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Saggio

La previsione di insufficiente realizzo*

Alessandro Motto, Ordinario di diritto processuale civile nell’Università degli Studi dell’Insubria

16 Settembre 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il lavoro esamina l’istituto della previsione di insufficiente realizzo disciplinato all’art. 209 CCII. Dopo avere analizzato le finalità, gli effetti e i presupposti dell’istituto, sono illustrate le regole di carattere procedimentale e la disciplina del reclamo avverso il decreto del tribunale che dispone di non darsi luogo al procedimento di verifica del passivo. Infine, è esaminata l’ipotesi, non disciplinata dal legislatore, in cui il tribunale rigetti l’istanza, con particolare riguardo ai profili relativi alla forma del provvedimento e al relativo regime giuridico.
Riproduzione riservata
1 . La previsione di insufficiente realizzo: finalità, effetti e presupposti
L’art. 209 – in modo pressoché identico alle disposizioni dell’art. 102 L. fall. introdotte dal D.Lgs. n. 5/2006, come modificate dal D.Lgs. n. 169/2007 e dal D.Lgs. n. 179/2012 [1]  – prevede che il procedimento di accertamento del passivo relativamente ai crediti concorsuali sia omesso, se risulta che non vi è, e non sia acquisibile, attivo da distribuire ad alcuno dei creditori che abbiano chiesto l’ammissione al passivo, salva la soddisfazione dei crediti prededucibili e delle spese della procedura [2]. 
L’istituto – come indica la Relazione al D.Lgs. n. 5/2006 – ha finalità di economia processuale: sarebbe inutile, e costituirebbe solo un dispendio di attività e risorse, accertare i crediti da soddisfare con il ricavato dalla liquidazione dell’attivo, quando non vi sono realistiche possibilità di distribuzione delle somme, a favore di coloro che, all’esito del procedimento di verifica, risultassero essere creditori del debitore. Solo a questa condizione, che, nella prospettiva del singolo creditore, si risolve nella carenza di interesse ad agire rispetto alla domanda di ammissione al passivo, si giustifica che per questi crediti non abbia luogo il procedimento di verifica, la cui unica finalità è accertare “soltanto ai fini del concorso” (art. 204, comma 5) i diritti dei creditori pecuniari, essenziale presupposto (art. 151, comma 2) affinché essi possano concorrere sul patrimonio del debitore (art. 151, comma 1 e 2), ottenendo il soddisfacimento (almeno parziale) dei loro crediti nel procedimento di attuazione della responsabilità patrimoniale del debitore (art. 2740 c.c.).
Nel suo concreto operare, la disposizione non arreca pregiudizio ai creditori istanti, neppure in relazione a forme di tutela dei loro diritti esterne alla procedura concorsuale: essi possono comunque accedere ai benefici fiscali connessi alla presentazione della domanda di ammissione al passivo del debitore insolvente[3] e, quanto ai lavoratori subordinati, ai benefici del Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2 L. n. 297/1982[4].
A differenza della chiusura del fallimento ai sensi dell’art. 223, comma 1, lett. d), che può essere disposta in qualsiasi momento, quando si accerti che l’attivo sia insufficiente a soddisfare, oltre ai creditori concorsuali, anche i creditori prededucibili e le spese di procedura, l’istituto si applica nei casi in cui l’attivo sia insufficiente a consentire la distribuzione delle somme ai creditori concorsuali che abbiano proposto la domanda di ammissione al passivo, ma, nondimeno, sia di entità tale da permettere di effettuare pagamenti (almeno parziali) a favore dei creditori prededucibili e per il soddisfacimento delle spese di procedura.
Il tribunale dispone con decreto motivato che non abbia luogo il procedimento di accertamento del passivo “relativamente ai crediti concorsuali”, i quali sono oggetto delle domande di insinuazione, sia tempestive sia tardive. Pertanto, la procedura di liquidazione giudiziale non è chiusa, ma continua per il soddisfacimento dei crediti prededucibili e delle spese di procedura, e a tale fine dovranno essere compiute le attività di liquidazione dell’attivo e di distribuzione del ricavato[5].
Peraltro, all’interno della procedura che, seppure in forma semplificata, prosegue, può avere luogo anche il procedimento di verifica, se sia necessario accertare i crediti prededucibili contestati (cfr. l’art. 222, comma 1), oppure se occorra accertare i diritti, reali o personali, su beni mobili o immobili acquisiti all’attivo, oggetto di domande di rivendica o di restituzione.
Il curatore deve predisporre le relazioni e i rapporti riepilogativi di cui all’art. 130, con l’avvertenza che la relazione particolareggiata prevista ai commi 4 e 5 dell’art. 130, il cui termine di presentazione in via ordinaria decorre dal decreto di esecutività dello stato passivo, deve essere presentata entro il termine di centottanta giorni dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale (art. 130, comma 6) [6]. 
Resta ovviamente fermo l’obbligo del curatore di predisporre nei termini di legge il programma di liquidazione (art. 213).
Il procedimento di verifica dei crediti concorsuali non ha luogo se “risulti che non può essere acquisito attivo da distribuire ad alcuno dei creditori che hanno abbiano chiesto l’insinuazione al passivo”. 
La previsione di insufficiente realizzo si fonda su un giudizio prognostico circa l’attivo distribuibile, ossia su una valutazione ex ante del presumibile valore di realizzo ritraibile dalla liquidazione (in senso ampio) dei beni già acquisiti (alienazione di beni mobili o beni immobili, cessione o riscossione dei crediti), sia dell’attivo che può essere acquisito nel corso della procedura, al netto dei costi da sostenere. Occorre pertanto considerare anche le prospettive di ricostituzione del patrimonio e di incremento dell’attivo, che derivano, ad esempio, dalla proposizione da parte del curatore di azioni recuperatorie, revocatorie e risarcitorie (tenuto conto della possibilità di concreto soddisfacimento dei diritti accertati) e dall’esercizio provvisorio dell’impresa (art. 211) o dall’affitto dell’azienda o di suoi rami (art. 212). Se il debitore sottoposto a liquidazione giudiziale è una società a responsabilità illimitata, occorre avere riguardo anche all’attivo realizzabile nella liquidazione giudiziale aperta in estensione nei confronti dei soci illimitatamente responsabili (art. 256)[7].
Il presupposto dell’insufficiente realizzo è integrato, quando il presumibile ricavato dalla liquidazione è integralmente “assorbito” dal pagamento (anche solo in parte) dei creditori prededucibili e delle spese di procedura, di guisa che non “residuano” somme da destinare al pagamento, neppure parziale, anche di uno solo dei crediti concorsuali per cui è chiesta l’ammissione al passivo (in via tempestiva e, eventualmente, anche in via tardiva).
2 . Il procedimento
Il tribunale dispone che non abbia luogo l’accertamento del passivo su istanza del curatore; non sono legittimati alla proposizione dell’istanza soggetti diversi dal curatore (il debitore, i creditori, i terzi che abbiano proposto domande di rivendica o di restituzione di beni, il comitato dei creditori) [8].
La disposizione indica che l’istanza sia depositata almeno venti giorni prima dell’udienza di verifica. 
Da un lato, quanto al termine iniziale, l’istanza non dovrebbe essere presentata prima di trenta giorni anteriori all’udienza, in quanto occorre attendere (quantomeno) la presentazione delle domande tempestive, al fine di verificare se l’attivo realizzabile sia sufficiente per soddisfare i creditori concorsuali, e, soprattutto, consentire ai creditori di ritrarre i benefici fiscali connessi alla presentazione della domanda [9]; da un altro lato, quanto al termine finale, occorre assicurare al tribunale un tempo adeguato per valutare e decidere l’istanza, prima che abbia luogo l’udienza di verifica, ossia prima che siano compiute le attività che – in caso di insufficienza dell’attivo – è inutile svolgere, in modo da realizzare le finalità di economia processuale a cui l’istituto è preordinato.
Ciò posto, il termine non ha tuttavia carattere perentorio e l’istanza può pertanto essere formulata anche successivamente, senza che ciò sia causa di sua inammissibilità [10]. Come vedremo tra poco, è sicuramente ammesso, infatti, che  il decreto sia pronunciato, non appena emerga la condizione di insufficiente realizzo, sia prima della conclusione del procedimento di verifica (quando le operazioni non siano state esaurite all’udienza fissata nella sentenza di apertura e ne sia stata rinviata la prosecuzione, ex art. 204, comma 3) [11], sia, come prevede il comma 2, successivamente, impedendo la prosecuzione del procedimento di verifica delle tempestive (nel primo caso) e l’esame delle domande tardive (nel secondo).
L’istanza deve essere corredata da una relazione del curatore sulle prospettive di liquidazione (la quale può giovarsi anche delle relazioni e dei rapporti ex art. 130, se già predisposti) e dal parere obbligatorio (ma non vincolante) del comitato dei creditori [12]. 
Se si ritenga che, al verificarsi della condizione di insufficiente realizzo, il curatore abbia non già la facoltà, bensì l’obbligo di presentare l’istanza: l’omissione può, astrattamente, rilevare ai fini della sua responsabilità (art. 136) e quale giusta causa di revoca dall’ufficio (artt. 134 e 122, comma 1, lett. a) [13].
L’istanza va presentata al tribunale (ovviamente, al tribunale concorsuale ex art. 122), che provvede con decreto motivato, sentito in camera di consiglio il debitore (mentre non è previsto che siano sentiti i creditori che abbiano proposto le domande di ammissione al passivo).
La disposizione precisa che il decreto sia pronunciato anteriormente all’udienza di verifica; il che è logico, in quanto esso può assolvere a pieno la finalità di economia processuale a cui è preordinato, se interviene prima dello svolgimento dell’attività che non è utile compiere. Tuttavia, la mancata adozione del decreto prima dell’udienza di verifica non impedisce che esso sia pronunciato successivamente, con un residuo margine di utilità rispetto alle ulteriori attività ancora da svolgere. Lo si ricava dal comma 2, che contiene la disposizione già prevista nell’art. 102 L. fall., come modificata dal D.Lgs. n. 169/2007: se il decreto può essere pronunciato anche successivamente alla verifica dello stato passivo, ossia una volta chiuso il procedimento di verifica delle domande tempestive, non dovrebbe esservi dubbio, a nostro avviso, che esso possa essere adottato anche nel corso dello stesso, nell’ipotesi in cui le operazioni non si siano esaurite all’udienza di verifica fissata nella sentenza di apertura della liquidazione giudiziale e ne sia stata disposta la prosecuzione in udienze successive [14].  
Il tribunale dispone che l’accertamento dei crediti concorsuali non abbia luogo, quando ritenga condivisibile la valutazione del curatore, anche alla luce del parere del comitato dei creditori, in ordine all’insufficienza dell’attivo acquisito (ed acquisibile) a soddisfare, anche solo parzialmente, i creditori concorsuali.
Appare quasi superfluo sottolineare che il tribunale è chiamato a una valutazione alquanto delicata e da condurre in modo sorvegliato, considerato che il presupposto del decreto è integrato da un giudizio carattere prognostico (la previsione di insufficiente realizzo) e la sua conseguenza è l’impossibilità per i creditori concorsuali di soddisfare i propri diritti nella espropriazione concorsuale.  
In sede di prima applicazione della disposizione, parte della giurisprudenza aveva ritenuto che, nonostante fosse integrato il presupposto dell’insufficiente realizzo, l’istanza potesse essere rigettata, quando l’accertamento del passivo fosse necessario per attuare esigenze di tutela dei diritti al di fuori della procedura concorsuale. Questa interpretazione si era formata con riferimento alle domande di insinuazione al passivo proposte da lavoratori subordinati, sul presupposto che la tutela sostitutiva del Fondo di garanzia per la corresponsione del t.f.r. (art. 2 L. n. 297/1982) e delle ultime tre mensilità di retribuzione (artt. 1 e 2 D.Lgs. n. 80/1992) a vantaggio dei dipendenti dell’imprenditore dichiarato fallito fosse necessariamente condizionata – anche nel caso in cui nella procedura fosse stato disposto di non farsi luogo al procedimento di verifica per previsione di insufficiente realizzo ex art. 102 L. fall. –  al provvedimento di ammissione al passivo del credito del lavoratore, così come richiesto dall’art. 2, comma 2 e 3, della L. n. 297/1982 (e dall’art. 2 del D.Lgs. n. 80/1992, che rinvia a queste disposizioni) [15]. 
Nella giurisprudenza più recente, invece, sembra ormai prevalere l’opposto orientamento (adottato anche dall’istituto di previdenza) [16], per il quale, se il tribunale abbia disposto di non darsi luogo al procedimento di verifica dei crediti concorsuali per previsione di insufficiente realizzo, i lavoratori dipendenti del debitore fallito (oggi, sottoposto a liquidazione giudiziale) possono accedere alla tutela del Fondo di garanzia anche in difetto del provvedimento di ammissione al passivo, applicandosi in tale ipotesi (non i commi 2 e 3 dell’art. 2 L. n. 297/1982, bensì) quanto previsto dal comma 5 dell’art. 2 cit. per i datori di lavoro non sottoposti alle disposizioni della abrogata legge fallimentare [17]. Resta tuttavia fermo l’onere per il lavoratore, al fine di potere accedere ai benefici del Fondo, di premunirsi di un titolo esecutivo, come richiesto dalla consolidata interpretazione del richiamato comma 5 dell’art. 2 L. cit. [18]. Per ottenere il titolo esecutivo, il lavoratore deve, inevitabilmente, esercitare un’azione in sede ordinaria nei confronti del curatore (e non, come talvolta si afferma, nei confronti dell’imprenditore tornato in bonis, dato che il decreto ex art. 209, come abbiamo detto, non determina la cessazione della procedura). A seguito della chiusura della procedura disposta ai sensi dell’art. 233, l’azione può essere iniziata o proseguita nei confronti dell’imprenditore tornato in bonis; nel caso in cui la procedura riguardi una società e alla sua cessazione segua l’estinzione del soggetto giuridico (art. 233, comma 2), secondo la Corte di cassazione, l’azione deve essere proposta (o continuata) nei confronti dei soci [19].
Il comma 2, a cui si è sopra fatto riferimento, prevede che “le disposizioni del primo comma si applicano, in quanto compatibili, ove la condizione di insufficiente realizzo emerge successivamente alla verifica dello stato passivo”. 
La disposizione – come chiarisce la Relazione al D.Lgs. n. 169/2007, a cui si deve la formulazione della norma oggi riprodotta all’art. 209[20] –consente di adottare il decreto successivamente alla decisione delle domande tempestive ed all’emanazione del decreto di esecutività dello stato passivo; in tale caso, il decreto impedisce di dare corso alla verifica delle domande tardive eventualmente presentate, nell’udienza che il giudice delegato ha fissato o dovrebbe fissare per il loro esame ai sensi dell’art. 208, comma 2 [21]. 
La disposizione può trovare applicazione, ad esempio, nel caso in cui siano state accolte domande di rivendica o di restituzione di beni, e conseguentemente l’attivo risulti in via sopravvenuta insufficiente a soddisfare i creditori concorsuali, per tali dovendosi intendere sia i creditori tempestivi, sia i creditori tardivi (dato che, ai sensi del comma 1, presupposto per l’emanazione del decreto è che non possa essere acquisito attivo da distribuire “ad alcuno dei creditori che abbiano chiesto l'ammissione al passivo”) [22].
Ci si può chiedere se gli effetti del provvedimento possano investire anche gli eventuali giudizi di opposizione o di impugnazione, di cui siano oggetto domande di insinuazione tempestive [23]. L’opinione favorevole appare persuasiva: considerato che, al pari del procedimento di verifica dinanzi al giudice delegato, i giudizi de quibus hanno quale unica finalità di accertare i crediti pecuniari da soddisfare con il ricavato dalla liquidazione e si concludono con un provvedimento avente effetti ai soli fini del concorso, il decreto con cui il tribunale dispone di non farsi luogo alla verifica del passivo per insufficienza dell’attivo integra una causa di cessazione della materia del contendere, per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione di merito. È peraltro necessario che il giudice dell’impugnazione, prima di definire il processo con la declaratoria della cessazione della materia del contendere, attenda che divenga definitivo il decreto con cui il tribunale dispone di non farsi luogo alla verifica del passivo.
3 . Il reclamo avverso il decreto che dispone di non darsi luogo al procedimento di verifica del passivo
Il decreto con cui il tribunale dispone di non dare corso alla verifica del passivo deve essere comunicato dal curatore ai creditori (all’indirizzo indicato ai sensi dell’art. 201, comma 1, lett. e)) che abbiano presentato domanda di ammissione al passivo ai sensi degli articoli 201 e 208, ciascuno dei quali può presentare reclamo alla corte d’appello (art. 209, comma 3). 
La legittimazione al reclamo – essendo attribuita ai creditori che “abbiano presentato domanda di ammissione al passivo ai sensi degli articoli 201 e 208” –  spetta a tutti coloro che abbiano proposto domanda di insinuazione al passivo, in via tempestiva o tardiva, per un credito concorsuale: innanzitutto, quindi, ai creditori la cui domanda non sia stata esaminata e decisa a causa del decreto; oltre ad essi, ai creditori ammessi al passivo (nel caso il decreto sia stato pronunciato dopo la chiusura del procedimento di verifica), nonché a coloro la cui domanda sia stata rigettata (purché abbiano proposto o propongano nei termini l’opposizione)[24]. 
Il Codice precisa, rispetto all’art. 102 L. fall., che il reclamo è proposto ai sensi dell’art. 124 (disciplinante il rimedio generale avverso i decreti del giudice delegato e del tribunale), con l’avvertenza che esso deve essere proposto nel termine perentorio di quindici (e non dieci) giorni dal ricevimento della comunicazione del curatore. 
La corte d’appello provvede sentiti il creditore reclamante, il curatore, il comitato dei creditori e il debitore (art. 208, comma 3), con un provvedimento avente forma di decreto motivato (art. 124, comma 12). 
Il decreto di rigetto del reclamo, con cui è confermata la decisione di non dare corso alla verifica dei crediti concorsuali, è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, c.p.c., in quanto incide sul diritto di questi creditori di soddisfarsi con il ricavato dalla liquidazione del patrimonio del debitore[25].    
Il decreto non ha ad oggetto il diritto al concorso dei creditori; tuttavia, impedendo che abbia luogo il procedimento di verifica dei loro diritti – costituente necessario presupposto per il soddisfacimento degli stessi nella liquidazione giudiziale – incide su posizioni di diritto soggettivo, per le quali è negata la tutela esecutiva in sede concorsuale e, in base all’art. 150, anche nella espropriazione individuale[26].    
Quest’ultima viene dilazionata, per causa non imputabile ai creditori, alla chiusura della procedura; a quel punto, sarà esperibile nei confronti dell’imprenditore tornato in bonis, sempre che con la chiusura della procedura non si estingua il soggetto di diritto (come avviene quando la procedura riguardi una società, ai sensi dell’art. 233, comma 2), e potrà riguardare i soli beni eventualmente residuati dalla liquidazione nel patrimonio del debitore, ma a condizione che non siano stati compiuti atti pregiudizievoli per i creditori, i quali, inefficaci in pendenza della procedura (artt. 142 e 144), a seguito della sua chiusura hanno invece effetto a loro danno[27]. 
Nel caso in cui, dopo che il decreto con cui è disposto di non procedere all’accertamento del passivo sia divenuto definitivo, la prognosi di insufficienza dell’attivo si riveli errata  – nel corso della procedura sono acquisiti all’attivo beni, la liquidazione ha consentito di ricavare somme maggiori di quelle stimate o si riduce l’ammontare dei crediti prededucibili e delle spese di procedura – e conseguentemente l’attivo consenta di soddisfare, anche solo in parte, alcuni creditori concorsuali, si è in presenza di una circostanza sopravvenuta, la quale consente (anzi, impone) di dare corso al procedimento di verifica dei crediti concorsuali[28]. Per principio generale, i fatti sopravvenuti, che divergono da quelli oggetto della prognosi, non sono preclusi dal passaggio in giudicato di una sentenza e, pertanto, non lo sono a maggiore ragione dalla definitività del decreto de quo, neppure se riguardo ad esso siano stati esperiti i mezzi di impugnazione; al fine indicato, non è pertanto necessario postulare la revocabilità del decreto ex art. 742 c.p.c.[29]. 
Nel caso opposto, in cui, invece, il reclamo sia accolto, deve avere luogo il procedimento di verifica delle domande di insinuazione al passivo. Nel silenzio della disposizione, appare ragionevole ritenere che la corte d’appello rimetta gli atti al tribunale, il quale, con decreto, fissa l’udienza di verifica del passivo ai sensi dell’art. 49, comma 3, lett. d) (la soluzione riecheggia quanto previsto dall’art. 50, comma 5, nel diverso caso di accoglimento del reclamo avverso il decreto con cui il tribunale abbia respinto la domanda di apertura della liquidazione giudiziale), di cui il curatore dovrà dare comunicazione ai creditori[30]. 
Per ragioni speculari a quelle sopra indicate, il decreto della corte d’appello di accoglimento del reclamo non è ricorribile in cassazione ex art. 111, comma 7, Cost.
4 . Il rigetto dell’istanza del curatore
Il Codice, come già la legge fallimentare, non disciplina l’ipotesi in cui il tribunale ritenga che non sussistano i presupposti per accogliere l’istanza del curatore; occorre quindi fare applicazione delle regole generali, al fine di individuare la forma del provvedimento e stabilire il relativo regime giuridico. 
 Non può essere dubbio che il tribunale deve provvedere sull’istanza, con un provvedimento avente forma di decreto motivato (art. 122, comma 2). 
A nostro avviso, contro il decreto può essere esperito il reclamo alla corte d’appello ai sensi dell’art. 124, in base alla regola generale della impugnabilità dei decreti del tribunale concorsuale con tale rimedio, “salvo che sia diversamente disposto” (art. 124, comma 1): diversa disposizione, di cui non vi è traccia all’art. 209[31]. 
L’omissione del legislatore circa la disciplina applicabile in caso di rigetto dell’istanza e, in particolare, la mancata previsione della impugnabilità del provvedimento con il reclamo, che caratterizzava già l’art. 102 L. fall., si spiega con un rilievo di carattere empirico, ma importante nel contesto di un istituto avente finalità di economia processuale. 
A seguito del decreto di rigetto del tribunale, il giudice delegato, con ogni probabilità, ha proceduto alla verifica dei crediti, di guisa che l’eventuale diversa decisione della corte d’appello è destinata ad avere nulla (o scarsa, pensando ad eventuali domande tardive) utilità, perché interviene quando ormai l’attività, che, per economia processuale, non avrebbe dovuto essere compiuta, è stata svolta. 
In questi casi, il reclamo, in astratto ammissibile (se si condivide quanto esposto), potrà essere rigettato per carenza in concreto di interesse (inteso come interesse al risultato del processo). 

Note:

[1] 
Su cui, oltre agli Autori che saranno citati nel prosieguo, si vedano per tutti: P.P. Ferraro, La “previsione di insufficiente realizzo” nel nuovo sistema fallimentare, in Dir. fall., 2008, I, p. 806 ss., spec. p. 807–808; F. Dimundo, Fallimento rapido senza accertamento del passivo: quale finalità?, in Fall., 2010, p. 1063 ss.; M. Rampini–S. Fortunato, Domande tardive. Insufficienza di attivo. Domande di rivendica e restituzione, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, Milano, 2016, II, p. 2079 ss., spec. p. 2111 ss.; R. D’Orazio, Art. 102, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da C. Cavallini, II, Milano, 2010, p. 903 ss.; G. Fauceglia, L’accertamento del passivo, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, II, diretto da O. Cagnasso e L. Panzani, II, Milano, 2016, p. 1593 ss., specie p.1697 ss.; sia consentito anche rinviare a S. Menchini–A. Motto, L’accertamento del passivo e dei diritti reali e personali dei terzi sui beni, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli, F. P. Luiso, E. Gabrielli, II, Il processo di fallimento, Torino, 2014, p. 375 ss., specie p. 636 ss. 
[2] 
Sulla nuova disposizione, v., per tutti: S. Menchini–A. Motto, L’accertamento del passivo e dei diritti di terzi sui beni compresi nella liquidazione giudiziale nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Giust. civ., 2022, p. 415 ss., specie p. 511 ss.; F. Dimundo, Verifica dei crediti e dei diritti sui beni nella liquidazione giudiziale, Milano, 2023, p. 67 ss.; A. Jorio, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2023, p. 281; A. Nigro–D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, 6° ed., Bologna, 2023, p. 265; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, 2° ed., 2022, p. 290–291; G. Impagnatiello, L’accertamento del passivo nella liquidazione giudiziale, in Diritto della crisi d’impresa,  a cura di G. Trisorio Liuzzi, Bari, 2023, p. 485 ss., specie p. 493 ss.; D. Manente, Art. 209, in A. M. Alberti, Commentario breve alle leggi su Crisi d’impresa e insolvenza, 7° ed., Milano, 2023, p. 1610 ss. 
[3] 
Il riferimento, contenuto anche nella Relazione al D.Lgs. n. 5/2006, è ai benefici fiscali in relazione all’imposta sui redditi (art. 101, comma 5, D.P.R. n. 917/1986) e all’IVA (art. 26 D.P.R. n. 633/1972); cfr. F. Ferraro, op. cit., p. 826; M. Rampini–S. Fortunato, op. cit., p. 2121. 
[4] 
Al riguardo, v. più ampiamente il § 2.
[5] 
Correttamente, quindi, si è affermato che “l'emissione del decreto previsto dall'art. 102 L. fall., con il quale si decida di non procedere all'accertamento del passivo, non incide sulla procedibilità del reclamo in opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento e sull'interesse della società reclamante alla sua decisione” (App. Milano, Sez. IV, 22/01/2021, in One Legale).
[6] 
Un’analoga disposizione non è invece prevista, con riferimento al comma 9 dell’art. 130, il quale prevede che il curatore presenti il rapporto riepilogativo “entro quattro mesi dal decreto di esecutività dello stato passivo” e poi successivamente ogni sei mesi.
[7] 
M. Rampini–S. Fortunato, op. cit., p. 2113.
[8] 
Cfr. G. Cavalli, L’accertamento del passivo, in S. Ambrosini–R. Cavalli–A. Jorio, Il fallimento, in Trattato di diritto commerciale diretto da G. Cottino, XI, 2, Padova, 2009, p. 607–608; C. Tedeschi, L’accertamento del passivo, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di A. Didone, I, Milano, 2009, p. 887 ss., specie p. 889; F. Dimundo, Fallimento rapido, op. cit., p. 1066; in modo diverso, F. Ferraro, op. cit., p. 815–816. 
[9] 
Dal punto di vista logico, l’istanza potrebbe essere presentata anche anteriormente, nel caso in cui l’attivo sia di entità tale da consentire (tutt’al più) il soddisfacimento dei crediti prededucibili e delle spese di procedura, e quindi emerga l’insufficienza dello stesso a soddisfare alcuno dei creditori concorsuali che dovesse presentare la domanda. 
[10] 
 D. Manente, op. cit., p. 1612; M. Rampini–S. Fortunato, op. cit., p. 2115–2116. 
[11] 
Contra, R. D’Orazio, op. cit., p. 905.
[12] 
Nel caso in cui il comitato dei creditori non sia costituito o resti inerte, la giurisprudenza (App. Venezia, 7 marzo 2012, in Ilcaso.it) ha ritenuto che possa provvedere in via vicaria il giudice delegato, in applicazione della disposizione contenuta nel previgente art. 41, comma 4, L. fall. e oggi all’art. 140, comma 4.
[13] 
D. Manente, op. cit., p. 1612. 
[14] 
Nella formulazione originaria, introdotta dal D.Lgs. n. 5/2006, il comma 2 dell’art. 102 L. fall. stabiliva che il tribunale provvedesse ai sensi del primo comma “anche se la condizione di insufficiente realizzo emerge nel corso delle eventuali udienze successive a quella fissata ai sensi dell’articolo 16”. Come si legge nella Relazione al D.Lgs. n. 169/2007, la modifica apportata al comma 2 è “volta a sottolineare che il decreto che dispone il non farsi luogo all’accertamento del passivo dei crediti concorsuali può essere adottato in ogni momento successivo alla verificazione del passivo e non soltanto nel corso delle eventuali successive udienze per l’esame delle tardive”, senza ovviamente escludere che possa essere adottato dopo l’udienza di verifica fissata nella sentenza di apertura e prima o nel corso delle successive udienze, fissate per la prosecuzione dell’esame delle domande tempestive. 
[15] 
In questo senso, App. Venezia, 21 maggio 2009, in Fall., 2009, p. 459 ss., con commento critico di F. Dimundo, Insufficiente realizzo, arresto della verifica del passivo ed accesso dei lavoratori al Fondo di garanzia Inps; Trib. Milano, 27 settembre 2007, in Ilcaso.it
[16] 
Si v. la circolare del 4 marzo 2010, n. 32 dell’INPS. 
[17] 
Cass., Sez. lav., 28 gennaio 2020, n. 1886 (in un caso in cui il tribunale aveva disposto la chiusura del fallimento per insufficienza dell’attivo ex art. 118, comma 1, n. 4), senza il previo esperimento del procedimento di verifica del passivo); Trib. Catanzaro, 21 ottobre 2016, in Giur. it., 2017, p. 425 ss., con nota di G. F. Ferrari, Fondo di garanzia – trattamento di fine rapporto e condizioni di accesso al fondo di garanzia, in Arg. dir. lav., 2017, p. 788 ss., con commento di A. Bernucci; App. Torino, 7 maggio 2010, in Fall., 2011, p. 51 ss.; App. Reggio Calabria, 18 novembre 2010; App. Torino, 17 novembre 2010; App. Brescia, 17 novembre 2010, tutte in ilcaso.it. Sulla questione, oltre agli autori sopra citati, si vedano, anche per ulteriori riferimenti: F. Dimundo, Verifica dei crediti, op. cit., p. 80 ss.; M. Aprile, Accertamento dei crediti da lavoro subordinato, in Fall., 2021, p. 392 ss.., p. 397; M. Rampini–S. Fortunato, op. cit., p. 2113 ss. 
[18] 
Cass., Sez. lav., 28 gennaio 2020, n. 1886; in senso contrario, si segnala Trib. Catanzaro, 21 ottobre 2016, cit. 
[19] 
Cass., Sez. lav., 28 gennaio 2020, n. 1886. 
[20] 
V. la nota 14. 
[21] 
C. Tedeschi, L’accertamento, op. cit., p. 889; G. Cavalli, L’accertamento, op. cit., p. 609; R. Rosapepe, L’accertamento del passivo, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore e A. Bassi, coordinato da G. Capo, F. De Santis e B. Meoli, III, Padova, 2010, p. 55 ss., specie p. 57; F. Ferraro, op. cit., p. 814; R. D’Orazio, op. cit., p. 905. In questo senso, già prima della modifica apportata dal D.Lgs. n. 169/2007, Trib. Roma, 22 agosto 2007, in Ilcaso.it. 
[22] 
Probabilmente, il rigore di questa regola può essere attenuato, nel caso in cui siano già stati effettuati pagamenti ai creditori concorsuali insinuatisi tempestivamente, e successivamente emerga che l’attivo è insufficiente per effettuare ulteriori ripartizioni a vantaggio dei creditori concorsuali – tutti i creditori concorsuali, sia quelli tempestivi, sia quelli che dovessero essere ammessi tardivamente – con conseguente inutilità della verifica delle domande tardive. 
[23] 
G. Cavalli, op. cit., p. 609; contra, M. Rampini–S. Fortunato, op. cit., p. 2120, a cui si rinvia per ulteriori riferimenti. 
[24] 
L’opinione che riserva la legittimazione ai soli creditori ammessi (M. Rampini–S. Fortunato, op. cit., p. 2122), oltre ad essere in contrasto con il tenore letterale della disposizione, confligge con la sua ratio: che è quella di predisporre uno strumento di tutela per i creditori che subiscono gli effetti del decreto e tali sono coloro la cui domanda di ammissione al passivo, a seguito del provvedimento con cui il tribunale dispone di non farsi luogo al procedimento di verifica, non è esaminata e decisa. Semmai, si potrebbe negare che i creditori ammessi abbiano interesse a impugnare, dato che le loro domande sono state esaminate ed accolte; il rilievo, tuttavia, sarebbe improntato a un marcato formalismo, dato che il decreto – il cui presupposto è l’insufficienza dell’attivo da distribuire “ad alcuno dei creditori concorsuali” –  prelude all’impossibilità per i creditori concorsuali di partecipare al riparto del ricavato, che viene riservato al soddisfacimento dei crediti prededucibili e delle spese di procedura. 
[25] 
In questo senso: C. Tedeschi, L’accertamento, op. cit., p. 891; F. Ferraro, op. cit., p. 824; R. Rosapepe, L’accertamento, op. cit., p. 60: G. Lo Cascio, L’accertamento del passivo nel fallimento: lineamenti generali, in Fall., 2011, p. 1021 ss., specie p. 1033, nonché S. Menchini–A. Motto, L’accertamento, in Trattato, op. cit., p. 640. 
[26] 
In senso opposto, escludono l’ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione ed affermano che il decreto, privo dei caratteri della decisorietà e della definitività, sia modificabile e revocabile in ogni tempo ai sensi dell’art. 742 c.p.c.: G. Cavalli, op. ult. cit., p. 610; R. D’Orazio, op. cit., p. 907; G. Impagnatiello, op. cit., p. 495. Prospettano le due tesi, senza indicare quella ritenuta preferibile, M. Rampini–S. Fortunato, op. cit., p. 2124. 
[27] 
Per queste ragioni, non condividiamo l’opinione secondo cui la decisione di non procedere alla verifica del passivo “è priva del carattere della definitività, non precludendo altre forme di tutela del credito”, e pertanto non è suscettibile di ricorso straordinario per cassazione (così, invece, G. Impagnatiello, op. cit., p. 495).  
[28] 
In questo senso, la dottrina assolutamente prevalente, per la quale vedi: C. Tedeschi, L’accertamento, op. cit., p. 891; F. Dimundo, Fallimento rapido, op. cit., p. 1068; M. Rampini–S. Fortunato, op. cit., p. 2124; R. D’Orazio, op. cit., p. 905; A. Nigro–D. Vattermoli, op. cit., p. 265.
[29] 
Come invece ritiene la dottrina citata alla nota precedente. 
[30] 
G. Cavalli, op. cit., p. 610; C. Tedeschi, L’accertamento, op. cit., p. 890; R. D’Orazio, op. cit., p. 907. 
[31] 
Contra, M. Rampini–S. Fortunato, op. cit., p. 2123–2124; R. D’Orazio, op. cit., p. 907; G. Impagnatiello, op. cit., p. 495. 

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