Saggio
La legislazione emergenziale: il concordato preventivo*
Giovanni Battista Nardecchia, Sostituto procuratore generale presso la Corte Suprema di Cassazione
31 Luglio 2020
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Sommario:
Il termine, se assegnato prima del 9 marzo 2020 (o del 2 marzo con riferimento alla Lombardia ed al Veneto [3]), sospende il suo decorso da detta data e riprende dal 12 maggio 2020; se invece la domanda di concordato “con riserva” sia stata depositata successivamente, il termine assegnato dal tribunale inizierà a decorrere dal 12 maggio. Il comma 4 dell’art. 9, D.L. 8 aprile 2020, n. 23 (c.d. “Decreto Liquidità”), convertito con modifiche con la L. 5 giugno 2020, n. 40 è intervenuto sui termini che il tribunale concede in caso di deposito di domanda di concordato con riserva. In forza di tale disposizione il debitore che ha ottenuto la concessione del termine di cui all’art. 161, comma 6, L. fall., termine che sia già stato prorogato dal Tribunale, può, prima della scadenza, presentare istanza per la concessione di una ulteriore proroga sino a novanta giorni, anche nei casi in cui è stato depositato ricorso per la dichiarazione di fallimento. La norma intro- duce una proroga eccezionale ed ulteriore del termine originario e già prorogato, previsto dall’art. 161, commi 6 e 10, L. fall., qualora le esigenze siano specificamente connesse a circostanze derivanti dall’epidemia virale in corso. Proroga che va a sommarsi agli effetti sospensivi più generalmente derivanti dall’art. 83 D.L. Cura Italia, così come esteso dall’art. 36 D.L. liquidità [4].
La prima questione problematica che si pone è quella relativa all’applicazione di tale principio anche nelle ipotesi in cui sia contemporaneamente pendente una istanza di fallimento. E ciò in quanto, secondo la suprema corte, la riunione dei due procedimenti giustifica l’inapplicabilità della sospen- sione feriale ex L. n. 742/1969 al termine per il deposito della proposta di concordato “piena” [5].
Al quesito deve darsi risposta positiva sulla considerazione che la sospensione dei termini prevista dalla legislazione emergenziale è più ampia di quella “feriale” e comprende quindi, di norma, anche le controversie in materia fallimentare con la conseguenza che anche in tal caso il termine di cui all’art. 161, comma 6,L. fall. deve ritenersi sospeso sino all’11 maggio [6]. Salvo che, ovviamente, non ricorra l’ipotesi di “grave pregiudizio alle parti” e non sia espressamente dichiarata l’urgenza di trattazione. La seconda questione problematica, che atteneva agli eventuali effetti del comma 4 dell’art. 9, D.L. liquidità anche sul termine ordinario, se, cioè, in presenza dell’istanza di fallimento il principio di cui all’art. 161, comma 10,L. fall. fosse neutralizzato anche per chi chiede la prima proroga è stata chiarita dal legislatore in sede di conversione. Il comma 5 ter dell’art. 9, introdotto con la L. 5 giugno 2020, n. 40, specifica che le disposizioni dell’art. 161, comma 10, L. fall., non si applicano ai ricorsi presentati ai sensi dell’art. 161, comma 6, L. fall. depositati entro il 31 dicembre 2020.
Intervento condivisibile poiché la ratio della norma è quella di concedere più tempo alle imprese per predi- sporre la proposta ed il piano, a prescindere dalla pendenza di una domanda di fallimento, ragion per cui sarebbe stato incongruo che tale principio valesse soltanto per la proroga finale prevista dalla norma.
Più in generale il presupposto processuale per la concessione dell’ulteriore proroga è che il termine originario sia già stato prorogato dal Tribunale e che l’istanza venga depositata prima della scadenza. Con la conseguenza che dovrebbe essere rigettata la richiesta di proroga avanzata ex art. 9, D.L. n. 23/2020, sul presupposto che il termine originariamente concesso non sia ancora decorso, dovendo essere preventivamente e necessariamente valutata la possibilità di una prima proroga secondo la disciplina ordinaria (in cui non potrà non rilevare comunque la situazione emergenziale come causa giustificatrice della proroga). Solo nel caso in cui sia già stata concessa una proroga per la prima volta e sussistano circostanze e sopravvenienze riconducibili specifica- mente all’emergenza Covid-19, si potrà valutare la possibilità di concedere la proroga ulteriore e straordinaria prevista dal decreto.
Nel caso del concordato preventivo, tuttavia, sono esclusi da tale possibilità i debitori la cui originaria proposta sia già stata sottoposta al voto dei creditori senza riscuotere le necessarie maggioranze. Per tali debitori resterà ferma la possibilità di depositare una nuova proposta dopo la dichiarazione di inammissibilità ai sensi dell’art. 179 L. fall., sempre che ad essa non abbia fatto seguito la dichiarazione di fallimento (scenario, peraltro temporaneamente precluso dallo stesso provvedimento normativo sino al 30 giugno 2020).
Il termine non è superiore a novanta giorni, non è prorogabile e decorre dalla data del provvedi- mento del tribunale. Il termine per il deposito della nuova proposta e del nuovo piano non beneficia della sospensione feriale dei termini processuali in ragione della natura eccezionale ed intrinsecamente temporanea della misura adottata con il D.L. n. 23/2020 [7].
Il riferimento esplicito ai procedimenti per l’omologazione del concordato preventivo pendenti alla data del 23 febbraio 2020 contenuto nel D.L. poteva far pensare che la richiesta di concessione del termine supplementare disciplinata dal comma 2 dell’art. 9 potesse essere formulata nella sola fase successiva all’approvazione dei creditori. Interpretazione che avrebbe vanificato la ratio della norma, che è evi- dentemente quella di fornire alle imprese in concordato uno strumento dilatorio che si saldi, senza soluzione di continuità, a quello approntato per la fase precedente al deposito del piano e della proposta. A tal proposito è stato quindi assai opportuno l’intervento legislativo in sede di conversione che, eli- minando il riferimento all’omologazione, ha chiarito che tale richiesta può essere proposta durante tutto l’arco della procedura di concordato preventivo, risolvendo, in tal modo, dubbi interpretativi insorti tra i primi commentatori. Modifica che appare in linea, come detto, con la ratio complessiva dell’intervento (che è quella, come è ben noto di salvaguardare quelle procedure di concordato preventivo aventi concrete possibilità di successo prima dello scoppio della crisi epidemica, che in questa particolare fase potrebbero invece, risultare irrimediabilmente compromesse, con evidenti ricadute negative sulla conservazione delle strutture imprenditoriali rilevanti ai fini del ciclo produttivo ed economico), ratio che verrebbe messa a rischio ove si creasse uno iato temporale tra le varie disposizioni dell’art. 9, un vuoto di tutela. Invero in forza del tenore letterale dell’originario testo legislativo, i debitori in concordato avrebbero potuto richiedere la proroga di cui al comma 4 prima della scadenza del termine (prorogato) per il deposito del piano e della proposta e quella del comma 2 dopo l’approvazione del concordato da parte dei creditori, mentre sarebbero rimasti privi di tutela nella fase di mezzo, quella che va dal deposito della domanda completa all’adunanza dei creditori.
Il chiarimento legislativo apre dei nuovi possibili scenari applicativi della norma nell’ipotesi in cui il debitore depositi l’istanza prima dell’ammissione.
Una volta ampliato l’ambito di applicazione ai “procedimenti di concordato preventivo” non paiono esservi ostacoli alla concessione del termine anche alla fase di pre-ammissione, purché, naturalmente il debitore abbia già depositato il piano e la proposta dato che la concessione del termine è fina- lizzata alla modifica e/o sostituzione di quelli originari. Termine che rimane comunque ben distinto dall’ambito di applicazione della fattispecie di cui all’art. 162, comma 1, L. fall. In altre parole una volta scaduto il termine richiesto dal debitore, depositati il nuovo piano e la nuova proposta, la procedura riprende il suo corso ordinario e quindi il tribunale può concedere al debitore un ulteriore dilazione “per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti”. In questo caso sarà opportuno che il collegio rispetti alla lettera il tenore letterale della norma che parla di un termine non superiore a quindici giorni. È evidente che il termine di cui al comma 4 dell’art. 9 può essere concesso una sola volta per cui il debitore non potrà più usufruirne anche a fronte di fattori economici sopravvenuti per effetto della crisi epidemica. L’assenza di presupposti per la richiesta del termine lascia intendere che la concessione dello stesso da parte del tribunale sia quasi automatica [8], potendosi, al più, ipotizzare che esso possa essere negato soltanto in caso di palese utilizzo abusivo dello strumento concordatario.
Il termine è finalizzato al deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta, anche se appare evidente che si tratta di una mera facoltà e non di un obbligo, nel senso che sarebbe del tutto legittimo che il debitore, alla scadenza della proroga, confermi il contenuto del piano e della proposta originari ovvero vi apporti modifiche non sostanziali. Né potrebbe attribuirsi natura abusiva al comportamento processuale del debitore che richieda il termine per una verifica della perdurante fattibilità del piano e della proposta originari, per verificare gli effetti, nel tempo, della pandemia, comportamento che apparirebbe, al contrario, ispirato da ragionevole prudenza. Né va trascurata la considera- zione che la conferma del piano e della proposta si tradurrebbe in un vantaggio per i creditori dato che è facile prevedere che la proposta “nuova” conterrà sempre trattamenti deteriori rispetto a quelli originari. Ove a seguito della concessione del termine il debitore depositi un piano ed una proposta effettiva- mente “nuovi” sarà altresì necessaria una nuova atte- stazione, secondo quanto previsto dall’art. 161, comma 3, L. fall. Si tratterà sostanzialmente di una nuova domanda che andrà a sostituirsi automatica- mente a quella originaria anche in assenza di una formale rinuncia alla vecchia domanda. Invero l’ulteriore corollario della legittima proposizione - all’interno del medesimo procedimento - di un’ulteriore domanda avente carattere di autonomia è che tale facoltà è correttamente esercitata ogni qual volta dalla medesima possa desumersi l’inequivoca volontà del proponente - pur se non espressa con formule sacramentali - di rinunciare a quella precedente- mente depositata [9]. Principio applicabile alla domanda fondata sul piano e sulla proposta depositati alla scadenza del termine prorogato ai sensi dell’art. 9, comma 2 in quanto la stessa istanza di proroga era finalizzata al deposito di un piano e di una proposta nuovi e quindi sostitutivi di quella originaria.
Qualora la precedente proposta fosse già andata al voto, con esiti positivi, si determinerà la necessità di ripetere la fase delle votazioni sulla nuova proposta. Fissazione di una nuova adunanza dei creditori che sarà conseguenza necessaria del deposito dell’istanza tranne che il piano, la proposta o l’attestazione, così come modificati a seguito della concessione del ter- mine, presentino profili di sopravvenuta inammissibilità. Invero deve ritenersi che il tribunale, a seguito del deposito del nuovo piano, della nuova proposta ed eventualmente dell’attestazione in epoca successiva all’emissione del decreto di ammissione di cui all’art. 163 L. fall. possa fissare o far ripetere l’adunanza dei creditori solo ove non riscontri profili di inammissibilità sopravvenuta.
In caso contrario, a seguito degli eventuali rilievi del commissario giudiziale o anche d’ufficio, dovrebbe disporre l’apertura del procedimento ex art. 173 L. fall. E ciò in quanto la norma non pone limiti alla mutatio della proposta, con la conseguenza che il tribunale si troverà, in questo caso, nella situazione di dover svolgere, in sostanza, un nuovo giudizio di ammissibilità in una procedura già formalmente aperta con il decreto ex art. 163 L. fall., sulla base di un piano e di una a proposta originari non più attuali. In caso di esito negativo di tale giudizio, l’unico rimedio dovrebbe essere quello della revoca dell’ammissione ex art. 173 L. fall. A tal riguardo non paiono condivisibili quelle interpretazioni giurisprudenziali secondo le quali allorquando è concesso al debitore il termine per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato preventivo la procedura concorsuale regredisce sempre, anche formalmente, alla fase dell’ammissione e il medesimo debitore è, quindi, tenuto a depositare la documentazione prescritta dall’art. 161, commi 2 e 3, L. fall. nonché ad assolvere agli obblighi informativi periodici stabiliti ex novo dal tribunale ai sensi del- l’art. 161, comma 8, L. fall. [10]. Se è vero che il deposito di un piano e di una proposta potenzialmente del tutto diversi da quelli originari comporta, nel merito, un esame sulla loro legittimità, non può ipotizzarsi una regressione procedimentale non prevista dalla legge al di fuori di quella espressamente ipotizzata per l’adunanza dei creditori. Regressione quest’ultima necessitata dalla considerazione che i creditori non hanno altra possibilità, al di fuori del meccanismo del voto, per esprimere l’approvazione sulla domanda; il tribunale, al contrario, conserva durante tutto il corso della procedura il potere di sindacare la legittimità sostanziale della proposta. Il che rende evidente l’inutilità di una regressione for- male alla fase dell’ammissione.
Questione assai complessa è quella relativa all’inquadramento sistematico della domanda di concordato modificata a seguito della concessione dei termini. Posto che con riguardo allo stesso imprenditore ed alla medesima insolvenza, il concordato non può che essere unico, e, dunque, unica la relativa procedura ed il suo esito, è necessario domandarsi se il nuovo piano e la nuova proposta diano luogo ad una nuova procedura oppure si innestino sul tronco di quella originaria.
La suprema corte ha più volte affrontato la questione del rapporto tra domanda nuova e/o autonoma ed unicità del procedimento affermando la possibilità per il debitore di presentare una nuova domanda di concordato preventivo, previa rinuncia ad analoga domanda anche se già ammessa. Con la conseguenza che la fattispecie deposito di un piano e di una proposta nuovi a seguito della concessione del termine di cui all’art. 9, comma 2 va correttamente inquadrata, dal punto di vista sistematico, come una consecuzione di procedure.
Come è ben noto secondo il principio affermato dall’arresto base della materia [11] il fenomeno della consecuzione deve essere inteso, e costruito, in senso sostanziale: “La consecuzione, quale fenomeno di unificazione delle procedure che, sulla base degli stessi presupposti soggettivi e oggettivi consentono l’applicazione, per interpretazione estensiva della disciplina dell’ultimo procedimento della serie, alle situazioni anteriori, si fondano sulla costanza di una correlazione logica tra le varie situazioni”. Tale costanza deve, in particolare, abbracciare sia l’identità della qualificazione imprenditoriale; sia la continuità dello stato di crisi patrimoniale; sia pure la continuatività sostanziale delle procedure (ovvero l’effettiva consecutività delle medesime). Nessun dubbio sussiste sulla ricorrenza, nel caso in esame, di quest’ultimo requisito procedimentale in quanto, ferma restando l’irrilevanza della rinuncia (espressa o implicita) alla prima domanda [12], la giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato la possibilità di una consecuzione fra procedure, non solo rispetto a procedure minori a cui faccia seguito il fallimento, ma anche con riferimento a casi di successione fra sole procedure minori [13].
Qualche questione potrebbe sorgere con riferimento al comune elemento oggettivo, alla necessaria verifica, a posteriori, che lo stato di crisi e/o insolvenza in base al quale era stata chiesta l’ammissione al primo concordato coincida con lo stato d’insolvenza della seconda procedura basata sul nuovo piano e sulla nuova proposta. E ciò in quanto gli effetti economici derivanti dal diffondersi della pandemia potrebbero ben rappresentare quell’elemento dimostrativo della variazione dei presupposti richiesto per predicare il venir meno del fenomeno di unificazione delle procedure concorsuali. E ciò nel caso in cui l’accesso alla prima procedura fosse basato su uno stato di crisi divenuto poi insolvenza proprio a seguito degli effetti dell’epidemia di Covid-19. Dovendosi al contrario ritenere la sussistenza del comune elemento oggettivo ogni qualvolta il debitore si trovasse già in stato d’insolvenza al momento della prima domanda di concordato.
Una volta affrontato e superato il tema della concreta configurabilità della fattispecie “consecuzione di procedure”, bisognerà interrogarsi su quel che ne consegue in termini di salvezza degli effetti verificatesi sino al deposito della nuova domanda. Così, ad esempio, ai fini del concreto riconoscimento della prededuzione il problema che si pone è quello di individuare un criterio discretivo di selezione tra gli atti sorti in funzione o in occasione delle precedenti procedure concorsuali. Competente a pronunciarsi sull’istanza del debitore è naturalmente il Tribunale in composizione collegiale. L’art. 9, comma 2 poi dispone che la decorrenza del termine operi dalla data del provvedimento (e non dalla sua comunicazione) e che lo stesso non sia ulteriormente prorogabile; infine, allo scopo di evitare contegni abusivi o dilatori, si prevede che l’istanza di assegnazione del termine sia inammissibile se nel procedimento si è già svolta l’adunanza dei creditori e non sono state raggiunte le maggioranze richieste per l’approvazione della pro- posta.
La norma così formulata si presta ad una duplice interpretazione: secondo alcuni tale afferma- zione, unita alla circostanza che l’udienza ex art. 174 L. fall. si conclude usualmente con l’assegnazione del termine di 20 giorni di cui all’art. 178 L. fall. per esprimere il voto, porta a ritenere che i voti negativi sopravvenuti non rendano inammissibile l’istanza già depositata [14]. Interpretazione in linea con il favor debitoris che sottende l’intera normativa emergenziale che non pare condivisibile alla luce del richiamo della norma alle “maggioranze stabilite dall’articolo 177” maggioranze che si formano sia sulla base dei voti espressi in adunanza, sia di quelli pervenuti nei 20 giorni successivi. Con la conseguenza che se l’istanza viene depositata dopo che si è tenuta l’adunanza dei creditori la sua ammissibilità andrà valutata all’esito anche dei voti giunti successivamente alla chiusura dell’adunanza.
Nel procedimento per omologa del concordato preventivo il Tribunale acquisisce il parere del Commissario giudiziale. Il Tribunale, riscontrata la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 180 L. fall., procede all’omologa, dando espressamente atto delle nuove scadenze.
L’ultima misura consiste nella proroga dei termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione che abbiano già conseguito con successo l’omologa da parte del tribunale al momento dell’emergenza epidemiologica [15]. L’art. 9, comma 1 del D.L. 8 aprile 2020, n. 23 limitava la proroga alle procedure con termini di adempimento in scadenza nel periodo che va dal 23 febbraio 2020 al 31 dicembre 2021. In sede di con- versione il legislatore ha eliminato il termine finale ed ora la norma si riferisce più correttamente ai termini di adempimento dei concordati preventivi, degli accordi di ristrutturazione, degli accordi di composizione della crisi e dei piani del consumatore omologati aventi scadenza in data successiva al 23 febbraio 2020.
*Il saggio è estratto da Il Fallimento 7/2020
Note: