Saggio
La previsione di insufficiente realizzo*
Alessandro Motto, Ordinario di diritto processuale civile nell’Università degli Studi dell’Insubria
16 Settembre 2024
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Sommario:
L’istituto – come indica la Relazione al D.Lgs. n. 5/2006 – ha finalità di economia processuale: sarebbe inutile, e costituirebbe solo un dispendio di attività e risorse, accertare i crediti da soddisfare con il ricavato dalla liquidazione dell’attivo, quando non vi sono realistiche possibilità di distribuzione delle somme, a favore di coloro che, all’esito del procedimento di verifica, risultassero essere creditori del debitore. Solo a questa condizione, che, nella prospettiva del singolo creditore, si risolve nella carenza di interesse ad agire rispetto alla domanda di ammissione al passivo, si giustifica che per questi crediti non abbia luogo il procedimento di verifica, la cui unica finalità è accertare “soltanto ai fini del concorso” (art. 204, comma 5) i diritti dei creditori pecuniari, essenziale presupposto (art. 151, comma 2) affinché essi possano concorrere sul patrimonio del debitore (art. 151, comma 1 e 2), ottenendo il soddisfacimento (almeno parziale) dei loro crediti nel procedimento di attuazione della responsabilità patrimoniale del debitore (art. 2740 c.c.).
Nel suo concreto operare, la disposizione non arreca pregiudizio ai creditori istanti, neppure in relazione a forme di tutela dei loro diritti esterne alla procedura concorsuale: essi possono comunque accedere ai benefici fiscali connessi alla presentazione della domanda di ammissione al passivo del debitore insolvente[3] e, quanto ai lavoratori subordinati, ai benefici del Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2 L. n. 297/1982[4].
A differenza della chiusura del fallimento ai sensi dell’art. 223, comma 1, lett. d), che può essere disposta in qualsiasi momento, quando si accerti che l’attivo sia insufficiente a soddisfare, oltre ai creditori concorsuali, anche i creditori prededucibili e le spese di procedura, l’istituto si applica nei casi in cui l’attivo sia insufficiente a consentire la distribuzione delle somme ai creditori concorsuali che abbiano proposto la domanda di ammissione al passivo, ma, nondimeno, sia di entità tale da permettere di effettuare pagamenti (almeno parziali) a favore dei creditori prededucibili e per il soddisfacimento delle spese di procedura.
Il tribunale dispone con decreto motivato che non abbia luogo il procedimento di accertamento del passivo “relativamente ai crediti concorsuali”, i quali sono oggetto delle domande di insinuazione, sia tempestive sia tardive. Pertanto, la procedura di liquidazione giudiziale non è chiusa, ma continua per il soddisfacimento dei crediti prededucibili e delle spese di procedura, e a tale fine dovranno essere compiute le attività di liquidazione dell’attivo e di distribuzione del ricavato[5].
Peraltro, all’interno della procedura che, seppure in forma semplificata, prosegue, può avere luogo anche il procedimento di verifica, se sia necessario accertare i crediti prededucibili contestati (cfr. l’art. 222, comma 1), oppure se occorra accertare i diritti, reali o personali, su beni mobili o immobili acquisiti all’attivo, oggetto di domande di rivendica o di restituzione.
Il curatore deve predisporre le relazioni e i rapporti riepilogativi di cui all’art. 130, con l’avvertenza che la relazione particolareggiata prevista ai commi 4 e 5 dell’art. 130, il cui termine di presentazione in via ordinaria decorre dal decreto di esecutività dello stato passivo, deve essere presentata entro il termine di centottanta giorni dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale (art. 130, comma 6) [6].
Resta ovviamente fermo l’obbligo del curatore di predisporre nei termini di legge il programma di liquidazione (art. 213).
Il procedimento di verifica dei crediti concorsuali non ha luogo se “risulti che non può essere acquisito attivo da distribuire ad alcuno dei creditori che hanno abbiano chiesto l’insinuazione al passivo”.
La previsione di insufficiente realizzo si fonda su un giudizio prognostico circa l’attivo distribuibile, ossia su una valutazione ex ante del presumibile valore di realizzo ritraibile dalla liquidazione (in senso ampio) dei beni già acquisiti (alienazione di beni mobili o beni immobili, cessione o riscossione dei crediti), sia dell’attivo che può essere acquisito nel corso della procedura, al netto dei costi da sostenere. Occorre pertanto considerare anche le prospettive di ricostituzione del patrimonio e di incremento dell’attivo, che derivano, ad esempio, dalla proposizione da parte del curatore di azioni recuperatorie, revocatorie e risarcitorie (tenuto conto della possibilità di concreto soddisfacimento dei diritti accertati) e dall’esercizio provvisorio dell’impresa (art. 211) o dall’affitto dell’azienda o di suoi rami (art. 212). Se il debitore sottoposto a liquidazione giudiziale è una società a responsabilità illimitata, occorre avere riguardo anche all’attivo realizzabile nella liquidazione giudiziale aperta in estensione nei confronti dei soci illimitatamente responsabili (art. 256)[7].
Il presupposto dell’insufficiente realizzo è integrato, quando il presumibile ricavato dalla liquidazione è integralmente “assorbito” dal pagamento (anche solo in parte) dei creditori prededucibili e delle spese di procedura, di guisa che non “residuano” somme da destinare al pagamento, neppure parziale, anche di uno solo dei crediti concorsuali per cui è chiesta l’ammissione al passivo (in via tempestiva e, eventualmente, anche in via tardiva).
La disposizione indica che l’istanza sia depositata almeno venti giorni prima dell’udienza di verifica.
Da un lato, quanto al termine iniziale, l’istanza non dovrebbe essere presentata prima di trenta giorni anteriori all’udienza, in quanto occorre attendere (quantomeno) la presentazione delle domande tempestive, al fine di verificare se l’attivo realizzabile sia sufficiente per soddisfare i creditori concorsuali, e, soprattutto, consentire ai creditori di ritrarre i benefici fiscali connessi alla presentazione della domanda [9]; da un altro lato, quanto al termine finale, occorre assicurare al tribunale un tempo adeguato per valutare e decidere l’istanza, prima che abbia luogo l’udienza di verifica, ossia prima che siano compiute le attività che – in caso di insufficienza dell’attivo – è inutile svolgere, in modo da realizzare le finalità di economia processuale a cui l’istituto è preordinato.
Ciò posto, il termine non ha tuttavia carattere perentorio e l’istanza può pertanto essere formulata anche successivamente, senza che ciò sia causa di sua inammissibilità [10]. Come vedremo tra poco, è sicuramente ammesso, infatti, che il decreto sia pronunciato, non appena emerga la condizione di insufficiente realizzo, sia prima della conclusione del procedimento di verifica (quando le operazioni non siano state esaurite all’udienza fissata nella sentenza di apertura e ne sia stata rinviata la prosecuzione, ex art. 204, comma 3) [11], sia, come prevede il comma 2, successivamente, impedendo la prosecuzione del procedimento di verifica delle tempestive (nel primo caso) e l’esame delle domande tardive (nel secondo).
L’istanza deve essere corredata da una relazione del curatore sulle prospettive di liquidazione (la quale può giovarsi anche delle relazioni e dei rapporti ex art. 130, se già predisposti) e dal parere obbligatorio (ma non vincolante) del comitato dei creditori [12].
Se si ritenga che, al verificarsi della condizione di insufficiente realizzo, il curatore abbia non già la facoltà, bensì l’obbligo di presentare l’istanza: l’omissione può, astrattamente, rilevare ai fini della sua responsabilità (art. 136) e quale giusta causa di revoca dall’ufficio (artt. 134 e 122, comma 1, lett. a) [13].
L’istanza va presentata al tribunale (ovviamente, al tribunale concorsuale ex art. 122), che provvede con decreto motivato, sentito in camera di consiglio il debitore (mentre non è previsto che siano sentiti i creditori che abbiano proposto le domande di ammissione al passivo).
La disposizione precisa che il decreto sia pronunciato anteriormente all’udienza di verifica; il che è logico, in quanto esso può assolvere a pieno la finalità di economia processuale a cui è preordinato, se interviene prima dello svolgimento dell’attività che non è utile compiere. Tuttavia, la mancata adozione del decreto prima dell’udienza di verifica non impedisce che esso sia pronunciato successivamente, con un residuo margine di utilità rispetto alle ulteriori attività ancora da svolgere. Lo si ricava dal comma 2, che contiene la disposizione già prevista nell’art. 102 L. fall., come modificata dal D.Lgs. n. 169/2007: se il decreto può essere pronunciato anche successivamente alla verifica dello stato passivo, ossia una volta chiuso il procedimento di verifica delle domande tempestive, non dovrebbe esservi dubbio, a nostro avviso, che esso possa essere adottato anche nel corso dello stesso, nell’ipotesi in cui le operazioni non si siano esaurite all’udienza di verifica fissata nella sentenza di apertura della liquidazione giudiziale e ne sia stata disposta la prosecuzione in udienze successive [14].
Il tribunale dispone che l’accertamento dei crediti concorsuali non abbia luogo, quando ritenga condivisibile la valutazione del curatore, anche alla luce del parere del comitato dei creditori, in ordine all’insufficienza dell’attivo acquisito (ed acquisibile) a soddisfare, anche solo parzialmente, i creditori concorsuali.
Appare quasi superfluo sottolineare che il tribunale è chiamato a una valutazione alquanto delicata e da condurre in modo sorvegliato, considerato che il presupposto del decreto è integrato da un giudizio carattere prognostico (la previsione di insufficiente realizzo) e la sua conseguenza è l’impossibilità per i creditori concorsuali di soddisfare i propri diritti nella espropriazione concorsuale.
In sede di prima applicazione della disposizione, parte della giurisprudenza aveva ritenuto che, nonostante fosse integrato il presupposto dell’insufficiente realizzo, l’istanza potesse essere rigettata, quando l’accertamento del passivo fosse necessario per attuare esigenze di tutela dei diritti al di fuori della procedura concorsuale. Questa interpretazione si era formata con riferimento alle domande di insinuazione al passivo proposte da lavoratori subordinati, sul presupposto che la tutela sostitutiva del Fondo di garanzia per la corresponsione del t.f.r. (art. 2 L. n. 297/1982) e delle ultime tre mensilità di retribuzione (artt. 1 e 2 D.Lgs. n. 80/1992) a vantaggio dei dipendenti dell’imprenditore dichiarato fallito fosse necessariamente condizionata – anche nel caso in cui nella procedura fosse stato disposto di non farsi luogo al procedimento di verifica per previsione di insufficiente realizzo ex art. 102 L. fall. – al provvedimento di ammissione al passivo del credito del lavoratore, così come richiesto dall’art. 2, comma 2 e 3, della L. n. 297/1982 (e dall’art. 2 del D.Lgs. n. 80/1992, che rinvia a queste disposizioni) [15].
Nella giurisprudenza più recente, invece, sembra ormai prevalere l’opposto orientamento (adottato anche dall’istituto di previdenza) [16], per il quale, se il tribunale abbia disposto di non darsi luogo al procedimento di verifica dei crediti concorsuali per previsione di insufficiente realizzo, i lavoratori dipendenti del debitore fallito (oggi, sottoposto a liquidazione giudiziale) possono accedere alla tutela del Fondo di garanzia anche in difetto del provvedimento di ammissione al passivo, applicandosi in tale ipotesi (non i commi 2 e 3 dell’art. 2 L. n. 297/1982, bensì) quanto previsto dal comma 5 dell’art. 2 cit. per i datori di lavoro non sottoposti alle disposizioni della abrogata legge fallimentare [17]. Resta tuttavia fermo l’onere per il lavoratore, al fine di potere accedere ai benefici del Fondo, di premunirsi di un titolo esecutivo, come richiesto dalla consolidata interpretazione del richiamato comma 5 dell’art. 2 L. cit. [18]. Per ottenere il titolo esecutivo, il lavoratore deve, inevitabilmente, esercitare un’azione in sede ordinaria nei confronti del curatore (e non, come talvolta si afferma, nei confronti dell’imprenditore tornato in bonis, dato che il decreto ex art. 209, come abbiamo detto, non determina la cessazione della procedura). A seguito della chiusura della procedura disposta ai sensi dell’art. 233, l’azione può essere iniziata o proseguita nei confronti dell’imprenditore tornato in bonis; nel caso in cui la procedura riguardi una società e alla sua cessazione segua l’estinzione del soggetto giuridico (art. 233, comma 2), secondo la Corte di cassazione, l’azione deve essere proposta (o continuata) nei confronti dei soci [19].
Il comma 2, a cui si è sopra fatto riferimento, prevede che “le disposizioni del primo comma si applicano, in quanto compatibili, ove la condizione di insufficiente realizzo emerge successivamente alla verifica dello stato passivo”.
La disposizione – come chiarisce la Relazione al D.Lgs. n. 169/2007, a cui si deve la formulazione della norma oggi riprodotta all’art. 209[20] –consente di adottare il decreto successivamente alla decisione delle domande tempestive ed all’emanazione del decreto di esecutività dello stato passivo; in tale caso, il decreto impedisce di dare corso alla verifica delle domande tardive eventualmente presentate, nell’udienza che il giudice delegato ha fissato o dovrebbe fissare per il loro esame ai sensi dell’art. 208, comma 2 [21].
La disposizione può trovare applicazione, ad esempio, nel caso in cui siano state accolte domande di rivendica o di restituzione di beni, e conseguentemente l’attivo risulti in via sopravvenuta insufficiente a soddisfare i creditori concorsuali, per tali dovendosi intendere sia i creditori tempestivi, sia i creditori tardivi (dato che, ai sensi del comma 1, presupposto per l’emanazione del decreto è che non possa essere acquisito attivo da distribuire “ad alcuno dei creditori che abbiano chiesto l'ammissione al passivo”) [22].
Ci si può chiedere se gli effetti del provvedimento possano investire anche gli eventuali giudizi di opposizione o di impugnazione, di cui siano oggetto domande di insinuazione tempestive [23]. L’opinione favorevole appare persuasiva: considerato che, al pari del procedimento di verifica dinanzi al giudice delegato, i giudizi de quibus hanno quale unica finalità di accertare i crediti pecuniari da soddisfare con il ricavato dalla liquidazione e si concludono con un provvedimento avente effetti ai soli fini del concorso, il decreto con cui il tribunale dispone di non farsi luogo alla verifica del passivo per insufficienza dell’attivo integra una causa di cessazione della materia del contendere, per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione di merito. È peraltro necessario che il giudice dell’impugnazione, prima di definire il processo con la declaratoria della cessazione della materia del contendere, attenda che divenga definitivo il decreto con cui il tribunale dispone di non farsi luogo alla verifica del passivo.
Note: