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La liquidazione controllata

Anna Ghedini, Giudice nel Tribunale di Ferrara

10 Aprile 2024

L’A. si sofferma sul procedimento finalizzato all’apertura della liquidazione controllata, trattando del contenuto della sentenza e indagando i profili dell’universalità della liquidazione e le tematiche connesse alle eccezioni del debitore e alla domanda riconvenzionale. Infine, si analizzano le questioni relative all’ammissibilità di una liquidazione controllata senza beni, della durata della procedura in rapporto alla esdebitazione e della disciplina applicabile.
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1 . Il Procedimento
La LC è la procedura liquidatoria, alternativa alle soluzioni di composizione della crisi da sovraindebitamento, che il CCII, in continuità con la disciplina della legge n. 3/2012, prevede per il soggetto di cui all’art. 2 lett. c) CCII (la norma definisce il sovraindebitamento come la crisi o insolvenza che affliggono il consumatore, il professionista, l’imprenditore minore di cui alla lett. d) successiva, l’imprenditore agricolo a prescindere dalla sua dimensione, le start-up innovative e ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale, a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal c.c. o da leggi speciali) che si trovi in stato di sovraindebitamento (definita come la insolvenza del debitore non soggetto a LG).
Nell’impianto della legge n. 3/2012 la LC poteva essere aperta solo su istanza dello stesso debitore, mentre nel CCII è data la possibilità anche al creditore di chiedere la apertura della liquidazione del proprio debitore, pur se pendano procedure esecutive individuali ma purché’ i debiti scaduti e non pagati al momento del ricorso non siano inferiori a cinquantamila euro (la soglia è sensibilmente più alta di quella prevista per la liquidazione giudiziale per evitare, come si legge nella relazione illustrativa, un eccessivo ricorso a tale strumento da parte dei creditori in quanto spesso meno oneroso della esecuzione individuale).
Nel caso di ricorso del creditore l’ammontare dei debiti scaduti risulterà, ex art. 268, comma 2, dagli atti della istruttoria: da questa norma si può fare derivare la applicazione, alla LC, della norma ex art. 42 CCII relativa alle informazioni che vanno assunte dalla Cancelleria. Del resto per effetto del rinvio operato dall’art. 270, comma 5, trovano applicazione al procedimento per apertura della LC le regole del procedimento unitario nei limiti della compatibilità.
Allo stato nei tribunali italiani la quasi totalità delle liquidazioni controllate sono aperte su richiesta del debitore e numericamente arrivano pressoché agli stessi numeri delle liquidazioni giudiziali.
Il ricorso del debitore per legge (art. 269 CCII) può essere presentato personalmente dal debitore, con l’“assistenza” del gestore. Si deve ritenere che la assistenza del gestore non riguardi la predisposizione del ricorso, attesa la posizione di terzietà (sic) che deve problematicamente contraddistinguere il gestore, ma la mera circostanza materiale del deposito del ricorso in modalità telematica.
Al gestore spetta invece la redazione della relazione, non più particolareggiata come la definiva la legge n. 3/2012, di cui all’art. 269 comma 2 CCII, in cui il gestore deve dare conto della completezza e veridicità della documentazione allegata al ricorso e illustrare la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore.
Nell’ambito della procedura di liquidazione controllata ex art. 268 CCII i compensi e le spese sostenute dai professionisti, che hanno assistito il debitore nella predisposizione e nell’elaborazione della domanda e del piano (legale e c.d. advisor), non sono prededucibili.
Sono due le circostanze principali che militano in tal senso: da un lato, manca una specifica disposizione che preveda espressamente la prededuzione per i loro compensi (e la previsione di cui all’art. 6 CCII non può essere oggetto di applicazione analogica attesa la eccezionalità delle ipotesi di prededuzione rispetto alla regola della par condicio); dall’altro lato, ai fini dell’accesso alla procedura, al pari di quanto previsto per gli accordi di ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 68, comma 1, del D.Lgs. n. 14/2019), il sovraindebitato può presentare personalmente il ricorso con la sola assistenza dell’OCC (art. 269, comma 1, del D.Lgs. n. 14/2019) e quindi, quanto alla assistenza del legale, si tratta di prestazione professionale non necessaria.
