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Saggio

La gestione delle recenti crisi bancarie italiane, tra aiuti di stato e leggi speciali*

Leonardo Monico, Dottore in Giurisprudenza

11 Marzo 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Per gestire e arginare la crisi del sistema bancario, sono stati emanati, tra il 2008 e il 2017, ben dodici decreti-legge (…). Le modalità concrete di attuazione del bail-in hanno introdotto elementi fortemente distorsivi per il nostro sistema finanziario (…). L’esperienza maturata con la risoluzione delle banche in crisi ha indotto successivamente ad adottare soluzioni alternative, anche con interventi diretti a carico delle finanze pubbliche, con la conseguenza che oggi nel nostro Paese il bail-in non è stato mai applicato
                                                                                                                                                                                    Giuseppe Vegas [1]
Riproduzione riservata
• . Introduzione
Quo vadis Europe? [2]  Questo il titolo di un noto articolo in tema di gestione europea delle crisi bancarie, pubblicato a margine della tempesta economico-finanziaria generatasi dallo scoppio della bolla dei mutui sub-prime [3] negli Stati Uniti d’America nell’estate del 2007. La domanda ben rende l’idea del problema che l’Unione Europea, non solo nel suo complesso ma anche nei suoi singoli Stati membri, dovette affrontare a causa della ricaduta che la grande recessione ebbe sul sistema finanziario e sugli enti creditizi. La severità di tale ricaduta aveva dimostrato, infatti, come l’assenza di appropriati strumenti di gestione delle crisi bancarie e di poteri di intervento incisivi in seno alle autorità avesse portato a conseguenze sistemiche rilevanti. Di conseguenza, molti Stati, europei ma non solo, gestirono le crisi attraverso legislazioni d’emergenza e massicci interventi pubblici, dal momento che neppure possedevano una normativa adatta [4] e dal momento che l’entità e l’importanza assunta dagli enti creditizi escludeva in radice la possibilità di abbandonarli al proprio destino [5]. Nel contesto dell’Unione Europea, peraltro, i tentativi di armonizzazione delle norme in tema, avutisi sin dai primi anni Duemila, erano sempre falliti, principalmente a causa delle profonde differenze tra le legislazioni fallimentari nazionali. L’unica direttiva rilevante, la direttiva 2001/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi, si era infatti limitata a sancire il principio del riconoscimento reciproco delle procedure tra gli Stati membri e il principio del c.d. home country control [6], senza contenere norme per l’armonizzazione minima. L’approccio, sia a livello nazionale sia a livello europeo, cambierà radicalmente in seguito alla grande recessione.
Una crisi, qualsiasi essa sia, è un segno di discontinuità: essa ingenera interrogativi esistenziali in quanto dimostra che qualcosa non funziona. Tuttavia, è proprio la crisi, il momento negativamente razionale per dirla con Georg W. F. Hegel, che funge da catalizzatore per la novità e il cambiamento.
Non è un caso, infatti, che le maggiori riforme e i maggiori cambiamenti nel sistema finanziario siano intervenuti come conseguenza di crisi epocali: la grande depressione del 1929 e la grande recessione del 2007 [7]. Originatesi entrambe negli Stati Uniti d’America in seguito allo scoppio di bolle speculative nel mercato finanziario, esse colpirono in primis il settore bancario, principalmente a causa delle ingenti crisi di liquidità provocate dalla corsa agli sportelli da parte dei correntisti. Le ripercussioni furono notevoli su tutti i livelli: si originarono profondi e lunghi periodi di recessione, caratterizzati da alti tassi di disoccupazione, da fallimenti e da perdita di ricchezza. Quella del 2007 fu, peraltro, una crisi viepiù particolare, sia quanto al suo responsabile sia quanto alla sua portata. Essa fu, infatti, provocata dallo stesso sistema bancario, primo responsabile (non solo primo colpito) della creazione della bolla speculativa intorno al mercato dei mutui sub-prime; inoltre, fu una crisi mondiale fin dal suo sorgere, a causa della conformazione stessa del sistema finanziario contemporaneo, che ha infatti una “rilevante connotazione internazionale per la forte interdipendenza dei sistemi finanziari nazionali, in virtù delle interconnessioni tra i diversi mercati dei capitali di tutti i Paesi sviluppati e delle diffuse relazioni contrattuali tra intermediari” [8]. Se un approccio liberale avrebbe suggerito di lasciare che il mercato si regolasse autonomamente con tutte le disastrose conseguenze che ciò avrebbe comportato per l’economia mondiale, l’unica strada percorribile da parte dei legislatori nazionali e delle autorità competenti nel continente europeo fu invece quella dei salvataggi pubblici con i soldi dei contribuenti (c.d. bail-outs, salvataggi esterni) per evitare il crollo del sistema nel suo complesso. La realtà che ne è emersa, tuttavia, ha indotto ad un brusco ripensamento di tale logica interventistica: “le elargizioni al settore creditizio si sono, infatti, rivelate eccessive causando un significativo deterioramento della finanza pubblica” [9]  ed ingenerando un pericoloso circolo vizioso tra crisi bancarie e crisi del debito sovrano. “Dalle banche è venuto l’avvio della crisi (…); le banche hanno propagato la crisi, che per ‘merito’ loro si è tramutata da crisi finanziaria in crisi economica; da ultimo, si è aggiunto l’ulteriore tassello rappresentato dalla crisi del «debito sovrano». Sono tutti momenti che rinvengono il loro punto focale, il loro punto di raccordo, nelle banche” [10].
Nella riflessione condotta a livello europeo fu subito chiaro che si continuavano ad adottare soluzioni nazionali ad un problema e ad una crisi che erano in realtà mondiali e che necessitavano di risposte coordinate. “The guiding philosophy has been changed, and changed radically, from what was minimum harmonisation among national legislations, to what aims towards maximum harmonisation and a focus on a pan-European system for banking supervision and crisis management. This change has laid the foundations for the Banking Union project” [11]. Fu così, dunque, che nacque l’ambiziosa idea di spingersi più avanti rispetto ad un progetto di mera unione monetaria tra gli Stati membri, per creare un sistema che potesse rafforzare il mercato unico ancora più efficacemente. Nacque in questo modo l’Unione bancaria europea, basata su una normativa di massima armonizzazione e su tre pilastri [12], al fine di spezzare il pericoloso legame tra il sistema bancario e il mercato dei titoli del debito sovrano, evitare disparità di trattamento nei singoli Stati membri, ridurre le distorsioni nel mercato concorrenziale, diminuire la frammentazione del mercato bancario europeo e gestire efficacemente le future crisi finanziarie e bancarie. Particolare attenzione merita, nello specifico, il secondo pilastro, relativo alla creazione del Meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie. Le normative europee che hanno dato corpo a tale Meccanismo, il regolamento (UE) n. 806/2014 e la direttiva 2014/59/UE [13], contengono infatti tra le più rilevanti novità in tema di unione bancaria, non solo in quanto percorrono l’ambiziosa strada dell’armonizzazione attraverso la creazione di una procedura unica per la gestione delle crisi degli enti creditizi di grande dimensione, ma anche in quanto inseriscono principi e istituti sconosciuti alle culture giuridiche degli Stati membri [14].
È tenendo presente il contesto fin qui delineato che vanno osservate le peculiari e travagliate vicende di uno degli Stati membri dell’Unione Europea: la Repubblica Italiana. La studio della genesi e della gestione delle crisi bancarie italiane, infatti, permette non solo di comprendere al meglio le innovazioni introdotte dalla disciplina europea, ma di individuarne anche gli inevitabili limiti, che hanno creato molteplici interrogativi e suscitato varie perplessità nel mondo politico e accademico [15]. L’Italia è infatti uno tra i pochi paesi europei che fin dal 1936 avevano introdotto normative ad hoc per la gestione della crisi bancarie: trattasi dell’amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa, procedure che il legislatore europeo ha tenuto ben presente nella redazione delle nuove norme armonizzate. La storia delle crisi bancarie italiane dimostra come le soluzioni adottate di volta in volta siano sempre state legate dal fil rouge del sostegno pubblico. Dapprima assumendo la natura di supporto indiretto, sotto forma di finanziamento a tassi agevolati concessi dalla Banca d’Italia, in seguito come sostegno diretto da parte del Fondo interbancario di tutela dei depositi ovvero del Ministero del Tesoro, sotto forma di versamenti in conto aumento del capitale sociale, la filosofia della socializzazione delle perdite nel settore bancario è sempre rimasta un dogma nella cultura giuridica italiana [16]. Se, tuttavia, in Italia l’impiego di risorse pubbliche a favore del sistema bancario è stato minimo negli anni della crisi finanziaria, questo è dovuto non tanto al cambiamento della filosofia di fondo, che è rimasta la medesima, quanto a due ordini di ragioni. In primis, per le caratteristiche del sistema bancario stesso, caratterizzato da un’attività di natura prevalentemente commerciale, ossia di raccolta dei depositi e di erogazione di prestiti alle imprese, e non di investimento in prodotti finanziari: tale circostanza ha schermato gli enti creditizi italiani dalla prima ondata della crisi, rendendo superfluo un sostegno pubblico. La seconda e principale ragione risiede invece nelle implicazioni che ne sarebbero seguite dal punto di vista politico, a causa dell’ingente debito pubblico italiano, in tema sia di limitazioni alla libertà di bilancio sia di rapporti con le istituzioni europee. È proprio tenendo presente questa chiave di lettura che vanno considerate le crisi bancarie italiane dell’ultimo decennio: “quello che è sembrato essere il concreto riconoscimento dell’atteggiamento ‘virtuoso’ che ha contraddistinto il sistema bancario italiano negli ultimi decenni – il mancato intervento pubblico – si è ben presto trasformato in una pesantissima eredità per le banche italiane. Queste ultime, non avendo beneficiato di aiuti pubblici a partire dal 2007 e trovando oggi ostacoli nell’accedervi per superare la loro debolezza, si sono trovate più esposte agli effetti dell’onda lunga della crisi finanziaria sull’economia reale” [17]. In conclusione, è per tale motivazione che il governo e le autorità italiane dovettero gestire le crisi dei propri enti creditizi attraverso legislazioni d’emergenza, derogatorie rispetto alla nuova normativa europea e alla disciplina sugli aiuti di Stato, resa nel frattempo assai più rigida dalla Commissione europea, e applicative di soluzioni ad hoc, che hanno tuttavia tradito l’adozione del medesimo e  tradizionale paradigma: quello della socializzazione delle perdite. 
1 . La disciplina europea degli aiuti di Stato al settore bancario
Come si è evidenziato, molteplici sono i fini cui tende la normativa europea sulle crisi bancarie: primo tra tutti quello di evitare le esternalità negative causate dai dissesti bancari sia sul piano macroeconomico, si guardi alla stabilità del sistema, sia su quello microeconomico, per esempio sui singoli depositanti od investitori. Vi è poi anche l’obiettivo precipuo di tutelare la finanza pubblica e con essa tutti i contribuenti, al fine di spezzare il pericoloso legame instauratosi, negli anni della crisi, tra il mercato bancario e il mercato dei titoli del debito sovrano. Un ultimo fine, ricavabile dal combinato disposto di tutti i provvedimenti europei in tema, si identifica con il contenimento degli aiuti di Stato alle banche, ampiamente concessi da più paesi europei negli anni clou della crisi, ad eccezione dell’Italia. Detti fini, a ben guardare, possono anche porsi in contrasto tra loro: la stretta limitazione delle possibilità di un intervento pubblico durante una crisi bancaria, infatti, può comportare minori tutele per gli investitori o terzi di buona fede, come avvenuto nel caso della crisi di Banco Espirito Santo [18] o, come si vedrà, nel caso degli obbligazionisti subordinati delle quattro banche italiane risolte nel novembre 2015. “In questa tensione tra i diversi valori (…) si coglie una potenziale contraddizione di un sistema che ha posto una disciplina estremamente dettagliata delle crisi bancarie senza però definire con estrema chiarezza a chi spetti l’ultima parola (…) al momento di decidere su come attuare la risoluzione”[19]. Invero, le modalità con cui attuare la procedura e, dunque, la scelta delle risorse da impiegare per gestire le crisi bancarie resta affidata, in ultima istanza, alla Commissione europea, quale organo sia politico sia regolatorio, soprattutto in tema di aiuti di Stato. 
1.1 . La base giuridica e le Comunicazioni al settore bancario
La disciplina sugli aiuti di Stato è andata assumendo, nel contesto delle crisi bancarie, un ruolo preminente e di snodo nella selezione degli interventi dispiegabili per affrontarle. Lo scoppio della crisi finanziaria del 2007, che colse del tutto impreparati i governi e le autorità degli Stati in tutto il mondo, diede luogo a massicci interventi di sostegno al sistema bancario, attraverso un impiego di fondi pubblici senza precedenti. Nel solo territorio dell’Unione Europea, tra il 2008 e il 2014, la Commissione europea approvò più di quattrocentocinquanta misure di aiuto al settore bancario e finanziario, in favore di oltre centodieci banche europee e per un totale di quasi quattromila miliardi [20]. Gli ingenti esborsi di finanze pubbliche portarono ad un brusco deterioramento dell’equilibrio dei bilanci dei paesi più esposti, innescando la successiva crisi sul mercato dei titoli del debito sovrano [21], che spinse la Commissione a restringere progressivamente lo spazio per la concessione di aiuti pubblici alle banche. 
La fonte primaria che fornisce la base giuridica ai poteri della Commissione europea in tema è costituita dall’art. 107 TFUE [22], che, dopo aver enunciato un generale divieto di concedere aiuti di Stato alle imprese, disciplina due tipologie di eccezioni ritenute ammissibili, di cui la prima, al par. 2, operante de iure, mentre la seconda, al par. 3, basata su una valutazione discrezionale ad opera della Commissione, sia quanto ai presupposti sia quanto all’opportunità. Tra queste eccezioni discrezionali figurano, ex art. 107, par. 3, lett. b), TFUE, quegli aiuti destinati “a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro”. Prima del settembre 2008, tale paragrafo era stato interpretato restrittivamente dalla Commissione, che soltanto dagli anni ’90 aveva iniziato a ritenere le banche quali soggetti possibili destinatari di aiuti di Stato, pur basandosi sull’art. 107, par. 3, lett. c), TFUE in tema di imprese in difficoltà. La prassi della Commissione trovava fondamento su una Comunicazione del 1994 [23], che aveva sancito tre importanti principi alla luce dei quali valutare la compatibilità degli aiuti pubblici forniti in base alla lett. c): la concessione una tantum e non ripetuta del sostegno, la sua temporaneità e, infine, la necessità di un cospicuo contributo da parte del beneficiario stesso alla ristrutturazione dell’ente. Questo fu l’approccio tenuto dalla Commissione nei casi che precedono [24] e fino alla crisi, a fine 2007, dell’istituto di credito inglese Northern Rock, che funse da vero spartiacque in tema [25]. 
L’eccezionalità e la dirompenza della crisi finanziaria globale, che squarciò il velo smithiano della mano invisibile mostrando il generale fallimento internazionale del mercato, indusse la Commissione europea ad un brusco cambio di rotta, operato con l’emanazione, a partire dal 2008, di sette Comunicazioni in tema di aiuti di Stato per la gestione delle crisi bancarie, finalizzate a tutelare la stabilità finanziaria e al contempo minimizzare le distorsioni concorrenziali. Attraverso di esse fu finalmente riconosciuto al settore bancario un trattamento ad hoc, avente base giuridica nella deroga fornita dall’art. 107, par. 2, lett. b), TFUE e perciò distinto da quello generalmente riservato alle imprese in difficoltà. La prima e più dirompente Comunicazione, del 2008 [26], consacrò “l’apertura di una sorta di temporanea superstrada, procedurale e sostanziale” [27]  per la concessione di aiuti, avallando tutte le misure di intervento messe in atto dagli Stati. Assieme alle successive tre, emanate nel 2009, la Commissione introdusse e specificò le condizioni essenziali per la compatibilità dei principali tipi di assistenza concessi [28], tra cui la temporaneità delle misure e l’eccezionalità della situazione emergenziale di riferimento, oltre che gli specifici piani di ristrutturazione [29] che gli enti beneficiari in crisi avrebbero dovuto porre in essere. A partire dal 2010, ritenendo ormai superata la fase peggiore, la Commissione operò una progressiva rivisitazione dell’approccio tenuto fino ad allora, prevedendo di introdurre controlli più rigidi e condizioni più stringenti per l’accesso agli aiuti pubblici, a partire dall’anno successivo [30]; tuttavia, il peggioramento delle condizioni dell’economia avuto nel 2011, spinse l’autorità europea a prorogare il regime di aiuti sino al 2012 [31]. 
La flessibilità che caratterizzava la prima Comunicazione del 2008 venne, infine, del tutto superata con l’emanazione della settima ed ultima comunicazione nel luglio 2013 [32], nota come la Banking Communication e tutt’oggi in vigore. In un contesto di minori rischi, riacquistò peso l’interesse pubblico alla salvaguardia del mercato unico, della concorrenza e, soprattutto, del principio della condivisione degli oneri, il c.d. burden sharing [33], precedentemente ridotto al minimo o del tutto disatteso. La crisi dei debiti sovrani aveva infatti dimostrato come la mancata applicazione di misure improntate al bail-in avesse comportato pesanti conseguenze in termini di stabilità finanziaria a lungo termine [34], creando peraltro disparità tra gli Stati membri del mercato unico e suscitando condotte improntate al moral hazard. Per tali ragioni, quale condizione per la concessione degli aiuti di Stato, fu stabilito che la condivisione degli oneri avrebbe dovuto comportare l’assorbimento delle perdite attraverso il progressivo intaccamento del capitale e del debito subordinato [35], esclusi i depositi, assicurati e non, e gli altri titoli di debito senior, pur sempre rispettando i diritti fondamentali dei risparmiatori (tra  cui  il  NCWO) [36]; inoltre,  fu  affermato  il  principio  secondo  cui  le  misure  di ricapitalizzazione e di sostegno sarebbero state subordinate all’approvazione, da parte della stessa Commissione, di un piano di ristrutturazione dell’ente interessato [37]. In definitiva, la Banking Communication del 2013 operò come vero e netto spartiacque tra due periodi, inaugurando una fase in cui la disciplina sugli aiuti di Stato riacquistava piena efficacia, con ciò anticipando le soluzioni e gli equilibri poi incorporati nella normativa europea sulla risoluzione delle crisi bancarie; infatti, essa traeva origine “dall’esigenza della Commissione di riaffermare, in connessione con l’avvio del progetto di realizzazione di una Unione bancaria e in attesa del suo completamento, il perdurare del ruolo da essa svolto nell’ambito della crisi” è [38]. 
Tra le varie questioni giuridiche che si posero, quella più delicata era legata al valore giuridico da attribuire alle varie Comunicazioni e in particolare a quella del 2013, dal momento che con essa la Commissione invitava gli Stati membri a “costituire il quadro giuridico necessario” [39] all’implementazione del principio del burden-sharing, come condizione per l’accesso agli aiuti di Stato. Con la celebre sentenza Kotnik [40], la Corte di Giustizia risolse il dubbio interpretativo statuendo che la Comunicazione configura un’obbligatorietà ex uno latere, ossia per la sola Commissione stessa, e “non ha effetti vincolanti nei confronti degli Stati membri”[41]. Questi ultimi restano, infatti, liberi di notificare tutte le misure di aiuto ritenute necessarie, anche al di fuori delle condizioni stabilite nell’atto in questione, potendo la Commissione autorizzarle sulla base di circostanze eccezionali che, tuttavia, sembrano esaurirsi in quelle individuate al punto 45 della Comunicazione stessa: il pericolo per la stabilità finanziaria e gli effetti sproporzionati [42]. Al di fuori dei suddetti casi, pertanto, non potrà di regola essere autorizzato alcun aiuto senza l’attuazione di misure ablative dei diritti di azionisti e creditori subordinati. La ratio decidendi della Corte si fonda essenzialmente sul ruolo centrale ricoperto dai servizi finanziari nel dare impulso al tessuto societario ed economico e sulla connotazione globale assunta dall’attività bancaria, che moltiplica il rischio di contagio su tutti i livelli. L’erogazione di aiuti di Stato senza limiti o condizioni, infatti, incentiverebbe condotte caratterizzate da azzardo morale, quali il ricorso a strumenti finanziari più rischiosi, con ciò provocando distorsioni alla concorrenza e danni all’integrità del mercato interno [43]. In linea con la BRRD, dunque, la Corte di Giustizia ha sancito la pregiudizialità del bail-in rispetto a qualsiasi forma di sostegno pubblico ed ha riconosciuto un ampissimo potere discrezionale in capo alla Commissione. In ultima analisi, pertanto, “la sentenza Kotnik rafforza l’orientamento espresso dalla Comunicazione banche e contribuisce al riconoscimento della dimensione totalizzante della visione della Commissione” [44] sulle modalità di gestione delle crisi bancarie: “a dispetto della sua natura di atto formalmente non vincolante, la Comunicazione finisce per imporre necessariamente agli Stati membri l’adozione di disposizioni di rango legislativo” [45]. 
1.2 . Gli aiuti di Stato nella Bank Recovery and Resolution Directive
Con l’approvazione della direttiva BRR furono dettate le specifiche condizioni per la concessione di aiuti pubblici e fu disegnata una nuova cornice entro cui inscrivere i principi e i dettami stabiliti dalla Commissione in tema. Dalla lettura coordinata delle disposizioni in materia, è possibile affermare come il ricorso ad un intervento pubblico in favore degli enti creditizi in crisi rivesta il carattere dell’eccezionalità: in effetti, l’art. 2, par. 1, n. 28, BRRD parla di “sostegno finanziario pubblico straordinario”, con ciò ricomprendendo “aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE o qualsiasi altro sostegno finanziario pubblico a livello sovranazionale che se erogato a livello nazionale configurerebbe un aiuto di Stato, forniti per mantenere o ripristinare la solidità, la liquidità o la solvibilità di un ente”. 
La direttiva de qua contempla, di per sé, due differenti categorie di intervento pubblico: una operante in una fase antecedente la risoluzione, in un’ottica di prevenzione, e l’altra, definita “strumenti pubblici di stabilizzazione finanziaria”, quale vero e proprio resolution tool di ultima istanza,  utilizzato  per  fronteggiare  gravi  e  significative  perturbazioni  alla  stabilità  finanziaria.
Entrambe le categorie in questione sono subordinate all’approvazione da parte della Commissione europea nell’ambito della disciplina sugli aiuti di Stato dell’Unione [46], che, ex art. 2, par. 1, n. 53, BRRD, è la “disciplina istituita dagli articoli 107, 108 e 109 TFUE e i regolamenti e tutti gli atti dell’Unione, compresi orientamenti, comunicazioni e avvisi, stabiliti o adottati” in base ai suddetti articoli. È in questa maniera che viene operato un diretto rinvio alla Banking Communication e ai principi e criteri lì enunciati, sebbene, giova ricordarlo, in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia essa si ponga formalmente come semplice atto di self-regulation. Se, da una parte, alcuni di tali criteri sono ripresi nella direttiva, quali, ad esempio, la necessità che il piano di riorganizzazione aziendale adottato nell’ipotesi di bail-in debba essere compatibile, in caso di concessione di aiuti di Stato, con il piano di ristrutturazione da sottoporre alla Commissione, altri, invece, presentano significative divergenze rispetto alla Comunicazione del 2013. È il caso dei requisiti per la compatibilità dell’aiuto di Stato: ex art. 37, par. 10, BRRD, infatti, il ricorso agli strumenti pubblici di stabilizzazione finanziaria è condizionato al previo write-down di capitale e bail-in di passività ammissibili, per un importo minimo pari all’8% delle passività totali; la Banking Communication, invece, richiede un burden-sharing di ampiezza assai minore, in percentuali non predeterminate e, in ogni caso, riguardante i soli titoli di capitale. L’obbligo di cui alla BRRD, invero, è qualificato come un obbligo assoluto e non derogabile [47], neppure quando sproporzionato o per ragioni di stabilità finanziaria, eccezioni che sono invece contemplate nella Comunicazione sul settore bancario e, soprattutto, nella giurisprudenza della Corte di Giustizia. Il criterio interpretativo seguito nel caso Kotnik, infatti, sottende la doverosa osservanza del principio generale di proporzionalità come canone guida dell’azione amministrativa delle istituzioni dell’Unione [48], canone che è del tutto disatteso dalla lettera della norma. “La presenza di questi vincoli rende, di fatto, l’obiettivo della stabilità finanziaria impossibile da realizzare nel contesto di una crisi generalizzata in cui l’applicazione del bail-in in sé sarebbe fonte di rischi sistemici. Ciò è del tutto distonico rispetto al quadro generale” [49] disegnato dalla stessa BRRD, improntato alla prevenzione del contagio e alla tutela della stabilità complessiva del sistema finanziario.
Quanto al ruolo svolto dalla Commissione europea nell’ambito del Meccanismo unico di risoluzione, dispone l’art. 19, par. 1, reg. SRM, il quale stabilisce che “se l’azione di risoluzione prevede la concessione di aiuti di Stato o di aiuti del Fondo, non si procede all'adozione del programma di risoluzione finché la Commissione non abbia adottato una decisione favorevole o condizionata in merito alla compatibilità con il mercato interno del ricorso a tali aiuti pubblici”. Solo in circostanze eccezionali, peraltro, il singolo Stato membro può chiedere al Consiglio, che delibera all’unanimità [50], di considerare compatibile l’uso del fondo, in deroga alle valutazioni della Commissione. Ancora: l’art. 44, par. 12, BRRD, in tema di esclusioni discrezionali di talune passività dal perimetro del bail-in, stabilisce che, “qualora l’esclusione richieda un contributo del meccanismo di finanziamento della risoluzione (…) la Commissione può (…) vietare o chiedere di modificare l’esclusione proposta (…) al fine di preservare l’integrità del mercato interno, senza pregiudicare l’applicazione, da parte della Commissione, della disciplina degli aiuti di Stato dell’Unione”. 
Tutte queste disposizioni sono sintomatiche del contrasto tra i vari fini alla base della BRRD, cui si faceva riferimento in principio: in particolare, tra l’esigenza di salvaguardare la stabilità finanziaria e quella di ridurre al minimo il ricorso a misure di sostegno pubblico. In effetti, laddove si decida di far prevalere la prima, si correrebbe il rischio di compromettere il mercato unico a causa della concessione di misure di sostegno pubblico; ove, invece, sia l’interesse alla concorrenza a prevalere, si rischierebbe di innescare crisi sistemiche con pericolosi effetti a catena sull’intera società. In definitiva, la Commissione europea, quale garante del mercato unico e interprete autentico della disciplina in tema di aiuti di Stato, finisce per rivestire il ruolo di decisore principale, anche in base alla giurisprudenza europea, che ha ritenuto del tutto compatibili con il Trattato gli orientamenti espressi nella Banking Communication, financo a discapito dei principi di tutela del legittimo affidamento e della proprietà. “Il sistema normativo vigente a livello europeo sembra presentare dunque una certa asimmetria”: da una parte le disposizioni dettagliate poste dalla normativa europea sulla risoluzione; dall’altra “una disciplina flessibile, formulata in forma discorsiva, contenuta in comunicazioni interpretative del Trattato adottate dalla Commissione che, per quanto giuridicamente non vincolanti, nei fatti risultano più rilevanti delle prime” [51]. Risulta indubbio come tale situazione determini evidenti discrasie con il principio di legalità, principio cardine del diritto amministrativo, in base al quale il potere dell’autorità pubblica deve necessariamente trovare sorgente e limite in fonti di diritto di rango primario o secondario, piuttosto che in atti di self-regulation. Alla luce di tutte le considerazioni effettuate, “si auspica una rivisitazione dell’equilibrio dei poteri tra i decisori (…) nella direzione di contenere il ruolo della Commissione. (…) Se è vero che le imprese bancarie sono imprese speciali, (…) sembra giustificata la richiesta di una disciplina speciale anche in tema di aiuti di Stato”, che introduca una deroga al principio dell’unanimità previsto dal TFUE in materia [52]. Giova segnalare come assai recentemente la Commissione europea abbia effettuato una consultazione pubblica [53], su impulso della Corte dei conti europea [54], in merito alla valutazione della disciplina sugli aiuti di Stato alle banche in crisi, riguardante, in particolare, le diverse comunicazioni adottate a partire dal 2008. Il mutato contesto normativo e l’evoluzione delle condizioni di mercato hanno, infatti, spinto le istituzioni europee a considerare l’ipotesi di una rivisitazione complessiva della materia, richiedendo una consultazione pubblica che ha, nella sostanza, concordato sulla necessità di intervenire [55].
2.1 . I pubblici bail-outs, dal decreto Sindona al Fondo interbancario di tutela dei depositi
In virtù delle caratteristiche del proprio sistema bancario, assimilato ad un servizio pubblico e perciò sottratto ai principi della libera concorrenza, l’Italia, dal Dopoguerra fino ai tempi recenti, aveva sempre voluto evitare applicazioni eccessivamente rigide della disciplina in tema di crisi bancarie, id est dei due c.d. provvedimenti di rigore dell’amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa bancaria è [56]. In molte delle crisi bancarie susseguitesi nel recente passato, in effetti, sia i governi sia le autorità creditizie italiane avevano ritenuto più opportuno intervenire con misure alternative o in affiancamento ai due istituti anzidetti, principalmente grazie alla vendita dell’azienda bancaria in crisi ad un altro competitor italiano in bonis sul mercato, che succedeva nella titolarità di tutti i rapporti giuridici in capo all’azienda ceduta. Questo meccanismo offriva il vantaggio pubblicistico di garantire la continuità delle funzioni essenziali dell’ente ceduto e di tutelare la stabilità finanziaria del sistema, assicurando, grazie ad interventi più o meno diretti dello Stato, una completa protezione ai creditori e ai depositanti. Tali interventi presupponevano meccanismi di socializzazione delle perdite, con cui lo Stato assumeva tout court le passività degli istituti in crisi allo scopo di tutelare il risparmio, obiettivo percepito come primario dall’opinione pubblica di allora. Emblematico, a tal fine, risulta essere un dispositivo di sostegno pubblico straordinario introdotto dal Ministro del Tesoro con il c.d. decreto Sindona [57], emanato in occasione della crisi della Banca Privata di Michele Sindona nel settembre 1974. Attraverso detto provvedimento veniva permesso alla Banca d’Italia di concedere anticipazioni, a 24 mesi e a tassi di favore dell’1%, sui buoni del Tesoro a lunga scadenza in favore di banche cessionarie delle attività e delle passività di altro intermediario in crisi. Sicché la banca in bonis avrebbe potuto recuperare l’onere, derivante dall’acquisizione dell’istituto in liquidazione, grazie al beneficio discendente dalla differenza tra la rendita dei titoli di Stato e l’effettivo ed irrisorio tasso di interesse a debito applicato. La prassi testé delineata prevedeva, dunque, l’impiego sinergico di vari istituti: il primo tassello era costituito dai provvedimenti di rigore disciplinati dalla legge bancaria (id est la liquidazione coatta amministrativa o l’amministrazione straordinaria), entro cui si inseriva lo strumento di mercato della cessione d’azienda, reso economicamente sostenibile dal meccanismo delle anticipazioni sui BOT a lunga scadenza in favore della banca cessionaria, previsto dal decreto Sindona. 
A partire dalla fine degli anni ’70, l’evoluzione comunitaria degli assetti della normativa bancaria determinata dalla pubblicazione di una prima direttiva di armonizzazione in tema [58], oltre che dallo sviluppo della disciplina sugli aiuti di Stato, determinarono una progressiva erosione delle prerogative e del potere di moral suasion proprio delle Autorità creditizie italiane. Il finanziamento ex decreto Sindona fu reso del tutto impraticabile [59] con la ratifica del Trattato di Maastricht del 1992, che istituì il nuovo Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) e consacrò l’adozione di un nuovo modello di ordinamento bancario, inducendo il legislatore italiano ad abbandonare il paradigma dello Stato- banchiere e ad adottare, nel 1993, il Testo unico bancario, che collocava definitivamente l’impresa bancaria all’interno di un mercato concorrenziale. Riconosciuti gli innegabili effetti distorsivi sulla concorrenza e l’intollerabile socializzazione delle perdite imposta anche ai non fruitori dei servizi bancari determinati dal decreto Sindona, contemporaneamente ed in parallelo, emersero modalità alternative con cui dare attuazione al disposto dell’art. 47 Cost. sulla tutela del risparmio. Come testimoniato nel 1984 dall’allora Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi: “Storicamente nel nostro paese si è sviluppato un principio di intervento pubblico per far fronte ai dissesti bancari. Con il decreto del 27 settembre 1974 ha trovato codificazione un metodo secondo il quale la gestione delle crisi è affidata alle autorità monetarie, le quali si avvalgono della collaborazione delle banche. (…) mentre l’onere del ripianamento ricade in ultima istanza anche su coloro che non beneficiano direttamente del servizio bancario (…). Il sistema bancario potrebbe utilmente considerare l’ipotesi che, su base contrattuale, venga costituito da parte delle banche e delle casse di risparmio un fondo interbancario di garanzia dei depositi” [60]. 
Tale sistema privato di garanzia dei depositi, la cui implementazione fu peraltro raccomandata anche dalla Commissione europea in quegli stessi anni, fu infine istituito nel 1987 su base volontaria come consorzio di diritto privato e prese il nome di Fondo interbancario di tutela dei depositi, c.d. FITD; questo sistema affiancò la già esistente Centrale di garanzia delle casse rurali e artigiane poi divenuta, a seguito del recepimento delle direttive europee nel 1997, il Fondo di garanzia dei depositanti del credito cooperativo, c.d. FGDCC. Le finalità del FITD, peraltro, non erano limitate al mero rimborso dei depositanti, ma spaziavano fino al rifinanziamento di mezzi liquidi per gli enti associati, all’offerta di garanzie e al risanamento delle aziende in crisi, sottoposte ad amministrazione straordinaria o a liquidazione coatta amministrativa è [61]. L’impiego dei due fondi fu, infine, consacrato con la già citata direttiva 94/19/CE [62], che introdusse una disciplina europea di armonizzazione minima sulla garanzia dei depositi, imponendo a tutte le banche, quale condizione per il mantenimento dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività, l’adesione e la relativa contribuzione a sistemi di garanzia dei depositi. “Tale necessitata adesione ha introdotto una caratteristica tipizzante dell’impresa bancaria” [63], conferendo ai fondi di garanzia una valenza pubblicistica e permettendo ad essi di svolgere un ruolo determinante nel superamento delle situazioni di dissesto di molti istituti creditizi. Accanto al fine primario di rimborso dei depositi nella liquidazione coatta amministrativa bancaria, infatti, la direttiva europea concesse ai fondi possibilità di ulteriori forme di intervento, in un’ottica di prevenzione o gestione delle crisi bancarie, con ciò avvalorando le scelte operate dal legislatore italiano nello statuto originario del FITD: tali interventi ultronei hanno costituito, quantomeno nell’esperienza italiana, la stragrande maggioranza dei casi concretamente realizzatisi, anche dopo la novella dell’art. 96 bis TUB ad opera del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 30, di recepimento della direttiva DGS. A partire dalla sua istituzione nel 1987 e fino al 2022 compreso, infatti, il FITD è stato chiamato ad effettuare diciassette interventi, di cui solo due di rimborso dei depositanti [64], sei di sostegno diretto o indiretto all’ente in crisi [65] e ben nove in operazioni di cessione in blocco di attività e passività [66], per un totale complessivo di oltre tremilatrecento milioni di euro. Gli statuti dei due fondi sono stati infine rivisti a seguito del recepimento della BRRD e della DGSD, la direttiva 2014/49/UE, che ha introdotto una disciplina di armonizzazione massima relativa ai sistemi di garanzia dei depositi, di fatto positivizzando la tradizione precedente e armonizzandola nell’architettura dell’Unione bancaria. Coerentemente con il nuovo impianto normativo, gli attuali art. 32 dello Statuto del FITD e art. 3 dello Statuto del FGDCC [67] disciplinano oggi quattro tipologie di interventi effettuabili dagli stessi a favore delle banche consorziate: il rimborso dei depositanti, interventi in operazioni di cessione di attività e passività, interventi preventivi per superare il dissesto o il rischio di dissesto ed infine il finanziamento della risoluzione. 
Tuttavia, pare opportuno sottolineare che, per fronteggiare le crisi bancarie di impatto più significativo prima dell’avvento dell’Unione bancaria, l’apporto fornito dai sistemi italiani di garanzia dei depositi ha dovuto inevitabilmente essere sostenuto da forme più o meno marcate di bail- out, ossia di interventi pubblici sotto forma di finanziamento ex decreto Sindona, applicato anche in assenza dei presupposti, o di vere e proprie leggi-provvedimento [68]. Questo approccio si caratterizzava per l’impiego congiunto di misure tipiche ed atipiche, di interventi pubblici volti a scongiurare l’applicazione dei provvedimenti di rigore concorsuali e di misure di matrice liquidatoria, con l’intento ultimo di confezionare soluzioni sartoriali ad hoc. È per esempio il caso della ristrutturazione e privatizzazione del Banco di Napoli operata dal d.l. 24 settembre 1996, n. 497, che costituisce l’ultimo più importante salvataggio pubblico italiano [69]. A causa delle ingentissime perdite e delle dimensioni dell’istituto, che possedeva ramificazioni sia nel territorio nazionale sia in paesi esteri, la legge di conversione del citato decreto-legge operò una ricapitalizzazione pubblica per oltre 2000 miliardi di lire, attraverso l’impiego di svariate misure straordinarie, pur con il fine di dismettere in seguito la partecipazione dello Stato con procedure competitive, atte ad ottenere una privatizzazione sostanziale del Banco. Dette misure comprendevano, tra le altre: anticipazioni della Banca d’Italia ex decreto Sindona, la partecipazione del Tesoro ad aumenti di capitale, la disapplicazione della normativa civilistica sulla riduzione delle perdite, lo svincolo delle riserve obbligatorie di bilancio, sgravi fiscali e la cessione dei crediti in sofferenza ad una bad-bank ante litteram costituita ad hoc, la SGA o Società Gestione Attivi S.p.A., peraltro più volte ricapitalizzata. Un altro esempio è costituito dalla soluzione della crisi della Cassa Centrale di Risparmio Vittorio Emanuele II per le province siciliane, meglio nota come Sicilcassa, operata dal d.l. 9 settembre 1997, n. 292 [70], che dispose la liquidazione dell’istituto già in amministrazione straordinaria e la cessione in blocco delle sue attività e passività al Banco di Sicilia. L’operazione complessiva fu resa possibile grazie all’intervento congiunto della Banca d’Italia, in qualità di anticipatrice ex decreto Sindona, del Ministero del Tesoro, che realizzò un aumento capitale dell’istituto acquirente per mille miliardi di lire e del FITD, che coprì lo sbilancio di cessione al Banco di Sicilia. Da quanto esposto risulta chiaro che gli enti creditizi italiani “hanno potuto contare, a lungo, sulla neutralizzazione delle relative perdite gestionali grazie all’intervento del FITD e facendo ricorso all’applicazione del c.d. decreto Sindona” [71] che finiva per imporre i costi a carico dei contribuenti. In entrambi i casi in analisi, peraltro, le soluzioni adottate dal governo italiano furono sottoposte al vaglio della Commissione europea, in qualità di autorità garante della concorrenza e guardiana delle norme in materia di aiuti di Stato. La Commissione, pur riconoscendo la presenza di importanti elementi di aiuto, ricondusse le operazioni attuate in entrambe le crisi all’esenzione prevista dai trattati in tema di salvataggio e ristrutturazione di imprese in difficoltà [72]. Quanto al Banco di Napoli, le misure di salvataggio furono approvate in via condizionata [73] ad un controllo a posteriori del piano di ristrutturazione dell’ente. Con riferimento alla Sicilcassa, invece, appaiono decisive le valutazioni espresse dalla Commissione circa la compatibilità con il mercato interno dell’operato del FITD. Considerata la natura non pubblica della maggioranza delle banche partecipanti al fondo, l’autorità europea appurò la completa autonomia e indipendenza degli interventi disposti rispetto a qualsivoglia condizionamento esercitato dalle autorità pubbliche nazionali e giudicò il ricorso al FITD pienamente conforme alla normativa sugli aiuti di Stato [74]. Nel decennio successivo, tuttavia, a causa delle conseguenze della crisi finanziaria, la Commissione avrebbe operato una brusca inversione di rotta, sì da giungere a considerazioni diametralmente opposte. 
2.2 . Il caso di Banca Tercas
Come sottolineato, il modello di gestione delle crisi bancarie, in Italia come in Europa, cambiò radicalmente a seguito della crisi finanziaria mondiale, a causa dei massicci interventi pubblici disposti dagli Stati per salvare i sistemi bancari e la società stessa dal collasso. In quegli stessi anni, la Commissione europea aveva adottato, si è visto, le citate comunicazioni in materia di aiuti di Stato, fino a giungere all’ultima Banking Communication del 2013, che sancì la definitiva chiusura della finestra temporale concessa agli Stati per disporre interventi di salvataggio pubblico delle banche in crisi. In detta Comunicazione venne preso in considerazione, tra gli altri aspetti già esaminati, il ruolo svolto dai Sistemi di garanzia dei depositi nelle operazioni di salvataggio degli enti creditizi. In particolare, la Commissione operò una distinzione, precedentemente mai rilevata, sulla base delle tipologie di intervento del fondo. Se, da una parte, escluse che il rimborso dei depositanti avesse la natura di aiuto di Stato, a diversa conclusione giunse quanto alla seconda tipologia di operazioni effettuabili: “Il ricorso a tali fondi o a fondi simili per favorire la ristrutturazione degli enti creditizi può, tuttavia, costituire aiuto di Stato. Anche se i fondi in questione potrebbero provenire dal settore privato, essi possono costituire aiuti nella misura in cui sono soggetti al controllo dello Stato e la decisione relativa all'utilizzo dei fondi è imputabile allo Stato” [75]. Trattasi, nella sostanza, di un aspetto che esula dalla forma giuridica rivestita dal fondo ed investe, piuttosto, l’elemento volontaristico alla base della decisione di intervento, che, per sua stessa definizione e tanto più in situazioni assai complesse, risulta di difficile ponderazione, se non finanche insondabile, lasciando ampio spazio a valutazioni massimamente discrezionali da parte della Commissione. 
Con la controversa ed invero discutibile decisione del 23 dicembre 2015 [76], la Commissione europea qualificò come aiuto di Stato illegittimo l’intervento di sostegno effettuato dal FITD a favore della Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo, c.d. Banca Tercas. L’istituto abruzzese, la cui politica espansionistica aveva raggiunto l’apice tra il 2010 e il 2011 con l’acquisizione della Cassa di Risparmio di Pescara (Caripe), era stato posto in amministrazione straordinaria nella primavera del 2012 [77], dopo  che  gli  accertamenti  ispettivi  di  vigilanza  condotti  dalla  Banca  d’Italia  avevano  evidenziato l’inadeguatezza degli assetti della governance e dei controlli interni dell’istituto, nonché gravi irregolarità nella gestione e violazioni normative. Coerentemente con la tradizione italiana e su indicazione della Banca d’Italia, il commissario straordinario di Tercas aveva avviato trattative con la Banca Popolare di Bari, quale potenziale cessionaria dell’azienda bancaria in crisi: l’istituto pugliese si era poi effettivamente impegnato a sottoscrivere un aumento di capitale di Tercas, a condizione che il FITD intervenisse a coprirne interamente il deficit patrimoniale. Dopo un primo tentativo di intervento conclusosi negativamente a causa di alcune divergenze tra i soggetti intervenienti sull’assetto economico patrimoniale dell’ente abruzzese in crisi, il FITD deliberò, infine, le misure in favore di Tercas e chiese la formale autorizzazione alla Banca d’Italia, concessa dall’autorità di vigilanza nel luglio 2014. L’operazione fu strutturata ed attuata dal FITD come intervento volontario [78], conformemente al suo Statuto e all’art. 96 quater TUB, che ammettevano operazioni di questo tipo in un’ottica di prevenzione delle crisi, a condizione che sussistessero prospettive di risanamento per l’ente e di minor onere, a carico del fondo, rispetto a quello derivante dall’ordinaria liquidazione coatta amministrativa. Tuttavia, sulla base dei citati nuovi orientamenti e del tutto inaspettatamente, la Commissione europea ritenne che la decisione di intervenire, lungi dall’essere espressione di una volontà privata imputabile al FITD stesso, fosse in realtà riconducibile ad un mandato pubblico [79], sulla cui esecuzione la Banca d’Italia, e con essa lo Stato, esercitava pieno controllo, in virtù degli ampi poteri che le sono affidati in materia [80]. Inoltre, sul presupposto che le contribuzioni erogate dalle banche consorziate avessero, come tutt’ora hanno, natura obbligatoria e fossero gestite ed utilizzate per adempiere agli obiettivi di interesse pubblico, la Commissione stabilì che vi fossero “sufficienti indizi per dimostrare che la misura è imputabile allo Stato ed è finanziata attraverso risorse pubbliche” [81]. Appurata la natura pubblica e considerate le caratteristiche delle misure erogate, che non erano condizionate alla presentazione di qualsivoglia piano industriale di ristrutturazione né prevedevano alcuna prospettiva di rendimento [82], venne statuito che gli interventi del FITD a favore di Tercas avessero comportato il conferimento di un vantaggio selettivo suscettibile di distorcere la concorrenza ed incidere sugli scambi tra Stati membri [83]. Stabilita l’esistenza di un aiuto di Stato, la Commissione escluse in radice la compatibilità di tutte le misure disposte con la Banking Communication e in generale con il mercato interno [84], atteso che non era stato presentato un piano di ristrutturazione né, a suo parere, era stato rispettato il principio del minor onere [85] e dispose, in definitiva, l’immediato recupero presso il beneficiario degli aiuti concessi [86]. 
La delicatissima situazione venutasi a creare a seguito della pronuncia della Commissione, che sostanzialmente addossava alla Banca Popolare di Bari l’intero sbilancio di cessione dell’azienda acquisita, fu dipanata grazie all’istituzione nel 2016, da parte del sistema bancario italiano pressoché all’unanimità, di un fondo volontario sempre afferente al FITD stesso, il c.d. Schema Volontario di intervento, che agì in sostituzione [87] del Fondo principale, quale strumento aggiuntivo per il risanamento delle banche ad esso aderenti. Lo Schema, il cui funzionamento è oggi disciplinato dal Titolo II dello Statuto del FITD [88], poté intervenire in quanto costituito con risorse private addizionali rispetto ai contributi obbligatori previsti dalla legge e dotato di una propria governance e autonomia contabile rispetto al Fondo principale. Quanto alla decisione della Commissione, che avrebbe rivestito un’importanza cruciale nella successiva risoluzione della crisi delle quattro banche italiane [89], essa fu impugnata dalla Repubblica Italiana, unitamente alla Banca Popolare di Bari, al FITD e alla Banca d’Italia, dinanzi alla Corte di Giustizia. 
Il Tribunale, in primo grado [90], pur confermando che la forma giuridica privata del soggetto che eroga l’aiuto, come pure l’impiego di risorse private, non escludono di per sè l’applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato, annullò la decisione sull’assunto per cui “la Commissione non ha dimostrato, in modo giuridicamente sufficiente, il coinvolgimento delle autorità pubbliche italiane nell’adozione della misura in questione né, di conseguenza, l’imputabilità di tale misura allo Stato” [91]. Anche con riferimento alle risorse impiegate, il Tribunale rilevò come mancasse la prova che “fossero controllate dalle autorità pubbliche italiane e che esse fossero di conseguenza a disposizione di queste ultime” [92]. Più specificamente, i giudici colsero l’opportunità per precisare il ruolo svolto dal FITD, e con esso generalmente da tutti i SGD, alla luce del nuovo quadro di gestione delle crisi bancarie e dell’Unione bancaria, dichiarandone ammissibili gli interventi volontari di sostegno, sul presupposto che, ancorché sottoposti ad autorizzazione da parte delle autorità pubbliche, essi “mirano principalmente a perseguire gli interessi privati delle banche che sono membre del FITD” e, pertanto, “non attuano un qualche mandato pubblico conferito dalla normativa italiana” [93], essendo anzi espressione di autonomia decisionale. Inoltre, i giudici constatarono che, lungi dal rivestire il ruolo di longa manus dello Stato, in tali tipologie di intervento “la Banca d’Italia esercita solo un controllo di conformità della misura con il quadro normativo, a fini di vigilanza prudenziale” e che “non può in alcun modo obbligare il FITD ad intervenire a sostegno di una banca in difficoltà” [94]. La sentenza, come prevedibile, fu impugnata dalla Commissione europea dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dal momento che la censura del proprio operato in un ambito sì delicato avrebbe di fatto potuto provocare importanti conseguenze su tutti i livelli, basti citare le eventuali pretese risarcitorie derivanti dagli inevitabili ritardi e ostacoli che la decisione aveva provocato sugli azionisti ed obbligazionisti subordinati delle quattro banche [95]. Con sentenza del 2 marzo 2021 [96], la Grande Sezione della Corte di Giustizia ha respinto integralmente i motivi dedotti dalla Commissione a sostegno dell’impugnazione, avvalorando in tutto la ricostruzione e la statuizione del Tribunale e con ciò confermando la bontà dell’operato del FITD nella vicenda Tercas, che, tuttavia, si era ormai già conclusa da tempo. 
Appare quantomai opportuno sottolineare, ai fini della presente trattazione, come la pronuncia della Corte di Giustizia non sia certo stata inutiliter data, ma abbia consacrato, per autorevole dottrina, l’apertura, in caso di crisi bancarie, di una strada alternativa agli strumenti di risoluzione previsti dalla BRRD: il c.d. bail-with. A differenza del bail-out pubblico, il bail-with realizzerebbe il salvataggio dell’ente creditizio attraverso l’uso, pienamente legittimo, delle somme che i fondi di tutela dei depositanti, in linea con i propri statuti, chiedessero di versare agli aderenti” [97]. Trattasi, dunque, di un intervento mutualistico di natura privata adottato su base volontaria da un SGD, che ben si confà a gestire la crisi di piccole e medie imprese bancarie, a differenza della resolution, più adatta ad enti creditizi di importanza significativa. A ben considerare, peraltro, la già citata direttiva DGS “è stata concepita proprio per il perseguimento di tale finalità”, avendo “introdotto una normativa specularmente vicina a quella in passato vigente in Italia” [98]  per il FITD: l’art. 11, par. 3, DGSD, infatti, espressamente ammette l’impiego dei mezzi finanziari nella disponibilità di un SGD “per misure alternative volte ad evitare il dissesto di un ente creditizio”. In conclusione, l’affaire Tercas ha segnato un momento di netta rottura nella disciplina in tema di aiuti di Stato al settore bancario, che ha posto in evidenza la necessità di rivedere vari aspetti dell’architettura dell’Unione bancaria, primo tra tutti la compiuta realizzazione del terzo pilastro e la positivizzazione di un’armonica relazione tra la BRRD, la DGSD [99] e la disciplina sugli aiuti di Stato dell’Unione. Come sottolineato dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, risulta quanto mai urgente “rivedere i rapporti fra la disciplina in materia di crisi bancarie e quella sugli aiuti di Stato. Oltre a rimuovere sovrapposizioni di competenze e a chiarire incertezze applicative, andrebbe discusso e riconsiderato il principio secondo cui le esigenze di tutela della concorrenza alla base della disciplina sugli aiuti di Stato prevalgono sempre sulle ragioni della stabilità finanziaria” [100].
2.3 . Lo scenario italiano post Tercas e la ricerca di soluzioni ad hoc
Le conseguenze dell’approccio inaugurato dalla Commissione con la Banking Communication e con la decisione relativa alla vicenda Tercas, si manifestarono con tutta la loro drammaticità in occasione delle crisi degli enti creditizi italiani, dovute in particolar modo all’aumento dei crediti in sofferenza (c.d. non performing loans o NPL) connesso alla crisi della c.d. economia reale, ossia quella espressa dall’attività economica delle imprese. A causa delle peculiarità del proprio sistema bancario, come accennato a più riprese nel corso del presente lavoro, in Italia l’andamento della crisi si sviluppò secondo il modello della recessione a forma di W, c.d. double dip recession [101], caratterizzato da due fasi differenti. La prima, a seguito del default di Lehman Brothers, venne percepita assai meno gravemente in virtù del modello tradizionale di banca esistente nel territorio italiano, non vocato all’investment banking. A tale periodo seguì una lieve ripresa, che fu solo il preludio della seconda fase recessiva, aggravata dalle tensioni sul mercato dei titoli del debito sovrano dei paesi GIPSI. La seconda, a partire dal 2011, fu per l’appunto più impattante e duratura, a causa delle rigide politiche di bilancio imposte dall’Unione Europea e dell’assenza di programmi di aiuto statali ed europei, di cui invece avevano beneficiato largamente gli istituti di altri paesi dell’area euro, quali Germania e Spagna. Gli istituti di credito italiani reagirono riducendo il proprio attivo e adottando politiche di contrazione nella concessione del credito, a causa degli elevati coefficienti patrimoniali minimi richiesti dagli accordi di Basilea; per di più, la massiccia presenza nei propri portafogli di titoli di Stato italiani, esposti, come detto, a violenti shock sui mercati, provocò un considerevole deterioramento nella qualità degli attivi bancari. La stretta creditizia si ripercosse a catena in misura estremamente impattante [102] sul tessuto imprenditoriale italiano, caratterizzato, si sa, dalla presenza preponderante di piccole e medie imprese, per di più poco capitalizzato e indebitato per la maggior parte nei confronti delle banche. In una sorta di circolo vizioso, i numerosi fallimenti delle imprese finanziate dalle banche, che avevano in un primo momento sopportato la crisi dell’economia reale con una diminuzione dei proventi, causarono per le stesse ingenti crisi patrimoniali, cui lo Stato non poté porre facilmente rimedio, a causa dei mutati indirizzi nella politica della Commissione europea.
Secondo la relazione conclusiva della Commissione parlamentare bicamerale d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario [103], l’Italia fu l’ultimo paese in ordine di tempo ad affrontare le crisi bancarie, che hanno riguardato il 10% del sistema in termini di attivo totale ed hanno comportato oneri ingenti per la finanza pubblica, seppur di gran lunga inferiori a quelli di altri paesi europei [104]. I lavori della Commissione di inchiesta si soffermarono sulle crisi di sette istituti di credito ritenuti significativi in quanto legati da un peculiare fil rouge: Monte dei Paschi di Siena (MPS), Banca Popolare di Vicenza (BPVi), Veneto Banca (VB), Banca delle Marche (BM), Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio (BPEL), Cassa di Risparmio di Ferrara (Carife) e Cassa di Risparmio di Chieti (CariChieti). Tutte le banche in questione, infatti, con la sola eccezione di CariChieti, nel tentativo di ripristinare i livelli patrimoniali intaccati dal deterioramento della qualità del credito, volsero lo sguardo al mercato del capitale di rischio e, per rispettare i parametri fissati dagli accordi di Basilea 
2, deliberarono consistenti aumenti di capitale [105]. “La difficoltà di reperire risorse su un mercato profondamente provato dalla crisi” spinse i manager e le figure al vertice degli istituti a ricorrere a “meccanismi potenzialmente fraudolenti, tali da integrare fattispecie penali quali le false comunicazioni sociali, il falso in prospetto e l’aumento fittizio di capitale sociale mediante sottoscrizione reciproca di azioni” [106] sia come autonome fattispecie di reato, sia come condotte integranti il reato di bancarotta impropria ex art. 223, n. 1, legge fallimentare.
In definitiva, pertanto, la soluzione delle sette crisi bancarie anzidette si svolse, necessariamente, in un contesto normativo del tutto nuovo e in evoluzione, dal momento che le regole europee sulla resolution erano in corso di recepimento e che la politica adottata dalla Commissione europea in tema di aiuti di Stato era bruscamente mutata con la vicenda Tercas. In tale scenario, le autorità creditizie e governative italiane furono costrette ad adottare tre diverse soluzioni ad hoc, spesso facendo ricorso alla decretazione d’urgenza e compiendo scelte innovative attraverso l’impiego congiunto di istituti nuovi [107] e preesistenti, che pure si mossero nell’ambito della filosofia che ispira la BRRD.
a . Dalla crisi all’amministrazione straordinaria
La vicenda di Banca delle Marche, di Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, di Cassa di Risparmio di Ferrara e di Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti, poste in risoluzione nel novembre 2015, è la plastica esemplificazione dello scenario poc’anzi delineato e rappresenta un singolare caso di studio, per tutta una serie di peculiarità che verranno di seguito esaminate e che impongono la trattazione congiunta delle crisi che colpirono i quattro istituti di credito. Collegata anch’essa all’onda d’urto provocata dalla grande recessione e soprattutto alle successive tensioni nel mercato dei titoli del debito sovrano, la crisi di detti istituti [108] originò all’interno dell’area crediti e fu determinata da una governance del tutto inadeguata, da rischiose politiche di concessione del credito e da numerose violazioni di disposizioni normative, regolamentari e statutarie da parte dei manager aziendali. Negli anni antecedenti il commissariamento, avvenuto per ciascuna di esse tra il 2013 e il 2015, sia la Banca d’Italia sia la Consob avevano condotto, ciascuna nel proprio ambito di intervento, numerosi accertamenti ispettivi [109], che avevano evidenziato plurime criticità. Quanto alla Banca d’Italia, essa aveva rilevato la totale inadeguatezza della governance in ogni sua articolazione: la mancata selezione dei vertici aziendali da parte delle proprietà, la gestione non sana e non prudente ad opera dei consigli di amministrazione e la carenza dei meccanismi di controllo interno. Tale inadeguatezza si era tradotta in una pessima qualità del credito, che aveva spinto i vertici aziendali a deliberare aumenti di capitale, realizzati attraverso la vendita di obbligazioni subordinate ai clienti retail e l’effettuazione di c.d. acquisti incrociati, ossia la vendita di azioni sottoscritte da altre banche, i cui aumenti di capitale erano tuttavia stati sottoscritti dai quattro istituti stessi. Rileva la Commissione d’inchiesta come “i crediti deteriorati delle quattro banche hanno raggiunto, in tempi diversi (…) percentuali almeno doppie rispetto a quelle del sistema bancario, determinando tensioni di liquidità e pesanti perdite patrimoniali, all’origine del dissesto”[110]. Quanto alla Consob, invece, essa aveva vagliato tutte le operazioni di emissione di titoli azionari ed obbligazionari subordinati condotte dagli istituti negli anni antecedenti (ad eccezione di CariChieti, che non emetteva titoli quotati o diffusi), in seguito a cui aveva irrogato ingenti sanzioni amministrative. In sintesi, la crisi delle quattro banche di cui trattasi trae origini da cause comuni, individuabili: nell’incontrollata crescita di prestiti nel decennio precedente, in mancanza di accurate istruttorie di fido e al di fuori delle aree tradizionali di insediamento; nell’inefficiente politica di controllo del rischi, concentratisi eccessivamente in determinati settori, quali quello immobiliare; nel mancato rispetto dei limiti regolamentari interni nei confronti di alcuni prenditori; nel carente controllo delle garanzie offerte e nel mancato aggiornamento delle perizie immobiliari. Si aggiunga, per di più, un deficit informativo tra le varie autorità di vigilanza, che aveva, per esempio, portato la Consob ad approvare i prospetti relativi agli aumenti di capitale di Carife nel 2011. Tutte queste motivazioni spinsero le competenti autorità giudiziarie ad avviare approfondite indagini, sfociate in numerose sentenze (alcune ancora non definitive)[111] e la Banca d’Italia e il Ministro dell’economia e delle finanze ad assoggettare gli istituti alla procedura di amministrazione straordinaria, più precisamente: Carife il 27 maggio 2013 [112], BM il 15 ottobre 2013 [113], CariChieti il 5 settembre 2014 [114] e BPEL il 10 febbraio 2015 [115]. 
Per tutti gli istituti di credito la gestione commissariale fece emergere perdite ancora più gravi rispetto a quelle emerse in sede ispettiva, tali da erodere enormemente le consistenze patrimoniali, portando il Tier 1 ratio ben al di sotto dei minimi legali, che, peraltro, erano divenuti ancora più stringenti in seguito al recepimento degli accordi di Basilea 3. Come sottolineato da Carmelo Barbagallo, capo del Dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia: “l’aumento delle partite deteriorate, la drastica riduzione della redditività bancaria, le crescenti richieste di mezzi patrimoniali connesse con il recepimento del quadro normativo di Basilea 3 e l’avvio del Meccanismo Unico di Vigilanza, hanno di fatto azzerato il mercato degli asset bancari, rendendo di fatto impraticabili cessioni di aziende bancarie in crisi” [116]. Infatti, la perdurante congiuntura economica sfavorevole, come pure i rilevanti cambiamenti normativi in corso connessi all’architettura dell’Unione bancaria europea, resero infruttuose tutte le interlocuzioni volte a perseguire soluzioni di mercato. Pertanto, l’unica strada coerente con la passata tradizione italiana rimaneva quella di un intervento ad opera del Fondo interbancario di tutela dei depositi, nella forma del sostegno alla cessione delle aziende bancarie in crisi e della copertura dello sbilancio di cessione. Effettivamente, durante la gestione commissariale, il FITD aveva manifestato più volte la propria disponibilità ad intervenire a supporto di eventuali azioni di risanamento, come effettivamente avvenuto, in quegli stessi mesi, in occasione della crisi di Banca Tercas. Nel giugno 2014, infatti, in seguito all’intervento deliberato dal FITD a sostegno dell’operazione di cessione dell’istituto abruzzese alla Banca Popolare di Bari, la Direzione Generale per la Concorrenza in seno alla Commissione europea aveva avviato un’interlocuzione con le autorità italiane, in particolare con il Ministero dell’economia e delle finanze, protrattasi fino alla fine del 2015 e i cui esiti, si sa, si sarebbero rivelati nefasti.
b . Il D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 180 e il procedimento di risoluzione ad hoc
Il progressivo deterioramento dell’equilibrio patrimoniale e del profilo di liquidità delle quattro banche, oltre che il divieto per il FITD di intervenire avanzato dalla Commissione europea, fece precipitare inesorabilmente la situazione; di talché le autorità italiane, nel novembre 2015, furono spinte verso l’unica soluzione prospettabile, in grado di ridurre l’impatto più devastante della crisi: quella dell’introduzione in via legislativa dell’ossatura minima essenziale della direttiva BRR, necessaria a consentire l’intervento sui quattro istituti di credito nel rispetto della normativa europea, in assenza di bail-in. Con lo spettro sempre più vicino della liquidazione atomistica degli enti e delle devastanti ripercussioni sul tessuto produttivo e sociale che un blocco operativo degli istituti avrebbe comportato, furono adottati i D.Lgs. 16 novembre 2015, nn. 180 e 181, di attuazione della direttiva 2014/59/UE e di modifica del TUB. Nei giorni immediatamente successivi, più precisamente il 18 ed il 21 novembre 2015 [117], la Banca d’Italia, in qualità di Autorità nazionale di risoluzione, si affrettò rispettivamente ad istituire il Fondo nazionale di risoluzione e a disporre la risoluzione degli istituti anzidetti, tenuto conto dell’imminente entrata in vigore, prevista per il 1° gennaio 2016, dell’istituto del bail-in, che avrebbe comportato la necessità di procedere alla svalutazione anche delle obbligazioni ordinarie e dei depositi non protetti, prima di poter accedere ai contributi del Fondo. Non solo: il coinvolgimento di tutte le altre categorie di passività ammissibili, secondo il meccanismo delineato dal bail-in, avrebbe peraltro esposto il FITD al rischio concreto di un esborso potenziale di oltre dodici miliardi di euro, per intervenire nel procedimento in luogo dei depositi protetti. Come sottolineato da autorevole dottrina [118], il legislatore italiano, nell’agire con il precipuo scopo di evitare l’applicazione del temibile istituto, applicò un regime ex lege che limitò di fatto la discrezionalità della Banca d’Italia, quale autorità di risoluzione, circa l’appropriatezza ed adeguatezza delle misure adottate. In tal modo “le quattro banche interessate, gli azionisti e i creditori hanno ottenuto un trattamento non replicabile in futuro per casi analoghi”[119]. I provvedimenti di risoluzione adottati dalle autorità italiane, infatti, hanno permesso di trasferire l’insieme di diritti, attività e passività alle banche ponte “secondo un regime speciale deformalizzato, diretto a garantire la liberazione dell’ente sottoposto a risoluzione e la stabilità nell’esercizio dei servizi bancari e di investimento”[120]. 
Con quattro distinti provvedimenti[121], approvati dal Ministro dell’economia e delle finanze il 22 novembre 2015, la Banca d’Italia dispose l’avvio formale della risoluzione delle quattro banche, ex art. 32 D.Lgs. n. 180/2015 e sulla base di una valutazione provvisoria delle attività e passività, visti i presupposti d’urgenza ex art. 25 del medesimo D.Lgs. La valutazione si divise in due fasi: la prima finalizzata ad accertare la situazione di dissesto o di rischio di dissesto sulla base del patrimonio netto individuale delle banche al momento di apertura della procedura [122]; la seconda volta a quantificare i corrispettivi connessi alle operazioni previste dalla risoluzione (ossia le percentuali di svalutazione degli NPL e le successive rettifiche[123]). Contestualmente, venne accertata la mancanza di soluzioni alternative di mercato e la presenza dell’interesse pubblico alla risoluzione, dal momento che gli enti, pur avendo una rilevanza meramente locale, “risultavano profondamente integrati nel sistema economico finanziario di operatività e rappresentavano un punto di riferimento del complessivo finanziamento all’economia reale, anche tenuto conto del rilevante sostegno prestato alle piccole e medie imprese”[124]. I programmi di risoluzione adottati dalle autorità, uguali per tutte le banche in questione, furono trasmessi ed approvati sia dal MEF sia, soprattutto, dalla Commissione europea, nell’ambito della disciplina in materia di aiuti di Stato, con quattro distinte decisioni, in data 22 novembre 2015[125]. 
Più dettagliatamente, il programma[126] prevedeva un immediato write-down e l’impiego congiunto di due resolution tools, segnatamente quello dell’ente-ponte (o bridge bank) e quello della separazione delle attività (o asset separation), da affiancare, in un successivo momento, allo strumento della vendita dell’attività di impresa (o sail of business). L’operatività dei resolution tools fu resa possibile dalla contestuale approvazione, da parte del Governo Renzi, del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, recante “disposizioni urgenti per il settore creditizio”, che costituiva i quattro enti-ponte nella forma della società per azioni[127]. Conseguentemente e in ordine cronologico, furono disposte: 
i. l’apertura della risoluzione, con conseguente chiusura della procedura di amministrazione straordinaria e cessazione dei relativi organi, alle ore 22:00 del 22 novembre 2015; 
ii. la nomina di un commissario speciale e di un comitato di sorveglianza per ciascun istituto in risoluzione, alla medesima ora; 
iii. il necessario write-down, ossia la riduzione integrale delle riserve e del capitale rappresentato da azioni, anche non computate nel capitale regolamentare, e del valore nominale degli strumenti di classe 2, computabili nei fondi propri, a copertura di una parte delle perdite quantificate nella valutazione provvisoria, con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali, sempre alla medesima ora; 
iv. la costituzione di quattro enti-ponte nella forma della società per azioni, avvenuta alla mezzanotte precisa del 23 novembre 2015 per tramite del D.L. n. 183/2015 e la sottoscrizione del capitale degli stessi da parte del Fondo nazionale di risoluzione; 
v. l’adozione dello statuto degli enti-ponte, con l’obiettivo di assicurare la continuità dei servizi bancari, l’approvazione del profilo di rischio e la nomina dei componenti degli organi di amministrazione e controllo degli stessi, sempre alla mezzanotte precisa e la conseguente autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria, per ciascun ente, concessa dalla BCE, in pari data; 
vi. la cessione, alle 00:01 del 23 novembre 2015, delle aziende bancarie proprie dei singoli istituti in risoluzione, ad esclusione dei debiti subordinati non computabili nei fondi propri, ai rispettivi enti-ponte, che sono dunque succeduti senza soluzione di continuità ai corrispondenti cedenti; 
vii. la costituzione, in data 15 dicembre 2015, di un’unica società veicolo (o bad-bank), priva di licenza bancaria, per la gestione delle attività, la REV Gestione Crediti S.p.A., l’approvazione dello statuto e del profilo di rischio, la nomina degli organi amministrativi e di controllo della stessa e la sottoscrizione del capitale da parte del Fondo nazionale di risoluzione; 
viii. la cessione alla medesima società veicolo degli NPL detenuti da tutti gli enti-ponte in due tranches, con efficacia, rispettivamente, dal 1° febbraio 2016 e dal 1° gennaio 2017; 
ix. ed, infine, la sottoposizione delle banche in risoluzione alla liquidazione coatta amministrativa, avvenuta con quattro distinti decreti del Ministro dell’economia e delle finanze[128], in data 9 dicembre 2015. 
Risulta opportuno sottolineare la singolare successione cronologica degli eventi e dei provvedimenti che, di fatto, costituiscono la risoluzione stessa: gran parte del procedimento ha avuto luogo nell’arco di due ore precise, nella notte tra il 22 e il 23 novembre 2015, per poi avviarsi verso una completa definizione entro la fine dell’anno. 
In virtù dell’istituzione e dell’intervento del Fondo nazionale di risoluzione, a cui fu affidato il finanziamento dell’intero programma di risoluzione, la gestione delle crisi dei quattro istituti di credito non ha comportato, quantomeno inizialmente, alcun esborso da parte dello Stato italiano. Istituito dalla Banca d’Italia il 18 novembre 2015[129], ex art. 78 D.Lgs. n. 180/2015, come proprio patrimonio autonomo, esso era, ed è tutt’ora, alimentato con i contributi, ordinari e straordinari, provenienti dal sistema bancario italiano[130]. Il Fondo poté effettivamente intervenire solo in quanto era stata data applicazione al principio del burden-sharing, espressamente indicato dalla BRRD come precondizione dell’intera procedura: essendo la risoluzione avvenuta prima dell’inizio del nuovo anno, peraltro, l’applicazione di detto principio comportò esclusivamente il sacrificio degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati. Il Fondo giocò un ruolo cruciale nello svolgimento di tutto il programma di risoluzione, con plurimi interventi: nel trasferimento delle aziende agli enti-ponte a copertura del deficit di cessione, per un importo pari a 1,7 miliardi; nella ricapitalizzazione degli enti- ponte, per un importo pari a 1,8 miliardi; nella sottoscrizione del capitale della bad-bank REV, capitalizzata per 136 milioni e anche nel successivo procedimento di vendita delle banche ponte ai nuovi acquirenti. Pare appena il caso di sottolineare, infine, che il Governo Renzi decise intervenire con un provvedimento di parziale ristoro a beneficio degli investitori retail, ossia quelle persone fisiche o imprenditori individuali o agricoli che, truffati dalle operazioni fumose condotte dai vecchi manager aziendali, avevano acquistato strumenti finanziari subordinati emessi dalle quattro banche. 
Tale intervento si concretizzò attraverso l’istituzione di un Fondo di solidarietà[131], disposta con la legge 28 dicembre 2015, n. 208[132], alimentato e amministrato dal FITD e dunque a carico del sistema bancario italiano. 
Il procedimento di vendita degli enti-ponte fu avviato e condotto dalla Banca d’Italia, in qualità di socio unico delle neocostituite società e di gestore del Fondo nazionale di risoluzione, a condizioni di mercato e attraverso una procedura ad evidenza pubblica, trasparente e non discriminatoria, a partire dal gennaio 2016. Dopo varie trattative bilaterali e parallele rivelatesi infruttuose, nel mese di dicembre 2016, su impulso della Commissione europea che ambiva ad una definizione rapida della questione, furono individuati due potenziali acquirenti: UBI Banca, con cui si diede avvio alla negoziazione del contratto di acquisto per la vendita di Nuova BM, Nuova CariChieti e Nuova BPEL; e Banca Popolare dell’Emilia-Romagna (BPER), che aveva formulato un’offerta non vincolante e soggetta a specifiche condizioni per l’acquisto di Nuova Carife. La vendita[133] ad UBI Banca delle tre banche ponte suddette si perfezionò, infine, il 10 maggio 2017 al prezzo simbolico di un euro, dopo l’avallo da parte della Commissione europea[134] e grazie ad un ulteriore intervento del Fondo nazionale di risoluzione, concretizzatosi nel rilascio di varie garanzie per rischi legali e fiscali, nella sottoscrizione di nuovi aumenti di capitale degli enti-ponte per 713 milioni e nella cessione di altre sofferenze a REV per 2,2 miliardi. Quanto al contratto di acquisto di Nuova Carife, esso fu perfezionato con BPER, alle medesime condizioni del precedente, pur con un esborso minore di 153 milioni da parte del Fondo, e sempre dopo l’approvazione della Commissione europea[135], il 30 giugno 2017.
i . Il sindacato del giudice amministrativo
Come prevedibile, la gestione della risoluzione degli istituti in questione è stata sottoposta plurime volte allo scrutinio del giudice amministrativo, sia in primo grado[136], sia in appello dinanzi al Consiglio di Stato[137], sino a giungere di fronte alla Corte Suprema di Cassazione[138]: i giudici, in numerose sentenze, ne hanno sempre riconosciuto la legittimità. Detti pronunciamenti, che peraltro erano cronologicamente i primi in assoluto ad occuparsi della tematica, affrontarono tutte le principali questioni che la normativa sulla risoluzione aveva posto e che avevano spinto i ricorrenti ad agire in giudizio. Prime fra tutti la completezza dell’istruttoria e la correttezza del percorso motivazionale dei programmi di risoluzione, oltre che la presenza stessa dei presupposti necessari ad avviare la nuova procedura, id est il dissesto o il rischio di dissesto, l’assenza di soluzioni alternative[139] e la presenza dell’interesse pubblico. Il TAR Lazio, facendo ampie e decisive citazioni della giurisprudenza della Corte di Giustizia legata al caso Kotnik, aveva inoltre verificato l’effettivo rispetto da parte delle autorità di risoluzione di importanti principi, quali quello del no creditor worse off e di fondamentali diritti, come quello di proprietà[140] e alla tutela giurisdizionale, di cui i ricorrenti, azionisti ed obbligazionisti, lamentavano la violazione. Più dettagliatamente, nel respingere i ricorsi presentati dalle Fondazioni per chiedere l’annullamento del provvedimento della Banca d’Italia che disponeva l’avvio della risoluzione, i giudici amministrativi hanno sottolineato la necessità di “tenere conto del costante orientamento giurisprudenziale (…) per cui gli atti posti in essere dalla Banca d’Italia nell’attività di vigilanza, costituiscono esplicazione di potere amministrativo caratterizzato da discrezionalità tecnica, volto alla tutela dei risparmiatori e, dunque, delle garanzie che devono assistere l’attività di raccolta del risparmio e di erogazione del credito, dell’affidabilità complessiva del sistema bancario”[141]. Va rilevato, tuttavia, come per autorevole dottrina tale orientamento giurisprudenziale sarebbe invece da censurare, in quanto dimostrerebbe un appiattimento “su un’acritica adesione agli orientamenti delle amministrazioni di controllo del settore, le quali (…) solo in rarissimi casi hanno visto l’adozione di provvedimenti giurisdizionali contrari alle determinazioni da esse assunte”[142]. 
ii . La querelle sulla responsabilità degli enti ponte
Menzione merita, inoltre, la spinosa questione relativa alla responsabilità degli enti-ponte per le passività facenti capo alle quattro banche sottoposte alla resolution. All’origine del dibattito vi sono le domande risarcitorie promosse da alcuni azionisti ed obbligazionisti delle banche risolte contro gli enti-ponte cessionari dell’azienda bancaria, in relazione al pregiudizio patito per violazione degli obblighi informativi in sede di sottoscrizione degli aumenti di capitale. La tematica ha sollevato ampi dibattiti in dottrina[143] ed ha portato a numerose pronunce giurisprudenziali e dell’Arbitro per le controversie finanziarie[144], che hanno adottato soluzioni spesso discordanti. In tutti i procedimenti instaurati le difese gli enti-ponte avevano eccepito il difetto di legittimazione passiva sulla base di varie motivazioni, sostanzialmente incentrate: sull’azzeramento delle azioni delle vecchie banche e dei relativi diritti operato dal provvedimento di risoluzione; sulla mancata iscrizione nei libri sociali obbligatori, ex art. 2560 c.c., di dette pretese risarcitorie ed, infine, sull’istituzione, da parte del legislatore, del Fondo di solidarietà per gli investitori retail vittime di condotte di mis-selling, asseritamente costituito ad hoc. È dato pacifico, ex art. 43, comma 4, D.Lgs. n. 180/2015, che “l’ente-ponte succede all'ente sottoposto a risoluzione nei diritti, nelle attività o nelle passività ceduti, salvo che la Banca d'Italia disponga diversamente ove necessario per conseguire risoluzione”. È altresì fuor di dubbio che i creditori azzerati dal write-down non possano rivalersi od esercitare pretese sui propri crediti nei confronti dell’ente-ponte o degli aventi causa, dal momento che, ex art. 57, comma 3, D.Lgs. n. 80/2015 “quando una passività è interamente cancellata, gli obblighi a carico dell'ente sottoposto a risoluzione sorti in relazione alla passività sono estinti a tutti gli effetti e il loro adempimento non può essere richiesto nell'ambito di successive procedure”. Tuttavia, i dubbi e i contrasti sono sorti attorno all’entità del perimetro della cessione dell’azienda bancaria, specialmente con riferimento a quelle pretese non contemplate né dal legislatore né dal provvedimento di risoluzione. In merito, vi sono pronunce che, respingendo l’eccezione del difetto di legittimazione passiva, hanno sostenuto che le passività derivanti dalle pretese risarcitorie degli azionisti devono ritenersi incluse nella cessione, “da un lato tali pretese non essendo di per sé incorporate nelle azioni azzerate, dall'altro le relative obbligazioni non essendo state espressamente escluse dalla cessione”[145]. Conformemente, in dottrina, si è sottolineato che tali pretese si fondano “sugli inadempimenti agli obblighi contrattuali e di legge imposti agli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento, ovvero in un rapporto giuridico distinto”[146] rispetto a quello incorporato negli strumenti finanziari colpiti dal write-down. Un’indiretta conferma della tesi che effettivamente ammette la responsabilità dell’ente-ponte deriverebbe dal decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99, relativo alla liquidazione coatta amministrativa delle banche venete, che, ex art. 3, esplicitamente esclude dal perimetro della cessione “i debiti (…) derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento”[147]. A conclusione opposta sono giunte, invece, successive pronunce, anche in grado di appello, che hanno valorizzato il dato letterale del provvedimento di cessione adottato dalla Banca d’Italia. Ai sensi del provvedimento, infatti, oggetto di cessione sono stati “tutti i diritti, le attività e le passività costituenti l’azienda bancaria della banca in risoluzione, ivi compresi i diritti reali sui beni mobili ed immobili, i rapporti contrattuali e i giudizi attivi e passivi, incluse le azioni di responsabilità, risarcitorie e di regresso, in essere alla data di efficacia della cessione”[148]; sicché “la Corte ritiene che la disposizione esiga l’avvenuto esperimento delle azioni alla data di efficacia della procedura di risoluzione: dunque (…) le pretese risarcitorie non ancora azionate al momento dell’emanazione del provvedimento di cessione non possono essere fatte valere successivamente”[149]. Conformemente, rileva anche autorevole dottrina[150], che una prospettiva opposta estenderebbe eccessivamente la responsabilità degli enti-ponte, connotandola di un’aura di incertezza e aleatorietà in netto contrasto con le stesse finalità della procedura di risoluzione e del D.Lgs. n. 180/2015, volti ad assicurare la stabilità dei rapporti giuridici e la continuità delle funzioni essenziali delle banche[151]. Eguali contrasti si sono registrati, in dottrina ed in giurisprudenza, con riferimento all’argomento relativo all’applicabilità al caso di specie della disciplina ex art. 2560 c.c. sui crediti presenti nei libri sociali obbligatori[152]. La giurisprudenza prevalente in tema, corroborata da numerose pronunce di legittimità[153], ha ritenuto che alla cessione in questione si debba applicare la disciplina della cessione dell’azienda bancaria ex art. 58 TUB, il quale, nel sostituire integralmente la regola delineata dall'art. 2560 c.c. in base al principio della lex specialis, rimuove la limitazione della responsabilità del cessionario alle sole obbligazioni considerate nelle scritture contabili. Di segno opposto altri autori che hanno sottolineato come la “speciale” cessione de qua, ossia quella ad un ente-ponte, costituisca un’eccezione sui generis, in quanto specifico resolution tool avente finalità, soggetti ed effetti massimamente differenti sia rispetto all’istituto civilistico della cessione d’azienda ex artt. 2556 sgg., sia rispetto a quello speciale della cessione di azienda bancaria previsto dall’art. 58 TUB[154]; conseguentemente, il perimetro della cessione de qua dovrebbe essere valutato caso per caso dal provvedimento di risoluzione. Ciò che sembra potersi concludere è un’evidente inefficienza delle scelte operate dal legislatore e dalle autorità in sede di adozione dei provvedimenti di risoluzione delle quattro banche, che non permette di dipanare né in un senso, né in un altro, i dubbi sollevati dalla dottrina in ordine all’operatività dell’azione risarcitoria derivante dalla violazione degli obblighi informativi. Circostanza che ben si spiega alla luce della situazione di necessità ed urgenza di fronte a cui le autorità italiane si erano trovate nel novembre 2015. “Opposti interessi di rilievo costituzionale si confrontano e richiedono che si trovi un equilibrio accettabile: da un lato, la tutela del patrimonio dell'investitore “tradito”; dall'altro, la protezione del risparmio (…) mediante un assetto legale delle risoluzioni funzionale a conservare i presupposti fondativi della fiducia nel sistema”[155]. In altre parole, affermare la responsabilità dell’ente ponte per le pretese risarcitorie de quibus potrebbe giustificarsi se, e solo se, l’ammontare delle sopravvenienze addossate non determini un onere sì rilevante da minare la stabilità dell’ente stesso. In definitiva, un razionale punto di equilibrio parrebbe essere rinvenibile nel rispetto del fondamentale principio del “no creditor worse off”, sancito come principio cardine dell’intera architettura normativa: si dovrebbe, dunque, valutare se, nel caso in cui si fosse proceduto alla liquidazione coatta amministrativa, le pretese degli ex azionisti avrebbero ottenuto un soddisfacimento maggiore rispetto a quello realizzato nella resolution, stante un diritto all’indennizzo, a carico del Fondo nazionale di risoluzione, per il caso in cui detto principio non fosse stato rispettato.
iii . L’azione legale contro la Commissione europea
A chiosa della vicenda in commento, infine, pare curioso sottolineare come il Tribunale presso la Corte di Giustizia e, assai recentemente, la stessa Corte in grado d’appello[156] abbiano respinto le domande risarcitorie avanzate, a seguito della definitiva pronuncia della Grande Sezione sul caso Tercas, da alcune fondazioni afferenti a Banca delle Marche contro la Commissione europea. Le pretese erano volte ad ottenere il risarcimento del danno materiale derivante dal comportamento (in seguito ufficialmente dichiarato) irragionevole della Commissione, che aveva ostacolato l’intervento del FITD nella gestione delle crisi delle quattro banche. Ciononostante, è dato appurato e pacifico che, come ebbe a sottolineare l’allora presidente del FITD, se al Fondo interbancario “fosse stato consentito di intervenire nella ricapitalizzazione delle banche, così come aveva programmato e deliberato, l’onere complessivo, in termini di tempo e di costo, sarebbe stato di gran lunga inferiore a quello che poi la risoluzione ha inevitabilmente comportato”[157], senza considerare tutte le pregiudizievoli conseguenze che la resolution ha provocato sul caso di Monte dei Paschi di Siena e delle due banche venete.
a . L’eziologia multifattoriale della crisi: dall’acquisizione di Antonveneta allo stress test del 2014
La crisi di Banca Monte dei Paschi di Siena, o MPS, è senza dubbio quella più complessa, soprattutto in quanto multifattoriale: essa si è sviluppata nell’arco di un decennio, originando da criticità sia nell’area finanza, a causa di operazioni fumose ed articolate di finanza strutturata, sia, più tradizionalmente, nell’area crediti, a causa dell’ingente presenza di crediti deteriorati (NPL) che generarono perdite per circa 26 miliardi, non compensate dai ricavi. Si aggiungano, poi, una governance imprudente e poco trasparente, improntata ad occultare le perdite mistificando livelli di patrimonializzazione superiori alla realtà[158], un management infedele, che distraeva illecitamente risorse verso destinazioni private, e strategie poco ortodosse da parte del suo maggiore azionista, la Fondazione Monte dei Paschi di Siena, votate all’acquisizione di consenso politico-territoriale, “in un vortice crescente di favori e benefici, alimentati anche da una linea di continuità tra incarichi di vertice nella Fondazione e nella banca”[159]: circostanze, queste, che hanno giocato un ruolo di primo piano nell’azzeramento del valore del capitale dell’ente, anche a causa della crisi di fiducia da parte dei depositanti e della conseguente crisi di liquidità. In un contesto già pesantemente compromesso, le debolezze ed incongruenze delle attività condotte dalle competenti autorità di vigilanza[160], unitamente all’onda d’urto provocata dalla crisi nel mercato dei titoli del debito sovrano e dall’entrata in vigore delle più ferree regole di patrimonializzazione stabilite dagli accordi di Basilea 3, ebbero di certo conseguenze più impattanti.
Secondo la Commissione di inchiesta sul sistema bancario e finanziario la crisi di MPS è riconducibile all’avvio di una strategia di acquisizioni e aggregazioni sul mercato del tutto azzardata: il riferimento è alla fumosa acquisizione del gruppo Antonveneta, allora di proprietà di Banco Santander, al prezzo esorbitante di 9 miliardi, deliberata dal management dell’istituto senese nel novembre 2007 per accrescere la competitività sul mercato e in assenza di un’accurata, prudente e reale due diligence[161]. Per condurre l’operazione a termine e rispettare (sulla carta) i coefficienti patrimoniali minimi imposti dalla normativa sulla vigilanza, la banca dovette procedere ad un rafforzamento patrimoniale, come peraltro richiesto anche da Palazzo Koch, realizzato attraverso l’emissione di strumenti ibridi e subordinati per 2 miliardi, un finanziamento ponte per 1,95 miliardi e, soprattutto, due consistenti aumenti di capitale per complessivi 6 miliardi. Trattasi della complessa c.d. operazione “FRESH”, attraverso la quale MPS realizzò uno dei due aumenti di capitale pari ad 1 miliardo, riservandolo alla banca d’affari statunitense JP Morgan. Quest’ultima sottoscrisse le azioni ordinarie emesse da MPS per complessivi 950 milioni, reperendo la liquidità necessaria attraverso il collocamento sul mercato di strumenti finanziari ibridi convertibili in azioni MPS (i c.d. FRESH o Floating Rate Equity-linked Subordinated Hybrid) emessi da un’altra banca, la Bank of New York, per l’importo di 1 miliardo. D’altro canto, la Fondazione MPS, non volendo diluire l’entità della propria partecipazione, assunse il proposito di seguire tutti gli aumenti di capitale deliberati, ma, in assenza delle ingenti risorse occorrenti, si lasciò guidare da un management di dubbia eticità, il quale non esitò a ricorrere ad operazioni del tutto poco trasparenti, per di più celate alle autorità, che finirono per accollare alla stessa banca l’onere reale degli aumenti deliberati. Infatti, la Fondazione MPS, pur sprovvista della liquidità necessaria, decise di partecipare anche al prestito FRESH per complessivi 490 milioni, tramite la stipula di ulteriori strumenti derivati (sono i contratti di c.d. TROR o Total Rate of Return Swap[162]), con cui finì per indebitarsi con il sistema finanziario. 
Nel quadriennio successivo la Banca d’Italia condusse numerose ispezioni presso l’istituto senese, a seguito delle quali emersero vari aspetti problematici, che spinsero l’Autorità ad esigere un rafforzamento patrimoniale per tre miliardi. Trattasi di criticità sia nell’area finanza, a causa di operazioni strutturate su titoli di Stato italiani a lungo termine (BTP) per 25 miliardi; sia nell’area crediti, a causa di molte sofferenze e della concessione di mutui, residenziali e sul credito al consumo, in deroga ai limiti interni; sia nell’area liquidità, a causa della volatilità subita per l’effetto di due re.po. strutturati (c.d. pronti contro termine o repurchase agreement[163]) su titoli di Stato, effettuati con Deutsche Bank e Nomura per complessivi cinque miliardi: sono le c.d. operazioni Santorini ed Alexandria. Si trattò di articolate operazioni finalizzate a coprire il fabbisogno di finanziamento dell’istituto e basate su investimenti in titoli di Stato, il cui acquisto era reso possibile dal ricorso a derivati sul credito, con modalità operative che la banca tenne sempre celate, sia al mercato sia alle autorità di vigilanza, e la cui ricostruzione fu resa possibile grazie ad una complessa istruttoria svolta ex post, in sinergia tra l’autorità giudiziaria, quelle di vigilanza e l’IVASS[164]. 
La crisi del debito sovrano del 2011 contribuì ad indebolire ulteriormente la posizione di MPS, marcatamente esposta in titoli di debito pubblico italiano[165], dal momento che l’istituto non aveva nel frattempo risolto le criticità emerse nelle ispezioni, soprattutto quelle legate all’area crediti: è per tale motivazione che, a seguito di forti pressioni da parte dell’Autorità di vigilanza nel senso di una rapida e netta discontinuità nella conduzione aziendale, viene effettuato, a partire dal 2012, un significativo rinnovo degli organi aziendali, dal presidente al direttore generale[166], fino al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale. È solo in questo periodo che il nuovo management provvide a rendere noti gli errori nella rappresentazione di bilancio delle operazioni Alexandria e Santorini, disvelando, nel documento contabile di fine 2012, perdite per circa 700 milioni; per di più, grazie ad un’intensa collaborazione tra la Banca d’Italia e la Procura di Siena, sorsero preoccupanti perplessità e criticità legate all’operazione FRESH, a causa di sottostanti rapporti negoziali tra i contraenti[167], nascosti alle autorità e finalizzati “a dare, alle operazioni in questione, la «parvenza» di componenti positive del patrimonio di vigilanza, quando in realtà ne avrebbero dovuto costituire componenti negative”[168]. Da questi accertamenti scaturirono i procedimenti penali a carico degli ex vertici[169] dell’istituto senese e, successivamente, la comminazione di ingenti sanzioni da parte della Consob, sia agli esponenti aziendali sia alla Fondazione MPS, per manipolazione informativa, carenze nell’organizzazione e nei controlli interni e violazione della normativa in materia di contenimento dei rischi finanziari. Pare opportuno sottolineare, peraltro, che le due operazioni di term structured repo sopracitate furono successivamente chiuse dal nuovo management, attraverso la presentazione di un bilancio e di una relazione finanziaria semestrale giudicati non conformi dalla Consob e dalla stessa autorità giudiziaria, che avviò, dunque, un ulteriore procedimento penale a carico della nuova dirigenza[170].
Nel giugno 2012 Monte dei Paschi di Siena si trovò, dunque, nella condizione di non poter colmare la deficienza di capitale con iniziative autonome (anche per l’invadente presenza, quale convitato di pietra, della Fondazione MPS pervicacemente intenzionata a non perdere il controllo dell’istituto) e fu pertanto costretta a richiedere misure di supporto governativo per realizzare una ricapitalizzazione, poi attuata con il decreto-legge 27 giugno 2012, n. 87[171] che scongiurò l’apertura di una procedura di amministrazione straordinaria o di liquidazione coatta amministrativa attraverso il ricorso ai c.d. Monti bond o Nuovi strumenti finanziari[172], creati ad hoc. A fronte della presentazione di un piano di ristrutturazione, la Commissione europea approvò infine la ricapitalizzazione, ottenuta con l’emissione di Monti bond per complessivi 3,9 miliardi, di cui 1,9 per il rimborso dei c.d. Tremonti bond già in essere[173]. Successivamente, a seguito della contabilizzazione di 24,5 miliardi di rettifiche sui crediti deteriorati e in vista della necessità di rimborsare i NSF, l’istituto senese deliberò un ulteriore aumento di capitale, realizzato nel luglio 2014 per 5 miliardi. In vista dell’avvio del Single Supervisory Mechanism previsto per quell’anno, inoltre, fu condotto il Comprehensive Assessment dei bilanci delle principali banche dell’area euro, comprensivo degli stress tests[174], in seguito ai quali emersero per MPS ulteriori deficienze di capitale al netto del rafforzamento patrimoniale appena concluso, pur riconducibili unicamente allo scenario avverso di stress, colmate dall’istituto senese con un ennesimo aumento di capitale di 3 miliardi, nel maggio 2015[175].
b . Il decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237
Tra il 2015 e il 2016, a seguito delle verifiche svolte dalla BCE sui crediti in sofferenza[176] e di un ulteriore esercizio di stress test a livello europeo, condotto dal SSM, si evidenziarono risultati ancora negativi[177], pur sempre negli scenari avversi, per risolvere i quali viene richiesta l’adozione, da parte dei vertici della banca, di una tempestiva e credibile soluzione, commisurata alle criticità in essere. Tuttavia, il fallimento del progetto di rafforzamento patrimoniale annunciato da MPS[178] per complessivi cinque miliardi, causato dall’impossibilità di reperire le risorse necessarie sul mercato per portare a termine l’ennesimo aumento di capitale, condusse l’istituto sull’orlo del baratro, dietro a cui si erigeva lo spettro di una risoluzione con bail-in o, peggio, di una liquidazione coatta amministrativa.
Dopo appena una settimana dall’ottenimento della fiducia dal parlamento, il nuovo Governo Gentiloni adottò il decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237, recante “disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio”[179] ed avente ad oggetto la concreta attuazione della BRRD in tema di misure di sostegno finanziario pubblico straordinario, precipuamente finalizzato a salvare Banca Monte dei Paschi di Siena da una resolution. Come esaminato in precedenza, la BRRD contempla due differenti macrocategorie di intervento pubblico finalizzate alla preservazione o al ripristino delle condizioni di solidità, liquidità o solvibilità degli intermediari creditizi: alla prima categoria appartengono le c.d. misure di sostegno finanziario pubblico straordinario, che operano in fase preventiva con le stesse finalità delle misure di early intervention; alla seconda, appartengono invece i c.d. strumenti pubblici di stabilizzazione finanziaria. È alla prima categoria che il decreto-legge n. 237/2016 fa riferimento: più dettagliatamente, il citato provvedimento poté operare grazie alla deroga prevista all’art. 32, par. 4, lett. d), BRRD, che ammette il ricorso alle misure di sostegno finanziario pubblico straordinario per rimediare ad una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro e preservare la stabilità finanziaria, senza che ciò implichi che la banca beneficiaria – che, giova sottolineare, deve pur sempre essere solvibile – vada considerata in stato di dissesto o di rischio di dissesto. Coerentemente con l’art. 32, par. 4, BRRD, il testo del D.L. n. 237/2016 comprende tre tipologie di misure: la garanzia dello Stato a sostegno degli strumenti di liquidità forniti dalle banche centrali; la garanzia dello Stato su passività di nuova emissione ed, infine, l’iniezione di fondi propri o l’acquisto di strumenti di capitale. Al primo capo del D.L. sono dedicate le disposizioni relative alle prime due misure, soggette all’osservanza del termine ultimo del 30 giugno 2017; il secondo capo contiene invece le disposizioni relative alla terza misura, anch’esse soggette all’osservanza di un termine ultimo previsto per il 31 dicembre 2017. Giova sottolineare come la finestra temporale prevista dal legislatore è legata alla questione meramente tecnica della copertura di bilancio, essendo state stanziate risorse per 20 miliardi solo per l’anno 2017: essa è pertanto suscettibile di riapertura, laddove venissero stanziate nuove risorse a tal scopo dal governo.
La prima forma di sostegno finanziario pubblico straordinario disciplinata ex artt. 1-9, D.L. n. 237/2016, è la garanzia statale prestata su passività di nuova emissione (trattasi di strumenti finanziari di debito non subordinati) da parte delle banche italiane[180]. Ex art. 1, D.L. cit.: “Al fine di evitare o porre rimedio a una grave perturbazione dell'economia e preservare la stabilità finanziaria il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato, fino al 30 giugno 2017, a concedere la garanzia dello Stato su passività delle banche italiane”, senza che ciò implichi che le banche vadano considerate in stato di dissesto o di rischio di dissesto e sempre nel rispetto della disciplina sugli aiuti di Stato. Il punto 40 della Banking Communication sottolinea, infatti, che “il sostegno statale può determinare un cosiddetto «rischio morale» e minare la disciplina di mercato. Per ridurre questo rischio morale, gli aiuti dovrebbero essere concessi soltanto a condizioni tali da comportare un'adeguata condivisione degli oneri da parte degli investitori esistenti”. Sotto il profilo oggettivo, inoltre, i titoli garantiti di nuova emissione devono presentare congiuntamente specifiche caratteristiche, conformi alla Banking Communication ed elencate ex art. 2 del D.L., tra cui l’assenza di clausole di subordinazione[181]; inoltre, la garanzia prestata dallo Stato deve essere remunerata, ossia onerosa per la banca richiedente, conformemente alle Comunicazioni al settore bancario della Commissione europea e non necessariamente a condizioni di mercato. Tale garanzia è, peraltro, riservata alle banche con patrimonio netto positivo e in grado di riceverne beneficio senza trarne vantaggi distorsivi della concorrenza, e deve avere una natura cautelativa e temporanea, proporzionata alla perturbazione in atto. Pare opportuno sottolineare come attraverso una soluzione di tal tipo lo Stato non sopporti, in definitiva, esborsi diretti, a differenza delle altre misure che comportano un effettivo sacrificio finanziario pubblico. La funzione precipua di tale misura è quella di “risollevare il rating delle obbligazioni di nuova emissione portandolo al livello dei titoli di Stato, di modo che un’ampia area di investitori possa guardare con fiducia ai nuovi strumenti che acquista”[182], irrobustendo in tal modo l’iniezione di liquidità nell’ente creditizio beneficiario della garanzia. Quanto alle caratteristiche della garanzia, dispone il laconico testo dell’art. 5 del D.L., per cui essa è “onerosa, incondizionata, irrevocabile e a prima richiesta”: pur non provvedendo direttamente, tale formulazione induce a ritenere che la stessa abbia natura autonoma, e dunque assimilabile ad un contratto autonomo di garanzia. Il detentore potrà, comunque, escutere direttamente la garanzia sin dalla scadenza del titolo. Inoltre, in caso di resolution successiva alla concessione della garanzia, tali obbligazioni garantite dallo Stato “sembrerebbero doversi qualificare come passività garantite non assoggettabili a bail-in” ai sensi dell’art. 49 D.Lgs. n.  180/2015; per cui, in caso di successivo bail-in sopravvivrebbe non solo la garanzia dello Stato, ma anche, sembra, la passività che la stessa garantisce”[183].
La seconda misura di sostegno finanziario pubblico straordinario disciplinata dal D.L. n. 237/2016 prevede che la garanzia statale, irrevocabile e assistita dal beneficio della preventiva escussione, possa essere prestata anche a sostegno della liquidità di emergenza fornita dalla Banca d’Italia. La competenza in tema è attribuita al Ministro dell’economia e delle finanze, che la può concedere per fronteggiare gravi crisi di liquidità dell’ente. La banca che beneficia di detto sostegno dovrà presentare un adeguato piano di ristrutturazione in grado di dimostrare la redditività e la capacità di raccolta a lungo termine senza la necessità di un sostegno pubblico, per limitare l’affidamento sulla liquidità fornita dalla banca centrale. La c.d. emergency liquidity assistance o ELA, comunemente nota come credito di ultima istanza, è uno strumento in mano alle banche centrali finalizzato a risolvere o attenuare le temporanee crisi di liquidità di una banca, evitando che le stesse si tramutino in vere situazioni di insolvenza. Esso consiste in un finanziamento, a titolo oneroso e nella forma dell’erogazione di liquidità o di prestito titoli garantito, erogato dalla banca centrale a favore di un’istituzione finanziaria solvibile, che, pur essendo in grado di fornire garanzie, non riceve il credito necessario dal mercato. A seguito della crisi finanziaria del 2008, lo strumento in questione ha trovato compiuto riconoscimento in Italia nel D.L. 9 ottobre 2008, n. 155, che ha disciplinato i presupposti e i limiti con cui la Banca d’Italia può intervenire, prevedendo altresì una particolare forma di ELA assistita da garanzia statale, che risulterà poi identica a quella introdotta dal legislatore europeo con la direttiva 2014/59/UE. L’entrata in vigore della BRRD ha, in tema, fornito una disciplina di maggior dettaglio. Coerentemente con le finalità di prevenzione suesposte, il considerando 41 della BRRD, precisa che “La mera circostanza che l’ente necessiti dell’assistenza di liquidità di emergenza fornita da una banca centrale non dovrebbe costituire di per sé una prova sufficiente del fatto che esso non è, o in un prossimo futuro non sarà, in grado di pagare le proprie obbligazioni in scadenza”. Pare opportuno sottolineare, peraltro, come a seguito dell’entrata in vigore di tutte le disposizioni in tema di Unione bancaria europea, che hanno attribuito alla BCE le funzioni di vigilanza e di politica monetaria, si sia discusso lungamente circa l’attribuzione della competenza in tema di erogazione dell’ELA. L’accordo siglato dalle Banche centrali dell’Eurosistema il 17 maggio 2017, poi rivisto il 9 novembre 2020[184], ha, infine, statuito che la responsabilità, il costo ed il rischio dell’erogazione del credito di ultima istanza rimangono in capo alle rispettive banche centrali nazionali, potendo il Consiglio direttivo della BCE limitare gli interventi, laddove questi interferiscano con la politica monetaria.
La terza ed ultima misura, prevista dal D.L. n. 237/2016 come extrema ratio, consiste negli interventi di rafforzamento patrimoniale, o ricapitalizzazione precauzionale, delle banche, che possono assumere la forma dell’iniezione di fondi propri ovvero dell’acquisto di strumenti di capitale, aventi comunque durata temporanea: trattasi della sottoscrizione o dell’acquisto, da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, di azioni ordinarie, di nuova emissione e con pienezza di diritti di voto, di banche italiane che presentino esigenze di rafforzamento patrimoniale, a seguito di uno stress-test basato su uno scenario avverso. La prima forma di ricapitalizzazione precauzionale consiste nella sottoscrizione diretta, da parte dello Stato, di azioni ordinarie, con diritto di voto e qualificabili come fondi propri dell’ente, ossia come Common Equity Tier 1 ai sensi del CRR: essa avviene di regola dopo l’applicazione delle misure di condivisione degli oneri tra i soggetti titolari di strumenti ibridi e subordinati, al fine di contenere il ricorso ai fondi pubblici. La seconda prevede, invece, un acquisto di azioni di nuova emissione da parte dello Stato[185], titoli, questi, che siano originati dall’applicazione delle misure di condivisione degli oneri. In quest’ultima ipotesi lo Stato interviene dunque con una duplice finalità: fornire nuovi fondi all’ente e, al contempo, alleviare la posizione dei soggetti retail colpiti dal burden-sharing e diventati poi, loro malgrado, i nuovi azionisti. Ex art. 19 D.L. n. 237/2016, infatti, viene predisposto a tal proposito un singolare meccanismo transattivo, che permette agli investitori retail divenuti azionisti a seguito della ripartizione degli oneri (in quanto le proprie passività sono state convertite in capitale di rischio) di vendere allo Stato le azioni rinvenienti dalla conversione, sì da ottenere un immediato ristoro, a fronte della rinuncia ad azioni risarcitorie. Pare opportuno sottolineare che il fulcro della presente disciplina risulta essere proprio il principio ispiratore della BRRD: il burden-sharing, avente qui la finalità di contrastare possibili effetti di moral hazard che la consapevolezza di un intervento pubblico potrebbe ingenerare in capo ai vertici aziendali. La ripartizione degli oneri si pone, dunque, come precondizione essenziale per il successivo intervento pubblico di ricapitalizzazione. Le banche che intendano ricorrere a detta misura dovranno presentare, unitamente alla richiesta formale contenente informazioni dettagliate sulla propria condizione patrimoniale[186], un adeguato piano di ristrutturazione, che rispetti le condizioni previste dalla Banking Communication. Ottenute le autorizzazioni necessarie da parte della Banca d’Italia o della BCE e da parte della Commissione europea, il MEF, con decreto ministeriale ad hoc, dispone poi la disciplina concreta di condivisione degli oneri, sulla base di una valutazione condotta da esperti indipendenti, che presenta caratteristiche e finalità del tutto simili a quella necessaria alla resolution. È infatti sulla base di detta valutazione che le autorità procedono alla ripartizione degli oneri tra i creditori, seguendo quello stesso principio di conversione a cascata operante in caso di bail-in.
c . La ricapitalizzazione precauzionale ad hoc
Oltre a contenere le disposizioni di carattere generale in tema di misure di sostegno finanziario pubblico straordinario, il D.L. n. 237/2016 conteneva anche disposizioni speciali espressamente dedicate alla crisi di Monte dei Paschi di Siena, che già possedeva, abbastanza inconsapevolmente, uno dei requisiti necessari alla ricapitalizzazione precauzionale: l’emersione di una situazione patrimoniale critica, a seguito di uno stress test in scenario avverso. Tenuto conto dell’erosione di capitale evidenziata nello stress-test, la BCE quantificò il fabbisogno patrimoniale di MPS in 8,8 miliardi, necessari per lo più a riallineare il CET1 ratio sopra la soglia minima legale dell’8%. Il 30 dicembre MPS fece pervenire al Ministro dell’economia e delle finanze, alla Banca centrale europea e alla Banca d’Italia l’istanza di accesso alla ricapitalizzazione precauzionale prevista dal citato D.L.,  congiuntamente al piano di ristrutturazione, che fu oggetto di profonda revisione in seguito alle fitte interlocuzioni avviate con la Commissione europea nell’ambito della disciplina sugli aiuti di Stato. Nel frattempo, MPS chiese ed ottenne l’autorizzazione per ricorrere allo strumento della garanzia statale sulle passività di nuova emissione, emettendo obbligazioni garantite fino ad un valore massimo di 15 miliardi. Il 4 luglio 2017, infine, la Commissione europea approvò, con una corposa decisione[187], la misura di ricapitalizzazione precauzionale, per un importo complessivo massimo di 5,4 miliardi, di cui 3,9 destinati all’aumento di capitale e 1,5 finalizzati al ristoro degli investitori retail detentori di passività subordinate convertite in azioni, in virtù delle misure di burden-sharing. Infine, in applicazione del citato D.L., il MEF adottò successivamente i due ulteriori decreti, il 28 luglio 2017, relativi all’applicazione delle misure di burden-sharing e alla sottoscrizione da parte del Ministero stesso delle azioni emesse da MPS. In tema, già lo stesso art. 23 del D.L. n. 237/2016, in deroga alle disposizioni generali che richiedono una relazione prodotta da un esperto indipendente, aveva normativamente previsto per MPS “il valore economico da attribuire alle passività oggetto delle misure di ripartizione degli oneri”, ossia la conversione in azioni di tutte le obbligazioni subordinate emesse dall’ente per complessivi 4,3 miliardi, in una misura oscillante tra il 75% e il 100% del valore nominale (ad eccezione di un emissione obbligazionaria FRESH, svalutata al 18%). Sicché la ricapitalizzazione precauzionale di MPS ha, infine, previsto: l’azzeramento pressoché totale degli azionisti, la conversione in nuovi azionisti degli ex obbligazionisti subordinati, nella percentuale suddetta e l’ottenimento di una partecipazione pubblica del MEF nel capitale di MPS pari al 68%, per effetto dell’aumento di capitale e del meccanismo transattivo di ristoro. A seguito della partecipazione del Tesoro, il Consiglio di amministrazione di Monte dei Paschi di Siena è stato oggetto di un ulteriore rinnovamento. Pare opportuno ribadire, infine, che la ricapitalizzazione pubblica ha natura temporanea e deve essere ceduta entro il periodo di riferimento del piano di ristrutturazione, che, per MPS, aveva la durata di cinque anni. Tuttavia, la partecipazione del MEF in Banca Monte dei Paschi di Siena non è stata ad oggi[188] ancora dismessa, circostanza che ha imposto l’avvio di una interlocuzione con la Commissione europea, nell’ambito della disciplina sugli aiuti di Stato, per concordare la proroga del termine sulla cessione, poi concessa a fronte di misure compensative.
A conclusione delle considerazioni effettuate sul caso MPS, per risolvere il quale lo Stato italiano ha complessivamente stanziato 20 miliardi (sic!), non ci si può esimere dal sottolineare come oggigiorno, seppur con margini di autonomia maggiormente ridotti dalla corposa disciplina sugli aiuti di Stato e dall’ampia discrezionalità della Commissione europea in tema, “il bail-out pubblico, con risorse provenienti dai tax-payers, è ancora possibile e, anzi, costituisce una strada quasi obbligata se emerga l’esigenza di preservare la stabilità del sistema”[189] in base alla deroga prevista dall’art. 107, par. 3, lett. b), TFUE.
a . Dalle operazioni “baciate” allo stress test del 2014
Così come per Monte dei Paschi di Siena, le problematiche relative a Banca Popolare di Vicenza (BPVi) e a Veneto Banca (VB) affondavano le proprie radici nel tempo, ma furono rese evidenti in tutta la loro gravità in un periodo successivo rispetto ai casi esaminati finora, soprattutto a causa del secondo e lungo strascico recessivo lasciato dalla crisi del debito sovrano, che ebbe un impatto maggiormente negativo nel tessuto produttivo del Veneto, caratterizzato dalla forte presenza di piccole e medie imprese. La cornice generale entro cui si inscrive il quadro della crisi relativa alle due banche popolari venete è rappresentata dalle forti carenze della governance e nella conseguente autoreferenzialità del management dei due istituti. Più specificamente, entrambe le situazioni esaminate sono state caratterizzate “da modelli gestionali inefficienti, incapaci di autoriformarsi, incuranti del rispetto delle norme vigenti e privi di scrupoli di fronte al continuo ricorso alle risorse rese disponibili dai soci e dalla clientela al fine di procrastinare il più a lungo possibile un’agonia”[190] cominciata dalla crisi del 2011. La Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario ha potuto individuare tre principali criticità, attorno a cui ruota la vicenda de qua: gravi anomalie relative alla valutazione del prezzo delle azioni, operazioni di ricapitalizzazione c.d. “baciate”, non dedotte dal patrimonio ed, infine, modalità poco ortodosse di erogazione del credito. Si aggiunga, peraltro, un’azione di vigilanza da parte della Banca d’Italia e della Consob “non particolarmente performante”[191] e connotata da carente capacità di dialogo e di raccordo tra le autorità: un fattore che ha giocato un ruolo non secondario nell’accrescimento della spirale negativa che ha portato le due banche venete sull’orlo del baratro. Infatti, è anche come conseguenza delle suesposto “corto circuito informativo”[192] che, per anni, le due banche venete trassero oggettivi vantaggi patrimoniali, attraverso quotazioni delle azioni del tutto al di sopra del valore reale, che permisero, soprattutto a BPVi, di coinvolgere migliaia di risparmiatori[193] nelle attività di collocamento, proprio negli ultimi anni prima dell’esito fatale. 
Nei quattro anni antecedenti la crisi del debito sovrano, le due popolari avevano registrato ritmi di crescita degli impieghi maggiormente elevati rispetto alla media italiana, seppur tipici di tutti gli enti creditizi a vocazione territoriale. Di conseguenza, entrambi gli istituti intrapresero politiche di ampliamento della propria base sociale, attuate attraverso aumenti di capitale e relative emissioni di azioni destinate anche a nuovi soci. Quanto a BPVi, è già in questa fase che le autorità di vigilanza poterono accertare la presenza di carenze ed anomalie, sia con riferimento al meccanismo di fissazione del prezzo delle azioni, del tutto svincolato dalle performance reddituali dell’istituto e basato su un procedimento non codificato, sia in tutte le fasi del processo creditizio, sia con riferimento alle deficienze del collegio sindacale, succube delle influenze del presidente Gianni Zonin[194]. Nonostante l’irrogazione di blande sanzioni ad amministratori e sindaci, la situazione rimase la medesima fino al 2011, quando finalmente l’istituto berico definì linee guida - invero mai rispettate - per la corretta valutazione del prezzo delle azioni, che prevedevano il ricorso ad un esperto indipendente: ciononostante, infatti, il prezzo delle azioni rimase pressoché inalterato e sovrastimato in tutti gli anni successivi. Quanto a VB, nel medesimo periodo si erano accertate carenze del tutto simili, sia nel processo di erogazione del credito e di valorizzazione delle azioni, sia nel modello gestionale adottato, caratterizzato da debolezze negli organi di controllo ed accentramento sulla figura dell’amministratore delegato, poi sanzionato dalla Banca d’Italia. 
Il vero catalizzatore della crisi delle due banche venete fu, tuttavia, la pesantissima eredità lasciata dalle tensioni sul mercato dei titoli del debito sovrano, che provocò, a partire dal 2011, effetti senza pari sul sistema bancario veneto, colpito da un elevato numero di dissesti bancari, sfociati in altrettanti commissariamenti e liquidazioni. Coerentemente, BPVi e VB avviarono politiche di forte contrazione delle erogazioni creditizie verso il territorio e di contestuale rafforzamento del patrimonio, con modalità rivelatesi poi del tutto irregolari. Le ispezioni condotte dalla Vigilanza poterono constatare un progressivo e significativo degrado del portafoglio crediti, con innalzamenti delle percentuali di sofferenze, anomalie negli acquisti di azioni proprie e carenze nella funzionalità degli organi aziendali e dei controlli. Come evidenziato dalla Commissione d’inchiesta, tuttavia, l’azione di vigilanza si caratterizzò per avere un certo strabismo, in quanto se per VB furono contestate operazioni baciate non dedotte fin dal 2013 e fu richiesto un integrale ricambio degli organi societari, lo stesso non avvenne per BPVi, nei confronti della quale le iniziative della Vigilanza furono assai blande, soprattutto considerando il tipico fenomeno delle c.d. porte girevoli, con cui si favoriva l’ascesa al vertice aziendale di esponenti appartenenti a istituzioni che svolgevano funzioni di controllo sull’operato della banca. Più specificamente, il fenomeno delle c.d. operazioni baciate” si sostanzia nella vendita di titoli azionari a soggetti ai quali la banca venditrice fornisce la necessaria provvista attraverso contratti di finanziamento. Tale pratica non è ipso facto vietata dalla legge, essendo ammessa a patto che dette azioni non siano conteggiate nel patrimonio di vigilanza e purché siano rispettate le condizioni previste dall’art. 2358 c.c.[195], che prescrive una necessaria e preventiva autorizzazione dei finanziamenti in questione da parte dell’assemblea straordinaria. L’effettuazione di operazioni di questo tipo si concentrò maggiormente nel biennio 2012-2014, quando, a seguito degli effetti provocati dalla crisi del debito sovrano sul tessuto produttivo del Veneto, tra cui il peggioramento della qualità del credito, le due banche dovettero deliberare consistenti aumenti di capitale. Tali aumenti furono realizzati ricorrendo a pratiche commerciali del tutto scorrette, in quanto caratterizzate da un’insufficiente informativa ai propri clienti e valutazioni del merito creditizio non idonee, che comprendevano il ricorso ai finanziamenti baciati non dedotti[196]: dette operazioni, invero, furono rilevate dalla Banca d’Italia con grande ritardo, soprattutto per BPVi[197]. 
L’esercizio di Comprehensive Assessment, a cui tutti i maggiori enti creditizi europei furono sottoposti in occasione dell’avvio del SRM nel 2014, evidenziò uno shortfall patrimoniale, nello scenario avverso, di 682 milioni per BPVi e di 714 milioni per VB, per colmare il quale le banche avevano disposto, prima ancora della pubblicazione dei risultati, misure di rafforzamento patrimoniale, attuate facendo ampio ricorso allo strumento delle operazioni “baciate” non dedotte e dell’acquisto di azioni proprie senza autorizzazione. In seguito alla pubblicazione dei risultati dei test, furono finalmente avviati approfonditi accertamenti ispettivi, condotti sotto l’egida del SSM ad inizio 2015, e scrupolose indagini da parte dell’autorità giudiziaria per vari reati societari, che sono sfociate, di recente, in sentenze di condanna, sia a carico degli amministratori di Banca Popolare di Vicenza[198], sia a carico di quelli di Veneto Banca[199]. È a questo punto che la situazione delle due banche venete si intreccia in quella spirale negativa che le condurrà al dissesto, soprattutto a causa del deterioramento della qualità del credito[200] e della posizione di liquidità[201]. Ciascuno dei consigli di amministrazione delle banche, rinnovati[202] dalle rispettive assemblee dopo gli accertamenti ispettivi, che avevano imposto, tra le altre, l’integrale deduzione dei finanziamenti “baciati”, si adoperò nel tentativo di rilanciare gli istituti attraverso un complesso piano di ristrutturazione finalizzato alla trasformazione della forma societaria, da società cooperativa[203] a società per azioni, ad un aumento di capitale da 1,5 miliardi per BPVi e da 1 miliardo per VB, ed, infine, alla quotazione in borsa. È durante detto processo di trasformazione in S.p.A. che il prezzo delle azioni viene drasticamente ridotto (da 48 a 6,3 euro per BPVi e da 30,5 a 7,3 euro per VB); per di più, l’offerta delle azioni sul mercato al prezzo di 0,10 per azioni fallì.
b . L’intervento del Fondo Atlante e le decisioni del Single Resolution Board
Per scongiurare esiti nefasti, nei primi mesi del 2016 il sistema bancario italiano costituì, su iniziativa di una società di gestione del risparmio, il c.d. Fondo Atlante, un fondo di investimento alternativo composto da più di sessanta investitori, tra cui spiccavano i maggiori gruppi bancari italiani, numerose fondazioni bancarie, enti di previdenza ed anche Cassa depositi e prestiti, avente la duplice finalità di investire in aumenti di capitale e di acquistare crediti deteriorati; detto Fondo raccolse in poco tempo più di 4,2 miliardi. Non essendo stata raggiunta, né per BPVi, né per VB, la percentuale minima di flottante per la quotazione in borsa, l’aumento di capitale di entrambi gli istituti venne sottoscritto da Atlante per complessivi 2,5 miliardi: così facendo, il Fondo divenne il principale azionista degli istituti, detenendone più del 97% del capitale[204]. 
All’inizio del 2017, tuttavia, l’incertezza legata al successo del piano di rilancio predisposto dai rispettivi management, provocata dalle numerose criticità emerse negli anni precedenti soprattutto con riferimento al fenomeno delle azioni finanziate, innescò una progressiva crisi di fiducia nella clientela degli istituti che determinò ingenti deflussi di provvista[205] e la necessità di deliberare il ricorso alla garanzia statale per l’emissione di obbligazioni, ex D.L. n. 237/2016, poi concessa per complessivi 8,6 miliardi. Pare appena il caso di sottolineare che, diversamente dalle quattro banche, la cui crisi era stata gestita “internamente” dalla Banca d’Italia nel novembre 2015, i due istituti veneti rappresentavano a tutti gli effetti enti significativi, ai sensi del regolamento SRM ed erano, pertanto, direttamente soggetti alla supervisione della BCE e all’autorità del SRB. Naufragato il progetto di ristrutturazione e di fusione[206], per la difficoltà di reperire le risorse necessarie sul mercato, ed abbandonati i complessi piani industriali presentati dagli istituti per una ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato, in quanto ritenuti non credibili per il futuro dall’autorità di supervisione europea, il 23 giugno 2017 le due banche venete furono dichiarate dal Consiglio di sorveglianza della BCE “failing or likely to fail”, per “ripetuta violazione dei requisiti patrimoniali di vigilanza”[207]. In pari data, il Single Resolution Board, con due distinte decisioni[208], accertò la non sussistenza dell’interesse pubblico all’avvio della resolution e, pertanto, rinviò la gestione della crisi degli intermediari alle procedure di insolvenza italiane. Più specificamente, il SRB ebbe a sottolineare come “for these two banks, resolution action is not warranted in the public interest. In particular, neither of these banks provides critical functions, and their failure is not expected to have significant adverse impact on financial stability”[209]. Conseguentemente, per le due banche venete non rimase altra opzione che la liquidazione coatta amministrativa, con lo spettro di un’applicazione della sua versione più rigorosa, la liquidazione c.d. atomistica, che, tuttavia, avrebbe comportato, “in assenza di misure pubbliche di sostegno, (…) la distruzione di valore delle aziende bancarie coinvolte, con conseguenti gravi perdite per i creditori non professionali chirografari (…) e una improvvisa cessazione dei rapporti di affidamento creditizio per imprese e famiglie, con conseguenti forti ripercussioni negative sul tessuto produttivo e di carattere sociale, nonché occupazionali” e “grave turbamento dell’economia nell’area di operatività delle banche in questione”[210]. 
Risulta ictu oculi evidente come le conclusioni cui sono giunti il SRB e le autorità italiane non siano state del tutto coerenti, soprattutto se raffrontate al caso delle quattro banche, nonostante l’entità modesta delle quali la Banca d’Italia aveva ravvisato la presenza dell’interesse pubblico alla risoluzione. In effetti, nel giro di pochi mesi le due banche erano state ritenute dalle autorità europee “prima solventi e poi insolventi, prima ‘sistemiche’ ai fini della ‘stabilità finanziaria’ e poi ‘locali’”[211]. In definitiva, “questa contrapposizione palese tra le due visioni di una stessa vicenda – per quanto possa apparire paradossale – è in realtà coerente con il sistema normativo europeo, globalmente inteso”[212]  caratterizzato da una “sovrapposizione di poteri, istituti e azioni” che restituisce “incoerenze e trattamenti diversificati”[213].
c . Il decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99 e la liquidazione coatta amministrativa ad hoc
L’esito più nefasto fu scongiurato grazie alla provvidenziale manifestazione di interesse avanzata da Intesa Sanpaolo in ordine all’acquisizione delle attività delle banche venete, pervenuta in seguito all’avvio di una procedura aperta e concorrenziale avviata, su indicazione della Commissione europea, dalle autorità italiane. L’offerta vincolante, soggetta a specifiche condizioni, fu formalizzata il 21 giugno 2017 e ad essa seguì, stanti i presupposti di necessità ed urgenza, l’approvazione, da parte del Governo Gentiloni, del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99[214], recante “Disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.”, che dettò una disciplina ad hoc per il caso di specie, di fatto “riregolando” l’istituto della liquidazione coatta amministrativa secondo le richieste avanzate dal Gruppo Intesa Sanpaolo. Più specificamente, infatti, l’acquirente aveva subordinato la propria disponibilità all’acquisizione degli istituti veneti a specifiche condizioni[215], tra cui: la totale neutralità dell’operazione rispetto al proprio Common Equity Tier 1 ratio e rispetto alla propria politica di distribuzione dei dividendi, con ciò escludendo in radice l’opzione di effettuare aumenti di capitale; l’esclusione dal perimetro della cessione di tutti i crediti deteriorati e i crediti in bonis ad alto rischio; l’approvazione di una cornice legislativa definitiva che assicurasse la copertura degli oneri di integrazione connessi all’acquisizione; l’incondizionato placet delle autorità competenti con riferimento a tutta l’operazione in questione ed, infine, il trasferimento delle attività e passività nummo uno
Quanto alle disposizioni principali del D.L. n. 99/2017[216], trattasi di dieci articoli che restituiscono un quadro disciplinare molto complesso, anche a causa dei numerosi rinvii normativi ai più disparati testi legislativi e di soft law, tra cui il TUB, il D.L. n. 237/2016, il c.c., il TFUE e financo la Banking Communication. In particolare, ex art. 2 D.L. n. 99/2017, vengono definiti i confini e gli aspetti procedurali della liquidazione delle due banche, attribuendo al MEF il potere di disporre: la liquidazione coatta amministrativa delle due banche, l’eventuale continuazione dell’esercizio dell’impresa per il tempo necessario ad attuare le cessioni previste, la cessione delle attività da parte dei commissari liquidatori nel rispetto dell’offerta vincolante del cessionario e le misure di intervento pubblico a sostegno della cessione. Con riferimento alla cessione e al suo perimetro dispone, invece, l’art. 3, il quale attribuisce ai commissari liquidatori il potere di cedere le aziende bancarie a soggetti selezionati sulla base di una procedura concorrenziale e non discriminatoria: presupposto che, invero, si era già avverato con la selezione, da parte delle autorità, di Intesa Sanpaolo quale cessionario. Il medesimo articolo, inoltre, facendo tesoro delle controversie sorte a seguito del provvedimento di risoluzione delle quattro banche, espressamente esclude dal perimetro della cessione, oltre a tutte le passività Tier 1 e Tier 2, anche “i debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate” [217]. Considerate poi le ulteriori esclusioni previste dall’art. 5 in tema di crediti deteriorati, l’architettura della procedura liquidativa risulta congegnata in modo tale da onerare del costo della crisi gli azionisti (ossia il Fondo Atlante) e gli obbligazionisti subordinati, così rispettando la disciplina prevista dalla Banking Communication sul burden-sharing, e senza intaccare gli obbligazionisti senior o i depositanti, i cui rapporti contrattuali sono dunque rientrati nella cessione, unitamente agli sportelli e ai dipendenti. Numerose sono, peraltro, le regole speciali introdotte dal decreto-legge con riferimento alle operazioni di cessione, che risultano derogare: il diritto comune, quanto alle disposizioni civilistiche in tema di pubblicità, nullità ed efficacia della cessione verso i terzi[218]; il diritto bancario e finanziario e, infine, normative particolari in materia di diritto tributario e contabilità dello Stato. Tali numerose eccezioni derivano dalla necessità di “consentire l’immediata efficacia delle cessioni nei riguardi dei terzi, salvaguardando così la continuità nell’esercizio dell’impresa. È su questo punto che in effetti può realizzarsi quel mix (…) tra liquidazione e risoluzione, che trova nella salvaguardia della continuità delle ‘funzioni essenziali’ uno dei suoi obiettivi prioritari”[219]. Se, infatti, la distinzione tra la procedura di risoluzione e quella di liquidazione coatta amministrativa appare netta nelle finalità teoriche, essendo la prima volta a garantire la continuità delle funzioni essenziali e la seconda finalizzata a liquidare i complessi produttivi, la stessa è risultata del tutto evanescente quanto ai risvolti pratici e sostanziali che sono scaturiti dalla gestione della crisi delle banche venete. Pare non potersi esimere dal sottolineare, infatti, come non sia dato ravvisare differenze sostanziali, se non per un importante aspetto, tra la procedura di liquidazione delle due banche venete e quella di resolution a cui fu invece sottoposto, per ironia della sorte appena venti giorni prima, il Banco Popular Español[220]. In effetti, ad uno sguardo attento, la liquidazione di BPVi e VB è avvenuta unendo due tipici strumenti della resolution, la cessione delle attività (sail of assets) e la creazione di una bad- bank a seguito della separazione delle attività e delle passività (asset separation), a cui si sono tuttavia accompagnate – ed è questa la differenza con il caso della banca spagnola[221] – ingenti misure di sostegno pubblico, peraltro concesse in assenza delle condizioni previste dalla BRRD per la risoluzione. 
Contestualmente al varo del D.L. n. 99/2017, infatti, il governo notificò alla Commissione europea l’intenzione di concedere aiuti di Stato per la liquidazione coatta amministrativa di BPVi e VB sulla base dell’eccezione prevista dall’art. 107, par. 3, lett. b), TFUE, ossia il “grave turbamento dell’economia”, ritenendo tali aiuti essenziali a garantire l’ordinata fuoriuscita dal mercato delle banche venete e ad assicurare la neutralità economica dell’operazione per Intesa Sanpaolo. Dette misure, approvate con una singola decisione dalla Commissione europea[222], furono dettagliate nel citato decreto-legge e comprendevano: ex art. 5, la cessione dei crediti deteriorati (NPL), degli attivi esclusi dalla cessione, nonché di eventuali altri rapporti giuridici accessori o connessi, alla Società per la Gestione di Attività (SGA), nel frattempo acquisita dal MEF e dunque di proprietà dello Stato; ex art. 4, il rilascio di una (eventuale) garanzia statale sullo sbilancio di cessione, l’erogazione di un supporto finanziario a vantaggio del cessionario atto ad assicurare la neutralità dell’operazione e dunque ricostituire i requisiti patrimoniali (per 3,5 miliardi), il rilascio di una garanzia per l’adempimento di obblighi gravanti sulle banche in liquidazione ed, infine, l’erogazione di ulteriori risorse al cessionario per sostenere misure di ristrutturazione aziendale (per 1,3 miliardi). Per di più, ex art. 6 D.L. n. 99/2017, furono disposte misure di ristoro per gli investitori retail, a carico del FITD, aventi modalità e presupposti del tutto analoghi a quelli previsti nel contesto della risoluzione delle quattro banche[223]. Nel complesso, l’impegno finanziario assunto dalle casse pubbliche sul piano della liquidità fornita è risultato pari a 4,8 miliardi, mentre sul piano delle garanzie concesse ha raggiunto l’ammontare massimo di 12,4 miliardi: risorse che, sulla base delle previsioni fatte, lo Stato avrebbe dovuto recuperare anche grazie alle somme ricavate dalla procedura liquidativa (rispetto a cui lo Stato risulta creditore privilegiato) e dal recupero crediti da parte della SGA, il cui valore lordo ammontava a 17,5 miliardi. In definitiva, dunque, “sembra che la storia in forme diverse e con minori esborsi pubblici (e quindi in parte) si ripeta: nella sostanza la soluzione non riporta la mente al c.d. decreto Sindona?”[224]. 
In definitiva, l’intervento ad hoc disposto dalle autorità italiane per gestire la crisi di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca è risultato complesso e non esente da critiche[225], soprattutto in quanto caratterizzato da un’operazione di ingegneria giuridica volta a dettare una disciplina chirurgicamente adattata al caso di specie. Come sottolineato da più parti, in effetti, tra le alternative che si prospettavano “EU and Italian authorities chose a fifth option: placement in what effectively qualifies as resolution although labelled mandatory administrative liquidation, together with public support (to the banks and Intesa), but without applying the required bail-in of senior creditors under the eight percent rule”[226].
3 . Conclusioni
Sono certamente numerose le questioni problematiche emerse dall’esame della corposa disciplina che si è tentato di tratteggiare durante la presente trattazione: dette questioni inducono ad una conclusiva riflessione generale sull’argomento, che parta dai suoi principali protagonisti.
Le banche, fin dal diritto romano[227], hanno ricoperto un ruolo essenziale nello sviluppo dell’economia e della società tutta, assimilabile, di fatto, ad un servizio pubblico. “Ove attualmente si collochi ontologicamente la banca contemporanea nell’attività di impresa, sembra costituire ormai una domanda ardua cui rispondere, soprattutto se si considera che la stessa assume sempre più le caratteristiche d’impresa pubblica”[228]. Risulta altrettanto evidente come una crisi della banca rechi con sé pericolose conseguenze per il sistema stesso a cui essa funge da motore propulsivo. L’analisi della genesi e dello sviluppo delle crisi bancarie più rilevanti dell’ultimo secolo ha, infatti, permesso di comprendere l’entità e la serietà delle ripercussioni che dette crisi comportano per la generalità dei consociati, su tutti i livelli. È altrettanto evidente, inoltre, come oggigiorno gli operatori bancari si siano sviluppati a tal punto da costituire serie minacce financo per uno Stato: l’annoso problema del “too big to fail”, infatti, è lungi dall’essere risolto definitivamente. Sebbene numerosi siano stati i tentativi da parte degli standard setters internazionali (tra cui il Financial Stability Board e il Comitato di Basilea) di porre un argine a detto problema, al giorno d’oggi le SIFIs e le G-SIBs[229] crescono di numero, di entità, di fatturato e di ramificazioni a tal punto da dare corpo al fenomeno della cattura del regolatore, con serie implicazioni in tema di moral hazard. Nondimeno, le riforme attuate in tutto il globo ed anche in seno all’Unione Europea hanno tentato di dare una risposta.
Dopo un passato tentativo di liberalizzazione del settore bancario, ispirato ai principi della concorrenza, e a fronte delle crisi bancarie degli ultimi anni causate anche dal fallimento del libero mercato, l’etero regolazione nazionale ed europea si è fatta sempre più potente ed incisiva, il che ha comportato un progressivo e massiccio irrigidimento della normativa bancaria[230]. Ciononostante, questi interventi normativi, che pure hanno introdotto significative e pregevoli innovazioni, si sono rivelati non del tutto sufficienti[231]. Alla luce della trattazione effettuata è infatti emerso come non sia, in ultima analisi, possibile procedere alla gestione di una crisi bancaria senza che ciò comporti un intervento a carico delle finanze pubbliche: sebbene sia ormai positivizzato il principio per cui il bail- out risulta una extrema ratio, nondimeno nell’Unione europea i casi in cui si è effettivamente fatta applicazione rigida della procedura di risoluzione sono tutt’ora esigui, essendo invece assai più numerosi i casi in cui la Commissione europea ha autorizzato interventi emergenziali pubblici che derogavano alla disciplina sugli aiuti di Stato. In altre parole, come si è cercato di dimostrare, non è possibile gestire le crisi bancarie senza interventi ad hoc, dal momento che non è possibile inserire nelle maglie strette di un testo legislativo una disciplina che sia esaustiva, completa, chiara e direttamente applicabile. Questo assunto risulta tanto più evidente alla luce delle vicende che hanno caratterizzato l’Italia nell’ultimo decennio.
In Italia, la BRRD è stata recepita per mezzo dei D.Lgs. n. 180 e n. 181/2015 che, tuttavia, restituiscono un testo “ripetitivo, alluvionale, eppure, come ogni provvedimento di legge, incompleto”[232], dal momento che la stessa normativa europea presenta rilevanti difficoltà interpretative “imputabili alla discrasia esistente tra la realtà normativa e quella fattuale”[233]. Le numerose lacune, soprattutto quanto alle parti attuative e di dettaglio, hanno di volta in volta imposto, al legislatore italiano, ulteriori interventi che hanno preso la forma della decretazione d’urgenza, tra cui il decreto-legge sulle quattro banche, quello relativo alla ricapitalizzazione di Monte dei Paschi di Siena, quello sulla liquidazione coatta amministrativa delle banche venete, quello istitutivo delle GACS etc. A detti provvedimenti si sono accompagnati ulteriori decreti, che hanno finito per disperdere la disciplina in un numero imprecisato di norme. In effetti, un coacervo di disposizioni complesse che promuove valori financo in tensione tra loro, non può essere recepito in un unico testo, dal momento che le crisi bancarie presentano peculiarità tali da rendere impossibile l’adozione di regole valevoli per tutti i casi. Vi sono, poi, due ordini di ragioni che spiegano perché la decretazione d’urgenza italiana in tema di crisi bancarie si sia tradotta in una disciplina derogatoria rispetto all’architettura normativa europea in tema. Il primo attiene ad una mancanza di gradualità nell’applicazione del nuovo regime congegnato dalla BRRD: a detta di più parti, infatti, il legislatore europeo non ha assicurato un sufficiente regime transitorio, che permettesse al mercato e agli operatori economici di adeguarsi gradatamente alla nuova disciplina. L’applicazione retroattiva dell’istituto del bail-in, per esempio, che avrebbe finito per esplicare i suoi effetti anche nei confronti di tutti gli strumenti di capitale sottoscritti antecedentemente alla sua entrata in vigore, ha imposto al legislatore italiano di intervenire senza indugio con provvedimenti speciali, in modo tale da evitare pericolosi effetti a catena su tutta la società. Il secondo attiene all’eccessiva discrezionalità attribuita dalle nuove norme alle autorità competenti, tra cui il Single Resolution Board, quanto alla valutazione della sussistenza dell’interesse pubblico alla risoluzione (si veda il caso delle due banche venete) e, soprattutto, la Commissione europea, che ha finito per ricoprire il ruolo di unico e vero decisore di ultima istanza. Il riferimento è innanzitutto alla querelle sul caso Tercas: le determinazioni assunte dalla Commissione in tema, ossia quelle volte a considerare l’intervento del FITD quale aiuto di Stato a carico delle finanze pubbliche, hanno comportato decisive conseguenze sulla gestione delle crisi di cui si è trattato. Vi è da sottolineare, a chiosa della vicenda, come la doppia pronuncia conforme da parte degli organi giurisdizionali europei, che hanno riconosciuto e dimostrato l’illegittimità dell’intervento della Commissione europea sul caso Tercas, abbia permesso al FITD di intervenire a sostegno delle crisi della Cassa di Risparmio di Genova e Imperia (Carige), nel 2019 e nuovamente nel 2022[234], e di Banca Popolare di Bari (BPB), nel 2020[235]. Per la gestione di dette crisi, le autorità italiane hanno adottato il medesimo paradigma usato in passato, ossia quello della decretazione d’urgenza[236] e della concessione di un sostegno pubblico, anche mediante il ricorso alla garanzia statale sulle passività di nuova emissione e all’intervento del FITD, espostosi per complessivi 1,9 miliardi[237] e rivelatosi peraltro decisivo nella soluzione delle crisi. Cosicché, non è difficile comprendere il motivo per cui tutti gli interventi di ristrutturazione bancaria disposti nell’ultimo decennio dalle autorità italiane siano stati considerati una sorta di “shadow resolution”[238], nati dal fallimento di soluzioni di mercato e aventi la precipua finalità di minimizzare gli impatti sul tessuto economico-sociale, dettando discipline ad hoc. In conclusione, volendo trarne un assunto generale, è possibile affermare che nel diritto della crisi bancaria la certezza del diritto resta pur sempre un valore recessivo rispetto alla tutela della stabilità del sistema, e non potrebbe essere altrimenti.
Vi sono infine le criticità che riguardano specificamente l’architettura dell’Unione bancaria europea. Se è dato pacifico che essa abbia rappresentato una pietra miliare nel processo di integrazione degli Stati membri, è altrettanto evidente come l’ambizioso progetto sconti tutt’ora una significativa limitazione: la mancata realizzazione del suo terzo pilastro. Gli accesi dibattiti in seno agli organi decisori e politici dell’Unione Europea circa il Sistema europeo di assicurazione dei depositi (EDIS) hanno nei fatti arenato ogni proposta di regolamentazione avanzata in tema. La mancanza di un consenso circa l’entità della condivisione dei rischi e della mutualizzazione delle perdite che detto Sistema comporterebbe vede ad oggi due schieramenti di Stati contrapposti, tra cui spiccano le differenti posizioni della Germania e dell’Italia. Ma vi è un altro dato decisivo: come si è potuto dimostrare, i casi di applicazione effettiva del nuovo quadro di risoluzione delle crisi bancarie sono ad oggi molto esigui. In effetti, nel congegnare il nuovo sistema di resolution le autorità europee avevano effettuato una summa divisio, soprattutto in virtù degli insegnamenti tratti dalla crisi finanziaria del 2007: trattasi della dicotomia tra istituti di importanza significativa ed istituti “less significant”. Ai primi, che rappresentano seri rischi per la stabilità sistemica, vennero dedicate le nuove regole, mentre per i secondi fu prevista l’applicazione delle diverse procedure di insolvenza nazionali. È proprio a causa di questa scelta che le numerose crisi delle banche di piccole e medie dimensioni hanno potuto essere affrontate dalle autorità degli Stati membri mediante l’ingente impiego di risorse pubbliche, attraverso le soluzioni più disparate[239].“Questa situazione viene esaltata dalla mancata armonizzazione fra di loro delle leggi nazionali sulle procedure concorsuali e di esse con la disciplina europea della risoluzione e rappresenta oggettivamente uno dei problemi che le Autorità europee dovranno affrontare”[240]. A tal proposito, nell’aprile 2023, la Commissione europea ha, infine, proposto una riforma del quadro per la gestione delle crisi bancarie e l’assicurazione dei depositi, finalizzato a garantire “l’uscita ordinata dal mercato delle banche in dissesto di qualsiasi dimensione e modello commerciale”, agevolando “l’uso di reti di sicurezza finanziate dal settore per tutelare i depositanti nelle crisi bancarie”[241].
Il completamento dell’Unione bancaria europea, auspicato da più parti, risulta tanto più fondamentale alla luce dei più recenti accadimenti in tema di crisi bancarie internazionali e alla luce delle inevitabili interconnessioni tra tutti gli operatori economici del globo. Ci si riferisce, in primis, al recente fallimento della Silicon Valley Bank, avvenuto negli Stati Uniti d’America il 10 marzo 2023[242], che ha causato la crisi di altre due banche americane ed innescato reazioni a catena secondo modalità non dissimili da quelle esaminate per la crisi del 2007, seppur più contenute, viste le dimensioni non sistemiche degli enti coinvolti. In secondo luogo, simile impatto ha comportato la crisi di Credit Suisse in Europa, banca svizzera di rilevanza sistemica, avvenuta sempre nel marzo 2023 e gestita dalle autorità svizzere secondo modalità del tutto estemporanee al confine della legalità, mediante la svalutazione degli strumenti di capitale AT1, a vantaggio delle stesse azioni (sic!). Di fronte ad avvenimenti siffatti, che hanno dimostrato “il fallimento dei due regolatori pubblici di finanza e credito, negli Stati Uniti e in Svizzera”[243], l’architettura dell’Unione bancaria europea rappresenta un presidio di valore inestimabile, in grado di trasformare “il settore bancario europeo da amplificatore di shock in ammortizzatore”[244], a patto che si proceda sempre più spediti verso il  suo definitivo completamento.

Note:

[1] 
Audizione del dottor Giuseppe Vegas, Presidente della Consob, presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, Resoconto stenografico n. 32, 14 dicembre 2017, pp. 7-8, disponibile su https://www.parlamento.it/Parlamento/1191?shadow_organo=421917, ultima visita 22/01/2024.
[2] 
B.J. Attinger, Crisis management and bank resolution: Quo vadis, Europe?, in Legal Working Paper Series, European Central Bank, n. 13, 2011. 
[3] 
Prestito immobiliare che, nel contesto finanziario statunitense, viene concesso al prenditore che non può godere delle condizioni migliori, quelle riservate alla clientela primaria. È un prestito che comporta un elevato rischio per il creditore perché il soggetto a cui viene concesso è caratterizzato da una limitata capacità di rimborsare puntualmente quanto ricevuto”, Mutuo Subprime, Treccani, disponibile su https://www.treccani.it/enciclopedia/mutuo-subprime/, ultima visita 22/01/2024. 
[4] 
Al contrario dell’ordinamento italiano che fin dal 1936 aveva introdotto regole speciali per la gestione delle crisi bancarie, molti paesi non avevano normative adeguate, tra cui il Regno Unito, che le approverà nel 2009, solo dopo la crisi finanziaria mondiale. 
[5] 
Così non fu per Lehman Brothers: la tematica è nota come il problema del too big to fail
[6] 
Ex art. 3, dir. 2001/24 CE, “1. Le autorità amministrative o giudiziarie dello Stato membro d'origine sono le sole competenti a decidere sull'applicazione ad un ente creditizio, incluse le succursali stabilite in altri Stati membri, di uno o più provvedimenti di risanamento. 2. Detti provvedimenti producono tutti i loro effetti secondo la legge di tale Stato membro in tutta la Comunità, senza ulteriori formalità”. 
[7] 
A cambiare, dopo il 2007, è stata l’intera concezione filosofica di base del sistema bancario: si è passati infatti da un approccio di massima liberalizzazione e di minimo intervento regolatorio, basato sulla teoria smithiana della mano invisibile, ad uno, opposto, interventista e di rigida regolazione. 
[8] 
Il sistema finanziario attuale: una stilizzazione, Consob, disponibile su http://www.consob.it/web/investor-education/il- sistema-finanziario-attuale-una-stilizzazione, ultima visita 22/01/2024. 
[9] 
D. Rossano, La nuova regolazione delle crisi bancarie, Milano, Wolters Kluwer-Utet Giuridica, 2017, p. 49. 
[10] 
A. Nigro, Introduzione in Crisi bancarie e diritto comunitario, Atti dell’incontro di studio tenutosi presso la Facoltà di economia dell’Università La Sapienza di Roma il 20 giugno 2013, in Diritto della banca e del mercato finanziario, fasc. 4, 2013, p. 602. 
[11] 
G. Boccuzzi, The European Banking Union - Supervision and Resolution, Londra, Palgrave Macmillan, 2016, p. 4. 
[12] 
Il Single Supervisory Mechanism (Meccanismo unico di vigilanza), il Single Resolution Mechanism (Meccanismo unico di risoluzione) e il European Deposit Insurance Scheme (Sistema europeo di assicurazione dei depositi). 
[13] 
Nota come BRRD, Bank Recovery and Resolution Directive
[14] 
Il riferimento è al famigerato bail-in (c.d. salvataggio interno). 
[15] 
A titolo meramente esemplificativo, ma non esaustivo cfr. A. Champsaur, The liquidation of the Venetian Banks: loophole or circumvention of the EU rules?, in International Financial Law Review, ottobre 2017, disponibile su iflr.com, p. 51; A. Enria, Audizione del Presidente della European Banking Authority (EBA) dinnanzi alla Commissione 6ª Finanze e Tesoro, Senato della Repubblica, Roma, 5 luglio 2017; A. Tajani, H. Dorfmann E F. Martusciello, Interrogazione con richiesta di risposta scritta alla Commissione E-971/2020, disponibile su https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2020-000971_IT.html, ultima visita 22/01/2024; I. Visco, Intervento del Governatore della Banca d’Italia al 26° Congresso Assiom Forex, Brescia, 8 febbraio 2020.
