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Saggio

La liquidazione coatta amministrativa nel nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza - I. Struttura della nuova disciplina*

Sido Bonfatti, Ordinario di diritto commerciale nell’Università di Modena e Reggio Emilia

14 Maggio 2021

*Il presente contributo costituisce la parte introduttiva di un più ampio lavoro di prossima pubblicazione.
Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza ha investito anche la Liquidazione coatta amministrativa. Gli artt. 293-316 CCII sostituiranno in materia gli artt. 194-213 della L. fall., mantenendo inalterata la fisionomia peculiare dell’istituto, eppure introducendo in esso alcuni importanti adeguamenti. Le ragioni della disciplina e il profilo evolutivo della LCA sono alla base di un’analisi sistematica, che indaga il senso delle nuove regole e i punti di contatto e coordinamento con i rimodellati istituti del diritto concorsuale.
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1 . Introduzione. Le ragioni dell’esigenza di una procedura concorsuale diversa (dal “fallimento” e) dalla liquidazione giudiziale di diritto comune
 Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14: d’ora innanzi: c. crisi impr.) ha preso atto - come aveva fatto la legge fallimentare – della circostanza che l’ordinamento giuridico avverte l’esigenza che in talune circostanze la situazione di “crisi” di una impresa (o di un soggetto in singoli casi di specie ad essa equiparato) sia disciplinata attraverso la applicazione di una procedura bensì “concorsuale”[2], e tuttavia diversa dalla procedura concorsuale (liquidativa) di diritto comune, funzionale a regolare le situazioni di “crisi” della generalità delle imprese.
La ragione di ciò risiede principalmente nella ritenuta necessità di predisporre una adeguata tutela non soltanto degli interessi dei creditori dell’impresa versante in una situazione di difficoltà (quale che ne sia la natura) – come accade invece allorché si tratta di affrontare la “crisi” di una impresa di diritto comune – : bensì anche degli interessi di  natura pubblicista – di vario genere -, che la disciplina delle procedure concorsuali di diritto comune non tutela adeguatamente (o non tutela affatto), perché insussistenti (o scarsamente sussistenti) nel contesto di una situazione di “crisi” coinvolgente una impresa di diritto comune.
La modalità principale attraverso la quale apprestare una adeguata tutela anche ad interessi di natura pubblicista non coincidenti (e talora, anzi, confliggenti)[3] con l’interesse dei creditori dell’impresa in “crisi”, può essere colta, oggi, dal semplice confronto tra le denominazioni della procedura “di diritto comune” e della procedura “di diritto speciale” che si contrappongono. Liquidazione giudiziale l’una, e liquidazione (coatta) amministrativa l’altra: dove è evidente la contrapposizione rappresentata dalla circostanza che nel primo caso la natura della procedura (concorsuale) ha carattere “giudiziale”; mentre nel secondo caso la natura (sia pur sempre concorsuale) della procedura ha carattere “amministrativo”. 
La ragione di ciò risiede nella circostanza che proprio in considerazione degli interessi sottesi alle attività esercitate dalle imprese “di diritto speciale” la loro gestione è caratterizzata dalla com-presenza dell’autorità amministrativa, che ne condiziona marcatamente l’evoluzione (di norma già condizionandone l’ammissione all’esercizio dell’attività “speciale” al rilascio di una preventiva autorizzazione amministrativa), e che per ciò è interessata a disciplinare anche gli effetti della sopravvenienza di una situazione di “crisi”, e la valutazione della sussistenza dei presupposti per la sua permanenza sul mercato, piuttosto che l’espulsione dallo stesso (di norma, proprio tramite la revoca di quella autorizzazione che aveva consentito l’avvio dell’esercizio dell’attività “riservata”)[4]. 
L’attribuzione di una rilevanza centrale ad interessi anche diversi da (e, come detto, talora addirittura confliggenti con) quelli di cui sono portatori i creditori dell’impresa, mette in evidenza la possibile inadeguatezza della disciplina delle procedure concorsuali “di diritto comune” a favorirne un adeguato soddisfacimento, sotto una serie di profili.
In via preliminare, vengono in considerazione i presupposti oggettivi di assoggettamento dell’impresa ad una procedura concorsuale. Sotto tale profilo:
(i) assumono rilievo non soltanto i presupposti che sono espressivi di una “crisi” di carattere economico–finanziario–patrimoniale, bensì anche quelli espressivi di una “crisi” di carattere “comportamentale” – cc.dd. “crisi di legalità”: violazione di norme di legge, di disposizioni regolamentari, di principi statutari - [5]; e
(ii) pur rimanendo nell’alveo dei presupposti espressivi di una crisi di carattere economico-finanziario-patrimoniale, assumono rilievo non soltanto quelli espressivi di una situazione di crisi attuale, bensì anche quelli che costituiscono i sintomi di una possibile crisi di carattere prospettico[6].
In secondo luogo, vengono in considerazione esigenze particolari, che anche nelle fattispecie nelle quali il presupposto oggettivo di assoggettamento dell’impresa “di diritto speciale” risultasse identico a quello compostante l’assoggettamento ad una procedura concorsuale “di diritto comune” (id est: la già verificata insolvenza dell’impresa), non risulterebbero adeguatamente soddisfatte dalla relativa disciplina (vale a dire: dalla disciplina del “fallimento” ieri, e dalla disciplina della liquidazione giudiziale oggi), neppure per i profili strettamente economico-finanziario-patrimoniale [7]: da cui, anche in queste fattispecie, la necessità di una procedura concorsuale “di diritto speciale”.
Quanto sopra considerato dovrebbe portare naturalmente a formulare la considerazione della incompatibilità della procedura concorsuale liquidativa “di diritto comune” con la natura della crisi dell’impresa “di diritto speciale”, dal momento che: 
(i) in caso di “crisi di legalità”, la procedura di liquidazione giudiziale   non è applicabile;
(ii) in caso di crisi economico-finanziaria-patrimoniale solo ipotetica (il c.d. “pericolo di dissesto”: v., in questo senso, l’art. 17, comma 1, lett a), D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 180), la procedura di liquidazione giudiziale non è applicabile;
(iii) in caso di già verificata insolvenza, la procedura di liquidazione giudiziale sarebbe in teoria applicabile, ma dovrebbe vedersi preferita la procedura di liquidazione coatta amministrativa per la più attenta considerazione che la stessa riserva a certe esigenze dei soggetti coinvolti dalle situazioni di crisi delle imprese connotate da profili di “specialità”, ivi compresi gli stessi creditori.
Sarebbe pertanto (rectius: è pertanto) fortemente incoerente la previsione di una possibile alternatività tra la liquidazione giudiziale e la L.C.A., nelle situazioni nelle quali anche la prima risultasse teoricamente applicabile (cioè le situazioni di già verificata insolvenza): per la ragione che la disciplina della seconda garantirebbe un trattamento più soddisfacente per gli stessi soggetti (a partire dai creditori) colpiti dagli effetti di una crisi caratterizzata da connotati economico-finanziario-patrimoniale.
La denunciata incoerenza è tuttavia generalmente accettata con riguardo a situazioni (principalmente rappresentate dalle fattispecie di insolvenza delle società cooperative esercitanti una attività d’impresa), nelle quali si dà atto che l’impresa “di diritto speciale” può essere assoggettata o alla liquidazione giudiziale; o alla liquidazione coatta amministrativa, semplicemente in base al criterio della prevenzione[8]. Tale risultato è fortemente insoddisfacente: in termini sistematici, per le ragioni già elencate; ed in termini di opportunità generale, purché consente all’impresa interessata (nell’esempio fatto: la società cooperativa con oggetto commerciale) di scegliere la procedura concorsuale “preferibile”, nel momento della acquisita consapevolezza della sopravvenuta insolvenza. L’esperienza insegna che la generalità delle società cooperative (con oggetto commerciale) insolventi, “si precipita” a richiedere l’assoggettamento alla L.C.A., nelle situazioni nelle quali sarebbe ugualmente assoggettabile al “fallimento” (in prospettiva: alla liquidazione giudiziale): qualcosa vorrà dire, e – si ritiene – nulla di particolarmente pregevole.
2 . La evoluzione della disciplina delle procedure di Liquidazione Coatta Amministrativa
In occasione dell’approvazione della legge fallimentare del 1942 il legislatore si trovava di fronte ad un panorama normativo nel quale erano già presenti, oltre alla procedura concorsuale di diritto comune del fallimento, anche “procedure speciali” denominate “liquidazione coatta amministrativa”, introdotte per la gestione delle situazioni di crisi di imprese operanti in specifici settori dell’economia. In particolare il legislatore si trovava di fronte ad una disciplina sufficientemente compiuta della procedura di liquidazione coatta amministrativa delle imprese bancarie (espressa dalla “legge bancaria” formatasi nel biennio 1936-1938)[9].
In linea di massima le esigenze di delineare procedure “di crisi” idonee a prevenire o superare anche situazioni di crisi “di legalità”, nonché di consentire interventi connotati da discrezionalità amministrativa delle Autorità amministrative di vigilanza di settore, avevano trovato risposte normative contingenti, e non coordinate tra di loro.
A ciò pose rimedio la legge fallimentare fissando alcuni fondamentali principi concernenti:
a)  le regole di coordinamento tra le procedure concorsuali di diritto comune (fallimento; amministrazione controllata; concordato preventivo), e le procedure speciali delle liquidazioni coatte amministrative;
b)  un nucleo di disposizioni normative (artt. 194-215 L. fall.)  comuni a tutte le procedure di L.C.A., variamente delineate o delineabili per le singole categorie di imprese giudicate meritevoli di una disciplina delle crisi di diritto speciale [10];
c)  l’affermazione del necessario adeguamento delle disposizioni in vigore ad una serie di norme imperative (artt. 195, 196, 200, 201, 202, 203, 209, 211 e 213 L. fall.), dotate di efficacia abrogatrice delle disposizioni previgenti di contenuto incompatibile (art. 194, comma 2, L. fall.).
Successivamente la disciplina delle procedure di L.C.A. è stata interessata da alcuni fenomeni di carattere generale.  
Principalmente si è andata affermando la tendenza a dettare, per ogni singola categoria di imprese appartenenti al novero di quelle sottratte al fallimento, un corpus autonomo di disposizioni speciali aventi ad oggetto la disciplina delle situazioni di “crisi”, in larga parte autosufficiente. Questa tendenza, già manifestatasi con la disciplina delle situazioni di crisi delle società fiduciarie, delle società fiduciarie e di revisione e degli enti di gestione fiduciaria (D.L. 5 giugno 1986, n. 233, convertito con modificazioni nella legge 1° agosto 1986, n. 430), ha trovato la sua più completa espressione nella disciplina delle crisi delle banche (artt. 70 ss. D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, “Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”), e nella disciplina delle crisi delle imprese abilitate alla prestazione di servizi di investimento (artt. 51 ss. D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, “Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”): ed ha poi registrato una significativa conferma con l’approvazione di una articolata “disciplina delle crisi” delle imprese di assicurazione (D.Lgs.  7 settembre 2005, n. 209, “Codice delle Assicurazioni”).