Ne consegue che il liquidatore, in sede di formazione dello stato passivo e, successivamente, di riparto delle somme ricavate dalla liquidazione, dovrà tener conto che non vi è alcuna prededuzione per i compensi dei professionisti del debitore (es. consulente, avvocato), la cui assistenza non è necessaria, ma solo eventuale. Il credito godrà del privilegio ex art. 2751 bis n. 2 c.c. e dovrà essere oggetto di insinuazione al passivo (in tale senso Trib. Pordenone, sent. n. 35 del 30 ottobre 2023; Trib. Ascoli Piceno, sent. n.17 del 13 luglio 2023; Trib. Genova, sent. n. 143 del 10 novembre 2023; Trib. Torino, sent. 3 agosto 2023; contra: Trib. Pavia, 9 settembre 2022, Trib. Reggio Emilia, 2 maggio 2023).
Tornando al contenuto del ricorso, quanto agli oneri di allegazione che incombono sul debitore che chiede la liquidazione in proprio, è vero che per effetto del richiamo di cui all’art. 270, comma 5, CCII sarebbe applicabile l’art. 39 anche al debitore che ricorre per la liquidazione controllata, ma è anche vero che il criterio della compatibilità consente ed impone di circoscrivere la documentazione da depositare, nella ipotesi in cui il debitore non sia un imprenditore, a: 1) dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni; 2) inventario dei beni del ricorrente (dovendosi intendere in questi termini lo stato delle attività, anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 270, comma 2, lett. e) della successiva redazione dell’atto previsto dall’art. 272, comma 2, CCII); 3) elenco nominativo dei creditori, con la specificazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione, oltre che dei terzi titolari di diritti sui beni del debitore, con indicazione, in entrambi i casi, del rispettivo domicilio digitale; 4) elenco degli atti dispositivi compiuti nei cinque anni antecedenti (dovendosi intendere in questi termini il riferimento agli atti di straordinaria amministrazione contenuto nell’art. 39, comma 2, CCI, anche in funzione delle scelte del liquidatore da compiere ai sensi dell’art. 274, comma 2, CCI); 5) lo stato di famiglia e l’elenco delle spese necessarie per il mantenimento del debitore e della sua famiglia (ai fini della tempestiva adozione del provvedimento previsto dall’art. 268, comma 4, lett. b), CCII) come plasticamente evidenziato in Trib. Verona, 20 settembre 2022.
Diffusa la prassi di non procedere alla convocazione del debitore in caso di istanza in proprio non essendo individuabile uno specifico contraddittore, analogamente a quanto affermato dalla S.C. in punto di istanza in proprio di fallimento (v. Cass. n. 20187/2017).
Resta salva la possibilità di convocare il debitore o di assegnare allo stesso un termine per la integrazione della documentazione ove il giudice ravvisi la opportunità di chiedere chiarimenti o la incompletezza della documentazione.
Nella prassi viene convocato il debitore laddove da quanto esposto in ricorso emerga come incerta la possibilità di conseguire la esdebitazione per carenza del presupposto soggettivo (ovvero quando il sovraindebitamento sia dovuto a colpa grave, dolo o frode del debitore): in tali casi, essendo ovviamente nella generalità dei casi il ricorso per LC proposto solamente per gli esiti esdebitatori che esso consente, oggi a prescindere da qualsiasi soddisfacimento dei creditori concorsuali, può essere opportuno convocare il debitore per assicurarsi che egli abbia chiare le prospettive del suo ricorso.
Da stigmatizzare la prassi, nella predisposizione dei ricorsi per LC, di individuare alcuni beni che il debitore non intende sottoporre a liquidazione: tale indicazione non può avere alcun valore poiché’ la procedura ha natura universale ed opera, trovando applicazione l’art. 142 CCII, lo spossessamento generale del debitore, essendo estraneo al ricorso per LC alcun contenuto di “proposta” (sul punto v. Trib. Bologna, 19 ottobre 2023).
Diversamente il debitore può chiedere, in sede di ricorso, in relazione a un particolare cespite (si pensi ad esempio alla vettura o all’immobile utilizzato come abitazione dal debitore e dalla sua famiglia) di essere autorizzato a continuare ad utilizzarlo fino alla avvenuta liquidazione.
Tale richiesta va effettuata in sede di ricorso e non già successivamente, almeno stando alla lettera della legge che all’art 270, comma 2, lett. e) CCII prevede che la sentenza collegiale disponga sempre il rilascio immediato dei beni facenti parte de patrimonio da liquidare, a meno che non ritenga (il tribunale in sede di sentenza) di autorizzare il debitore ad utilizzarli. Peraltro, al capo della sentenza in commento viene attribuita dalla legge valenza di titolo esecutivo per il rilascio che deve essere eseguito dal liquidatore stesso, senza ricorso alla procedura di rilascio prevista dal C.P.C. e affidate ad UNEP.
Nel caso di ricorso del creditore per la apertura della liquidazione, il debitore ha la possibilità di paralizzare la richiesta di apertura del concorso (art. 268, comma 3, CCII) a mezzo di una attestazione del Gestore della Crisi (le norme del CCII si riferiscono sempre all’OCC, ma, ahimè, occorre rammentare che l’OCC è l’ente e che colui che redige le relazioni e le attestazioni è il professionista nominato gestore dall’OCC cui appartiene) circa la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 283 CCII. In sostanza se il debitore prova di essere un debitore incapiente la procedura di LC non può essere aperta.
La attestazione in questo caso non apre automaticamente un procedimento di cui all’art. 283 CCII, ma la sua produzione opera esattamente come la proposizione di una eccezione riconvenzionale in un processo civile ordinario: ovvero ha come scopo la paralisi della domanda avversaria.
Si può discutere se sia possibile formulare addirittura una domanda riconvenzionale: ovvero chiedere al giudice (collegiale) che in luogo di aprire la LC accerti la esistenza di dei presupposti per la esdebitazione dell’incapiente e si pronunci in merito. Non si ravvisano seri ostacoli a tale possibilità: il procedimento si concluderebbe con un decreto che rigetta la domanda di apertura di LC e concede il beneficio di cui all’art. 283 CCII. Il fatto che tale ultimo provvedimento, di competenza del giudice monocratico, sia emesso da un giudice collegiale non comporta alcuna nullità, come noto, diversamente da quanto accadrebbe nella contraria ipotesi.
Diversamente, ai sensi dell’art. 271 CCII, il debitore può, a fronte del ricorso del creditore chiedere l’accesso a uno degli strumenti di composizione (concordato minore o piano del consumatore), chiedendo la concessione di un termine per la predisposizione del ricorso con piano e proposta. Si può assimilare la richiesta di accesso come una sorta di ricorso in bianco con conseguente assegnazione di un termine non superiore a sessanta giorni (del resto se in sessanta giorni il debitore deve essere in grado di predisporre una proposta di concordato, tale termine deve essere adeguato anche per la proposizione di un concordato minore o di un accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore).
In questo caso il ricorso per lo strumento di composizione verrà depositato nel medesimo P.U. generato dalla istanza di apertura di LC e, analogamente a quanto previsto in generale dall’art. 7 e per la LG dall’art. 40, commi 9 e 10, non sarà possibile decidere il ricorso per apertura della liquidazione se prima non si sia esaurito il procedimento relativo al concordato o all’accordo (art. 271 CCII).
Circa la nomina del liquidatore la norma ex art. 270, comma 2, lett b) prescrive che, in caso di ricorso del debitore, debba essere nominato colui che ha svolto le funzioni di gestore della crisi, o, in caso di ricorso del creditore uno dei professionisti iscritti nell’elenco dei gestori della crisi di cui al D.M. n. 202/2014.
La norma non fa alcun riferimento alla iscrizione del all'Albo istituito presso il Ministero della giustizia, vigente a partire dal 1° aprile 2023, relativo ai soggetti "destinati a svolgere, su incarico del Tribunale, le funzioni di curatore, commissario giudiziale o liquidatore, nelle procedure previste nel codice della crisi e dell'insolvenza" previsto dall’art. 356 CCII.
Secondo taluna giurisprudenza la norma di cui all’art. 356 è norma generale che impone che la scelta del Liquidatore ricada nell'alveo di coloro che sono iscritti non solo - stante il chiaro tenore letterale dell'art. 270 CCII - "nell'elenco dei gestori della crisi di cui al decreto del Ministro della giustizia 24 settembre 2014, n. 202", ma anche - in considerazione del carattere generale della previsione contenuta all'art. 356 CCII - all'Albo dei soggetti "destinati a svolgere, su incarico del tribunale, le funzioni di curatore, commissario giudiziale o liquidatore, nelle procedure previste nel codice della crisi e dell'insolvenza", (cfr. Trib. Torino, 11 maggio 2023; Trib. Milano, 16 giugno 2023; Trib. Salerno, 10 luglio 2023; Trib. Palermo, 14 luglio 2023; Trib. Bologna. 19 ottobre 2023 n. 142).
Non manca orientamento contrario (per tutte v. Trib. Arezzo, sent. 59 del 20 ottobre 23) che sostiene la specialità della norma ex art. 270 rispetto a quella generale di cui all’art. 356.
In merito al compenso del liquidatore, la legge lo definisce come unico insieme a quello del gestore che ha prestato la sua opera nella fase antecedente il ricorso (artt. 17 e 18, comma 2, del D.M. n. 202/2014) e stabilisce che deve essere liquidato dal giudice in esito alla approvazione del rendiconto ex art. 275, comma 3, CCII. 
Circa la possibilità, anche nel contesto della procedura di liquidazione controllata del sovra indebitato, di applicare la disposizione di cui all’art. 146 del D.P.R. n. 115/2002 in tema di prenotazione a debito delle spese necessarie all’apertura della procedura liquidatoria la giurisprudenza si è espressa in senso negativo (Trib. Venezia, 21 dicembre 2023; il Trib. Verona, con l’ordinanza del 28 novembre 2023, si è pronunciato formulando una risposta in senso negativo -fondata sulla lettera della disposizione appena citata, che contiene un riferimento espresso alla sola procedura fallimentare, non suscettibile di applicazione analogica ad altre fattispecie, quale, ad esempio, la procedura di liquidazione controllata del sovra indebitato- sollevando in tal senso un “dubbio” circa la costituzionalità degli artt. 144 e 146 del D.P.R. n. 115/2002 in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. e, per l’effetto, rimettendo la questione alla Corte costituzionale). Segnatamente il Tribunale veronese ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, per contrarietà agli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 144 del D.P.R. n. 115/2002, “nella parte in cui non prevede che anche nei processi in cui è parte una procedura di liquidazione controllata, se il decreto del giudice delegato attesta che non è disponibile il denaro per le spese, la procedura si considera ammessa al patrocinio a spese dello Stato”, e del successivo art. 146, “nella parte in cui non prevede la sua applicabilità alla procedura di liquidazione controllata, dalla sentenza di apertura alla chiusura”.
2 . La liquidazione con (solo) crediti futuri
Molto di frequente il debitore non ha null’altro da offrire ai propri creditori se non una parte del proprio reddito da lavoro o della propria pensione. 
La norma di cui all’art. 268, comma 4, lett. b) CCII riferisce il compito di determinare la quota di reddito o pensione che il debitore può trattenere per sé al giudice e non al collegio: tale determinazione va quindi effettuata non appena emessa la sentenza di apertura e il criterio che deve guidare il giudice è quello del conservare al debitore una somma sufficiente affinché’ egli possa provvedere al mantenimento proprio e della famiglia. 
Sovente manca la documentazione delle spese allegate come necessarie al mantenimento del debitore e della sua famiglia, utile al giudice per stabilire quale quota di reddito o di pensione il debitore può trattenere per sé: in tali casi può assegnarsi al debitore un termine per integrazione, oppure (come suggerito da Trib. Bologna, sent. 19 ottobre 23), poiché’ la indicazione della parte del reddito che il debitore può trattenere non è contenuto obbligatorio della sentenza ma è provvedimento che deve assumere il giudice delegato, si può incaricare il Liquidatore di compiere i necessari accertamenti sulla condizione personale del ricorrente e della sua famiglia, da sottoporre all'attenzione del giudice delegato con relazione (e documentazione di supporto allegata) da depositarsi entro trenta giorni dalla presente sentenza e nella quale prendere posizione sulle richieste del debitore (è presente un orientamento secondo il quale, al contrario, indipendentemente dalla lettera contenuta nella disposizione de qua, spetta già al tribunale in composizione collegiale, in fase di apertura, pur in via provvisoria, la determinazione della posta reddituale del debitore eventualmente esclusa dalla liquidazione, con successiva rideterminazione da parte del giudice delegato, previo contraddittorio con il nominato liquidatore (cfr. Trib. Rimini, 12 dicembre 2023). 
Sempre secondo la già citata giurisprudenza di Rimini nel fissare la quota di reddito o di pensione che il debitore deve versare alla procedura (o ancora meglio che il datore di lavoro o l’ente pensionistico debbono direttamente versare alla procedura) occorre tenere conto non solo del parametro sopra indicato (conservare al debitore il necessario per il mantenimento proprio e della famiglia) ma anche dei limiti fissati dall’art. 545 c.p.c. 
In altri termini il Tribunale osserva come occorra propendere per un’interpretazione non tanto “alternativa”, quanto piuttosto “cumulativa” delle due ipotesi previste dalle lett. a) e b) del quarto comma dell’art. 268 del CCII. Così, partendo dal presupposto secondo cui i crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 c.p.c. non sono compresi nella liquidazione e che, quindi, essendo lo stipendio o salario impignorabile nella misura di quattro quinti o, in caso di simultaneo concorso di crediti di diverso tipo (alimentari, comuni ed erariali), nella misura della metà, i quattro quinti o la metà della retribuzione non potrebbero che essere lasciati nella disponibilità del debitore, l’ipotesi prevista dall’art. 268, comma 4, lett. b) del CCII, nella parte in cui stabilisce che la quota di reddito lasciata nella disponibilità del debitore corrisponde all’ammontare necessario per il sostentamento del proprio nucleo familiare, “va interpretata nel senso che “l’occorrente al mantenimento del debitore e della sua famiglia”, che va lasciato nella sua disponibilità, non può in nessun caso violare i sopra indicati limiti di impignorabilità, ma può essere determinato in misura soltanto pari o superiore agli stessi (dunque, pari o superiore ai quattro quinti o alla metà dello stipendio)”. 
Per quanto suggestiva la tesi non convince poiché’ il parametro endoconcorsuale è autonomo e di per sé completo: il giudice infatti deve tenere conto non solo delle spese della famiglia ma anche dei redditi della famiglia. Ad esempio, il nucleo familiare può essere composto da due persone di cui una sola necessiti di accedere alla liquidazione: in questo caso, determinato quanto necessario per il mantenimento della famiglia, il reddito del debitore può ben essere decurtato a favore della procedura oltre la misura del 1/5, poiché’ entrambi i redditi dei due componenti partecipano al mantenimento. 
Inoltre la misura determinata dall’art. 545 c.p.c. ( 1/5 dello stipendio e 1/5 della pensione nella misura in cui supera i mille euro) è una misura fissa, che prescinde dalla sufficienza del non pignorato a mantenere se’ e la famiglia; per contro nella liquidazione controllata non sarebbe pensabile un criterio aritmetico fisso, essendo il criterio quello di assicurare comunque il mantenimento della famiglia, criterio elastico che rende il risultato estremamente variabile a seconda della composizione e dei redditi della famiglia e soprattutto a secondo dai bisogni della famiglia stessa.
3 . Ammissibilità di LC senza beni
Anche sulla ammissibilità di una liquidazione senza beni utilmente liquidabili si confrontano due orientamenti:
il primo secondo il quale nessuna norma impone, quale presupposto della apertura della LC (o anche della LG) la esistenza di beni utilmente liquidabili che offrano una prospettiva di soddisfazione ai creditori concorsuali; tra l’altro l’art. 276, comma 1, in punto di chiusura, richiama, con il limite della compatibilità, l’art. 233 CCII che comprende anche la ipotesi di chiusura per assenza di attivo (App. Milano, 21 aprile 2023).
In realtà, se pacificamente è ammissibile una istanza di liquidazione giudiziale in proprio in assenza di attivo, non si può fare la stessa affermazione per la liquidazione controllata: infatti l’imprenditore sopra soglia non ha altra possibilità (a parte gli strumenti di composizione) per conseguire la esdebitazione se non passare attraverso la procedura liquidatoria, mentre il debitore persona fisica che non abbia alcuna utilità da offrire ai propri creditori non è obbligato a percorrere la via della liquidazione controllata per potere accedere alla esdebitazione, poiché’ a tale scopo l’ordinamento ha previsto lo strumento dedicato della esdebitazione dell’incapiente (Trib. Palermo, 30 settembre 2022).
Questa ultima impostazione, relativa alla inammissibilità della LC in proprio da parte dell’incapiente, certamente risponde a criteri di efficienza ed economia dei mezzi processuali, ma oblitera la ipotesi di un imprenditore minore collettivo che non abbia alcun bene ma che aspiri legittimamente alla esdebitazione. Egli non potrà percorrere la via del concordato minore, se non con un rilevante apporto di finanza esterna, e nemmeno ricorrere alla strada della EDI ex art. 283 CCII, restandogli preclusa ogni possibilità di esdebitazione.
La differenza di vedute fra i due provvedimenti è legata principalmente alla diversa interpretazione della finalità della procedura. La Corte d'Appello di Milano ritiene che la stessa sia precipuamente volta a consentire l'esdebitazione e ciò viene sostenuto attraverso l'applicazione analogica dell'art. 233 CCII, richiamato dall'art. 276 CCII (i.e. possibilità di chiusura della procedura senza attivo). Il Tribunale di Palermo ritiene invece che un seppur minimo soddisfacimento dei creditori sia indispensabile, fondando tale affermazione sul fatto che, per i casi in cui ciò non è possibile, il Legislatore ha predisposto lo strumento di cui all'art. 283 CCII.
Ipotesi problematica della istanza di LC relativa ad un sovraindebitamento familiare in cui uno dei debitori abbia una utilità da porre a disposizione dei creditori ed un altro invece non ne abbia alcuna e versi nelle condizioni di cui all’art. 283 CCII: come noto la istanza è unica e genera tante liquidazioni quanti sono i debitori. Tale circostanza però non osta alla redazione di due provvedimenti separati, l’uno di apertura della procedura e l’altro di rigetto in quanto la procedura appare priva di utilità.
Da ultimo appare utile chiedersi se sia ammissibile una liquidazione controllata di un debitore privo di beni e di redditi ma non un apporto di finanza esterna (ovvero una promessa di pagamento di una somma da parte di un soggetto terzo): Il Tribunale di Nola (sent.12 dicembre 2023) osserva, inoltre, che “se certamente deve ritenersi ammissibile l’apertura della liquidazione controllata anche nella sola prospettiva dell’acquisizione di beni futuri, stante l’applicabilità alla stessa del principio di cui all’art. 142, comma 2, del CCII in considerazione dell’identità di struttura e finalità della liquidazione dei beni ex lege n. 3/2012 (che tale principio espressamente prevedeva), non vi è ragione di escluderla quando la sopravvenienza è costituita da somme erogate da terzi senza obbligo di restituzione”.
4 . Durata della LC in rapporto alla esdebitazione
Fin dal settembre 2022 il Tribunale di Verona ha indicato il principio secondo cui, nella liquidazione controllata con sola apprensione di quote di reddito o di pensione (ovvero con soli crediti futuri), attesa la previsione della esdebitazione di diritto- ricorrendo le condizioni soggettive e oggettive previste dalla legge - a tre anni dalla apertura della procedura: se dopo i tre anni opera la esdebitazione ed i crediti verso il debitore divengono inesigibili allora mancherà il titolo per espropriare il debitore dei crediti futuri e in questo modo il termine per la esdebitazione segnerà la durata massima ( e minima) della LC ove l’attivo sia costituito solo da crediti futuri.
Il percorso indicato da Verona è stato concluso dalla sentenza n. 6 del 2024 della Corte Cost.
Preliminarmente la Corte ha precisato che la esdebitazione «comporta la inesigibilità dal debitore dei crediti rimasti insoddisfatti nell’ambito di una procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata» (art. 278 CCII).
La sua finalità è quella «di “ricollocare utilmente [il debitore] all’interno del sistema economico e sociale, senza il peso delle pregresse esposizioni” (sentenza n. 245 del 2019)» (sentenza n. 65 del 2022). Nel solco del diritto dell’Unione europea, l’istituto sacrifica le residue ragioni creditorie – comportando una responsabilità patrimoniale limitata nel tempo – onde consentire a debitori non immeritevoli una “ripartenza” (il cosiddetto fresh start). E, infatti, l’accesso a tale istituto presuppone che il beneficiario non abbia «determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode» (art. 282, comma 2, CCII) e che ricorrano le condizioni previste dall’art. 280 CCII (il debitore non deve essere stato «condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, o altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa»; non deve aver «distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito»; non deve aver «ostacolato o rallentato lo svolgimento della procedura» e deve aver «fornito agli organi ad essa preposti tutte le informazioni utili e i documenti necessari per il suo buon andamento»; non deve aver «beneficiato di altra esdebitazione nei cinque anni precedenti la scadenza del termine per l’esdebitazione» e non deve aver «già beneficiato dell’esdebitazione per due volte»).
In presenza dei citati presupposti, l’esdebitazione opera di diritto a seguito del provvedimento di chiusura della procedura di liquidazione controllata e, in ogni caso, decorsi tre anni dalla sua apertura (art. 282, comma 1, CCII), in linea con quanto prevede il diritto dell’Unione europea (art. 21, comma 1, della direttiva 2019/1023/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132, riferito alla esdebitazione dell’imprenditore, e considerando n. 21 della medesima direttiva, che auspica un’estensione dell’istituto anche al consumatore).”
Quindi il termine triennale è il termine massimo per la liquidazione avente ad oggetto solo quote di reddito; nelle liquidazioni che tra l’attivo annoverano anche cespiti mobili o immobili da liquidare o pretese da azionare, la durata può eccedere tale termine ma solo per le operazioni di vendita di beni già acquisiti all’attivo e per i giudizi già iniziati (art. 281, comma 5, CCII).
[La esdebitazione in esito alla liquidazione controllata si chiama “di diritto” ma impone comunque la adozione alla scadenza del triennio di un provvedimento collegiale che, senza che sia necessaria istanza, dia conto della presenza di motivi ostativi alla esdebitazione o della loro assenza, provvedimento previsto dall’art. 282 CCI.]
Se interviene la esdebitazione, circostanza non scontata in quanto subordinata alla ricorrenza di presupposti soggettivi e oggettivi (tra cui non rientra più il soddisfacimento anche parziale dei creditori concorsuali), allora il debitore rientrerà nella piena disponibilità dei propri diritti, venuta meno la legittimazione dei creditori di cui si fa interprete la procedura e non sarà possibile acquisire nuove quote di reddito o acquisire altri beni o promuovere nuovi giudizi.
Ma, soggiunge la Corte, il triennio è anche il termine minimo della procedura, dovendo essa assicurare non solo la copertura dei costi ( come ipotizzato dai giudici remittenti) ma la soddisfazione il più ampia possibile del ceto creditorio, e “ove infatti, per adempiere ai debiti relativi ai crediti concorsuali e a quelli concernenti le spese della procedura sia necessario acquisire i beni sopravvenuti del debitore (compresi i crediti futuri o non ancora esigibili), i liquidatori – salvo che riescano a soddisfare integralmente i citati crediti tramite la vendita di beni futuri o la cessione di crediti futuri o non ancora esigibili – sono tenuti a prevedere un programma di liquidazione che sfrutti tutto il tempo antecedente alla esdebitazione e che, dunque, sia di durata non inferiore al triennio”.
Detto altrimenti: la norma impedisce al tribunale concorsuale di approvare un piano di liquidazione che preveda l'acquisizione dei beni futuri per un tempo inferiore ai tre anni, perché’ lesivo dei diritti dei creditori.
In conclusione, ritiene la Corte che l'art. 282 CCII sul termine per l'esdebitazione di diritto, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, non fissi soltanto il limite temporale massimo nel quale i beni futuri possono essere utilmente acquisiti all'attivo, ma indichi anche il lasso di tempo minimo nel quale i creditori possono confidare che il liquidatore farà quanto necessario per soddisfare le loro ragioni, inclusa l'acquisizione dei beni sopravvenuti.
La sentenza della Corte parte poi dal presupposto della piena applicabilità dell’art. 142 alla LC, nel senso che alla procedura vengono attratti anche i beni sopravvenuti al debitore, conseguenza peraltro del principio generale ex art. 2740 c.c. 
Tale proiezione della responsabilità sui beni futuro incontra il suo limite, così come la tutela del credito, nella possibilità di esdebitazione che circoscrive questa proiezione al triennio, contemperando così la esigenza di tutela del credito con la esigenza di fornire al debitore una seconda possibilità. 
Dalla sentenza, e dalla funzione che viene attribuita alla procedura (ovvero quella offrire una soddisfazione ai creditori concorsuali) è inoltre possibile trovare conferma della tesi che vuole inammissibile la istanza di liquidazione controllata di un debitore senza beni attuali né crediti futuri e che non abbia nessuna seria prospettiva di una utile sopravvenienza, essendo in questo caso da utilizzarsi lo strumento della EDI.
5 . Disciplina applicabile alla LC
Nella interpretazione della giurisprudenza la liquidazione si avvia a essere considerata come una editio minor della liquidazione giudiziale, dotata di una sua specifica disciplina positiva ma a cui, sia per effetto di norme espresse di rinvio, che per effetto di interpretazione analogica, è estesa grande parte della disciplina della LG (v. Trib. Ferrara, 7 dicembre 2023, in punto di applicabilità in via analogica dell’art. 124 CCII, e Trib. Busto Arsizio, 28 febbraio 2024, in punto di applicazione in via analogica dell’art. 154 CCII che prevede che alla apertura del concorso tutti i debiti si intendano scaduti)
Vi sono quindi tre modalità per intercettare le norme che disciplinano la liquidazione controllata:
la prima attiene alla norma positiva dettata agli artt. 268 e ss.: si tratta di norme espressamente dettate per la liquidazione controllata e che vanno certamente applicate. Vi sono quindi ambiti espressamente normati in sede di liquidazione controllata che non presentano alcuna lacuna e per i quali non sarà necessario fare ricorso alla interpretazione analogica.
La seconda riguarda i rinvii espressi, all’interno degli articoli dedicati alla liquidazione controllata, a norme specifiche della liquidazione giudiziale od a interi titoli del CCII: tali rinvii sono sempre formulati con la clausola di compatibilità. Ciò accade ad esempio nell’art. 270, comma 5, che rende applicabili gli artt. 143, 150 e 151 ((sicuramente l’art. 143 comma 2 è incompatibile con la LC poiché in quest’ultima non può configurarsi la bancarotta) e addirittura richiama, per quanto riguarda quanto non espressamente previsto dall’art. 170 l’intero titolo III dedicato al procedimento unitario. All’art. 271, comma 2, in punto di concorso di procedure, la norma fa richiamo agli artt. da 51 a 55: ebbene le norme di cui agli artt. 51, 52, 53 sono certamente compatibili diversamente dovendo opinarsi per le norme dedicate dagli artt. 54 e 55 alle misure protettive che, secondo l’incipit dell’art. 54, sono dedicate alla procedura maggiori (v. anche art. 54, comma 2, che fa riferimento al ricorso ex art. 40, norma dedicata alle procedure maggiori).
L’art. 275, comma 2, rinvia alle norme sulle vendite di cui agli artt. 214 e ss.: in questo caso, ad esempio, non saranno compatibili tutte quelle norme che prevedono l’intervento del comitato dei creditori, organo assente nella liquidazione controllata.
Da ultimo viene il criterio della analogia legis, criterio interpretativo subordinato alla presenza di una lacuna normativa, che a sua volta facoltizza la applicazione della disciplina prevista per un istituto analogo per natura e funzione. 
Ad esempio: l’art. 272, comma 2, non prevede la autorizzazione degli atti previsti nel PdL ma solo la sua approvazione. Occorre applicare analogicamente l’art. 213, comma 7? La risposta è negativa poiché’ la legge ha semplicemente previsto per la LC una disciplina più snella e meno appesantita e quindi ha ritenuto che nella LC non fosse necessaria la specifica autorizzazione ai singoli atti previsti in programma approvato. Peraltro, non solo l'art. 275, comma 1, stabilisce che il programma di liquidazione è eseguito dal liquidatore, ma il terzo comma della norma appena richiamata prevede che il giudice verifica la conformità degli atti dispositivi al programma di liquidazione al momento dell'approvazione del rendiconto. La norma risponde a un criterio di semplificazione che non esclude, tuttavia, un controllo di conformità degli atti esecutivi del programma di liquidazione della cui attuazione il liquidatore deve dare conto ogni sei mesi, in base a quanto stabilito dall'art. 275, comma 1, CCII. 
Per contro manca del tutto una norma che disciplini la impugnativa degli atti del GD (c’è solo l’art. 273 ultimo comma per uno specifico atto): non potendo il sistema mancate di tale mezzo di impugnazione si farà luogo all’applicazione analogica dell’art. 124 (v. Trib. Ferrara, 7 dicembre 2023).

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