è avviato un procedimento, singolare o collettivo, di attuazione della garanzia patrimoniale. La sentenza qui in commento decide, proprio, un caso in cui un creditore si è lamentato della mancata apertura del fallimento.
L’interrogativo è il seguente: nel caso in cui il debitore avverta che il suo patrimonio non è in grado di far fronte a tutti  i debiti contratti,  deve osservare il principio di parità di trattamento, compreso il principio che differenzia creditori chirografari e creditori privilegiati? Ed in questo caso deve pagare dapprima i creditori  privilegiati perché  sarebbero costoro ad essere preferiti in caso di fallimento (o di esecuzione singolare), o deve pagare i creditori chirografari in quanto meno garantiti (v., art. 1193 c.c.), facendo affidamento sul fatto che poi a fallimento dichiarato i creditori privilegiati saranno trattati meglio?
Abbiamo visto che in una situazione di fisiologia dei rapporti i debiti chirografari debbono essere saldati prima di quelli privilegiati (a parità di scadenza)  in quanto meno garantiti. Ma nel caso di uno scenario di patologia, il criterio  si deve invertire  e i creditori privilegiati vanno soddisfatti per primi. Come è agevole notare, l’insufficienza patrimoniale, da sola, può generare condotte avverse rispetto a quelle legittimamente poste in essere immediatamente prima. Il debitore deve assumere una condotta prudente e già allineata ad una possibile distribuzione coattiva  delle risorse. Vanno soddisfatti i creditori privilegiati sino a quando c’è liquidità per soddisfarli tutti  e per intero; poi vanno remunerati gli altri in misura proporzionale.
Se questa è la soluzione, dal punto di vista pratico potrà spesso porsi il tema  che  pertiene  alla difficoltà  di verificare, costantemente e in modo aggiornato, se vi sia questa sufficienza  del patrimonio; poiché non  è sicuro che questo sia un comportamento esigibile, si potrebbe ben dire che la parità di trattamento  vada invocata solo in presenza non solo di un concorso fra creditori, ma di un concorso che abbia il crisma della giurisdizionalità. Il che si tradurrebbe in una conclusione  opposta  a  quella  patrocinata  dal  giudice di legittimità.
Per sciogliere questo enigma il codice civile non è più sufficiente perché detta una regola, quella della irrevocabilità del pagamento dei debiti scaduti (art. 2901 c.c.) che rileva solo quando il debitore non è assoggettabile al fallimento (e alla liquidazione giudiziale, un domani,
nonché alle altre procedure coattive imposte, come la liquidazione coatta amministrativa e l’amministrazione straordinaria).
Pertanto,  poiché di fronte ad un pagamento di un debito scaduto, il creditore rimasto insoddisfatto non ha  strumenti  di reazione  nei  confronti  di chi  si è avvantaggiato,  quando  il  patrimonio  del  debitore non è in grado di generare risorse sufficienti dobbiamo concludere che rispetto al debitore non assoggettabile al fallimento (o alla liquidazione giudiziale) la sola insufficienza del patrimonio esclude l’applicazione della par condicio. Né la possibile concorsualizzazione dell’insolvenza del debitore civile può modificare l’assetto, dal momento che nella procedura di liquidazione del debitore sovraindebitato (art. 274, D.Lgs. n. 14/2019) non esistono azioni simili alle revocatorie concorsuali. Anzi è proprio da tale disposizione e che evoca l’esercitabilità (soltanto)  dell’azione revocatoria ordinaria da parte del liquidatore che si desume l’impraticabilità delle azioni revocatorie concorsuali. Pertanto, in presenza di un debitore che non  ha la veste di imprenditore, si potrà discutere di parità di trattamento soltanto qualora venga aperta la procedura esecutiva, e dunque solo con riguardo a quei creditori che parteci- pano alla procedura.
Questa postulazione può essere (verosimilmente) estesa anche all’imprenditore sotto-soglia (v., art. 1 l.fall.) nel regime attuale, ma è destinata ad essere superata con il codice della crisi; difatti, l’imprenditore minore che, pur non sarà soggetto a liquidazione giudiziale, deve dotarsi di misure o strumenti (v. artt. 3 CCII e art. 2086 c.c.) idonei a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e deve adottare senza indugio le reazioni adeguate. In tale contesto, mutato il quadro di riferimento normativo, ben si può predicare che l’imprenditore (senza alcuna ulteriore frammentazione dimensionale) fin dall’apparire di uno scenario di crisi, avendo il dovere di intercettarlo  con  anticipo  [9],  sarà tenuto  a  rispettare l’ordine di graduazione verticale, preferendo i creditori privilegiati a quelli chirografari senza più tener conto del criterio della scadenza. Così, se il comportamento virtuoso atteso è una tempestiva attivazione di una soluzione regolativa della crisi, questa mancata reazione genera responsabilità - per violazione delle regole di par condicio - quando il debitore è un imprenditore, pur se a procedura aperta non potrà essere ripristinata la parità di trattamento  rispetto  ai creditori  che  siano stati soddisfatti per l’impossibilità di pervenire alla revocatoria dei pagamenti dei debiti scaduti.
5 . Par condicio e insufficienza patrimoniale. Il debitore “commerciale”
Le nuove regole sopra precisate consentono agevolmente di superare le conclusioni cui si poteva giungere in precedenza che pur identiche negli effetti, muovevano da considerazioni non così sicure. Infatti, l’induzione nel debitore a tenere una condotta rispettosa della par condicio poteva fondarsi sulla norma-paradigma in tema di concorsualità che è quella allocata nell’art. 67 L. fall. (poi art. 166, comma 2, CCII), nella parte in cui si ammette che sono revocabili (anche) i pagamenti dei debiti scaduti, al contrario di quanto predica l’art. 2902 c.c. [10].
La volontà della legge di rendere instabili i pagamenti di debiti scaduti, pur nella cornice temporale di un semestre, induce a ritenere che il debitore che abbia consapevolezza dello stato di insolvenza in cui versa l’impresa deve assumere una condotta idonea a conservare la garanzia patrimoniale declinata, anche, come garanzia da conservare a protezione di tutti i creditori.
Questa postulazione che di fatto conduce ad una soluzione analoga a quella che il codice della crisi renderà più sicura, prima poteva essere revocata in dubbio posto che la revocabilità del pagamento del debito scaduto presuppone, anche, la consapevolezza nell’accipiens dello stato di decozione del debitore che esegue il pagamento [11]; in tal senso, poteva anche essere opinabile l’assunzione della paralisi dell’attività d’impresa in presenza di un contesto di insolvenza non ancora formalizzato.
Ora, però, il codice della crisi consente di reperire un ulteriore appiglio che giustifica l’enunciata affermazione. Infatti, all’art. 4 CCII, là dove vengono stabiliti i doveri delle parti, si precisa che nelle situazioni di crisi il comportamento deve essere improntato a correttezza e buona fede; all’evidenza il precetto va applicato all’interno delle procedure di regolazione della crisi e nella fase delle trattative, ma ragionevolmente esprime un nuovo modo di approcciarsi alle crisi e, quindi, consente di affermare che ancor prima le condotte del debitore debbono proiettarsi sui possibili immanenti scenari di crisi e, pertanto, conformarsi (anticipatamente) alle condotte attese.
I pagamenti di debiti scaduti effettuati in un contesto di insolvenza sono inefficaci perché alterano il principio della parità di trattamento; il debitore-imprenditore non deve eseguirli automaticamente per il solo fatto che siano scaduti (e ciò, quindi, a prescindere dall’atteggiamento dell’accipiens) già prima (dell’ingresso in una procedura di concorso), non appena avverte i segnali della crisi perché a partire da quel momento la gestione dell’impresa deve essere funzionalizzata alla tutela dei creditori prima, dell’impresa e dei soci poi; questo non significa che la gestione debba essere (già) rigidamente conservativa come imposto dall’art. 2486 c.c., ma deve essere orientata alla tutela dei creditori. Tutto ciò vuol dire non ingessare l’impresa ma proiettarla in uno scenario nel quale le ragioni dei creditori sono dominanti; in tale cornice sarà ben possibile effettuare dei pagamenti ad alcuni soltanto dei creditori ma ciò potrà accadere al fine di implementare il valore dell’impresa. Infatti, anche se è vero che non esiste un’ipotesi di esenzione specifica, se si coniuga il miglior interesse dei creditori, con l’esenzione di cui all’art. 166, comma 3, lett. a), CCII (ora art. 67 L. fall.) e con la valorizzazione delle esenzioni di cui alle lettere d) ed e), deve ormai ritenersi immanente nel sistema che la tutela della par condicio è assicurata con la maggior protezione dei creditori.
Il fatto che la par condicio sia un presidio del concorso lo ricaviamo, anche, dalla disciplina penalistica e, segnatamente, dall’art. 322, comma 3, CCII (ora art. 216L. fall.) dove viene disegnata la fattispecie criminosa della c.d. bancarotta preferenziale.
Sin qui si sono poste le basi per assumere che già l’insufficienza patrimoniale giustifica l’applicazione del principio della parità di trattamento - orientato ormai verso il miglior interesse dei creditori - perché una sua violazione è sanzionata dal sistema. In verità, occorre anche stabilire se la sanzione dell’inefficacia del pagamento sia da sola
sufficiente a far predicare che il debitore, al cospetto dell’insolvenza, deve modificare il proprio comportamento rispetto ai creditori. Il dubbio è alimentato dal fatto che il pagamento eseguito in violazione del principio della par condicio, non sarebbe, mai, nullo anche se rappresentativo di una fattispecie delittuosa. Infatti, a questo approdo è giunta da poco la Corte di Cassazione escludendo che l’atto in frode ai creditori sia affetto da nullità [12], visto che la legge dipinge la fattispecie come inefficacia. Le conclusioni assunte dalla Suprema Corte appaiono, quanto meno, controvertibili se la condotta tenuta dal debitore può essere ascritta a quella criminosa di cui all’art. 322 CCII Si fatica a comprendere come un atto che è fattispecie costitutiva di un reato possa non essere considerato nullo. Non è, infatti, condivisibile postulare che non c’è nullità per gli atti in frode ai creditori; infatti, il pagamento di un debito nella cornice dell’insolvenza non è solo un pagamento in frode dei creditori (art. 166 CCII, art. 67 L. fall.), ma è anche un atto in frode alla legge perché la legge eleva a precetto penalmente sanzionato quello del rispetto della par condicio.
In ogni caso quand’anche si ammettesse che l’unica sanzione invocabile possa essere l’inefficacia, resta il fatto che il pagamento del debito scaduto altera la par condicio e viola una regola di doveroso comportamento.
Queste riflessioni conclusive sono, altresì, avvalorate da due norme prelevate dal c.d. ‘diritto societario della crisi’. L’una è costituita dall’art. 2394 c.c. (ora riestesa alle s.r.l. con il nuovo art. 2476 c.c.) che espone gli organi sociali alla responsabilità per danni quando in una situazione di crisi non conservano il patrimonio [13] e l’altra è la stessa disposizione ma in combinato disposto con l’art. 166 CCII, nella parte in cui si assume che gli organi sociali rispondano, anche e proprio, della lesione della par condicio quale violazione di una regola di condotta [14].
Se rimettiamo un poco in ordine tutti i tasselli del mosaico, la scena che osserviamo vede al centro un patrimonio insufficiente (ma ancora tale non dichiarato giudizialmente) e attorno le pretese dei creditori che debbono essere soddisfatte secondo un criterio di parità di trattamento.
6 . Par condicio e concorso giudiziale
Nei parr. precedenti abbiamo visto che il debitore non deve rispettare la par condicio quando è in grado di soddisfare regolarmente le obbligazioni assunte; di poi abbiamo visto che analogamente non esiste un obbligo rispetto al debitore civile pur quando vi sia uno stato di palese insolvenza.
Al contrario, questo obbligo matura per il debitore/imprenditore assoggettabile alla liquidazione giudiziale o anche alla liquidazione da sovraindebitamento. Si tratta, ora, di fare il passo successivo e vedere cosa accade quando il concorso sostanziale fra creditori non si esprime all’interno di un procedimento espropriativo, singolare o collettivo che sia. Difatti, se si apre un procedimento giurisdizionale è evidente che si applichino gli artt. 2740 e 2741 c.c., con il corollario delle disposizioni dettate in materia di graduazione fra crediti e nello specifico si deve avere riguardo all’art. 2777 c.c. Il privilegio si esercita proprio all’interno di un processo esecutivo (singolare o collettivo) [15] e solo nel concorso di più creditori [16].
Sennonché, le criticità dogmatiche sussistono proprio quando il concorso formale non si apre e, vista l’incapienza del patrimonio, si addebita a taluno (il liquidatore sociale, in particolare o, comunque, chi ha gestito l’impresa) di aver violato le regole di graduazione che si sarebbero applicate se il concorso fosse stato aperto (artt. 111L. fall. e 2777 c.c.); fuori dal perimetro del concorso formale un creditore fa valere il proprio diritto nei confronti di chi avrebbe dovuto distribuire le risorse sociali all’esito del processo di liquidazione della società secondo le regole distributive.
La Corte di Cassazione esplicita la postulazione per la quale in presenza di uno stato di insolvenza le regole da applicare sono quelle del concorso, pur quando il concorso non si sia mai formalmente aperto.
Ecco, allora, che in assenza di un concorso formale, occorre stabilire quali possano essere i rimedi che un creditore avveduto possa attivare, dando per scontata la non esperibilità dell’azione revocatoria concorsuale, per difetto di una procedura concorsuale aperta.
7 . L’azione risarcitoria contro l’autore dell’operazione preferenziale
Un filone di ricerca è rappresentato da quella tesi in forza della quale il compimento di un atto lesivo della par condicio viene assunto come condotta imprenditoriale che nelle società di capitali può esporre l’autore ad una delle azioni di responsabilità previste nel codice civile.
Il tema è stato recentemente indagato a proposito dell’azione di responsabilità promossa da una curatela fallimentare (v. supra, nota 15). Tuttavia, assegnare al curatore l’azione di responsabilità per il danno da lesione da par condicio presenta non poche asperità in quanto è tutt’altro che agevole individuare quale danno, in concreto, abbia sofferto la massa dei creditori; tutto ciò non esclude che la configurazione di un pregiudizio sia possibile, ma lo scenario presenta luci e ombre [17].
In tale prospettiva, invece, il caso esaminato dalla Corte Suprema facilita assai la dimensione del danno, posto che chi si pretende danneggiato è un creditore. Ed allora, se si postula che in presenza di una insufficienza patrimoniale di un soggetto-imprenditore che può essere sottoposto a fallimento (o a liquidazione giudiziale), la regola di distribuzione delle insufficienti risorse è, già, la regola della parità di trattamento, il liquidatore sociale che esegua i pagamenti senza osservare le norme in tema di graduazione provoca un danno a quel creditore (o a quei creditori) che avrebbe avuto diritto a percepire qualcosa nel caso in cui ci si fosse attenuti alle regole distributive.
Una volta che l’attivo è stato liquidato e che questo si rivela inadeguato al soddisfacimento dei creditori, la situazione che si manifesta è quella di un concorso non formalizzato e che, ciò nondimeno, impone al liquidatore sociale di non effettuare alcuna distribuzione a favore dei soci; questo, però, è solo il primo obbligo, perché quello immediatamente successivo si sostanzia nel rispetto delle regole distributive del codice civile, talché se il liquidatore procede al pagamento di un credito chirografario in luogo di un credito privilegiato, arreca a questo un danno risarcibile perché correlato ad una condotta anti-giuridica. La soluzione offerta nella decisione in commento appare, pertanto, razionale [18]. L’ultimo frammento da ricomporre pertiene alla condotta che deve essere tenuta non già in fase di liquidazione ma durante societate.
8 . Le regole distributive durante societate
Come si è accennato, quando si discorre di applica- zione di regole distributive all’esterno di una procedura di crisi, sovviene anche il tema dei crediti postergati.
Per ragioni di spazio sia qui consentito dare per scontata la nozione di credito postergato e quando la regola di postergazione disegnata nell’art. 2467 c.c. (e replicata nell’art. 2497 quinquies c.c.) assuma rilievo.
In linea di principio, il credito erogato dal socio allo scopo di finanziare la società è un credito al pari di tutti gli altri e resterà esigibile e da trattare come credito chirografario o privilegiato [19] a seconda della qualità del credito. Tuttavia, se nel momento in cui il credito sorge, la situazione (finanziaria e/o patrimoniale) della società presenta fattori di squilibrio, quel credito ha da intendersi postergato rispetto a tutti gli altri creditori.
Non vi è alcun dubbio che il rimborso del credito debba essere postergato quando si apre una procedura esecutiva (collettiva o singolare) di concorso (fallimentare o concordatario). La postergazione nella graduazione comporta che prima di soddisfare il socio dovranno essere pagati tutti gli altri creditori [20].
Si discute, però, se anche prima dell’apertura del concorso il rimborso del credito debba essere postergato rispetto a quello degli altri creditori, come se perdesse la condizione di esigibilità. Il quesito che si pone è se durante societate il rimborso sia vietato e, di poi, se sia vietato nell’ambito di una liquidazione in bonis.
Così, una prima biforcazione del dibattito vede, da una parte, i sostenitori della tesi (minoritaria) per cui gli apporti dei soci, in forme diverse dal conferimento, effettuati in situazioni di manifesta insufficienza del capitale sociale rispetto alle esigenze dell’impresa, dovrebbero essere riqualificati in apporto di capitale, indipendentemente dal nomen del negozio di finanziamento [21], con l’effetto che non sarebbero mai rimborsabili sino all’estinzione di tutti gli altri debiti.
Da un’altra parte si incontrano i sostenitori della tesi (maggioritaria), condivisibile, secondo la quale i finanziamenti effettuati dai soci nelle situazioni delineate dal comma 2, art. 2467 c.c. manterrebbero natura creditoria [22]: questa ultima soluzione interpretativa appare decisamente preferibile [23]. Sennonché, una volta assunto che si ha a che fare con un vero e proprio credito [24], vi sono coloro che ritengono che la disposizione dell’art. 2467 c.c. abbia natura processuale e che per tale motivo debba trovare applicazione esclusivamente in presenza di un concorso di creditori, dunque esclusivamente nel- l’ambito delle procedure concorsuali e delle esecuzioni forzate individuali [25]; la postergazione rileverebbe, dunque, soltanto quando si tratta di operare la distribuzione delle somme che rinvengono dal patrimonio del debitore.
A tale lettura si contrappone quella di quanti, invece, ritengono trattarsi di fenomeno avente natura
sostanziale e carattere imperativo operante anche durante societate; pertanto, sarebbe vietato agli amministratori il rimborso di tali finanziamenti sino a che non siano pagati tutti gli altri creditori o non sia stata rimossa la condizione di sottocapitalizzazione [26]. Il percorso non è, però, lineare perché oltre alle ipotesi estreme (e cioè in un vertice alto il caso della normale gestione societaria ‘in continuità’ e in un vertice basso l’apertura di una procedura concorsuale) ci deve confrontare anche con lo scenario della liquidazione in bonis e della liquidazione per incapienza del patrimonio ma senza che si possa aprire il fallimento [27].
Non si può negare che dal punto di vista testuale, la circostanza che il legislatore abbia utilizzato il lemma “rimborso” porterebbe a postulare che anche durante la vita della società sia vietato estinguere il debito; tuttavia, prima di dare prevalenza ad una lettura testuale che sancirebbe un divieto che la legge fallimentare e la legge civile in materia di obbligazioni non pongono, è utile portare preliminarmente l’attenzione sul fatto che la cogenza imperativa del disposto dell’art. 2467 c.c. è smentita dallo stesso contenuto, in alcun modo equivocabile, del suo primo comma che dispone che “il rimborso dei finanziamenti ... omissis ... avvenuto nell’anno prece- dente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito” (disposizione ora riallocata nell’art. 164 CCII [28]). Se, infatti, la comminatoria della restituzione interviene solo in caso di fallimento (e solo per le restituzioni infrannuali), non può revocarsi in dubbio, da un lato, che le restituzioni dei finanziamenti soci non sono di per sé vietate e dall’altro, che l’inefficacia non colpisce, neppure in caso di fallimento, i rimborsi intervenuti prima dell’anno anteriore [29].
Sotto il profilo dell’individuazione del periodo temporale sospetto, non può non osservarsi, inoltre, come la scelta del legislatore (rispetto all’art. 2467 c.c.), di definire una speciale comminatoria di inefficacia, diversa e autonoma da quella prevista dall’art. 65L. fall. [30] per i pagamenti dei debiti non scaduti effettuati nei due anni anteriori la dichiarazione di fallimento, costituisca ulteriore prova del fatto che il credito per finanziamenti del socio non può considerarsi “non scaduto” per definizione, come lo si dovrebbe reputare se fosse stato immanente nell’ordinamento, come sostengono i fautori della tesi sostanzialistica, un divieto di suo rimborso. Se il credito non fosse esigibile, sarebbe stata sufficiente la previsione di cui all’art. 65L. fall. [31], o si sarebbe dovuto predi- care che il rimborso costituisce un indebito oggettivo. Orbene, tali conclusioni vanno riviste alla luce del codice della crisi.
La ricollocazione sistematica dell’obbligo di rimborso avvenuto nell’anno anteriore all’apertura del con- corso (v. art. 164 CCII) avvicina detta fattispecie a quella del pagamento anticipato del credito non scaduto che è soggetto alla inefficacia simil-revocatoria; eppure, il fatto che le due fattispecie pur incapsulate nella stessa disposizione siano state tenute separate, induce a ritenere confermato che il credito postergato è un credito scaduto ed esigibile.
Una ulteriore dimostrazione della non condivisibilità della tesi più rigorosa la si rinviene nel fatto che affermare un divieto di restituzione dei finanziamenti soci durante societate, sino a che non siano stati soddisfatti tutti gli altri creditori, equivarrebbe ad assimilare gli stessi - assimilazione che la medesima dottrina nega esistere in profilo diretto - agli apporti di capitale [32].
Va ricordato, allora, che il debitore gestisce il suo patrimonio secondo la sua discrezionalità sino a quando non incontra un limite specifico. Questo limite può essere rappresentato dal fatto che nel suo agire non deve pregiudicare i diritti altrui e ciò può accadere quando, compiendo atti di dismissione del patrimonio [33], impedisce ai creditori di far valere la garanzia generica. Fermi questi limiti, il debitore può manovrare liberamente il suo patrimonio [34].
Va, dunque, ribadito che, in presenza di più obbligazioni passive, il debitore può pagare chiunque, senza alcun obbligo di rispettare la par condicio creditorum sino a quando vi sia la prospettiva di un regolare soddisfacimento di tutti. Il debitore, imprenditore o no che sia, non deve distribuire le risorse in modo paritario fra i creditori, ma deve soddisfare i creditori secondo la fisiologia del rapporto, guardando innanzi tutto alla scadenza dell’obbligazione [35].
Negare, in assenza di un divieto espresso, la libertà degli amministratori di rimborsare durante societate il credito esigibile del socio finanziatore sorto in regime delle condizioni espresse dall’art. 2467 c.c. equivale ad affermare il principio - che non è dato rintracciare nel diritto positivo - che l’adempimento spontaneo del debitore sia soggetto al rispetto della par condicio, mentre nessuno ha mai posto in dubbio la piena sovranità del debitore in bonis nello stabilire quali debiti, esigibili, soddisfare e quali no [36]. L’impostazione sin qui proposta va nella direzione della legittimità del rimborso del credito postergato durante societate; una tesi che, di recente, il giudice nomofilattico ha totalmente smentito condividendo la lettura sostanzialista del fenomeno della postergazione [37]; si tratta di una lettura autorevole (e come sopra enunciato diffusa anche in letteratura) che, però, confligge con un dato di diritto positivo costituito dal fatto che le restituzioni di crediti postergati sono possibili solo in un limitato arco temporale. Ciò posto, anche in coerenza con quanto sostenuto nel testo, la tesi che predica la piena legittimità rispetto al terzo che percepisce il pagamento non esclude che il pagamento possa disvelare una illiceità di altro tipo; per questa ragione, è decisivo tracciare una demarcazione fra obbligazioni per debito e obbligazioni per responsabilità.
Un conto è affermare che il pagamento del debito scaduto, anche se postergato, è legittimo nel senso che sul piano dell’obbligazione per debito non sorge alcuna pretesa alla restituzione (salva la fattispecie del rimborso infrannuale seguito dal fallimento); altro conto è escludere che quel pagamento possa generare una responsabilità in chi lo effettua.
La restituzione del finanziamento postergato, durante societate, potrebbe, allora, generare responsabilità – al pari di quanto stabilito dalla decisione in commento - quando chi lo esegue sia consapevole che il patrimonio esistente al momento del pagamento del debito postergato non sarebbe sufficiente a soddisfare tutti i creditori privilegiati e chirografari. In verità, è proprio il giudice di legittimità, in un brano della decisione, a portare a galla il profilo delle responsabilità là dove sostiene che “Né vale l’obiezione secondo cui, in tal modo, sarebbe inammissibilmente demandata allo stesso organo amministrativo la valutazione discrezionale circa la situazione di crisi: non è diverso, infatti, da quanto si richiede all’imprenditore che proponga il ricorso di fallimento in proprio, ai sensi della L. fall., art. 6, o dal generale obbligo imposto dall’art. 2086 c.c., come riformulato dal D.Lgs. n. 14 del 2019, art. 375.”.
In questa precisazione non vi è quella contraddizione che potrebbe palesarsi a prima lettura. L’illecito, infatti, non è costituito dal rimborso (visto che il rimborso, fuori dalle previsioni di legge, non è soggetto a restituzione) ma dalla violazione del principio di parità di trattamento che l’amministratore deve osservare non appena si avveda dell’incapienza del patrimonio sociale destinato ai creditori. L’amministratore viola una regola di condotta (quella che pertiene all’orientamento della gestione imprenditoriale in funzione della salvaguardia degli interessi dei creditori) quando distribuisce le risorse con modalità distoniche a quelle che, invece, consentirebbero un miglior soddisfacimento per tutti, in base alle categorie dei crediti. In tale contesto, non è automatico che il rimborso del debito postergato costituisca un illecito perché, comunque, occorrerà verificare se una tale operazione non abbia consentito altri vantaggi compensativi che possano avere prodotto, alla fine, un risultato migliore per tutti i creditori.



*Il saggio è estratto da Il Fall., 3/2020, p. 333

Note:

[1] 
L’ampiezza  della  materia e la  necessità di  contenere il contributo in un ‘taglio’ editabile hanno reso inevitabile condire l’elaborato  con  una  bibliografia  essenziale e ci si  scusa per  le molteplici omissioni. In luogo  di molti v., P. Gallo, sub  art. 2741, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Milano, 2016, 923; G. Amadio - F. Macario, Diritto civile, I, Bologna, 2014, 486;  V. Roppo, Par  condicio creditorum,  in  Trattato di  diritto privato, diretto da P. Rescigno, Torino, 2008, 529 ss.; J.M. Garrido, Preferenza e proporzionalità nella tutela del credito, Milano, 1998, 280;  L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale, in Il codice civile.
Commentario, diretto da  P.  Schlesinger, Milano,  1991, 88;  M. Rescigno, Contributo allo studio della par condicio creditorum, in Riv. dir. civ., 1988, I, 370;  V. Colesanti, Mito  e realtà  della  par condicio creditorum, in Fall., 1984, 32 ss.;  P.G. Jaeger, Par condi- cio creditorum, in Giur. comm., 1984, I, 102;  S. Ciccarello, Privi- legio del credito e uguaglianza dei creditori, Milano, 1983, 23 ss. 
[2] 
F. Di Marzio, La riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2018, 4.
[3] 
P. Gallo, sub  art.  2740, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Milano, 2016, 841. 
[4] 
R. Conte, Il sequestro  conservativo nel  processo civile, Torino, 2000, 11 ss.
[5] 
L. Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, in Trattato di diritto civile, fondato da F. Vassalli, Torino, 1994, 175 ss. 
[6] 
A. Proto  Pisani,  Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014, 32 ss.;  I. Pagni,  Tutela  specifica e tutela per  equivalente, Milano, 2004, 9.
[7] 
E. Damiani,  sub  art. 1193  c.c.,  in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Milano, 2012, 520; A. di Majo, Paga- mento (diritto civile), in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, 567; Cass. 3 ottobre 2013, n. 22639, in Foro it., Rep. 2013, voce Obbligazioni in genere, n. 51.
[8] 
Secondo Cass. 12 luglio 2005, n. 14594, in Foro  it., Rep. 2005, voce  cit.,  n. 43,  “La disciplina  dell’imputazione del  paga- mento, pur presupponendo l’esistenza di una pluralità di rapporti obbligatori omogenei tra le medesime parti,  è applicabile analo- gicamente anche in presenza di una pluralità di creditori, qualora uno di essi sia legittimato a ricevere il pagamento sia in proprio che per conto dell’altro”.
[9] 
Per una diversa lettura sul modo in cui debbono orientarsi le scelte di gestione degli amministratori v. M. Fabiani, L’azione dei creditori sociali e le altre  azioni sostitutive, Milano,  2015, 35 ss. (per il quale il valore della tutela dei creditori entra sulla scena già in una situazione “grigia” della società) e P. Benazzo, Il Codice della crisi di impresa e l’organizzazione dell’imprenditore ai fini dell’allerta:  diritto  societario della  crisi o crisi del diritto  societario?,  in Riv. Società, 2019, 274  (secondo il quale, invece, l’adeguatezza degli assetti organizzativi e la loro efficacia - ed efficienza - siano strumenti di tutela dei  creditori sociali  solo  in via mediata: nel senso che la loro portanza può essere colta, più immediatamente e più fruttuosamente, se la si pensa essenzialmente in termini di opportunità per l’imprenditore); v., anche con particolare riguardo alla adeguatezza degli assetti, N. Abriani - A. Rossi, Nuova  disci- plina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, in Società, 2019, 393; M. Spiotta, Continuità aziendale e doveri  degli  organi  sociali,  Milano,  2017, 125;  F. Pacileo, Conti- nuità e solvenza nella crisi di impresa, Milano, 2017, 109. 
[10] 
M. Fabiani, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2017, 196; S. Bonfatti, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori. Le azioni revocatorie, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da A. Jorio - B. Sassani, II, Milano, 2014, 198; M. Porzio, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore - A. Bassi, II, Milano, 2010, 353. 
[11] 
E. Bertacchini, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, Milano, 2006, 1380; G. Terranova, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Commentario Scialoja-Branca alla legge fallimentare, Bologna-Roma, 1993, 86. 
[12] 
Per Cass. 28 settembre 2016, n. 19196, in Foro it., Rep. 2016, voce Contratto in genere, n. 407, “La violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto, giacché l’art. 1418, 1° comma, c.c., con l’inciso “salvo che la legge disponga diversamente”, impone all’interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso di inosservanza del precetto, abbia consentito la validità del negozio predisponendo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti della norma, sicché, in assenza di un divieto generale di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, la stipulazione di un contratto di mutuo ipotecario in violazione dell’art. 216, 3° comma,L. fall., che punisce la condotta di bancarotta preferenziale, non dà luogo a nullità per illiceità di causa, ai sensi del citato art. 1418, ma costituisce il presupposto per la revocazione degli atti lesivi della par condicio creditorum”; per il versante penalistico v., C. Santoriello, La posizione del creditore favori nel delitto di bancarotta preferenziale: le possibili responsabilità penali, in Società, 2019, 233.
[13] 
In luogo di molti, v., A. Luciano, La gestione della s.p.a. nella crisi pre-concorsuale, Milano, 2016, 16 ss.; F. Brizzi, Doveri degli amministratori e tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, Torino, 2015, 11 ss. 
[14] 
Cass., SS.UU., 23 gennaio 2017, n. 1641, in questa Rivista, 2017, 149; per due opposte letture v., G. Fauceglia, Brevi note sul risarcimento dei danni per pagamenti preferenziali, in Società, 2017, 595 (contro la tesi affermata in decisione) e L. Balestra, Azioni di responsabilità e legittimazione del curatore: la questione dei pagamenti preferenziali, in questa Rivista, 2017, 662 (a favore). 
[15] 
Fr. Vassalli, Diritto fallimentare, I, Torino, 1994, 19; G. Tucci, Privilegi, in Enc. giur., XXIV, Roma, 1991, 3; G.P. Gaetano, Privilegi, in Noviss. Dig. it., XIII, Torino, 1966, 35. S. Ciccarello, Privilegio del credito e uguaglianza dei creditori, Milano, 1983, 14, giustamente osserva che il privilegio assume rilievo soltanto se il patrimonio del debitore risulta incapiente a soddisfare i più creditori. 
[16] 
A. Bassi, I problemi della “finanza esterna” nel concordato preventivo, in Crisi e insolvenza, Scritti in ricordo di M. Sandulli, Torino, 2019, 81; A. Patti, I privilegi, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 2003, 27. 
[17] 
V., N. de Luca, Pagamenti preferenziali e azioni di responsabilità, in questa Rivista, 2018, 945, il quale pone in evidenza le difficoltà ricostruttive nell’attribuzione del diritto ad agire in responsabilità in capo al curatore, mentre assai più agevole è il riconoscimento di un diritto risarcitorio al singolo creditore. 
[18] 
Nello stesso senso v., Trib. Milano 6 agosto 2014, in Giur. it., 2015, 393; Trib. Genova 2 aprile 2013, in Società, 2014, 301; Trib. Genova 14 marzo 2013, in Giur. it., 2013, 2273; Trib. Milano 22 dicembre 2010, in Società, 2011, 757; Trib. Firenze 12 ottobre 1995, in Giur. comm., 1996, II, 562. 
[19] 
Si pensi al caso del finanziamento assistito da una garanzia ipotecaria; in tal caso l’ipoteca conserva la propria efficacia ma fra creditori di pari rango e dunque, il credito ipotecario ma postergato, è subordinato a tutti i crediti estranei ma è preferito agli altri crediti postergati v., Cass. 20 giugno 2018, n. 1629, cit.; Trib. Verona 22 novembre 2013, in www.ilcaso.it; Trib. Vicenza 13 luglio 2015, in www.ilcaso.it. 
[20] 
D. Galletti, Il concorso nel fallimento, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, Milano, 2016, 1291 ss. 
[21] 
In luogo di molti, v., G.B. Portale, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, in Banca, borsa, tit. cred., 2003, I, 681 ss.; A. Nigro, Diritto societario e procedure concorsuali, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa - G.B. Portale, I, Torino, 2007, 195 ss.; G. Guizzi, Partecipazioni qualificate e gruppi di società, in AA.VV., Diritto delle società. Manuale breve, Milano, 2005, 259 ss.; in giurisprudenza, Trib. Firenze 26 aprile 2010, in www.ilcaso.it. 
[22] 
La letteratura è vastissima, fra i molti, L. Benedetti, I finanziamenti dei soci e infragruppo alla società in crisi, Milano, 2017, 255 ss.; G. Tantini, I versamenti dei soci alla società, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo - G.B. Portale, I***, Torino, 2004, 798 ss.; M. Maugeri, Finanziamenti “anomali” dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005, 260 ss.; G. Presti, sub art. 2467, in Codice commentato delle s.r.l., diretto da Benazzo - Patriarca, Torino, 2006, 112 ss.; D. Vattermoli, La subordinazione “equitativa” (Equitable Subordination), in Riv. Società, 2009, 1390 ss. e poi, amplius, Id., Crediti subordinati e concorso tra creditori, Milano, 2012, 126 ss.; G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata (Artt. 2462- 2474), I, sub art.2467, in Il Codice Civile. Commentario, fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2010, 463 ss.; U. Tombari, “Apporti spontanei” e “prestiti” dei soci nelle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società, diretto da Abbadessa - Portale, Torino, 2006, I, 553 ss. In giurisprudenza, v., ex plurimis, Cass. 4 febbraio 2009, n. 2706, in questa Rivista, 2009, 789; Trib. Terni 26 aprile 2012, in www.ilcaso.it; Trib. Padova 16 maggio 2011, in questa Rivista, 2012, 219; Trib. Messina 4 marzo 2009, in questa Rivista, 2009, 795; Trib. Milano 15 marzo 2008, in Pluris. Contra, G.B. Portale, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, cit., 678 ss.; Fr. Vassalli, Sottocapitalizzazione delle società e finanziamenti dei soci, in Riv. dir. impr., 2006, 263 ss.; G. Bartalena, I finanziamenti dei soci nella s.r.l., cit., 397 ss.
[23] 
Sempre per ragioni di continenza, sia consentito rinviare a M. Fabiani, La struttura finanziaria del concordato preventivo, Bologna, 2019, 83 ss. 
[24] 
In tal senso si postula che il creditore postergato possa chiedere il fallimento della società debitrice v., Trib. Lecco 4 ottobre 2017, ined.; Trib. Rovigo 18 agosto 2017, in www. ilcaso.it; Trib. Lecce 13 gennaio 2015, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, 765; Trib. Firenze 6 giugno 2012, in www.unijuris.it; D. Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., 1292 ss. il quale osserva, anche, che il credito postergato va computato ai fini della soglia dei trentamila euro di cui all’art. 15L. fall.; per Trib. Prato 25 febbraio 2015, in www.ilcaso.it, il creditore postergato può agire con l’azione revocatoria ordinaria, in quanto creditore; in dottrina, v., T. Marsili, La (ir)rilevanza dei debiti per il rimborso dei finanziamenti soci ex art. 2467 c.c. relativamente alla configurazione dello stato d’insolvenza della società in liquidazione, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, 766 ss. 
[25] 
D. Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., 1291 ss.; S. Bonfatti, Prestiti da soci, finanziamenti infragruppo e strumenti ibridi di capitale, in Il rapporto banca-impresa nel nuovo diritto societario. Atti del Convegno di Lanciano 9-10 maggio 2003, a cura di S. Bonfatti - G. Falcone, Milano, 2004, 311 ss.; M. Irrera, sub art. 2467, in Il nuovo diritto societario, diretto da G. Cottino, Bologna, 2004, 1794 ss. A questa conclusione perviene, se si vuole, anche G. Ferri jr., In tema di postergazione legale, in Riv. dir. comm., 2004, 975 ss., là dove esclude che gli amministratori possano rifiutare la richiesta di pagamento formulata dal socio finanziatore; G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Il codice civile. Commentario, fondato da Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2010, 467 ss. 
[26] 
Cfr. A. Messore, La compensazione del debito da aumento di capitale e la postergazione legale dei finanziamenti soci, in Banca, borsa, tit. cred., 2018, II, 380 ss.; F. Briolini, Verso una nuova disciplina delle distribuzioni del netto?, in Riv. Società, 2016, 64 ss.; G. Strampelli, Distribuzioni ai soci e tutela dei creditori, Torino, 2009, 57 ss.; G. Balp, I finanziamenti dei soci sostitutivi del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, in Riv. Società, 2007, 344 ss.; M. Resci- gno, Problemi aperti in tema di s.r.l.: i finanziamenti dei soci, la responsabilità, in Società, 2005, 15 ss., 319 ss.; P. Gobio Casali, I finanziamenti dei soci tra postergazione e azioni revocatorie, in www.ilcaso.it; E. Marchisio, I “finanziamenti anomali” tra poster- gazione e prededuzione, in Riv. not., 2012, 1295 ss.; Trib. Milano 6 febbraio 2015, in www.ilcaso.it.
[27] 
Nel caso della liquidazione volontaria in bonis si tende ad affermare che il rimborso può essere effettuato e che la natura postergata del credito del socio debba essere eccepita dagli amministratori v., Trib. Milano 14 marzo 2014 e 15 gennaio 2014, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; meno agevole è apprezzare cosa debba accadere quando si apre una liquidazione volontaria ma emerge la circostanza che le risorse sono insufficienti per remunerare tutti i creditori. In tale ipotesi ci si chiede se lo scenario liquidatorio sia equiparabile alle regole del concorso o se queste non possano essere importate. Una risposta è stata fornita da D. Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., 1292 ss., ad avviso del quale l’amministratore non dovrebbe porsi questo interrogativo ma in presenza di uno stato di crisi dovrebbe attivare, necessariamente, una reazione facendo accesso ad un procedimento regolativo della crisi, sì che non facendolo si espone a responsabilità; v., anche a proposito del ricorrere di una fattispecie di responsabilità dell’organo amministrativo; Trib. Bari 5 febbraio 2018, in Ilsocietario.it. Per la tesi della applicabilità dei principi esposti nel testo durante societate, v., A. Picciau, Esigibilità dei finanziamenti postergati ex lege e loro rilevanza ai fini dello stato di insolvenza della società, in Giur. comm., 2018, I, 265 ss.; M. Prestipino, Diritto al rimborso e postergazione nella disciplina dei finanziamenti dei soci, Milano, 2015, 127 ss.
[28] 
“Sono privi di effetto rispetto ai creditori i rimborsi dei finanziamenti dei soci a favore della società se sono stati eseguiti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della procedura concorsuale o nell’anno anteriore. Si applica l’articolo 2467, secondo comma, codice civile.”. 
[29] 
Così anche, S. Bonfatti, Prestiti da soci, finanziamenti infragruppo e strumenti ibridi di capitale, cit., 311 ss.; G. Lo Cascio, La postergazione e la restituzione dei rimborsi dei finanziamenti, in La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, VIII, Milano, 2003, 79 ss.; D. Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., 1292 ss. 
[30] 
Ancorché giustamente Cass. 24 ottobre 2017, n. 25163, in dejure.it, abbia precisato che l’azione promossa dal curatore è azione che deriva dal fallimento ai sensi dell’art. 24 L. fall.
[31] 
D. Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., 1292 ss.; contra, Paolucci, sub art. 2467, in Società a responsabilità limitata, Commentario Scialoja-Branca al codice civile, Bologna, 2014, 301 ss.; M. Campobasso, sub art. 2467, cit., 254 ss. 
[32] 
Così ritiene G. Bartalena, I finanziamenti dei soci nella s.r.l., cit., 394 ss. 
[33] 
C. Miraglia, Responsabilità patrimoniale, in Encicl. giur., Roma, 1991, XXVII, 5 ss. 
[34] 
Per una simile, ma più rigorosa impostazione v., Cossu, Revocatoria ordinaria (azione), voce del Dig. civ., XVII, Torino, 1998, 453 ss. 
[35] 
A. Patti, I privilegi, cit., 27 ss.; V. Roppo, La responsabilità patrimoniale del debitore, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, XIX, Torino, 1985, 408 ss.
[36] 
A. Patti, Fallimento e sistemi di graduazione dei crediti, in Dir. fall, 2002, I, 1414 ss.; L. Mandrioli, La disciplina dei finanzia- menti soci nelle società di capitali, in Società, 2006, 177 ss. 
[37] 
Cass. 15 maggio 2019, n. 21745, in www.ilcaso.it, ha sostenuto che sia la lettera, sia la ratio della disposizione, conducono alla preferenza per l’opzione interpretativa sostanzialistica. Ad avviso della Cassazione, il credito del socio, in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o laddove sarebbe stato ragionevole un conferimento, subisce una postergazione legale, la quale non opera una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull’ordine di soddisfazione dei crediti. Il legislatore, tra le tecniche disponibili al riguardo, ha escluso la riqualificazione del prestito ed optato per la postergazione: non muta ex lege la causa della dazione, che resta quella del mutuo e non diventa causa di conferimento, talché i finanziamenti costituiscono prestiti e non apporti di capitale, alla cui disciplina - rimborsabilità solo all’esito della liquidazione e, quindi, dopo la restituzione anche dei prestiti anomali - non sono soggetti. Tutta- via - ed è questo un passaggio decisivo - l’effetto della posterga- zione è automatico, non dipendendo da una conoscenza effettiva dello stato della società o dall’intenzione delle parti, ed impone al giudice, richiesto del rimborso, di accertare, sulla base delle risultanze processuali in atti, se la situazione sociale ricada in una delle fattispecie ex art. 2467 c.c., comma 2. Ne deriva che l’integrazione delle fattispecie indicate nel comma 2, art. 2467 c. c., produce effetti negoziali sul diritto del socio alla restituzione della somma finanziata: il credito restitutorio, sebbene eventualmente sia anche scaduto il termine previsto per l’adempimento ex art. 1813 c.c., non è esigibile. La postergazione prevista dalla norma finisce, così, per operare come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, la quale statuisce l’inesigibilità del credito in presenza di una delle situa- zioni previste dall’art. 2467 c.c., comma 2, con un impedimento (solo temporaneo) alla restituzione della somma mutuata. Sempre secondo la Corte, ne deriva l’ulteriore conseguenza che la società e, per essa, l’organo amministrativo può, ed anzi deve rifiutare il rimborso del prestito, sino a quando non siano venute meno le predette condizioni. Quando, invero, sia stato superato lo squilibrio patrimoniale e, quindi, la situazione di rischio per i creditori sociali che ne discende e che la norma pone a fondamento della regola di postergazione - il credito del socio ritorna ordinariamente esigibile, sebbene non fossero stati a quel momento adempiuti tutti gli altri debiti sociali: potendosi allora ritenere realizzata una situazione di soddisfazione, sia pure “astratta”, dei creditori esterni e dunque esistente uno status di regolare esigibilità.

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Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

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  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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