In secondo luogo si è andata accentuando l’attenzione al fenomeno del “gruppo” di imprese, che la disciplina della procedura di fallimento, invece, praticamente ignorava (ed ignora). Sulla scia di quanto già previsto dalla disciplina della amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (art. 3 D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito con modificazioni dalla legge 3 aprile 1979, n. 95), le disposizioni sulla L.C.A. delle società fiduciarie (e delle società fiduciarie e di revisione, nonché degli enti di gestione fiduciaria) assoggettarono alla procedura concorsuale di diritto speciale della L.C.A. non soltanto le società fiduciarie (e assimilate) propriamente dette, ma anche le società (in stato di insolvenza) che, pur esercitando una attività economica “di diritto comune” - che come tale ne avrebbe comportato la soggezione al fallimento -, presentassero dei rapporti di collegamento con la società fiduciaria (così da appartenere a quello che può essere definito il “gruppo fiduciario”).
Successivamente le disposizioni sull’amministrazione straordinaria e sulla liquidazione coatta amministrativa delle imprese esercitanti l’attività creditizia hanno assoggettato a tali procedure di crisi di diritto speciale non solamente le banche propriamente dette, ma anche le società (in stato di insolvenza) “di diritto comune” – che in quanto tali sarebbero state soggette al fallimento – presentanti dei rapporti di collegamento con la società bancaria (così da appartenere a quello che è normativamente definito “gruppo bancario”). Nello stesso modo gli artt. 275 ss. del D.Lgs. n. 209/2005 hanno dettato una disciplina compiuta “sul risanamento e sulla liquidazione del gruppo assicurativo”[11].
Nel momento poi di mettere mano alla prima “riforma organica” della legge fallimentare, dopo oltre 60 anni dalla sua approvazione, per espressa (e non è dato di sapere quanto consapevole) volontà del legislatore delegante, la “riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali”, avviata con l’approvazione della legge n. 80/2005, è stata specificamente circoscritta a quelle [“procedure concorsuali”] “di cui al regio decreto 16 maggio 1942, n. 267”, cioè  le procedure disciplinare dalla c.d. “legge fallimentare” (cfr. art. 1,  comma 5, L. 14 maggio 2005, n. 80), vale a dire le procedure rivolte a disciplinare le situazioni di crisi delle imprese “di diritto comune”.
In conseguenza di ciò la “riforma organica” della legge fallimentare degli anni 2005 e 2006 (e seguenti) non ha riguardato, in linea di principio:
(i)      né le procedure di liquidazione coatta amministrativa disciplinate in testi normativi diversi dalla c.d. “legge fallimentare” - per es.: le procedure di L.C.A. delle banche, delle imprese autorizzate a prestare servizi di investimento, delle assicurazioni, che sono rimaste disciplinate, rispettivamente, nel “Testo Unico Bancario” (D.Lgs. n. 386/1993); nel “Testo Unico della Finanza” (D.Lgs.  n. 58/1998); e nel “Codice delle Assicurazioni” (D.Lgs. n. 209/2005) -;
(ii)     né la procedura concorsuale di Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (c.d. “Prodi-bis”), disciplinata dal D.Lgs. n. 270/1999;
(iii)         né la procedura concorsuale di Amministrazione Straordinaria delle imprese insolventi di rilevanti dimensioni (c.d. “legge Marzano” o anche “legge Parmalat”, disciplinata dal D.L. n. 347/2003);
(iv)         né la procedura concorsuale di Amministrazione Straordinaria delle imprese di rilevanti dimensioni  “operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali” (c.d. “decreto Alitalia”: D.L. n. 134/2008).
Si è precisato che a tali procedure la “riforma organica” della legge fallimentare degli anni 2005 e 2006 (e seguenti) non si applica in linea di principio: ma non va trascurata la circostanza che una parte rilevante della disciplina delle procedure di L.C.A. regolate al di fuori del fallimento è costituita da disposizioni di rinvio alla “legge fallimentare” propriamente detta. In conseguenza di ciò, molte disposizioni modificate dagli interventi di riforma che si sono succeduti dal 2005 sino alla approvazione del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza si sono trovate ad essere applicate anche alle procedure concorsuali amministrative delle L.C.A. “speciali”, nella versione riformata, pur essendo tali procedure - come detto - di per sé estranee agli interventi riformatori.
Occorre infine dare conto dei dubbi di legittimità costituzionale che in passato hanno investito l’istituto. E’ proprio la ricorrenza dei ricordati interessi di carattere, per così dire, “generale”, che ha consentito alla disciplina in materia di liquidazione coatta amministrativa di sottrarsi alla censura di incostituzionalità [12], agitata, anche in dottrina, soprattutto partendo dalla constatazione dell’affievolimento dei poteri e dei diritti dei creditori (tanto sotto il profilo del loro potere di iniziativa; quanto sotto quello della sottrazione della loro tutela all’autorità giudiziaria)[13]. Al conseguimento di tale risultato interpretativo non è estraneo il fenomeno rappresentato dalla circostanza che la Corte Costituzionale, attraverso la propria attività “correttiva”, ha sovente introdotto nella liquidazione coatta alcuni principi propri della procedura fallimentare [14].
In questo senso può anche dirsi che la Corte Costituzionale abbia “precorso i tempi” rispetto a quello che sarebbe stato l’indirizzo perseguito dal legislatore del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 18: deve infatti tenersi in considerazione la circostanza che gli interventi modificativi sulla disciplina della liquidazione coatta amministrativa ad opera dell’art. 18 del c.d. “decreto correttivo” [del 2007] sono stati giustificati proprio alla luce dell’esigenza di una armonizzazione con la disciplina dettata per istituti della procedura fallimentare, ovvero proprio per adeguare la normativa vigente agli interventi “correttivi” della Corte Costituzionale cui si è fatto cenno [15]. 
3 . Le linee guida della riforma della legge fallimentare: i principi dettati dalla legge-delega 19 ottobre 2017, n. 155
L’art. 15, comma 1, L. n. 155/2017 (“Delega al governo per la riforma della disciplina della crisi di impresa e dell’insolvenza”) aveva disposto: “Nell’esercizio della delega [conferitagli con la legge n. 155/2017], per la riforma della liquidazione coatta amministrativa, il governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi: 
“a) applicare in via generale la disciplina concorsuale ordinaria anche alle imprese in stato di crisi o di insolvenza attualmente soggette alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, mantenendo fermo il relativo regime speciale solo nei casi previsti:
1) dalle leggi speciali in materia di banche e imprese assimilate, intermediari finanziari, imprese assicurative e assimilate;
2) dalle leggi speciali in materia di procedimenti amministrativi di competenza delle autorità amministrative di vigilanza, conseguenti all’accertamento di irregolarità e all’applicazione di sanzioni da parte delle medesime autorità;
b) attribuire alle autorità amministrative di vigilanza le competenze in tema di segnalazione dell’allerta e di composizione assistita della crisi di cui all’articolo 4, anche al fine di individuare soluzioni di carattere conservativo, nonché la legittimazione alla domanda di apertura della procedura di liquidazione giudiziale di cui all’articolo 7”.
A proposito di tale principio direttivo la Relazione illustrativa dello Schema di D.D.L., recante la suddetta delega al Governo, commentava: “al di fuori dei settori soggetti a particolare regime di vigilanza ad opera di autorità pubbliche a tal fine specificamente istituite, quali il settore bancario, quello assicurativo e dell’intermediazione finanziaria, nell’ambito dei quali l’istituto risponde anche ad esigenze sui generis che chiamano necessariamente in causa la peculiare competenza delle anzidette autorità di settore, non sembrano più sussistere ragioni che, per imprese diverse – tra cui segnatamente le cooperative – giustifichino una disciplina della crisi e dell’insolvenza dell’impresa divergente da quella tracciata in via generale dalle disposizioni che si sono andate fin qui illustrando.
Lo sforzo di ricondurre ad unità sistematica la normativa concorsuale, della cui importanza s’è già detto ripetutamente, suggerisce quindi di riportare anche il fenomeno della crisi e dell’insolvenza delle imprese oggi soggette a liquidazione coatta nell’alveo della disciplina comune, circoscrivendo detto istituto speciale alle sole ipotesi in cui la necessità di liquidare l’impresa non discenda dall’insolvenza, ma costituisca lo sbocco di un procedimento amministrativo volto ad accertare e sanzionare gravi irregolarità intervenute nella gestione [16].  E’ peraltro doveroso registrare, sul punto, un orientamento almeno in parte diverso manifestato nel corso dei lavori di elaborazione del testo, favorevole invece ad estendere le competenze del Commissario governativo in ipotesi di crisi delle imprese oggi soggette al regime della liquidazione coatta amministrativa”.
Pareva evidente, quindi, l’intenzione di distinguere nettamente fra le cc.dd. “crisi economiche” e le cc.dd. “crisi di legalità” [17], riservando alle sole ipotesi riconducibili al secondo fenomeno l’esigenza di ricorrere ad una procedura concorsuale liquidativa di diritto speciale – la liquidazione (coatta) amministrativa –, anziché alla procedura concorsuale liquidativa di diritto comune – la liquidazione giudiziale – .
Questa parte della legge delega è rimasta completamente inattuata [18] : ciò in conseguenza del suggerimento proveniente dalla Commissione Giustizia del Senato, che ha ritenuto necessario confermare la (pre) vigente normativa in materia di L.C.A. (soprattutto) delle società cooperative (con oggetto commerciale) [19].
4 . La permanente struttura della disciplina delle procedure di Liquidazione Coatta Amministrativa
Stante la mancata attuazione del principio della legge-delega n. 155/2017, in forza del quale la disciplina concorsuale di diritto comune avrebbe dovuto essere applicata “in via generale… anche alle imprese in stato di crisi o di insolvenza attualmente soggette della procedura di liquidazione coatta amministrativa”, il legislatore che ha dato vita al Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza ha mantenuto l’impostazione che la disciplina della (o delle) L.C.A. registrava nella legge fallimentare: disciplina caratterizzata da:
(i) l’affermazione del principio della applicabilità delle singole leggi speciali che regolano le procedure di L.C.A. rispettivamente delineate per le diverse categorie di imprese “di diritto speciale” che erano sottratte al fallimento (e che rimangono sottratte al Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza): e da 
(ii) l’affermazione dell’applicabilità a tutte le imprese “di diritto speciale”, pur sottratte alla disciplina della procedura liquidativa di diritto comune (del fallimento prima, e successivamente) della liquidazione giudiziale, di una serie di norme della “legge fallimentare” (oggi del c. crisi impr.), giudicate meritevoli di ricevere una applicazione generalizzata, per la insussistenza di ragioni giustificative di una regolamentazione diversificata dei relativi oggetti[20].
In conseguenza di quanto sopra, il giudizio complessivo assegnabile alla riforma conseguente alla introduzione del c. crisi impr., per quanto concerne la disciplina della Liquidazione Coatta Amministrativa, può essere sintetizzato nella constatazione di “una sostanziale conferma della disciplina attualmente vigente”[21], che ha indotto a considerare “superfluo svolgere un commento delle singole norme che abbia anche solo modeste velleità interpretative”[22].
Il giudizio è condividibile, ma deve essere integrato da una precisazione.
A prescindere dalla scelta “ideologica” di mantenere una procedura concorsuale liquidativa “di diritto speciale” per imprese (soprattutto le società cooperative, ma non solo) connotate da profili di “specialità” non particolarmente accentuati, rimane il fatto che la disciplina previgente originava numerose o gravi incertezze interpretative. Nulla questio sulla scelta “politica” (magari di “bassa politica”)[23] di mantenere la disciplina della L.C.A. applicabile alle imprese che vi erano soggette nel passato: ma ciò non avrebbe dovuto impedire di cogliere l’occasione per sciogliere i dubbi interpretativi da essa originati, e per colmare le lacune che il suo esame aveva rilevato. La “sostanziale conferma” del pregresso tessuto normativo invece mantiene attuale il dibattito su una serie di questioni interpretative che trapassano dalla legge fallimentare al Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza.
5 . Il coordinamento tra le procedure di L.C.A. e le “procedure di crisi” di diritto comune
Anche prima di avere esaminato il dettaglio della disciplina delle procedure concorsuali di diritto speciale denominate “Liquidazione Coatta Amministrativa”, dalla semplice considerazione della denominazione dell’istituto (“Liquidazione coatta”) è facile ricavare, come detto, la ratio allo stesso sotteso: ratio rappresentata dall’obiettivo della cessazione forzosa dell’attività dell’impresa, con conseguente sua espulsione coatta dal mercato (nella ricorrenza, per l’appunto, dei presupposti giustificativi del suo assoggettamento a tale procedura)[24]. In conseguenza di ciò si pone in via preliminare il problema del coordinamento della L.C.A. con la procedura concorsuale di diritto comune caratterizzata dalla medesima ratio, rappresentata dalla procedura di liquidazione giudiziale. In secondo luogo si pone il problema dell’applicabilità o meno alle imprese soggette alla L.C.A., che sotto tale profilo risultano qualificabili “di diritto speciale”, delle procedure di composizione della crisi, diverse dalla liquidazione giudiziale, dettate per le imprese “di diritto comune”. Il dubbio non è affatto banale, solo che si pensi alla circostanza che la disciplina delle procedure di L.C.A. più “strutturate” (quella delle banche; quella degli intermediari finanziari non bancari; quella delle Compagnie Assicurative)[25] esclude l’applicabilità alle relative imprese delle “procedure concorsuali” di diritto comune: il ché pone l’interrogativo di quali delle procedure di composizione della crisi d’impresa possano essere qualificate “procedure concorsuali”. 

Note:

[2] 
Sulla attribuibilità alla Liquidazione Coatta Amministrativa della natura di procedura concorsuale, pur quando non venga accertato lo stato di decozione, FABIANI, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2017, p. 543. In argomento v. anche D’ATTORRE, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2021, p. 391 e p. 399. Lo stesso art. 293, comma 1, c. crisi impr. definisce la L.C.A. come “il procedimento concorsuale amministrativo che si applica nei casi espressamente previsti dalla legge”. Sulla “nozione di procedura concorsuale” e sulla “cifra attuale della concorsualità” v. AMBROSINI, Procedure concorsuali: tipologie, caratteri e presupposti, in Diritto della crisi e dell’insolvenza, a cura di Pacchi e Ambrosini, Bologna, 2020, p. 47 ss. e p. 50 ss.
[3] 
Si pensi ad interessi pubblicistici che in certe fattispecie possono assumere una rilevanza fuori dall’ordinario, come quelli concernenti i livelli occupazionali; l’impatto sociale; il funzionamento dei servizi pubblici essenziali, la considerazione dei quali potrebbe fare ritenere indispensabile la prosecuzione dell’attività di impresa nonostante la presenza di perdite di conto economico, l’effetto delle quali è inevitabilmente rappresentato dall’intaccamento del patrimonio e conseguente pregiudizio per i creditori. Secondo CECCHELLA, Il diritto della crisi dell’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2020, p. 438, “esiste poi – e si lega molto alla prima ragione – la forte interferenza di alcune attività economiche con interessi che trascendono il diritto privato, per il coinvolgimento di interessi generali, se non addirittura pubblici (si pensi all’intermediazione nei mercati regolati, alle stesse imprese bancarie e assicurative, alle cooperative), le quali sono perciò soggette a controlli intensi da parte di autorità amministrative, dalla loro nascita e durante tutto il loro esercizio. L’interferenza intensa con interessi generali genera una diffusa regolamentazione legislativa dell’attività economica dell’imprenditore e una particolare attenzione al suo rispetto da parte di un’autorità amministrativa di vigilanza che, a fronte di gravi violazioni, per irregolarità di gestione, può imporre d’autorità la cessazione della impresa o il trasferimento coatto dell’azienda a soggetto che dia maggiore garanzia di legalità nella gestione, aprendo la via della liquidazione coatta”. 
[4] 
Secondo D’ATTORRE, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 391, “la finalità primaria della l.c.a. è quella di eliminare dal mercato le imprese che presentino patologie rilevanti, rappresentate dall’insolvenza o da gravi irregolarità di gestione”. In senso opposto – almeno ad una prima impressione – CECCHELLA, Il diritto della crisi dell’impresa e dell’insolvenza, cit., p. 437, secondo il quale “le regole economiche, che si impongono all’ordinamento concorsuale, rendono necessario, per evitare turbamenti al mercato dovuti all’insolvenza, che le imprese di grandi dimensioni siano in qualche modo conservate (imprese bancarie e imprese assicurative, ad esempio), anche se non sul piano soggettivo, almeno sul piano oggettivo, con una procedura che, ben prima della riforma della legge fallimentare degli anni 2006 e 2007, regolava la liquidazione in senso stretto mediante la cessione dell’azienda, di un ramo di essa, o di rapporti o situazioni in blocco (differentemente dall’impresa medio – piccola, ove la regola economica imponeva la sua soppressione)”. In argomento NIGRO e VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, IV^ ed., Bologna, 2017, p. 461, osservano che “sembra di poter dire che – almeno in generale – la l.c.a. assolve anch’essa, come il fallimento, solo ad una esigenza esecutiva, cioè all’esigenza del soddisfacimento coattivo dei creditori, sia pure realizzando questa esigenza, per ragioni di pubblico interesse legate al tipo di impresa nei cui confronti la stessa è disposta, attraverso un procedimento amministrativo
[5] 
In argomento v. BONFATTI, Commento all’articolo 80, in Commentario al Testo Unico delle Leggi in materia bancaria e creditizia, diretto CAPRIGLIONE, IV^ ed., II, Milano, 2018, p. 1082 ss.; CUONZO, Commento all’articolo 80, in Commentario al Testo Unico Bancario, diretto da BONFATTI, Pisa, 2021, p. 462 ss.
[6] 
In argomento v. BONFATTI, La disciplina delle “crisi” ecc., cit. In questi termini, con riguardo alle imprese bancarie, Trib. Treviso, 27 gennaio 2018, e App. Venezia, 18 dicembre 2019 (entrambe in Banca borsa e tit. cred., 2020, II, p. 256, con nota di CANALE, L’accertamento dell’insolvenza delle banche alla luce della (nuova) disciplina europea sulla gestione delle crisi bancarie) – che hanno accertato lo stato di insolvenza di Veneto Banca Spa – hanno affermato che la dichiarazione di “dissesto” o di “stato di dissesto” si risolve in un giudizio prognostico diretto a verificare se nel prossimo futuro potrebbero manifestarsi situazioni tali da rendere opportuno il ricorso alla procedura di L.C.A. ovvero di “Risoluzione”. Secondo il giudice di appello “la dichiarazione di “dissesto” o “rischio di dissesto” di una banca consiste in un giudizio prognostico diretto a verificare se “nel prossimo futuro” potrebbero manifestarsi situazioni tali da rendere opportuno il ricorso alla procedura di risoluzione o alla liquidazione coatta amministrativa, con ciò attestandosi come indipendente dall’accertamento dello stato di insolvenza, da cui differisce per presupposti e finalità”. 
La esigenza di attribuire rilevanza – per ciò che concerne le “crisi economiche” – anche a profili previsionali, oltre che ad accertamenti già acquisiti, era presente già nella disciplina delle crisi bancarie previgente. 
Con il passaggio dall’art. 67 della legge bancaria all’art. 80 T. u. l. b. c.., infatti, in materia di rilevanza delle perdite ai fini dell’assoggettamento della banca alla L.C.A., si era rinunciato alla pretesa che le perdite «risultino» (cfr. art. 67 legge bancaria), e si era attribuito rilievo anche alle perdite soltanto «previste».
D’altro canto, una volta esercitata l’opzione di ricondurre le crisi patrimoniali bancarie rilevanti non solo alle situazioni di «insolvenza» (intesa come illiquidità), ma anche alle situazioni di «perdite patrimoniali» (intese come produttive della perdita dei requisiti patrimoniali che condizionano l’autorizzazione all’esercizio dell’attività creditizia), l’esigenza che tali perdite dovessero essere, per divenire rilevanti (oltre che gravi ad eccezionalmente gravi, anche) «risultanti», sarebbe stata del tutto irrealistica.
Poiché l’attivo delle banche è necessariamente formato da crediti verso la clientela (oltre che verso altri intermediari finanziari); e poiché i ricavi delle stesse sono in larga misura rappresentati dagli interessi attivi contabilizzati su tali crediti; è evidente che una situazione di «perdita» può essere costituita solo (od essenzialmente) da valutazioni, da «previsioni» – per l’appunto – sul grado di esigibilità di quella fondamentale componente dell’attivo che è rappresentata dai crediti; nonché di quell’altra fondamentale componente dei ricavi correnti che è (nuovamente) rappresentata da (crediti per) interessi attivi.
[7] 
Si pensi, ad esempio, alla esigenza di potere corrispondere ai creditori degli acconti rispetto ai prevedibili pagamenti conseguenti alla liquidazione del patrimonio dell’impresa insolvente, e per ciò assoggettata a procedura concorsuale: esigenza che (il “fallimento”, ovvero) la liquidazione giudiziale ignora – diversamente da talune Liquidazioni Coatte Amministrative: v. in argomento l’art. 212, comma 2, l. fall. (riprodotto dall’art. 312, comma 2, c. crisi impr.), che prevede la facoltà del Commissario liquidatore, nelle procedure di L.C.A. in generale (salvo contraria disposizione di norme specifiche), di “distribuire acconti parziali…” -. Si pensi, ancora, alla più favorevole disciplina dell’accertamento delle pretese dei creditori nei confronti dell’impresa insolvente, che nelle procedure di L.C.A. si manifesta con l’accertamento d’ufficio, da parte del Commissario liquidatore, delle passività dell’impresa assoggettata a L.C.A.
[8] 
Per tutti v. FABIANI, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 544; ARMELI, Liquidazione coatta amministrativa, in Il fallimentarista, 28 maggio 2020; NIGRO e VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese ecc., cit., p. 462.  
[9] 
L’esempio ha carattere paradigmatico, perché, come detto, le procedure di L.C.A. sono tipiche di categorie di imprese la cui attività (non è liberamente avviabile, ma al contrario) è soggetta: a) all’atto dell’avvio, al rilascio di una autorizzazione amministrativa; b) nel durante, ad una vigilanza amministrativa di contenuto variabile: così che non è difficile comprendere la ragione per la quale il legislatore ha inteso attribuire all’autorità amministrativa – dalla cui valutazione dipende l’accesso di una determinata impresa ad un certo settore economico (non liberamente praticabile), ed alla quale è attribuita la vigilanza sulla attività delle imprese che (previamente autorizzate) operano in quel settore – anche la gestione delle situazioni di “crisi” delle imprese in questione. Gli interessi di carattere generale perseguiti con la disciplina della limitazione all’accesso ad un settore dell’attività economica, giudicato troppo importante per essere liberamente praticato; nonché con l’assoggettamento delle imprese relative ad una vigilanza amministrativa altrimenti sconosciuta alle imprese cc.dd. di diritto comune; non possono rischiare di essere soppiantati, nel momento della “crisi” delle imprese appartenenti a questi specifici settori dell’economia, dall’interesse “comune” sotteso alla procedura di fallimento (ovvero – oggi – di liquidazione giudiziale), unanimemente individuato – specie al momento della approvazione della legge fallimentare - nel conseguimento della maggiore percentuale di soddisfacimento possibile, nell’arco di tempo più contenuto possibile, delle pretese dei creditori concorrenti.
Del resto, come si è pure già fatto rilevare, la particolare importanza attribuita ai settori dell’economia nei quali operano le imprese soggette a L.C.A. non spiega soltanto la ragione della ideazione per le stesse di una procedura concorsuale coattiva (diversa dal fallimento e, testualmente) “amministrativa” (piuttosto che giudiziale): ma spiega altresì, per esempio, la ragione della previsione di presupposti oggettivi di assoggettabilità alle “procedure di crisi” rappresentati non soltanto da situazioni di “crisi” di carattere economico-patrimoniale-finanziario, bensì anche da situazioni di “crisi” di carattere gestionale o di carattere legale. Si parla, come detto, di “crisi di legalità” per indicare come le procedure di L.C.A. possano essere disposte anche in presenza di gravi irregolarità gestionali, o di gravi violazioni di disposizioni legislative, regolamentari o statutarie, anche sconnesse da situazioni di difficoltà economico-patrimoniale-finanziaria: supra, n. 1.
[10] 
Secondo NIGRO e VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, cit., “Il legislatore fallimentare del 1942 ha ritenuto necessario regolare la l.c.a. accanto alle altre procedure concorsuali, ma non al costo dell’azzeramento totale delle discipline particolari preesistenti. Così, ha estrapolato dalle leggi anteriori (in particolare dalla L. banc. del 1936-1938) le linee di fondo della regolamentazione ed ha fatto di queste la disciplina generale dell’istituto”. 
[11] 
La considerazione del corpus normativo rappresentato dalla “rivisitazione” della disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi (D. Lgs. n. 270/1999, che prese il posto del menzionato D. Lgs. n. 95/1979) aveva indotto a cogliere i sintomi di una terza, possibile tendenza di fondo nella evoluzione della disciplina delle procedure concorsuali “amministrativistiche”: un rafforzamento delle funzioni dell’Autorità giudiziaria, sia pure in un contesto caratterizzato da una forte “ingerenza” dell’autorità amministrativa, anche in funzione della garanzia di un più adeguato equilibrio tra l’esigenza del soddisfacimento degli interessi generali di settore, e l’esigenza del soddisfacimento degli interessi individuali delle parti dei rapporti giuridici posti in essere dall’imprenditore assoggettato ad A.S. (primi tra tutti i suoi creditori).  Tale tendenza, peraltro, è stata rapidamente smentita dalla successiva disciplina della procedura della “Amministrazione straordinaria delle imprese di rilevanti dimensioni in stato di insolvenza” (c.d. “legge Marzano”, o “legge Parmalat”: D. L. 23 dicembre 2003, n. 347, e successive modificazioni e integrazioni), e dalla integrazione da essa ricevuto da parte del c.d. “decreto Alitalia” (D. L. 28 agosto 2008, n. 134, convertito nella L. 27 ottobre 2008, n. 166) – in argomento v. BONFATTI, Amministrazione Straordinaria, in Enc. Dir., Milano, 2017 -. 
[12] 
Corte Cost., 26 giugno 1975, n. 159, in Foro it., 1975, c. 1592, che ha escluso la illegittimità costituzionale dell’art. 2 L. fall. sotto il profilo degli artt. 3 e 24 Cost.
[13] 
BONSIGNORI, Processi concorsuali minori, Padova, 1997, p. 499, evidenzia come “la struttura del procedimento di liquidazione coatta amministrativa è ben lungi dal presentare le stesse garanzie che offre il fallimento”.
[14] 
BAVETTA, La liquidazione coatta amministrativa, in Le procedure concorsuali. Procedure minori, diretto da RAGUSA MAGGIORE e COSTA, I, Torino, 2001, p. 399, che si riferisce essenzialmente al principio della necessaria audizione dell’imprenditore in camera di consiglio prima che il tribunale si pronunci sulla richiesta di accertamento dello stato di insolvenza (le considerazioni dell’A. sono riferite all’art. 195 l. fall. prima della sua riforma); e alla dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 209 l. fall. nella parte in cui prevedeva che l’opposizione dei creditori in tutto o in parte esclusi decorre dalla data del deposito dell’elenco dei crediti e non da quella di ricezione delle raccomandate a.r. con cui il Commissario liquidatore dà notizia dell’avvenuto deposito.
[15] 
Sul punto sia consentito rinviare a FALCONE, La liquidazione coatta amministrativa. La riforma organica delle procedure concorsuali, a cura di BONFATTI e PANZANI, Milano, 2008, p. 799 ss..
[16] 
In argomento v. ARMELI, Liquidazione coatta amministrativa, cit.; TOMASSO, La liquidazione coatta amministrativa tra prospettive di sostanziale abrogazione e criticità odierne, in Il Fall., 2016, p. 1113.  
[17] 
Supra, testo e nota 3).
[18] 
In senso critico, a tale proposito, RORDORF, Prime osservazioni sul codice della crisi e dell’insolvenza, in I contratti, 2019, secondo il quale “pare che qui il confine tra mancato esercizio della delega, che rientra nelle prerogative del Governo, ed esercizio della delega in difformità dai criteri enunciati nella legge delega approvata dal Parlamento, con conseguente violazione costituzionale, sia piuttosto evanescente”; LAMANNA, Il nuovo Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza (I), in Il Civilista, Milano, 2019, p. 23 ss.; ID., Il nuovo Codice ecc., IV, ibidem, 2019, p. 77 ss.; BONFANTE, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. La liquidazione coatta amministrativa, in Giur.it, 2019, p. 1943. Diversamente è a dirsi per la parte alla quale faceva riferimento la lettera b) del comma 1 dell’art. 15 l. n. 155/2017, in materia di attribuzione alle autorità amministrative di vigilanza della competenza in tema di segnalazioni di “allerta” e di funzioni attribuite agli Organismi di Composizione della Crisi (su cui si ritornerà in altra sede). Sempre in argomento di interventi del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza nelle procedure di liquidazione coatta amministrativa va tenuta presente l’innovazione apportata all’art. 369 c. crisi impr. dall’art. 38 D. Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 (c.d. “decreto correttivo”). La disposizione innovata disciplina il coordinamento del “Codice” con il Testo Unico Bancario e con il D. Lgs. 16 novembre 2015, n. 180, che ha recepito la Direttiva Comunitaria 2014/59/UE in materia di risanamento e risoluzione degli enti creditizi (“BRRD”). All’art. 69-septiesdecies del Testo Unico Bancario, che disciplina il beneficio della esenzione da revocatoria per gli atti posti in essere in esecuzione di un accordo di sostegno finanziario di gruppo tra imprese bancarie o finanziarie (come regolato dagli artt. 69-duodecies ss. cod. crisi. impr.), è stata apportata una integrazione che: (i) esclude la promuovibilità delle “azioni di inefficacia fra imprese del gruppo” altrimenti previste dall’art. 290 c. crisi impr.; (ii) esclude la applicabilità dell’art. 292 c. crisi impr. in materia di “postergazione del rimborso dei crediti da finanziamento infragruppo”; e (iii) esclude l’applicabilità dell’art. 322 c. crisi impr. in materia di bancarotta fraudolenta per distrazione e di bancarotta preferenziale, nonché l’applicabilità dell’art. 323 c. crisi impr. in materia di bancarotta semplice.
[19] 
In argomento v. LAMANNA, Il nuovo Codice della Crisi ecc., cit., (I), p. 23 ss.; ID, op. ult. cit., (IV), p. 77 ss.
[20] 
D’ATTORRE, Manuale di diritto della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., p. 391. 
[21] 
LAMANNA, Il nuovo Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza, (IV), cit., p. 77.
[22] 
LAMANNA, op. loc. ultt. citt.
[23] 
Secondo RORDORF, Prime osservazioni sul codice della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 129 ss., “è allora legittimo supporre che abbia prevalso il desiderio di alcuni ambienti ministeriali di non perdere competenze, a scapito della razionalità e della completezza di un progetto di riforma nel cui ambito il mantenimento della singolare alternativa tra procedura amministrativa di liquidazione coatta e procedura di liquidazione giudiziale, in presenza dei medesimi presupposti, non trova più alcuna adeguata giustificazione quando si tratti di imprese operanti sul mercato in regime di concorrenza con altre per le quali un’analoga alternativa, ovviamente, non sussiste”. 
[24] 
In questo senso FABIANI, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p.  544; In argomento v. anche supra, testo e nota 3). In tale contesto è giudicata contraddittoria la previsione della possibilità di chiusura della procedura di L.C.A. attraverso l’approvazione di un Concordato di liquidazione (art. 214 L. fall.; art. 314. c. crisi impr.), dal momento che tale istituto potrebbe comportare la prosecuzione dell’attività esercitata dall’impresa assoggettata alla L.C.A. (FABIANI, op. loc. ultt. citt) – peraltro, inevitabilmente, all’insegna di una innegabile discontinuità rispetto al passato -.
[25] 
Art. 80, comma 6, t.u.l.b.c.; art. 57, comma 3, Testo Unico della Finanza; art. 245, comma 7, Codice delle Assicurazioni. 

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