[16] 
L’aspettativa di un sostegno pubblico pone rilevanti problemi di moral hazard in capo agli amministratori degli enti creditizi, che saranno così più propensi all’assunzione di rischi. Questo ingenera un legame perverso tra sistema finanziario e finanze pubbliche, per cui la crisi dell’uno si trasmette molto facilmente all’altro e viceversa. 
[17] 
L. Stanghellini, La gestione delle crisi bancarie. La tradizione italiana e le nuove regole europee, in Ricerche giuridiche, vol. 4, fasc. 2, 2015, p. 319. 
[18] 
Cfr. P.D.G. Carabellese, Bridge bank e decisum della Suprema Corte britannica relativa al Banco Espirito Santo: dal bonus argentarius al coactus argentarius, in Banca Impresa Società, fasc. 2, 2019, p. 379. Il caso in questione fu gestito dalle competenti autorità, nel luglio 2014, attraverso la creazione di una bridge-bank e la misura dell’asset separation: alla good bank, la Novo Banco SA, furono conferite le attività sane, unitamente ai depositi e i crediti muniti di garanzia, a cui si affiancò un’iniezione di liquidità pubblica, conformemente all’appena emanata BRRD; nella bad bank, invece, furono lasciate tutte le passività, comprese quelle derivanti dalle obbligazioni subordinate. L’operazione, tuttavia, non ebbe successo: la Banca Centrale del Portogallo si vide costretta, successivamente, a ritrasferire alla bad bank, con effetto retroattivo e del tutto discrezionalmente, vari titoli non subordinati di Novo Banco, sottoscritti da noti fondi di investimento appartenenti alla banca internazionale Goldman Sachs. Dalla vicenda originò il noto caso Goldman Sachs c. Banco Espirito Santo, per violazione di importanti principi, tra cui quello della par condicio e della non discriminazione, sviluppatosi in vari tronconi, di cui uno di fronte alle corti anglo-gallesi e l’altro di fronte alla stessa autorità amministrativa portoghese. La controversia civile giunse innanzi alla United Kingdom Supreme Court che, sostanzialmente, nonostante la presenza della clausola di giurisdizione, si dichiarò incompetente a decidere la causa. Ciò che sembra potersi dedurre, in sintesi, è che i principi pubblicistici, sanciti dalla BRRD, della tutela della continuità delle funzioni essenziali della banca, oltre che della stabilità finanziaria del sistema, debbono ritenersi prevalenti sulle pattuizioni civilistiche delle parti, oltre che sui principi di non discriminazione e di par condicio
[19] 
E. Rulli, Contributo allo studio della disciplina della risoluzione bancaria, Torino, Giappichelli, 2017, pp. 162-165. 
[20] 
Pari al 30% del Pil dell’Unione Europea al 2013. Gli interventi di sostegno autorizzati assunsero varie forme, quali la ricapitalizzazione, la ristrutturazione finanziaria, la concessione di garanzie, misure di sostegno alla liquidità etc., cfr. M. Marcucci, Aiuti di Stato e stabilità finanziaria. Il ruolo della Commissione europea nel quadro normativo europeo sulla gestione delle crisi bancarie, in L’unione bancaria europea, a cura di M.P. CHITI E V. SANTORO, Pisa, Pacini, 2016, pp. 291 ssg. 
[21] 
I numerosi interventi pubblici a sostegno del sistema bancario e delle attività produttive, infatti, esacerbarono oltre modo i già precari equilibri della finanza pubblica nei paesi europei più vulnerabili, quali Grecia, Irlanda e Portogallo, a cui si aggiunsero, a partire dal 2011, anche la Spagna e l’Italia, in cui la contrazione del PIL quell’anno risultò prossima al 5%. Queste circostanze determinarono marcate instabilità sui mercati finanziari, provocando un aumento dello spread tra i tassi di interesse sui titoli di debito pubblico dei paesi anzidetti (c.d. paesi PIIGS o GIPSI, dalle loro iniziali), tra cui i BTP italiani, e i rendimenti dei titoli dei c.d. paesi core considerati più affidabili, quali i BUND tedeschi. La crisi toccò il suo apice nell’estate del 2011, quando Grecia, Irlanda e Portogallo giunsero nella condizione di non potersi più rifinanziare a causa delle difficoltà riscontrate nel collocare i propri bond sul mercato, costringendo le istituzioni europee e il Fondo monetario internazionale ad intervenire con misure di sostegno finanziario straordinarie. Le ripercussioni su tutti i principali mercati finanziari furono immediate e, come se non bastasse, le maggiori agenzie di rating abbassarono il merito di credito di diversi paesi europei e, conseguentemente, di diverse banche con sede in tali paesi. Per placare le nuove importanti turbolenze furono individuate tre soluzioni, sulle quali il consenso si andò consolidando nei primi mesi del 2012: il Meccanismo europeo di stabilità, cui si aggiunse una linea di credito straordinaria per la ricapitalizzazione delle banche, utilizzata peraltro solo dalla Spagna; l’istituzione di un apposito programma di c.d. Outright Monetary Transactions (OMT) da parte della BCE, per consentirle di intervenire come prestatore di ultima istanza nel mercato dei titoli sovrani, assicurando così liquidità “whatever it takes”; infine, la creazione dell’Unione bancaria europea. 
[22] 
Ex art. 107 TFUE: “1. Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.
2. Sono compatibili con il mercato interno: a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti; b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; (omissis).
3. Possono considerarsi compatibili con il mercato interno: a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso (omissis); b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un
importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro; c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche (omissis); d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, (omissis); e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione.”
[23] 
Cfr. Comunicazione della Commissione 94/C 368/05, recante “Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà”, aggiornata nel 1997, nel 1999 e, infine, nel 2004. Di per sé dette Comunicazioni stabilivano il generale principio per cui un’impresa in difficoltà non possa essere salvata tout court dallo Stato. 
[24] 
Così avvenne anche in occasione delle crisi, avvenute alla fine degli anni ’90, di due istituti di credito italiani, il Banco di Napoli e la Sicilcassa, per cui la Commissione applicò i principi esposti nella Comunicazione del 1994. Per una disamina approfondita, cfr. E. RULLI, op. cit., pp. 123-129. 
[25] 
Il caso dell’istituto di credito britannico Northern Rock fu del tutto peculiare: con la prima decisione, del 5 dicembre 2007, la Commissione autorizzò le misure di bail-out messe in atto per salvare detta banca, vittima di una vera e propria corsa agli sportelli, sulla base del principio di esenzione per le imprese in difficoltà stabilito dall’allora art. 87, par. 3, lett. c), TCE. In occasione della decisione sull’estensione di detti aiuti, avvenuta il 28 ottobre 2009, invece, la Commissione cambiò opinione sulla base delle nuove Comunicazioni emanate a partire dal 2008, cfr. decisione della Commissione, del 28 ottobre 2009, sull’aiuto di Stato C 14/08 (ex NN 1/08) eseguito dal Regno Unito a favore di Northern Rock, § 103: “…la Commissione ha ammesso che la crisi finanziaria mondiale può comportare gravi perturbazioni nell’economia degli Stati membri e che misure di sostegno a favore delle banche sono in grado di porvi rimedio nelle sue comunicazioni sul settore bancario, sulla ricapitalizzazione e sulla ristrutturazione (…). La base giuridica dovrebbe pertanto essere l’art. 87, par. 3, lett. b), del trattato”. 
[26] 
Cfr. Comunicazione della Commissione 2008/C 270/02, recante “L'applicazione delle regole in materia di aiuti di Stato alle misure adottate per le istituzioni finanziarie nel contesto dell'attuale crisi finanziaria mondiale”.
[27] 
A. Antonucci, Gli “aiuti di Stato” al settore bancario: le regole d’azione della regia della Commissione, in La gestione delle crisi bancarie. Strumenti, processi, implicazioni nei rapporti con la clientela, a cura di V. TROIANO E G.M. UDA, Milano, Wolters Kluwer-Cedam, 2018, p. 446. 
[28] 
Cfr. Comunicazione della Commissione 2009/C 10/03, recante “La ricapitalizzazione delle istituzioni finanziarie nel contesto dell'attuale crisi finanziaria: limitazione degli aiuti al minimo necessario e misure di salvaguardia contro indebite distorsioni della concorrenza” e Comunicazione della Commissione 2009/C 72/01, recante “Il trattamento delle attività che hanno subìto una riduzione di valore nel settore bancario comunitario”. 
[29] 
Cfr. Comunicazione della Commissione 2009/C 195/04, recante “Il ripristino della redditività e la valutazione delle misure di ristrutturazione del settore finanziario nel contesto dell'attuale crisi in conformità alle norme sugli aiuti di Stato”.
[30] 
Cfr. Comunicazione della Commissione 2010/C 329/07, recante “L’applicazione, dal 1° gennaio 2011, delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria”.
[31] 
Cfr. Comunicazione della Commissione 2011/C 356/02, recante “L’applicazione, dal 1° gennaio 2012, delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria”. 
[32] 
Cfr. Comunicazione della Commissione 2013/C 216/01, recante “L’applicazione, dal 1° agosto 2013, delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria”. Tale comunicazione, che abrogò per espressa previsione la prima Comunicazione alle banche del 2008 (cfr. punti 24 e 94), è ritenuta l’atto più importante e più completo in tema di aiuti di Stato alle banche, poiché riunisce in unico testo tutta la disciplina rilevante, tanto da essere definita semplicemente la Comunicazione sul settore bancario o Banking Communication
[33] 
Cfr. punto 15 della Comunicazione sul settore bancario, che afferma come “la banca ed i detentori del suo capitale dovrebbero contribuire il più possibile alla ristrutturazione mediante le proprie risorse. Il sostegno statale dovrebbe essere concesso a condizioni che rappresentano un'adeguata condivisione degli oneri da parte di coloro che hanno investito nella banca”. 
[34] 
Cfr. punti 5, 7 e 18 della Comunicazione, che parlano di “tensioni sui mercati del debito sovrano” e di “stabilità finanziaria come obiettivo generale”. 
[35] 
Cfr. punto 41 della Comunicazione, per cui “un’adeguata condivisione degli oneri comporterà di norma, una volta che le perdite saranno state in primo luogo assorbite dal capitale, contributi da parte di detentori di capitale ibrido e di debito subordinato.” 
[36] 
Cfr. punto 19 della Comunicazione, che afferma come “prima di concedere ad una banca qualsiasi tipo di aiuto alla ristrutturazione - che si tratti di misure di ricapitalizzazione o di sostegno a fronte di attività deteriorate - dovrebbero essere esaurite tutte le misure che generano capitale, tra cui la conversione del debito di rango inferiore, a condizione che siano rispettati i diritti fondamentali e non sia messa a rischio la stabilità finanziaria”. 
[37] 
Cfr. punti 23 e 50 della Comunicazione, per cui “la presente comunicazione stabilisce il principio in base al quale le misure di ricapitalizzazione e le misure di sostegno a fronte di attività deteriorate saranno autorizzate solo una volta approvato il piano di ristrutturazione della banca interessata”. 
[38] 
M. Marcucci, Aiuti di Stato e stabilità finanziaria…, cit., p. 298.
[39] 
Comunicazione sul settore bancario, punto 19. 
[40] 
Cfr. Corte di Giustizia, 19 luglio 2016, C-526/14, Kotnik. Per una disamina approfondita della pronuncia, cfr. B. Raganelli, Gli aiuti di Stato alle banche nel contesto della crisi finanziaria, in Giornale di diritto amministrativo, fasc. 6, 2016, p. 773. 
[41] 
Sentenza Kotnik, § 45. Le Comunicazioni sono dunque strumenti di self-regulation con cui la Commissione detta una linea di azione vincolante per se stessa. 
[42] 
Cfr. ivi, § 42: “Può essere concessa una deroga ai punti 43 e 44 di detta comunicazione, ai sensi del punto 45 della stessa, se un tale contributo «metterebbe in pericolo la stabilità finanziaria o determinerebbe risultati sproporzionati»”. 
[43] 
Cfr. ivi, § 58. 
[44] 
A. Antonucci, op. cit., p. 453. 
[45] 
M. Marcucci, op. cit., p. 305. L’autore afferma che la Commissione, di fatto esorbitando dai propri poteri, ha inteso perseguire obiettivi di armonizzazione e ravvicinamento delle legislazioni, al di fuori delle procedure legislative consentite dal TFUE. 
[46] 
Con la differenza che per gli strumenti pubblici di stabilizzazione finanziaria la direttiva richiede un’approvazione da parte della Commissione sia preventiva sia finale, mentre per gli interventi pubblici disposti ex ante viene richiesta la semplice approvazione finale. 
[47] 
Per la verità, nel caso di applicazione dello strumento del bail-in, l’art. 44, par. 3, BRRD ammette la possibilità per l’autorità competente di operare esclusioni discrezionali alla riduzione e alla conversione. Tali esclusioni, tuttavia, non determinano un’esenzione tout court, ma possono riguardare solo determinate categorie di passività e, in ogni caso, sono ammesse in base a specifici criteri. 
[48] 
Cfr. sentenza Kotnik, §§ 101-102, in base a cui “non può essere imposto ad una banca di convertire o svalutare tutti i titoli subordinati prima della concessione di un aiuto di Stato quando, in particolare, la conversione o la svalutazione di una parte dei titoli subordinati sarebbe stata sufficiente per superare la carenza di capitale della banca interessata”, pertanto “le misure di conversione o svalutazione dei titoli subordinati, quali previste al punto 44 di detta comunicazione, non devono andare oltre quanto è necessario per superare la carenza di capitale della banca interessata”. 
[49] 
M. Marcucci, op. cit., p. 16. 
[50] 
Quorum che finisce per relegare l’ipotesi alla sola teoria, essendo assai difficile immaginare la sua applicazione pratica. 
[51] 
M. Clarich, Sostegno pubblico alle banche e aiuti di Stato, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 5, 2017, p. 718. L’autore sottolinea come, in effetti, risulti contraddittorio che la valutazione circa la sussistenza di una situazione eccezionale di crisi sistemica sia rimessa alla Commissione europea e non all’autorità di risoluzione o alla Banca centrale europea. 
[52] 
Ivi, p. 719. 
[53] 
Cfr. A. Pezzuto, Consultazione della Commissione europea sugli aiuti di Stato per le banche in difficoltà, in Diritto bancario Tidona, 1/04/2022, disponibile su https://www.tidona.com/consultazione-della-commissione-europea-sugli- aiuti-di-stato-per-le-banche-in-difficolta/, ultima visita 22/01/2024. 
[54] 
Cfr. Relazione speciale 21/2020 della Corte dei conti europea, Il controllo degli aiuti di Stato alle istituzioni finanziarie nell’UE: occorre verificarne l’adeguatezza, disponibile su https://www.eca.europa.eu/Lists/ECADocuments/SR20_21/SR_state_aid_IT.pdf,  ultima  visita  22/01/2024.  Nella relazione la Corte dei conti europea sottolinea varie criticità in tema, tra cui il fatto che le norme per il controllo degli aiuti di Stato non abbiano subìto modifiche dal 2013, nonostante il profondo mutamento del contesto normativo ed economico di riferimento; inoltre vengono sottolineate varie debolezze da parte della Commissione, sia nella valutazione della compatibilità, sia nel monitoraggio della performance di dette norme. 
[55] 
La consultazione è stata basata su vari criteri: l’efficacia e l’efficienza della normativa nel raggiungere gli obiettivi primari della stabilità finanziaria, della limitazione delle distorsioni concorrenziali e del contrasto all’azzardo morale; la pertinenza delle norme alla luce delle nuove condizioni macroeconomiche; la coerenza delle comunicazioni tra loro e, soprattutto, con la disciplina europea sulla risoluzione; e, infine, il valore aggiunto fornito da una normativa unica. I risultati  della  consultazione,  pubblicati  nell’ottobre  2022,  sono  disponibili  su  https://ec.europa.eu/info/law/better- regulation/have-your-say/initiatives/13324-Norme-in-materia-di-aiuti-di-Stato-per-le-banche-in-difficolta- valutazione/public-consultation_it, ultima visita 22/01/2024.
[56] 
Per una compiuta ricostruzione, cfr. E. RULLI, op. cit., pp. 107 ssg.
[57] 
Decreto Ministeriale 27 settembre 1974 (Gazzetta Ufficiale 2 ottobre 1974, n. 256), recante “Anticipazioni a ventiquattro mesi presso la Banca d’Italia”, adottato dal Ministro per il Tesoro Emilio Colombo per porre rimedio alla crisi della Banca Privata Italiana, come risultante dalla fusione delle due banche del finanziere Michele Sindona. 
[58] 
Prima direttiva 77/780/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1977, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio, c.d. Prima direttiva bancaria
[59] 
Giova sottolineare che, oggigiorno, l’art. 123 TFUE vieta la concessione di qualsiasi forma di facilitazione creditizia da parte della Banca centrale europea o delle banche nazionali al settore pubblico, comprese, secondo la BCE, forme di finanziamento indiretto, consistenti nell’assunzione da parte delle stesse di impegni spettanti allo Stato, come il salvataggio di imprese in crisi irreversibile. 
[60] 
C.A. Ciampi, Relazione  all’Assemblea  ordinaria  dell’ABI,  Roma,  26  giugno  1984,  pp.  7  sgg.,  disponibile  su http://www.carloazegliociampi.it/, ultima visita 30/12/2023.
[61] 
Cfr. art. 3, comma 1, lett. a) e b) versione originaria dello Statuto del FITD del 1987.
[62] 
Direttiva 94/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 1994, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi, recepita in Italia nel 1996. Cfr. supra, cap. II, § 3.4. 
[63] 
E. Rulli, op. cit., p. 118. 
[64] 
Sono i casi del Banco di Tricesimo (1990) e di Banca Network Investimenti (2012). Per una disamina dettagliata di tutti gli interventi, cfr. https://www.fitd.it/Cosa_Facciamo/Interventi, ultima visita 22/01/2024. 
[65] 
Sono i casi della Cassa di Risparmio di Prato (1988), del Banco Emiliano Romagnolo (2011), di Banca Tercas (2014), il cui sostegno è tuttavia stato rimborsato al FITD a causa dell’intervento della Commissione europea, di Banca del Fucino (2019), di Banca Carige (2019 e 2022) e di Banca Popolare di Bari (2020). 
[66] 
Sono i casi della Banca di Girgenti (1991), della Banca di Credito di Trieste (1996), del Credito Commerciale Tirreno (1997), di Sicilcassa (1997), della Banca Popolare Valle d’Itria e Magna Grecia (2010), di Banca MB (2011), di Banca Popolare delle Province Calabre (2016), di Banca Base (2018) e di Aigis Banca (2021). 
[67] 
Disponibili, rispettivamente, su https://www.fitd.it/Normative/Statuto e su https://www.fgd.bcc.it, ultima visita 22/01/2024.
[68] 
La categoria delle leggi-provvedimento pone numerosi problemi in ordine al rispetto dei fondamentali principi e capisaldi del diritto amministrativo, tra cui la stessa separazione dei poteri: cfr. M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, il Mulino, Bologna, 2018, p. 30. 
[69] 
Cfr. U. Belviso, La liquidazione coatta amministrativa e il caso Banco Napoli, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 1, 1998/I, pp. 1 sgg. L’autore sottolinea che “il vero «strappo» operato dalla l. 19 novembre 1996, n. 588” - di conversione del d.l. 497/1996 - “al nostro diritto comune è stato quello di preferire, per risolvere la crisi del Banco di Napoli, il ricorso ad una legge-provvedimento, contenente misure specificamente studiate per il «salvataggio» del Banco, al ricorso alle procedure concorsuali previste dal t.u.”, ivi, pp. 3-4. 
[70] 
Recante “Interventi urgenti per la soluzione della crisi della Sicilcassa S.p.a. e per il risanamento e rilancio del Banco di Sicilia S.p.a.”, convertito con modificazioni dalla legge 8 novembre 1997, n. 388. La liquidazione dell’istituto è terminata nel 2018, dopo oltre 20 anni, tra inchieste penali conclusesi con condanne definitive degli ex amministratori e cause giuslavoristiche, ha ceduto sofferenze per circa 1,5 miliardi di euro ed ha permesso di recuperare complessivamente 800 milioni, cfr. M. Gerevini, Si chiude il crac di Sicilcassa, l’ultimo segreto di Ciancimino, in Corriere della Sera, 20/04/2018, disponibile a https://www.corriere.it/economia/18_aprile_29/si-chiude-crac-sicilcassa-ultimo-segreto- ciancimino-0505d582-4b13-11e8-a20b-2428d6d2b4b0.shtml, ultima visita 22/01/2024.
[71] 
D. Rossano, La nuova regolazione…, cit., p. 2. 
[72] 
Di cui all’allora art. 87, par. 3, lett. c) TCE (attuale art. 107 TFUE). 
[73] 
Cfr. Decisione della Commissione 1999/288/CE, del 29 luglio 1998, recante “Approvazione condizionata dell’aiuto concesso dall’Italia al Banco di Napoli”. Al § 6: “In conclusione, la Commissione ritiene che il piano di risanamento del Banco contenga importanti elementi di aiuto di Stato, sotto forma in particolare di un aumento di capitale di 2000 miliardi di ITL, dell'utilizzo delle anticipazioni della Banca d'Italia ai sensi del decreto ministeriale del 27 settembre 1974 per l'assorbimento delle perdite della SGA e di sgravi fiscali per un valore netto di 17 miliardi di ITL. (…) 
In base alle considerazioni testé formulate, si può considerare che gli aiuti accordati al Banco rispettino le condizioni previste dagli orientamenti comunitari per gli aiuti al salvataggio e alla ristrutturazione delle imprese in difficoltà, purché siano soddisfatte talune condizioni”. 
[74] 
Cfr. Decisione della Commissione 2000/600/CE, del 10 novembre 1999, recante “Approvazione condizionata dell’aiuto accordato  dall’Italia  alle  banche  pubbliche  siciliane  Banco  di  Sicilia  e  Sicilcassa”.  Al  §  6:  “Concludendo, la Commissione ritiene che il piano di risanamento delle banche siciliane contenga importanti elementi di aiuto”, tra cui le anticipazioni ex decreto Sindona. All’art. 1, par. 2: “Non costituisce aiuto di Stato, ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato CE l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi nella liquidazione di Sicilcassa”, considerata, al § 5.1.1., “la partecipazione significativa di banche non pubbliche all’adozione della decisione” di intervenire.
[75] 
Banking Communication, cit., punto 63.
[76] 
Decisione (UE) 2016/1208 della Commissione, del 23 dicembre 2015, relativa all’aiuto di Stato SA.39451 (2015/C) cui l’Italia ha dato esecuzione a favore di Banca Tercas. Per una disamina approfondita, cfr. C. Brescia Morra, Crisi bancarie e disciplina degli aiuti di Stato: un chiarimento importante dalla Corte di Giustizia, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 3, 2019, p. 275. 
[77] 
Cfr. D.M. del 30 aprile 2012, con cui il Ministro dell’economia e delle finanze ha disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo di Tercas – Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo Spa e la sottoposizione della stessa ad amministrazione straordinaria per gravi irregolarità e violazioni normative, disponibile su https://www.bancaditalia.it/media/comunicati/documenti/2012-01/CS_Tercas_040512.pdf, ultima visita 22/01/2024. 
[78] 
L’intervento del FITD, autorizzato dalla Banca d’Italia il 7 luglio 2014, prevedeva tre misure: 1) l’erogazione di 265 milioni di euro, a titolo di contributo a fondo perduto a copertura del deficit patrimoniale di Tercas; 2) il rilascio di una garanzia di 35 milioni di euro, a copertura del rischio di credito associato a determinate esposizioni di Tercas (che sono poi state rimborsate integralmente, rendendo non necessario il ricorso alla garanzia stessa); 3) infine, il rilascio di un’ulteriore garanzia nella misura massima di 30 milioni di euro, a copertura dei costi supplementari derivanti da versamenti fiscali sulla prima misura. 
[79] 
Cfr. decisione (UE) 2016/1208, cit., §§ 121-124, per cui “l’articolo 96-bis del Testo Unico Bancario deve essere interpretato come definizione specifica del mandato pubblico di tutela dei depositanti, applicabile ai sistemi di garanzia dei depositi riconosciuti in Italia” e “la legislazione italiana e quella dell'Unione conferiscono alla Banca d'Italia l'autorità e i mezzi per garantire che tutti gli interventi del FITD, in qualità di sistema di garanzia dei depositi riconosciuto ai sensi del Testo Unico Bancario, adempiano a tale mandato pubblico”.
[80] 
Cfr. ivi, §§ 127 e 139, per cui “il Testo Unico Bancario conferisce alla Banca d'Italia ampi poteri sui sistemi di garanzia dei depositi” e “considerando che le autorità pubbliche dispongono del potere formale di richiedere l'intervento e di approvarlo nella sostanza per quanto concerne la sua conformità al mandato pubblico, la Commissione conclude che il ruolo della Banca d'Italia non può considerarsi limitato a un mero procedimento di carattere puramente informativo né a un mero controllo formale di validità e di legittimità”. 
[81] 
Ivi, § 144. 
[82] 
Ivi, § 155, per cui “la Commissione conclude pertanto che nessuna delle tre misure sarebbe stata adottata da un operatore in un'economia di mercato. L'assenza di un piano industriale o di qualsiasi prospettiva di rendimento è fondamentale ai fini di questa valutazione e non può che confermare tale conclusione”. 
[83] 
Cfr. ivi, § 165, per cui “questo vantaggio selettivo è stato concesso attraverso risorse statali mediante l'intervento del FITD, che è imputabile allo Stato”. 
[84] 
Cfr. ivi, art. 1 e §§ 225-226, per cui “le misure non prevedono la condivisione degli oneri richiesta a norma della comunicazione sul settore bancario del 2013 e non soddisfano i requisiti combinati necessari ai fini della compatibilità dell'aiuto alla ristrutturazione, ossia il ripristino della redditività a lungo termine, la limitazione dell'aiuto al minimo necessario e l'adozione di misure volte a limitare le distorsioni della concorrenza”. 
[85] 
Cfr. ivi, §§ 193 e 211, per cui “l’aiuto era indubbiamente non limitato al minimo necessario in quanto il bail-in dei prestiti subordinati non ha avuto luogo”. 
[86] 
Cfr. ivi, § 236 e artt. 2-3. 
[87] 
Oltre all’operazione “in sostituzione” realizzata per la soluzione della crisi di Tercas, lo Schema volontario è intervenuto, sempre nel 2016, nella ristrutturazione della Cassa di Risparmio di Cesena. 
[88] 
Cfr. artt. 43 sgg. dello Statuto del FITD. Lo schema è costituito nella forma dell’associazione non riconosciuta, opera presso la stessa sede del FITD, avvalendosi delle medesime strutture, ed ha una durata determinata. Le banche consorziate al FITD possono aderirvi in via volontaria e su base contrattuale. Lo Schema può intervenire attraverso la concessione di finanziamenti, il rilascio di garanzie, l’assunzione di partecipazioni e l’acquisizione di attività e passività, purché vi siano concrete prospettive di risanamento. 
[89] 
Cfr. D. Rossano, Il Tribunale UE boccia la Commissione europea sul caso Tercas, in Riv. trim. dir. econ., fasc. 2, 2019/II, p. 23. 
[90] 
 Tribunale UE, Terza sezione ampliata, 19 marzo 2019, cause riunite T-98/16, T-196/16 e T-198/16, Repubblica Italiana e a. v Commissione europea
[91] 
Ivi, § 132. 
[92] 
Ivi, § 161. 
[93] 
Ivi, §§ 96 e 100. 
[94] 
Ivi, §§ 116-117. 
[95] 
Cfr. D. Rossano, La Corte di Giustizia UE sul caso Tercas: oltre il danno, la beffa, in Riv. trim. dir. econ., fasc. 1, 2021/II, p. 9. 
[96] 
Corte di Giustizia (Grande Sezione), 2 marzo 2021, C-425/19 P, Commissione europea v Repubblica Italiana e a
[97] 
P.D.G. Carabellese, Crisi  bancarie  e  aiuti  di  Stato.  La  sentenza  Tercas:  Brussels  versus  Italy?,  in  Ordine internazionale e diritti umani, fasc. 4, 2019, pp. 717-718. Si veda anche C. Brescia Morra, Crisi bancarie e disciplina degli aiuti…, cit., p. 283, per cui “la Corte ha ampliato il novero degli strumenti per fronteggiare per il futuro crisi finanziarie”; e A. Vignini, State aid and deposit guarantee schemes. The CJEU decision on Tercas and the role of DGSs in banking crises, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale, Banca d’Italia, n. 85, 2019, p. 35, per cui “the time is ripe for a new role for the national DGSs in banking crisis management”. 
[98] 
D. Rossano, Il Tribunale UE boccia la Commissione…, cit., p. 30. 
[99] 
Cfr. A. Circolo, Gli aiuti di Stato nel settore bancario e l’affaire Tercas: quando finisce la discrezionalità e quando inizia la responsabilità, in rivista.eurojus.it, fasc. 2, 2021, p. 187. Per l’autore “Tercas ha posto in evidenza la necessità di realizzare un’ulteriore armonizzazione delle regole sugli SGD, al fine di renderne omogenei il ruolo e la funzione nei singoli ordinamenti interni”, ivi, p. 206. 
[100] 
I. Visco, Intervento del Governatore della Banca d’Italia all’Assemblea degli Associati dell’Associazione Bancaria Italiana, Milano, 12 luglio 2019, p. 11.
[101] 
Cfr. B. Kyer e G. Maggs, A note on Double-Dip Recession, in Atlantic Economic Journal, vol. 40 (2), 2012, p. 215.
[102] 
Cfr. De Bonis R., Marinelli G., Vercelli F., Banche italiane tra grande recessione e grande depressione, in 
lavoce.info, 4 aprile 2023, per i quali “Gli effetti sull’economia reale sono stati peggiori, ma il sistema bancario ha retto 
meglio alla grande recessione rispetto alla grande depressione”. 
[103] 
Relazione conclusiva (doc. XXIII n. 37) della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, istituita con la legge 12 luglio 2017, n. 107, approvata il 30 gennaio 2018, disponibile su https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1066723.pdf, ultima visita 22/01/2024.
[104] 
Secondo le stime dell’Eurostat in Italia l’impatto si aggira attorno ai 13 miliardi, ossia lo 0,8% del PIL, contro i 227 miliardi della Germania, corrispondenti al 7,2% del PIL tedesco.
[105] 
Aumenti di capitale furono deliberati da Carife nel 2011, da BM nel 2012, da BPEL nel 2013, da BPVi nel 2013 e nel 
2014, da VB nel 2014 e da MPS nel 2014 e nel 2015.
[106] 
T. Guerini, Capitale sociale e patrimonio di vigilanza nel delitto di formazione fittizia del capitale, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 4, 2019, p. 731/I. L’autore effettua una ricostruzione del delitto di formazione fittizia del capitale ex art. 2632 c.c., dando conto di una lettura volta ad estendere il portato normativo, al fine di ricomprendere condotte sospette di aumento del capitale. Secondo tale lettura, il valore sulla base del quale considerare integrata la fattispecie delittuosa in questione “non sarebbe il capitale nominale, bensì il capitale regolamentare o patrimonio di vigilanza, ovvero una voce assai più ampia, che viene intaccata tanto dall’acquisto di azioni proprie, quanto nel caso di sottoscrizione c.d. baciata di azioni”.
[107] 
Uno dei riferimenti è alla c.d. garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze (GACS), disposta dal governo con il D.L. 14 febbraio 2016, n. 18, che ha attribuito al MEF il potere di concedere una garanzia statale per agevolare la cessione ad apposite società di cartolarizzazione dei c.d. non-performing loans (i crediti deteriorati) da parte delle banche, liberandone così i bilanci e di conseguenza migliorandone i coefficienti di capitale. La garanzia, onerosa e a condizioni di mercato, non costituisce aiuto di Stato per effetto di un’apposita autorizzazione in tema rilasciata dalla Commissione europea e poi rinnovata di anno in anno. Il tema dei NPL è molto rilevante: si consideri che, tra il 2015 e il 2016, i crediti deteriorati delle banche italiane ammontavano a circa 360 miliardi. Di tale garanzia si sono giovati numerosi enti creditizi, tra cui: Banca Popolare di Bari nel 2016, Monte dei Paschi di Siena, Unicredit, Banco BPM, UBI Banca e Carige. Per un approfondimento, cfr. B. Inzitari, Crediti deteriorati (NPL), aiuti di Stato nella BRRD e nella Comunicazione sul settore bancario del 30.07.2013 della Commissione europea, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 6, 2016/I, p. 641; e G. Consoli, La GACS – Garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, in La gestione delle crisi bancarie…, cit., p. 457. 
[108] 
Per una compiuta ricostruzione della vicenda cfr. la Relazione conclusiva (doc. XXIII n. 37) e la Relazione di minoranza (doc. XXIII n. 37 bis) della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, cit., passim. Si veda inoltre C. Barbagallo, Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, testo dell’audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta del Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia, dottor Carmelo Barbagallo, 12 dicembre 2017, disponibile su https://www.bancaditalia.it/interventi/altro-personale/interventi/index.html, ultima visita 22/01/2024. 
[109] 
Nei cinque anni precedenti il commissariamento, Banca d’Italia condusse ben diciotto ispezioni, distribuite tra i quattro istituti di credito.
[110] 
Relazione conclusiva, cit., p. 22.
[111] 
 Quanto a BPEL, la Corte d’Appello di Firenze, il 10 novembre 2022, ha accolto la richiesta di patteggiamento a 3 anni e 4 mesi di reclusione, per bancarotta fraudolenta, per l’ex presidente Giuseppe Fornasari e l’ex direttore generale Luca Bronchi. Il Tribunale di Arezzo, il 1° ottobre 2021, aveva invece assolto, nel processo principale, 22 imputati su 23 perché “il fatto non sussiste”, condannando per bancarotta fraudolenta solo Alberto Rigotti, ex consigliere della banca, a 6 anni di reclusione: contro questa decisione pende l’appello. Nel filone riguardante le consulenze per la fusione di BPEL con BPVi, il 15 giugno 2022, il Tribunale di Arezzo ha assolto con formula piena tutti e 14 gli imputati, compreso l’ex vicepresidente P.L. Boschi: anche contro questa decisione pende l’appello.
Quanto a Banca delle Marche (e alla controllata Medioleasing), il Tribunale di Ancona, il 23 gennaio 2023, ha condannato per bancarotta fraudolenta sei imputati, tra cui l’ex direttore generale Massimo Bianconi a 10 anni e 6 mesi (già condannato in appello per corruzione tra privati, reato poi dichiarato estinto per prescrizione dalla Cassazione); ha invece assolto altri sei imputati, tra cui l’ex presidente G.M. Ambrosini.
Quanto a Carife, la Corte di Cassazione, con sentenza 22 settembre 2022, n. 1063, ha assolto l’ex presidente Sergio Lenzi, dichiarando prescritto il reato di ostacolo alla vigilanza per cui era stato condannato in primo e secondo grado dal Tribunale e dalla Corte d’Appello di Bologna, essendosi i reati di aggiotaggio e falso in prospetto già prescritti nei primi gradi di giudizio; ha invece confermato la condanna per l’ex direttore generale Daniele Forin.
Quanto a CariChieti la vicenda ha preso pieghe differenti, in quanto i pubblici ministeri F. Testa e G. Falasca, auditi presso la Commissione d’inchiesta, riferirono di aver condotto indagini principalmente sui commissari straordinari nominati dalla Banca d’Italia, indagandoli per bancarotta per dissipazione, ossia per aver effettuato eccessive svalutazioni (per 243 milioni) sui crediti deteriorati della banca, svalutazioni che hanno poi portato alla risoluzione. Le indagini si sono poi concluse con l’archiviazione. Con riferimento ad un successivo filone di indagini, in ogni caso, il Tribunale di Chieti, nel gennaio 2021, ha assolto l’ex direttore generale Francesco di Tizio; lo stesso dicasi per il Tribunale di Potenza, che ha assolto nel dicembre 2020, in parte con formula piena, in parte per prescrizione, gli altri imputati, tra cui l’ex vicedirettore generale G. Marone.
[112] 
GU Serie Generale n. 149 del 27-06-2013, p. 79. Per Carife l’accertamento ispettivo condotto nel febbraio 2013 dalla Banca d’Italia si era concluso con un giudizio sfavorevole (6, in una scala da 1 a 6). Dall’ispezione era emerso che i crediti anomali si attestavano al 34% degli impieghi totali, di cui oltre un quinto erogato a imprese estranee all’area di storico insediamento; inoltre, l’aumento di capitale del 2011 era stato sottoscritto per il 15% da istituti di credito di cui Carife aveva a sua volta acquisito azioni ed obbligazioni.
[113] 
GU Serie Generale n. 292 del 13-12-2013, p. 25. Anche per Banca delle Marche l’accertamento ispettivo si era concluso nel settembre 2013 con un giudizio massimamente sfavorevole, che aveva evidenziato crediti deteriorati per il 31,3% e una riduzione del Total capital ratio al 6,7% e del Tier 1 al 4,3%.
[114] 
GU Serie Generale n. 266 del 15-11-2014, p. 20. Stessa sorte per CariChieti, i cui accertamenti ispettivi nel febbraio 2014 avevano evidenziato crediti deteriorati al 32%, elargizioni discrezionali ad esponenti e dipendenti in violazione delle normative di vigilanza, omesse comunicazioni alle autorità di vigilanza e anomalie nella gestione dei rapporti con parti correlate.
[115] 
GU Serie Generale n. 71 del 26-03-2015, pp. 22-23. Per BPEL la strada era stata più travagliata, dal momento che a seguito di accertamenti ispettivi conclusisi nel 2013 con giudizio in prevalenza sfavorevole (5, in una scala da 1 a 6), l’istituto aveva avviato la ricerca di un partner sul mercato (identificato con BPVi), poi rivelatasi infruttuosa. La Banca d’Italia aveva dunque avviato una nuova indagine nel novembre 2014, conclusasi con un giudizio massimamente sfavorevole. L’ispezione aveva evidenziato crediti deteriorati al record di 42,4% degli impieghi, una perdita consolidata stimata in oltre 500 milioni e un Total capital ratio del 1,3%.
[116] 
C. Barbagallo, Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca delle Marche…, cit., p. 17.
[136] 
Cfr. TAR del Lazio, sez. II-quater, 30 dicembre 2016, sent. nn. 12882, 12884, 12890 e 7 gennaio 2017, sent. nn. 165 e 166, con cui sono stati respinti i ricorsi contro i provvedimenti di risoluzione di BM, CariChieti, CariFerrara e BPEL, depositati dagli azionisti e dagli obbligazionisti subordinati delle quattro banche. Per una compiuta ricostruzione si veda O. Capolino, La gestione delle recenti crisi bancarie in Italia: finanziamento degli interventi e nuovo quadro regolamentare europeo, in Innovazione e Diritto, fasc. 5/II, 2017, p. 200.
[137] 
Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 24 gennaio 2019, sent. n. 582/2019, con cui furono rigettati gli appelli proposti contro i pronunciamenti di primo grado riguardanti BM e CariChieti, in parte in quanto improcedibili (la vendita degli enti-ponte ad UBI Banca si era già verificata e la procedura di risoluzione era terminata), in parte in quanto infondati (mancanza di soluzioni alternative e impossibilità di intervento del FITD).
[138] 
Cfr. Corte Suprema di Cassazione, SS.UU. civili, 4 aprile 2022, sentenze gemelle nn. 10847, 10849 e 10852/2022, con cui vengono dichiarati inammissibili, e financo temerari, i ricorsi per Cassazione avverso la citata sentenza del Consiglio di Stato e avverso l’azzeramento delle proprie partecipazioni in BM e CariChieti, proposti dalle Fondazioni delle Casse di Risparmio di Pesaro, di Jesi e di Chieti.
[139] 
I ricorrenti lamentavano infatti la mancata considerazione, da parte della Banca d’Italia, dell’opzione relativa ad un intervento del FITD, da considerarsi quale intervento alternativo al rimborso dei depositanti, volto a risanare gli istituti. Doglianza ritenuta infondata, dal momento che un intervento del FITD, disposto in assenza dell’approvazione della Commissione europea, avrebbe comportato la necessità, ai sensi delle norme contabili, di effettuare accantonamenti prudenziali di importo pari a quello dell’intervento, vanificandolo di fatto; ciò senza considerare che la BCE, in qualità di autorità competente, non avrebbe mai rilasciato l’autorizzazione in assenza del consenso della Commissione.
[140] 
TAR del Lazio, sez. II-quater, 30 dicembre 2016, sent. n. 12855 che, citando espressamente la sentenza Kotnik della Corte di Giustizia, esclude la lesione del diritto di proprietà e del legittimo affidamento da parte di quelle misure che avevano inciso sugli azionisti ed obbligazionisti subordinati dei quattro istituti, dal momento che entrambi questi soggetti, seppur in misura diversa, “assumono il rischio dell’investimento e sono responsabili per le passività della banca fino a concorrenza del capitale sociale”.
[141] 
TAR Lazio, sent. n. 166/2017, cit.
[142] 
F. Capriglione, La nuova gestione delle crisi bancarie…, cit., nella versione integrata pubblicata in Rivista trim. dir. econ., fasc. 2, 2017, p. 161, il quale, citando altri pronunciamenti del giudice civile riguardanti CariChieti, sottolinea l’emersione di uno scenario caratterizzato da profili di significativa incoerenza nell’applicazione della procedura di risoluzione.
[143] 
Nel senso dell’ammissione della responsabilità dell’ente-ponte per dette pretese risarcitorie, cfr. I. Mecatti, La responsabilità dell'ente ponte per le pretese risarcitorie degli azionisti di banche sottoposte a risoluzione, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 5, 2018, p. 610; e P. FIORIO, op. cit. Per un’opinione contraria, cfr.: S. Bonfatti, Crisi bancarie in Italia 2015-2017, in Rivista di Diritto Bancario, fasc. 2, 2018, p. 247 e ID., Risoluzione della banca “in crisi”: la responsabilità degli “Enti Ponte” (e delle banche incorporanti) è regolata dalla disciplina della cessione di azienda, in Rivista di Diritto Bancario, fasc. 3/II, 2018, p. 29; P. Carrière, “Passività”, “responsabilità”, “soggezione” alla ricerca di corretti criteri di imputazione nella circolazione dell’azienda bancaria. Osservazioni critiche a margine della prima giurisprudenza sulle “Quattro Banche” (…ma anche sulle “Due Venete”), in Rivista di Diritto Bancario, dirittobancario.it, 11, 2018; e M. De Poli, Crisi bancaria, ente ponte e pretese risarcitorie degli azionisti, in Le Società, fasc. 2, 2020, p. 211.
[144] 
Cfr. Arbitro per le controversie finanziarie, ACF, gennaio 2018, decisioni dalla n. 165 alla n. 180, e nn. 186, 187, 188, 231, 232, 233 e 234, disponibili su acf.consob.it, ultima visita 22/01/2024.
[145] 
Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa “B”, 8 novembre 2017, sent. n. 11173/2017. Conformemente, cfr.: Tribunale di Ferrara, Sezione civile, 31 ottobre 2017, ordinanza n. 2029, per cui “parte attrice non agisce per ottenere il rimborso delle azioni, pacificamente escluso dalla normativa, ma per chiedere il risarcimento del danno derivato da un inadempimento della banca ad obblighi informativi”; e ACF, 9 gennaio 2018, decisioni nn. 165, 166, 167, 168, 169 e 170 e 10 gennaio 2018, decisione n. 175.
[146] 
P. Fiorio, op. cit.
[147] 
Il che dimostrerebbe che ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. Ma, sottolinea M. De Poli, op. cit., l’inserimento di detta norma da parte del legislatore sarebbe invece sintomatica della consapevolezza di dover chiarire ex post, ciò che già era inteso ex ante ma che non si era avuto il tempo di dettagliare.
[148] 
Provvedimento della Banca d’Italia, 22 novembre 2015, n. 1241108/15, di cessione all’ente-ponte dei diritti e passività di Banca delle Marche (omografo a quello delle altre tre banche). Rileva opportunamente in tema I. Mecatti, op. cit., p. 620, come il riferimento operato dai giudici sia ad una parte non pubblicata del provvedimento di cessione, dal momento che la versione integrale non appare neanche sul sito della Banca d’Italia, ma è invece visibile nel corpo delle decisioni citate (Trib. Milano 11173/2017 et al.).
[149] 
Corte d’Appello di Milano, 28 febbraio 2019, sent. n. 917/2019, con cui è stata integralmente riformata la sent. 11173/2017 del Tribunale di Milano. Di uguale parere molte successive sentenze, ex multis, Tribunale di Perugia, II sezione civile, 24 gennaio 2022, sent. n. 7646.
[150] 
Cfr. P. Carrière, op. cit. p. 36, il quale evoca un’intollerabile “responsabilità oggettiva del cessionario dell’azienda bancaria che prescinda da ogni elemento di colpevolezza e di imputabilità della condotta”; S. Bonfatti, op. cit., passim; e M. De Poli, op. cit., passim.
[151] 
Così anche Corte d’Appello di Milano, sent. cit., per cui “a questa Corte appare dunque evidente come la ratio della disciplina debba essere individuata nell’esigenza di garantire la prosecuzione dell’attività dell’ente sottoposto a risoluzione”.
[152] 
Cfr. S. Bonfatti, op. cit., p. 13, il quale ritiene applicabile anche al caso di specie la disciplina civilistica dell’art. 2560 c.c., che non ritiene in contrasto con l’art. 58 TUB. La deroga operata dal TUB “riguarda bensì il carattere liberatorio o meno dell’operazione di dismissione per il cedente (dove nel diritto comune il cessionario gli si affianca, mentre nel diritto speciale bancario il cessionario gli si sostituisce): ma non c’è ragione per ritenere derogata anche la disciplina della determinazione del perimetro” della cessione ai crediti derivanti dalle scritture contabili obbligatorie.
[153] 
Cfr. Corte Suprema di Cassazione, 29 ottobre 2010, sent. n. 22199; 16 maggio 2016, n. 9964 e, soprattutto, 31 gennaio 2017, n. 2523. Per una pronuncia di merito conforme, cfr. Tribunale di Milano, sent. cit. e Corte d’Appello di Milano, sent. cit., per cui “ci si trova di fronte ad una cessione sui generis (…) a cui non potrebbe applicarsi la disciplina generale di cui all’art. 2560 c.c.”.
[154] 
Cfr. I. Mecatti, op. cit., la quale sottolinea, altresì, come l’art. 47, comma 3, D.Lgs. n. 180/2015, richiama l’art. 58 TUB solo per ciò che attiene il suo 3° comma, ossia i crediti ceduti, derogando invece a numerose ed altre norme civilistiche sulle passività cedute ed i contratti inclusi nella cessione. In effetti, il comma 5 dell’art. 47 recita: “se la cessione ha oggetto passività, il cedente è liberato dagli obblighi di adempimento anche in deroga agli articoli 1278, 2112, 2558 e 2560 del Codice civile”.
[155] 
L. Boggio, Bail-in all’italiana: la good bank risponde dei danni causati agli azionisti “azzerati”, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 5, 2018, p. 610. L’autore correttamente osserva come.
[156] 
Tribunale UE, Terza sezione, 30 giugno 2021, T-635/19, Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro e a. contro Commissione europea; e Corte di Giustizia, Terza sezione, 27 aprile 2023, C-549/21 P, Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro e a. contro Commissione europea. Entrambe le pronunce fondano il respingimento della domanda sull’asserito difetto di prova del nesso di causalità tra la condotta della Commissione e il danno lamentato dai ricorrenti. Inoltre, secondo i giudici, tale danno trova la sua causa efficiente nel dissesto stesso di BM e nella situazione emergenziale che lo Stato italiano dovette affrontare a causa del pessimo stato di salute del sistema bancario: in altre parole, la decisione di procedere alla risoluzione risulta imputabile solo alle autorità italiane, che l’hanno assunta autonomamente. Non è del tutto irragionevole ipotizzare che queste pronunce svelino, in realtà, un’eterogenesi dei fini, primo fra tutti quello di evitare rischiose azioni di danno contro le istituzioni europee, così M. De Poli, Caso Tercas: la commedia degli equivoci e degli inganni ed il tempo dell’illusione (svanita), in Dialoghi di Diritto dell’Economia, luglio 2021, in dirittobancario.it, p. 10.
[157] 
S. Maccarone, La gestione delle crisi bancarie tra Diritto Europeo e Norme Interne, in Dir. banc. e merc. fin., fasc. 1, 2018, p. 24.
[158] 
Tale da delineare “un quadro di attività fraudolente volte a dissimulare la reale situazione economico-finanziaria dell’emittente, nonché gli esiti negativi di operazioni poste in essere dalla stessa (…) in un quadro gestionale già appesantito da notevoli esposizioni in titoli di Stato e da un significativo deterioramento degli impieghi”, cfr. A. Apponi, Audizione del dottor Angelo Apponi, direttore generale della Consob presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, Resoconto stenografico n. 15, 21 novembre 2017, p. 25, disponibile su https://www.parlamento.it/Parlamento/1191?shadow_organo=421917, ultima visita 22/01/2024.
[159] 
Relazione di minoranza della Commissione parlamentare di inchiesta…, cit., p. 66. Conformemente, sul punto, cfr. anche: la Relazione conclusiva, cit., p. 17 e C. Barbagallo, Banca Monte dei Paschi di Siena, testo dell’Audizione del Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia, dottor Carmelo Barbagallo, presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, 22 dicembre 2017, disponibile su https://www.bancaditalia.it/interventi/altro-personale/interventi/index.html, ultima visita 22/01/2024.
[160] 
Cfr. Relazione conclusiva, cit., p. 20: “L’attività di vigilanza della Consob su MPS ha riguardato tutte le più significative operazioni societarie e di finanza strutturata, dal momento che ha avuto impatto sugli aumenti di capitale e sui prospetti informativi (…). Tuttavia, la Commissione ha potuto constatare come gli interventi attuati dalla stessa Consob non abbiano portato all’individuazione tempestiva di quelle criticità che solo l’autorità giudiziaria ha poi accertato”. Conformemente, anche la Relazione di minoranza, cit., p. 75, che sottolinea “un atteggiamento delle autorità preposte che sembra ispirato ad un inspiegabile approccio formale e ad una grave difficoltà nella condivisione piena, leale, trasparente e tempestiva delle acquisizioni rispettive, quasi dominato da una gelosa attenzione per i reciproci confini”.
[161] 
Secondo i tecnici il valore effettivo di Antonveneta si aggirava attorno ai 2,3 miliardi. Le quotazioni esorbitanti erano del tutto slegate da qualsivoglia valutazione degli impatti sui conti consolidati ed erano frutto di una moltiplicazione aritmetica del valore di ciascuno sportello per il numero degli stessi. Parla di acquisizione “sostanzialmente a scatola chiusa” il colonnello della Guardia di finanza Pietro Bianchi, cfr. Relazione di minoranza, cit., p. 67. Come conseguenza di questa sventurata acquisizione, la banca fu poi costretta a svalutare gli avviamenti iscritti in bilancio per circa 4,3 miliardi.
[162] 
Il TROR è un contratto di swap che presuppone la presenza di uno strumento o un credito rischioso sottostante, in questo caso i FRESH stessi: tale contratto permette ad una parte, il c.d. protection buyer, di scambiare tutti i (futuri ed eventuali) flussi di cassa generati dai rischiosi titoli sottostanti posseduti con ulteriori flussi di cassa, questa volta di ammontare predeterminato e senza rischio, versati dalla controparte, il c.d. protection seller. Questa complessa operazione di scambio, swap per l’appunto, comporta il passaggio del rischio di credito dal protection buyer al protection seller, permettendo al contempo al buyer di mantenere nel portafoglio la posizione sottostante e ottenere flussi di cassa costanti e predeterminati, cfr. Total Rate of Return Swap, Borsa Italiana, disponibile su https://www.borsaitaliana.it/borsa/glossario/total-rate-of-return-swap.html, ultima visita 22/01/2024.
[163] 
Il repo, o pronti contro termine, è un contratto di prestito collateralizzato, ossia garantito da un titolo sottostante, con cui le parti si accordano per effettuare due operazioni in senso contrario, di acquisto e di vendita di titoli a pronti e a termine, a prezzi prestabiliti: una parte vende un titolo a controparte, a fronte di un pagamento in contanti (operazione a pronti), impegnandosi a riacquistarlo ad un prezzo fisso ad una certa scadenza (operazione a termine). Il term structured repo, invece, permette di finanziare investimenti a lungo termine ed è così strutturato: una banca acquista da controparte titoli (di regola, di Stato), il cui rischio di tasso di interesse viene coperto da un derivato sottostante (c.d. interest rate swap) stipulato con la stessa controparte e il finanziamento per l’acquisto dei quali viene realizzato con un’operazione repo, di pronti contro termine passiva, sempre con la medesima controparte, che viene remunerata dal versamento di un tasso d’interesse incrementato di una percentuale. I term structured repo espongono la banca a vari profili di rischio: rischio di credito nei confronti dell’emittente dei titoli e rischio di liquidità, mentre il rischio di mercato è coperto da contratti di swap, cfr. Documento Banca d’Italia/Consob/IVASS n. 6 dell’8 marzo 2013, Trattamento contabile di operazioni di “repo strutturati a lungo termine”, disponibile su https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/accordi/Documento-6-Tavolo-IAS-IFRS.pdf, ultima visita 22/01/2024.
[164] 
Considerata l’estrema complessità delle operazioni, nell’ambito del Tavolo di coordinamento fra Banca d’Italia, Consob ed IVASS in materia di applicazione dei principi contabili internazionali, fu emanato un documento congiunto, nel marzo 2013, finalizzato a garantire trasparenza nella redazione dei documenti contabili riguardanti le operazioni di term structured repo, cfr. nota precedente.
[165] 
Gli investimenti in titoli di Stato italiani si incrementano dai 4 miliardi del 2008, ai quasi 16 miliardi del 2009, fino a giungere ai 25,9 miliardi nel 2012: è evidente come la crisi del debito sovrano abbia, per MPS, rappresentato il de profundis. Infatti, l’incidenza dei titoli di Stato sul patrimonio di vigilanza di MPS era pari, nel 2011, al 210%, più del doppio rispetto alla media delle banche italiane. Di conseguenza, la valutazione al fair value dei titoli di Stato dopo la crisi evidenziò un impatto negativo sulle riserve per circa 3,7 miliardi, cfr. A. Apponi, Audizione…, cit., p. 20.
[166] 
Curiosamente, in seguito alla risoluzione del rapporto con il direttore generale A. Vigni, gli organi di amministrazione e controllo dell’istituto deliberarono la corresponsione allo stesso di un compenso di 4 milioni, che sfocerà nella comminazione di sanzioni da parte della Vigilanza per 1,3 milioni, cfr. Relazione conclusiva, cit., p. 18.
[167] 
 Per l’allora colonnello della Guardia di finanza Pietro Bianchi vi erano “una realtà sul tavolo che viene manifestata con una serie di contratti ben articolati e una realtà che invece viene sconfessata da un’altra serie di contratti non esibiti all’organo di vigilanza”, con cui MPS e JP Morgan da una parte formalmente acconsentivano alle modifiche richieste dalla Banca d’Italia per approvare l’operazione, dall’altra celatamente si accordavano in senso opposto. Infatti, a tal proposito, furono firmate da MPS, nella persona del suo allora presidente Giuseppe Mussari, tre indemnity side letters, opportunamente celate alle autorità, con cui si rilasciavano garanzie in favore di JP Morgan e Bank of New York (per esempio assicurando a JP Morgan il rimborso dei bond da parte di MPS in caso di default dei sottoscrittori). Cfr. P. Bianchi, Audizione del colonnello della Guardia di finanza Pietro Bianchi, già responsabile del Nucleo di polizia valutaria nell’ambito dell’indagine su Monte dei Paschi di Siena presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, Resoconto stenografico n. 14, 17 novembre 2017, p. 10, disponibile su https://www.parlamento.it/Parlamento/1191?shadow_organo=421917, ultima visita 22/01/2024.
[168] 
Relazione conclusiva, cit., p. 18. Si tenga presente che, computando correttamente l’operazione FRESH al passivo, all’epoca dell’acquisto di Antonveneta MPS non avrebbe potuto vantare coefficienti patrimoniali conformi alle disposizioni di vigilanza, avendo un Core Tier 1 di 7,8% verso un limite minimo legale dell’8%.
[169] 
Imputati di aver diffuso al mercato notizie false volte ad alterare il prezzo delle azioni. Per tali condotte l’allora presidente di Monte dei Paschi di Siena Giuseppe Mussari, in concorso con l’ex direttore generale A. Vigni, l’ex direttore finanziario D. Pirondini e l’ex responsabile dell’area finanza G. Baldassarri, furono indagati dalle autorità per ostacolo all’autorità di vigilanza, falso in prospetto, false comunicazioni sociali, aggiotaggio e manipolazione del mercato. La complessa vicenda giudiziaria legata al crac di MPS non si è ancora conclusa: condannati a pene severe nei due filoni di primo grado, dal Tribunale di Siena nell’ottobre 2014 e dal Tribunale di Milano nel novembre 2019, gli imputati sono stati poi assolti sia dalla Corte d’Appello di Firenze nel dicembre 2017 e nuovamente dalla stessa Corte, dopo un rinvio della Cassazione, nel luglio 2022, sia dalla Corte d’Appello di Milano nel maggio 2022, financo “per non aver commesso il fatto”. Contro quest’ultimo pronunciamento, che è stato accolto da numerose polemiche, è stato presentato un corposo ricorso per Cassazione, sia dalla Procura generale di Milano sia dalla Consob.
[170] 
L’operazione Santorini si concluse nel dicembre 2013, mediante la stipula di un accordo transattivo tra MPS e Deutsche Bank; l’operazione Alexandria nel settembre 2015, con un eguale accordo tra MPS e Nomura, cfr. Relazione conclusiva, cit., p. 19. È per questa ultima operazione che la procura di Milano avviò un procedimento penale a carico del presidente Alessandro Profumo e dell’amministratore delegato F. Viola, poi condannati in primo grado dal Tribunale di Milano, 15 ottobre 2020, sent. n. 10748, per false comunicazioni sociali e aggiotaggio. L’11 dicembre 2023 la Corte d’Appello di Milano, riformando integralmente la sentenza di prime cure, ha infine assolto entrambi gli imputati “perché il fatto non sussiste”.
A chiosa della vicenda, pare non potersi esimere dal menzionare l’episodio forse più inquietante della crisi senese, ancor’oggi avvolto da un certo alone di mistero: ci si riferisce al decesso di David Rossi, ex responsabile dell’Area comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, avvenuto il 6 marzo 2013, dopo che lo stesso precipitò dalla finestra del suo ufficio presso la sede centrale della banca, Rocca Salimbeni. L’episodio è avvenuto “certamente in connessione, evidentemente non solo cronologica, con le indagini all’epoca in corso e con i soggetti che apparivano poter essere coinvolti, in correlazione ad una serie di controverse comunicazioni e tentativi di contatti con l’amministratore delegato dell’epoca, dottor Viola, riguardanti proprio i riflessi delle indagini in corso”, cfr. Relazione di minoranza, cit., p. 71. Sulle misteriose circostanze legate al decesso hanno indagato e stanno tutt’ora indagando sia l’autorità giudiziaria requirente, la quale archiviò inizialmente l’inchiesta in quanto giunta alla conclusione che si trattasse di un suicidio, sia due Commissioni parlamentari monocamerali di inchiesta costituite ad hoc presso la Camera dei deputati, la Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di David Rossi istituita nel marzo 2021 durante la XVIII legislatura e una medesima Commissione di eguale denominazione, nuovamente istituita di recente nel marzo 2023. Secondo la Relazione sull’attività svolta dalla prima Commissione, doc. XXII-bis n. 4, approvata dalla Commissione nella seduta del 15 settembre 2022, disponibile su https://www.camera.it/leg18/168, ultima visita 22/01/2024, si evidenzia come le lesività riportate sul corpo di David Rossi “se da un lato non possono essere utilizzate per imputare la precipitazione all’azione violenta di terze persone, dall’altro costituiscono elemento non compatibile con la precipitazione”, p. 119. Ancora, vengono rilevate numerose perplessità, non adeguatamente vagliate, a parere della Commissione, dalla procura della Repubblica di Siena, “essendo emerso che, appena 2 minuti e 17 secondi dopo la precipitazione al suolo del dottor Rossi, due dipendenti della banca sono usciti dall’edificio utilizzando il varco secondario sito in piazza dell’Abbadia”, p. 124; detta Procura, per di più, “avrebbe potuto cercare di risalire all’identità di coloro che vengono immortalati nel video da sempre presente agli atti d’indagine. Si sarebbe potuto procedere, in tal modo, all’individuazione della persona che si vede affacciarsi nel vicolo Monte Pio e che, dopo aver rivolto lo sguardo verso il corpo di David Rossi, con il telefonino (o soltanto la mano) all’orecchio, si allontana senza nulla fare”, p. 131.
[171] 
Recante “Misure urgenti in materia di efficientamento, valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, di razionalizzazione dell'amministrazione economico-finanziaria, nonché misure di rafforzamento del patrimonio delle imprese del settore bancario”. Il D.L. è poi decaduto per mancata conversione, ma gli effetti sono stati fatti salvi dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che convertiva a sua volta in legge il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante “disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”.
[172] 
I Monti bond, disciplinati dal D.L. n. 95/2012, furono ideati per consentire a MPS di soddisfare le raccomandazioni dell’ABE: essi erano uno strumento obbligazionario ibrido emesso da MPS e sottoscritto MEF, con alti tassi di interesse (attorno al 9%) ed irredimibili, che permettevano dunque alla banca di reperire le risorse di cui aveva bisogno, computandoli nel Core Tier 1. Sostituirono i già noti Tremonti bond, strumenti del tutto coincidenti. Cfr. Monti bond, Bankpedia (Enciclopedia online di Banca Borsa e Finanza), ASSONEBB, disponibile su https://www.bankpedia.org/index.php/it/, ultima visita 22/01/2024.
[173] 
I NSF furono poi rimborsati integralmente da MPS con tempistiche accelerate rispetto a quelle previste nel piano di ristrutturazione presentato alla Commissione europea, in due tranches: nel 2014, per 3 miliardi, resi disponibili dall’aumento di capitale di 5 miliardi; e nel 2015 per la parte rimanente, resa disponibile dal successivo ed ulteriore aumento di capitale di 3 miliardi realizzato in quell’anno. Cfr. C. Barbagallo, op. cit., p. 14.
[174] 
I risultati dello stress test sono interamente disponibili sul sito dell’ABE, all’indirizzo https://www.eba.europa.eu/risk-analysis-and-data/eu-wide-stress-testing/2014, ultima visita 30/04/2023 e mostrano per MPS, un CET1 ratio in scenario avverso pari al -3,5%.
[175] 
In occasione del quale, la BCE, che aveva nel frattempo assunto la vigilanza diretta sull’istituto per tramite del SRM, richiese a MPS un innalzamento del CET1 ratio al 10,2%, unitamente al divieto di distribuzione di dividendi e all’impegno di ridurre le attività deteriorate.
[176] 
L’ammontare dei crediti deteriorati continuò, infatti, ad aumentare vertiginosamente: il rapporto tra le sofferenze ed il totale dei crediti subì costanti incrementi dal 14,7% del 2011, al 31,7% del 2014, fino a giungere al picco massimo del 34,8% del 2015, contro una media europea costantemente attorno al 17%, cfr. A. Apponi, Audizione…, cit., p. 22. 
[177] 
L’ABE evidenzia un capitale di qualità primaria, in caso di scenario negativo, pari al -2,23% delle attività ponderate per il rischio. I risultati sono disponibili all’indirizzo https://www.eba.europa.eu/risk-analysis-and-data/eu-wide-stress- testing/2016, ultima visita 22/01/2024. Si è sottolineato come uno dei requisiti per l’accesso alle misure di sostegno finanziario pubblico straordinario sia la solvibilità dell’ente, che per MPS sarebbe stata dimostrata proprio dagli stress test: fa giustamente notare S. MACCARONE, La gestione delle crisi bancarie tra Diritto Europeo…, cit., p. 14, come lo stress test altro non sia che una simulazione, connotata comunque da elevati margini di discrezionalità nella delineazione dello scenario e della conseguente valutazione, con ciò sollevando dubbi circa l’effettiva condizione di solvibilità di MPS alla data di accesso alla ricapitalizzazione precauzionale. 
[178] 
È il c.d. Progetto Charles, che prevedeva, tra le altre, la riqualificazione del portafoglio crediti mediante una cessione delle sofferenze.
[179] 
 Il D.L. è stato poi convertito dalla legge 17 febbraio 2017, n. 15. 
[180] 
Per un esame approfondito, cfr. R. Motroni, Le garanzie statali su passività di nuova emissione nel DL 237/2016, in La gestione delle crisi bancarie…, cit., p. 471. Tale strumento era, per la verità, già conosciuto all’ordinamento italiano fin dal Governo Monti, che aveva approvato il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, il quale, all’art. 8, riconosceva alle banche in crisi di liquidità la facoltà di richiedere un sostegno statale. 
[181] 
Le caratteristiche sono conformi al punto 59 della Banking Communication e prevedono che gli strumenti finanziari: a) siano emessi successivamente all’entrata in vigore del citato D.L. e abbiano durata residua non inferiore a tre mesi e non superiore a cinque anni, o a sette per il caso di obbligazioni bancarie garantite; b) prevedano il rimborso del capitale in un’unica soluzione a scadenza; c) abbiano tasso fisso; d) siano denominati in euro; e) non presentino clausole di subordinazione; f) non siano titoli strutturati o incorporanti componenti derivate.
[182] 
R. Motroni, op. cit., p. 478. 
[183] 
E. Rulli, Contributo allo studio della disciplina…, cit., p. 193. 
[184] 
Disponibile su https://www.ecb.europa.eu/mopo/ela/, ultima visita 22/01/2024. 
[185] 
Risulta opportuno notare come, ex art. 20 d.l. 237/2016, il MEF non sia soggetto né ai limiti di possesso azionario previsti dal TUB, né all’obbligo di effettuare un’OPA totalitaria al superamento di determinate soglie di partecipazione, né, infine, alla disciplina sull’ammissione di nuovi soci. Per un esame approfondito del rafforzamento patrimoniale tramite acquisto pubblico di azioni, cfr. F. Guarracino, Le misure di sostegno finanziario pubblico straordinario, in La gestione delle crisi bancarie…, cit., p. 428.
[186] 
Ex art. 15 del D.L. 237/2016, deve indicarsi: il numero di azioni di cui si richiede l’acquisto o la sottoscrizione, l’entità del patrimonio netto, gli strumenti che saranno oggetto di conversione o azzeramento, una relazione di stima predisposta da un esperto indipendente sul valore delle attività e passività dell’ente e l’impegno a rispettare la disciplina sugli aiuti di Stato. 
[187] 
Decisione della Commissione europea, C(2017) 4690 final, 4 luglio 2017, relativa all’aiuto di Stato SA.47677 e recante New aid and amended restructuring plan of Banca Monte dei Paschi di Siena, con cui l’aiuto di Stato viene ritenuto compatibile con l’art. 107, par. 3, lett. b, TFUE. Il piano di ristrutturazione prevedeva un ritorno al pareggio di bilancio per il 2018 e il raggiungimento di un utile di esercizio nel 2019; parte integrante del piano erano una lista di impegni assunti dal governo italiano e finalizzati a ridurre le distorsioni concorrenziali derivanti dal supporto pubblico. 
[188] 
La partecipazione del MEF in Banca MPS era, alla data di novembre 2023, del 64,23%: nel corso del medesimo mese il MEF ha, infine, accelerato le operazioni di dismissione della propria partecipazione al capitale della banca senese, collocando, presso investitori istituzionali, il 25% delle proprie azioni. Ad oggi, dunque, la partecipazione pubblica è scesa al 39,23%. Vi è da rilevare che, nel novembre 2022, la Banca aveva concluso con successo un aumento di capitale da 2,5 miliardi (il settimo in 14 anni) che il MEF dovette coprire per 1,6 miliardi, in virtù della propria partecipazione.
[189] 
E. Rulli, Contributo allo studio della disciplina…, cit., p. 188. 
[190] 
Relazione di minoranza, cit., p. 50. 
[191] 
Ivi, p. 52. Sulle mancanze e le deficienze delle autorità di vigilanza cfr. anche Relazione conclusiva, cit., p. 24. Pare opportuno sottolineare come le audizioni, presso la Commissione d’inchiesta, del dottor Barbagallo, capo del Dipartimento Vigilanza della Banca d’Italia, e del dottor Apponi, direttore generale della Consob, abbiano restituito, in tema, versioni dei fatti contrastanti, tali da aver indotto la Commissione - che, giova ricordare, dispone dei medesimi poteri dell’autorità giudiziaria - a procedere ad un’audizione congiunta degli stessi, finalizzata ad un confronto ed un esame testimoniale, a seguito dei quali sono emerse le succitate aporie, cfr. Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, Resoconto stenografico n. 10, 9 novembre 2017, disponibile su https://www.parlamento.it/Parlamento/1191?shadow_organo=421917, ultima visita 22/01/2024.
[192] 
Relazione di minoranza, cit., p. 62. Detta relazione si sofferma lungamente sul deficit informativo tra le due autorità di vigilanza, cfr. in particolare pp. 53-63. 
[193] 
Tra il 2013 e il 2015, infatti, i soci della Banca Popolare di Vicenza aumentano esponenzialmente, passando da 80.000 a più di 110.000. Le carenze comunicative tra Banca d’Italia e Consob determineranno, da parte di quest’ultima, un calo di attenzione sulle successive emissioni obbligazionarie subordinate effettuate da BPVi nel 2010 e nel 2011, la cui probabilità di buon esito era stata stimata dalla Consob in poco meno dell’84% e che, in definitiva, non furono affatto rimborsate a causa della crisi, cfr. Relazione di minoranza, cit., p. 59. 
[194] 
Cfr. Relazione di minoranza, cit., p. 55. Si veda anche Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, Audizione del dottor Gianni Zonin, ex presidente di Banca Popolare di Vicenza, Resoconto stenografico n. 30, 13 dicembre 2017, pp. 44-45, al termine della quale il commissario Orfini, così commenta: “Questa audizione è stata affascinante per certi versi. (…) perché leggendo i giornali e studiando le carte avevo capito che l’audito di oggi era una personalità che aveva avuto un ruolo piuttosto importante nella vicenda della Popolare di Vicenza, del sistema bancario veneto (…). Invece, da quello che emerge dall’audizione, noi sostanzialmente abbiamo audito una specie di passante che in questi anni non si è occupato assolutamente di nulla”. Le sentenze del processo penale a carico dell’ex presidente Zonin hanno invece potuto constatare l’esatto opposto, cfr. nota 516.
[195] 
L’art. 2358 c.c., rubricato “Altre operazioni sulle proprie azioni”, dispone che: “La società non può, direttamente o indirettamente, accordare prestiti, né fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni, se non alle condizioni previste dal presente articolo. Tali operazioni sono preventivamente autorizzate dall'assemblea straordinaria”. 
[196] 
Secondo la Commissione d’inchiesta le operazioni “baciate” hanno costituito un fenomeno di grande rilevanza nelle politiche portate avanti dai vertici aziendali delle due banche, considerando che Banca Popolare di Vicenza ne effettuò per complessivi 1,1 miliardi, mentre Veneto Banca per 356 milioni, cfr. Relazione conclusiva, cit., p. 26.
[197] 
Effettivamente, la Vigilanza rilevò la fattispecie nel 2013 per VB e solo nel 2015 per BPVi. A difesa del proprio operato, tuttavia, il dottor Barbagallo ha rilevato come “la possibilità di scoprire il fenomeno sopra descritto è limitata dal fatto che le operazioni possono essere effettuate ‘a rubinetto’ per piccoli importi e mediante tecniche di varia natura, tra cui ‘triangolazioni’ con soggetti terzi, anche tramite il canale estero. Si tenga conto del fatto, ampiamente noto, che gli ispettori di vigilanza non hanno poteri e strumenti di indagine analoghi a quelli propri dell’Autorità giudiziaria”, cfr. C. Barbagallo, Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, testo dell’Audizione del Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia alla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, 2  novembre  2017,  disponibile  su  https://www.bancaditalia.it/interventi/altro-personale/interventi/index.html,  ultima visita 22/01/2024, p. 4.
[198] 
Nel dicembre 2017 prese avvio a Vicenza il processo penale per la vicenda di BPVi che vide imputati, tra gli altri, l’ex presidente Gianni Zonin e l’ex amministratore delegato e direttore generale Samuele Sorato, per i reati di aggiotaggio, falso in prospetto e ostacolo alle funzioni di vigilanza. Il processo ha peraltro visto centinaia di costituzioni di parte civile. La posizione dell’ex direttore generale fu successivamente stralciata a causa di gravi impedimenti di salute e seguì un procedimento autonomo sempre presso il Tribunale di Vicenza, giunto a conclusione, in primo grado, solo nel novembre 2022, con una condanna a 7 anni di reclusione. Lo stesso Tribunale di Vicenza, nel marzo 2021 (sent. 348/21), aveva già dichiarato colpevoli gli imputati del processo principale per tutti i reati contestati, condannando in particolare Gianni Zonin alla maggiore pena di 6 anni e 6 mesi di reclusione. Avverso detta sentenza, gli imputati hanno presentato ricorso presso la Corte di Appello di Venezia che, assai recentemente, nell’ottobre 2022, ha confermato la sentenza di condanna, dimezzando, tuttavia, la pena inflitta a tutti i rei, per lo più a causa dell’intervenuta prescrizione. In particolare, sia i giudici di prime cure, sia i giudici in grado d’appello hanno, invero, concordato pienamente sul ruolo svolto dall’ex presidente Zonin che, lungi dal ricoprire una veste meramente formale svolgeva, invece, un “ruolo dominante e pervasivo nell’organizzazione dell’attività e sulle dinamiche del consiglio”, a cui conseguiva “un’assenza di obiezioni di sorta alle proposte presidenziali, e un clima di effettiva intimidazione, se non di vero terrore”, tanto da essere dipinto dai testi come “monarca assoluto”, Corte di Appello di Venezia, Prima sezione penale, 4 gennaio 2023, sent. n. 3348/2023 (udienza 10/10/2022), pp. 55-56. 
[199] 
Nel febbraio 2022, il Tribunale di Treviso ha condannato l’ex amministratore delegato e direttore generale di VB Vincenzo Consoli a 4 anni di reclusione, riconoscendolo colpevole dei reati di falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza, ma dichiarando prescritto quello di aggiotaggio. Di recente, nel gennaio 2023, la Corte di Appello di Venezia ha dovuto dichiarare l’intervenuta prescrizione anche quanto al reato di falso in prospetto, confermando dunque la condanna a carico di Consoli solo per ostacolo alla vigilanza, e riducendo la pena a 3 anni. 
[200] 
Al termine del 2016 i crediti deteriorati dei due istituti veneti ammontavano a 18 miliardi, pari al 35% del totale dei prestiti per BPVi e al 39% per VB, a fronte di una media nazionale dimezzata. Si consideri che oltre il 70% dei debitori in crisi era rappresentato da imprese, di cui molte operanti nel settore edile, cfr. C. Barbagallo, op. cit., p. 6. 
[201] 
Negli ultimi mesi del 2015, le raccolte dei due istituti subirono un’importante contrazione: -14% per BPVi (trattasi di -2,5 miliardi) e -20% per VB (attorno a -4 miliardi). 
[202] 
Per la verità, l’ex consigliere delegato e direttore generale di BPVi Samuele Sorato era stato sostituito ex abrupto dallo stesso Zonin già nel corso dell’ispezione del 2015, ma, contestualmente, gli era stata erogata una buonuscita di ben 4 milioni di euro. Nel novembre 2015 anche il presidente Zonin rassegnò, infine, le sue dimissioni. 
[203] 
Più dettagliatamente, ex art. 28 TUB, le società cooperative possono esercitare l’attività bancaria solo in quanto banche popolari o banche di credito cooperativo. Quanto alle banche popolari, l’art. 29 TUB dispone che debbono assumere la forma della società cooperativa per azioni a responsabilità limitata, il cui attivo non può mai superare determinati parametri, al di sopra dei quali diviene obbligatoria la trasformazione in società per azioni. Per di più, la forma societaria cooperativa impone l’adozione della regola del voto capitario, per cui ogni socio dispone di un solo voto, a prescindere dal numero di azioni possedute (cfr. art. 30 TUB e art. 2538 c.c.).
[204] 
A fine 2016, tuttavia, si resero necessari ulteriori versamenti per 938 milioni, sicché il gestore del fondo, la società di gestione del risparmio Quaestio Capital Management Sgr, decise di istituire un altro fondo di investimento alternativo chiuso, dedicato a perseguire la seconda finalità affidata ad Atlante, ossia l’investimento in NPL: trattasi del Fondo Atlante II. Oggetto di detto secondo fondo sono gli investimenti in strumenti finanziari emessi dalle società veicolo costituite ad hoc per l’acquisto dei crediti deteriorati delle banche italiane in difficoltà. Atlante II fu varato ad agosto 2016 e raccolse circa 2 miliardi dalle istituzioni finanziarie italiane, grazie ai quali poté intervenire nella crisi delle quattro banche, acquistando dalle good banks, a 713 milioni, i loro NPL per un valore attorno ai 2 miliardi. 
[205] 
Trattasi di perdite di provvista di 7 miliardi per BPVi e 11 miliardi per VB. 
[206] 
Il c.d. Progetto Tiepolo era basato sulla ristrutturazione e sulla fusione dei due intermediari e ipotizzava un fabbisogno patrimoniale di 4,7 miliardi. 
[207] 
BCE, La BCE ha considerato Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza in dissesto o a rischio di dissesto, 23 giugno 2017, comunicato stampa, disponibile su https://www.bankingsupervision.europa.eu/press/pr/date/2017/html/ssm.pr170623.it.html, ultima visita 22/01/2024. 
[208] 
Single Resolution Board, decisione n. SRB/EES/2017/11 per Veneto Banca e decisione n. SRB/EES/2017/12 per Banca Popolare di Vicenza, disponibili nella versione non confidenziale su https://www.srb.europa.eu/en, ultima visita 22/01/2024. 
[209] 
SRB, The SRB will not take resolution action in relation to Banca Popolare di Vicenza and Veneto Banca, Brussels, 23 giugno 2017, comunicato stampa, disponibile sul sito della nota precedente. 
[210] 
Preambolo del decreto-legge 25 giugno, n. 99, che infine sottolinea “la straordinaria necessità e urgenza di adottare disposizioni volte a consentire l'ordinato svolgimento delle operazioni di fuoriuscita dal mercato delle banche ed evitare un grave turbamento dell'economia nell'area di operatività delle banche in questione”. 
[211] 
G. Federico, Crisi delle banche venete ed “aiuti di Stato”, in Questione Giustizia, fasc. 3, 2017, p. 212. In effetti, ad inizio 2017 i due istituti veneti erano stati dichiarati dalla BCE “enti di rilevanza sistemica”, la cui crisi avrebbe potuto provocare forti perturbazioni all’economia dello Stato. 
[212] 
S. Maccarone, La gestione delle crisi bancarie tra Diritto Europeo…, cit., p. 18. 
[213] 
E. Rulli, Contributo allo studio della disciplina…, cit., p. 190. 
[214] 
Si osservi come pochi giorni dopo, con la legge 12 luglio 2017, n. 107, il Parlamento decise di istituire la Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario. 
[215] 
Cfr. Intesa Sanpaolo è disponibile ad acquistare a determinate condizioni certe attività e passività di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, Comunicato stampa del Consiglio di amministrazione di Intesa Sanpaolo, 21 giugno 2017, disponibile su https://www.consob.it/documents/1912911/1993006/nota_20170703_allegato_1.pdf/46dffd5a-deb5-fb32-f447-d32e39f606c5, ultima visita 22/01/2024. 
[216] 
Il D.L. fu poi convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017, n. 121, che ha aggiunto l’art. 01, con cui si sono operate modifiche al D.L. n. 237/2016 quanto alla proroga dei termini concessi al MEF per intervenire con misure di ricapitalizzazione delle banche. 
[217] 
Cfr. A.A. Dolmetta e U. Malvagna, «Banche venete» e problemi civilistici di lettura costituzionale del decreto- legge n. 99/2017, in Riv. dir. banc., fasc. 3, 2017, p. 303. Gli autori dubitano che l’esclusione dal perimetro della cessione di tutte le passività indicate sia un’operazione costituzionalmente legittima, dal momento che creerebbe un titolo discriminatorio a danno di taluna parte della clientela delle imprese cedenti. 
[218] 
Il   contratto   di   cessione   ad   Intesa   Sanpaolo   è   disponibile   sul   sito   della   Banca   d’Italia, all’indirizzo https://www.bancaditalia.it/compiti/risoluzione-gestione-crisi/fondi-risol-crisi/2017/comunicazione-20170625/index.html, ultima visita 22/01/2024. Ai sensi dello speciale regime pubblicitario previsto dal D.L. n. 99/2017, la pubblicazione sul sito della Banca d’Italia, avvenuta il 26 giugno 2017, ha sostituito ogni altro obbligo in tema di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale o nel registro delle imprese. In esso si specifica che “Il cessionario succede, senza soluzione di continuità, alle Banche in liquidazione coatta amministrativa nei diritti, nelle attività, nelle passività, nei rapporti, nei privilegi e nelle garanzie, nonché nei giudizi, oggetto di cessione, secondo quanto previsto nell’offerta dallo stesso formulata e oggetto di accettazione da parte dei commissari liquidatori delle Banche medesime”. 
[219] 
A. Brozzetti, Una soluzione ad hoc per il dissesto di due banche venete, in Dir. banc. merc. fin., fasc. 3, 2017, p. 135.
[220] 
Alla data di apertura della sua crisi, il Banco Popular era il sesto maggior istituto bancario spagnolo e, dunque, ritenuto a tutti gli effetti “banca di importanza significativa” ai sensi del regolamento SRM, circostanza che ne comportava l’assoggettamento all’autorità diretta della BCE e del Single Resolution Board. Coerentemente, il 6 giugno 2017 la BCE accertò che la banca spagnola era “failing or likely to fail” e, il giorno successivo, il SRB si espresse negativamente circa la presenza di soluzioni alternative volte ad evitare il dissesto in tempi brevi, constatando, inoltre, come fosse nell’interesse pubblico procedere ad una risoluzione dell’istituto. In pari data, ossia nel mezzo di una settimana lavorativa e a Borse aperte, dopo l’assenso della Commissione europea, il SRB avviò la resolution di Banco Popular, applicando gli strumenti risolutivi del bail-in e del sale of business. Il buon esito del procedimento e la cessione delle attività furono resi possibili dal rinvenimento sul mercato di Banco Santander quale compratore dell’istituto risolto, che acquisì la banca nummo uno, a seguito del preventivo azzeramento di azionisti (CET1) ed obbligazionisti subordinati di classe AT1 e della conversione in azioni delle obbligazioni subordinate di classe T2. Si noti, dunque, che il bail-in applicato dalle autorità per colmare le perdite pregresse di Banco Popular fu di tipo blando e senza intervento del Single Resolution Fund, dal momento che furono tenuti indenni il debito senior e i depositi stessi e non si provvide a ricostituire il capitale della banca risolta, operazione che fu invece portata a termine da Santander per sette miliardi, conformemente agli impegni assunti. 
[221] 
Per contro, sia nel caso di Banco Popular, sia nel caso delle due banche venete, gli obbligazionisti senior sono stati esentati dalla partecipazione alle perdite. 
[222] 
Cfr. Decisione della Commissione europea, C(2017) 4501 final, 25 giugno 2017, relativa all’aiuto di Stato SA.45664 Orderly liquidation of Banca Popolare di Vicenza and Veneto Banca - Liquidation aid, la quale considera l’intervento rispettoso della Banking Communication del 2013. Nello specifico, la Commissione ritenne che la posizione vantata dallo Stato, quale creditore privilegiato, sulle attività comprese nella massa fallimentare avrebbe garantito un costo netto più basso del valore nominale delle misure adottate. Inoltre, l’esecutivo europeo si soffermò sulla procedura di selezione del cessionario, considerata aperta, equa e trasparente e sul contratto di vendita delle attività, considerato stipulato a condizioni di mercato. In conclusione, pertanto, l’intervento fu giudicato compatibile con il diritto dell’Unione e in grado di limitare le distorsioni concorrenziali.
[223] 
Trattasi degli investitori persone fisiche, imprenditori individuali o agricoli che al momento dell’avvio della liquidazione detenevano strumenti finanziari di debito subordinato emessi dalle due banche e da esse direttamente acquistati. Questi soggetti avrebbero potuto accedere alle prestazioni erogate dal Fondo di solidarietà, già istituito per le quattro banche con la legge di stabilità per il 2016. Il FITD ha ricevuto istanze per un importo complessivo di 50 milioni di euro. In tema, Intesa Sanpaolo ha manifestato la propria disponibilità ad integrare il rimborso forfettario erogato dal FITD, in modo da coprire il 100% del credito. 
[224] 
A. Brozzetti, op. cit., p. 25. 
[225] 
Cfr. L. Scipione, Crisi bancarie e disciplina degli aiuti di Stato. Il caso italiano: criticità applicative e antinomie di una legislazione d’emergenza, in Innovazione e Diritto, fasc. 5, 2017, in particolare pp. 360 sgg. Nel riportare le parole dell’allora presidente dell’ABE, Andrea Enria, l’autore sottolinea come “la soluzione adottata per le due banche venete abbia aggirato un’intera architettura normativa, costruita in sede europea”. 
[226] 
A. Champsaur, The liquidation of the Venetian Banks…, op. cit., p. 53. Si sottolinea, tuttavia, che il “blando” bail-in attuato nella risoluzione di Banco Popular ebbe effetti del tutto analoghi alle misure disposte dal D.L. n. 99/2017. 
[227] 
Cfr. M.L. Biccari, Il banco dell'argentarius a margine del mercato, in Studi Urbinati, A – Scienze Giuridiche, Politiche ed Economiche, vol. 68, fasc. 1-2, 2017, p. 22.
[228] 
P.D.G. Carabellese, Bridge bank e decisum della suprema corte…, cit., p. 380.
[229] 
Trattasi delle Sistemically Important Financial Institutions e delle Globally Sistemically Important Banks.
[230] 
Cfr. P.D.G. Carabellese, op. cit., p. 380, per il quale si è passati “dalla vigilanza prudenziale ad un’oppressione regolamentare, con il bonus argentarius catapultato verso una nuova qualificazione: il coactus argentarius”.
[231] 
Cfr. I. Visco, Considerazioni finali del Governatore alla Relazione annuale 2019 della Banca d’Italia, Roma, 29 maggio 2020, p. 20: “Continuiamo a guardare con preoccupazione all’inadeguatezza del sistema europeo di gestione delle crisi bancarie, su cui ci siamo soffermati più volte”.
[232] 
E. Rulli, Contributo allo studio della disciplina…, cit., p. 188.
[233] 
F. