Spostando l’angolo visuale dalla misura di protezione al più generale percorso attivato con la nomina dell’Esperto, occorre ora esaminare, sempre in punto di proroga, la norma recata all’art. 17, comma 7, CCII che, nel delimitare l’oggetto ed il perimetro di intervento richiesto, dispone, in ordine alla durata dell’incarico dell’Esperto, che esso “si considera concluso se, decorsi centottanta giorni dalla accettazione della nomina, le parti non hanno individuato, anche a seguito di sua proposta, una soluzione adeguata per il superamento delle condizioni di cui all'articolo 12, comma 1”; prevedendo che “L'incarico può proseguire per non oltre centottanta giorni quando tutte le parti lo richiedono e l'esperto vi acconsente, oppure quando la prosecuzione dell'incarico è resa necessaria dal ricorso dell'imprenditore al tribunale ai sensi degli articoli 19 e 22”.
La formulazione del testo appare inequivoca nel senso di individuare due distinte fattispecie, cui conseguono altrettanti diversificati obblighi di allegazione documentale.
La particolarità, già annotata, del “disallineamento” tra la durata della composizione negoziata (il cui primo termine è di 180 giorni) e quella delle connesse misure protettive (il cui primo termine scade, invece, a 120 giorni) impone una trattazione invertita, dovendo prioritariamente prendere in esame la fattispecie in cui l’imprenditore ha già ottenuto la conferma delle misure protettive ex art. 19, comma 5, CCII (o anche ex art. 22 CCII) e, dunque, insta per “allineare” la misura ottenuta con il prosieguo delle trattative.
La logica della subordinata disposizione appare abbastanza intuitiva e prescinde dal consenso delle parti alle quali non si impone la partecipazione alla richiesta.
Se, infatti, l’imprenditore ha dato dimostrazione di trattative avanzate e, all’esito del parere favorevole dell’esperto, il Tribunale ha concesso le ulteriori misure protettive (fino al limite di ulteriori 120 giorni), diventa pressoché necessario che la procedura negoziata continui nel suo percorso, quantomeno fino alla scadenza delle misure giudiziali ottenute.
Ciò impone, dunque, esclusivamente di verificare se le condizioni che hanno reso opportuna la proroga siano eventualmente mutate, tenendo presente, però, che la proroga, se non richiesta dalle parti, può operare solo fino alla naturale scadenza delle misure protettive.
In detta ipotesi, dunque, il focus si sposta sulla verifica dei presupposti di permanenza delle condizioni atte a portare a termine il percorso di negoziazione e sulla compatibilità della scadenza richiesta.
Va da sé, allora, che anche in detta ipotesi il compito dell’Esperto tenda nuovamente ad ampliarsi fino a ricomprendere il “consenso“ alla proroga della composizione negoziata e, dunque, alla prosecuzione del suo incarico, tenendo presente che, qualora si rilevino rilevanti modifiche, il termine potrà essere abbreviato ex art. 17, comma 5, CCII e che un’ulteriore proroga, senza, ovviamente poter godere della copertura delle misure protettive, non più procrastinabili, potrà essere concessa dall’Esperto solo in presenza di un’istanza congiunta di tutte le parti interessate dal procedimento e nel limite massimo dei 180 giorni, non ritenendo incompatibile un utilizzo frazionato del termine.
Ciò posto, maggiori profili di problematicità si annidano nella valutazione della prima ipotesi la quale, scevra da ogni automatismo, impone che, al fine di ottenere la proroga, sia necessario che l’istanza venga sottoscritta da tutte le parti coinvolte nella negoziazione.
Qui l’indagine da compiere va operata sotto due diversi profili, ovvero quello più propriamente formale, riferito all’esistenza delle condizioni di legge, e quello, decisamente più sostanziale, che si risolve nella valutazione di prognosi in ordine alla proficuità del maggior termine da concedere, parametrato alla concretezza degli obiettivi raggiungibili.
La prima questione preliminare che si pone è quella di definire il concetto di “parti” e, conseguentemente, il perimetro interpretativo della “totalità delle parti” richiedenti.
La disposizione normativa di cui al D.Lgs. n. 14/2019 omette ogni preciso riferimento in ordine a detta locuzione, lasciando all’operatore una lettura più o meno ampliata che resta, per vero, condizionata dalla necessità di interpretare il profilo totalitario, con la conseguenza di imporre, anche in tal caso, un’inversione di trattazione.
Pensare di poter ottenere un consenso unanime riferito a tutti i soggetti interessati alla negoziazione ed anche agli strumenti concorsuali di cui al comma 2 dell’art. 23 CCII, significa, con buona probabilità, frustrare la stessa essenza della norma istitutiva della composizione negoziata, a meno di non voler pensare che l’istituto della proroga oltre i 180 giorni sia condizione talmente speciale da richiedere il rafforzamento di detto parametro, anche oltre misura. Ciò in quanto, al di là di residuali posizioni, tipiche degli strumenti concessi dal comma 1 dell’art. 23 CCII, è ben difficile che l’imprenditore riesca a portare al tavolo delle trattative tutti i soggetti che, seppur non interessati, subiscono in ogni caso un pregiudizio dalla soluzione individuata.
Se questo è il quadro di riferimento, in una accezione più ampia e limitando per semplicità l’indagine ai soli creditori, è possibile far rientrare nel concetto di “tutte le parti”, intese come posizioni meritevoli di considerazione e di esame, sicuramente quelle che hanno partecipato alle trattative e che manifestano un atteggiamento proattivo; lasciando fuori dal perimetro quei creditori che, invece, hanno espressamente manifestato il loro definitivo dissenso, dichiarandosi “estranei” alle trattative e quelli che hanno assunto un atteggiamento di totale disinteresse, non rispondendo alle sollecitazione della negoziazione. Ad ampliare tale dicotomia vi sarebbe da qualificare il ruolo dei restanti soggetti che, pur avendo partecipato agli incontri, assumono un comportamento “attendista”, senza prendere concreta posizione.
La caratterizzazione di cui sopra ha, però, un senso rispetto al tema indagato nella misura in cui si “pesi” il valore delle parti, attribuendo dignità all’ammontare del credito ed alle eventuali posizioni dominanti, ricalibrando i rapporti tra “interessati”, “disinteressati”, “dissenzienti” ed “incerti” sulla base del rispettivo peso specifico da commisurarsi, tra l’altro, allo strumento di exit individuato.
Sul punto, non convince la tesi, pure sostenuta in giurisprudenza
[8], ma troppo semplicistica, che le parti siano “i partecipanti alle trattative” perché così interpretando si rischierebbe paradossalmente di far affidamento anche su un solo creditore, magari di modesta entità, laddove questi sia l’unico partecipante alle trattative; così come non convince la posizione di coloro che ritengono rilevanti le parti con il credito, in assoluto, più elevato, riferendosi alle diverse categorie di creditori.
Interessante, invece, seppur con un concetto da ampliare, è l’interpretazione offerta da altra giurisprudenza di merito
[9] secondo la quale l’espressione “tutte le parti” va “più correttamente riferita ai creditori con i quali le trattative sono ancora in corso, per i quali ha ancora rilievo la prosecuzione dell’incarico dell’esperto al fine di verificare la possibilità di concludere favorevolmente il percorso di risanamento intrapreso dal debitore”. Cosicché ritenuto “irrilevante il consenso sia di coloro con i quali il debitore abbia già raggiunto un accordo, sia dei creditori che abbiano già definitivamente espresso la volontà di non aderire ad alcuna ipotesi di risoluzione negoziale della crisi”, ciò che conta è valorizzare tutte le residue posizioni - dando rilievo soprattutto ai creditori che hanno partecipato alle trattative ma non hanno voluto manifestare alcuna intenzione, né tantomeno richiedere espressamente la proroga- per verificare se, secondo il prudente apprezzamento dell’esperto, l’
exit individuato dal debitore sia ancora ragionevolmente perseguibile, operando una “prova di resistenza” che, a parità di adesioni e dissensi espressi, valuti la tenuta dell’accordo in caso di astratta adesione dei creditori “incerti”,
id est sia quelli che hanno richiesto la proroga, sia anche quelli rimasti silenti, ma non definitivamente dissenzienti.
Così ricostruito il sistema, va da sé che diventa rilevante ai fini che qui interessano non tanto la manifestata ed espressa volontà di proroga (che per vero, pure rafforza la convinzione della attendibilità ed affidabilità della proposta del debitore), quanto piuttosto il “mancato espresso dissenso” dei partecipanti alle trattative, potendo ritenere che la proroga serva proprio per “recuperare” l’adesione degli “incerti”.
In tal senso la norma andrebbe interpretata cum grano salis ritenendo che debbano essere contemporaneamente presenti un “interesse”, corrispondente ad una manifestata volontà di proroga seppur solo di alcuni soggetti (meglio se di elevato importo), ed una “possibilità”, corrispondente alla valutazione di buon esito in caso di adesione dei creditori che non hanno, a quel momento, maturato un ragionevole “convincimento”.
Percorrendo questa via potrebbe così recuperare vigore anche una recente interpretazione assunta in dottrina
[10] secondo la quale la proroga può essere decisa “unilateralmente” solo dall’esperto su semplice istanza del debitore e senza il coinvolgimento delle (altre) parti (diverse dal debitore) “qualunque estensione logico-semantica si voglia dare al concetto di “parte”.
D’altronde, se si guarda in ottica di tutela dei creditori, non sfugge che il prosieguo “puro” della composizione negoziata, specie dopo la scadenza dei 240 giorni di copertura delle misure protettive ex art. 18 CCII, non reca alcun pregiudizio alle ragioni dei creditori che possono, in autonomia, decidere se continuare ad affidare il debitore o abbandonare definitivamente la negoziazione e dare avvio alle azioni di recupero del credito.
Argomentando in tal senso, seppur con interpretazione estensiva e non del tutto rispettosa del dato testuale, il primo profilo si lega agevolmente a quello che si è definito più propriamente sostanziale, spostando l’attenzione sulla prognosi in ordine alla proficuità del maggior termine da concedere. E qui viene in evidenza il comportamento assunto dalle parti, in primis dall’imprenditore, sia in tema di ordinato processo, che di impegno profuso nella produzione di adeguata documentazione.
Un’analisi di tal fatta consente all’Esperto, superato il profilo inerente la “totalità delle parti”, di operare una corretta prognosi delle trattative e, quantomeno in maniera incidentale, di operare una penetrante valutazione del comportamento assunto dal debitore, sia in ottica di anticipazione della futura relazione, nella quale sarà chiamato a valutare la conformità del comportamento tenuto ai canoni di buona fede e correttezza, sia in punto di “rimedio” ad eventuali ritardi o inesattezze, condizionando anche la durata della proroga da concedere.
Va da sé, infine, che, quand’anche l’effettivo destinatario della richiesta pare essere, almeno formalmente, la Camera di Commercio competente presso la quale è stata aperta la composizione negoziata (con una allegazione che va operata sulla piattaforma), il potere di veto resta saldamente nelle mani dell’Esperto chiamato ad “acconsentire” alla proroga, sicché si annota il ruolo meramente certificativo dell’Ente Camerale, il quale non potrà che limitarsi a prendere atto della documentazione depositata e soggiacere alle decisioni dell’Esperto.
In chiave operativa va, infine, ricordato che, in entrambi i casi presi in esame, pare opportuno che l’istanza ed il “consenso” dell’Esperto, una volta depositati in Piattaforma telematica vengano veicolati all’imprenditore (che ben potrà essere onerato dell’obbligo di annotazione della proroga al Registro delle Imprese), ed alla Commissione, per poi essere inoltrati a tutti i creditori.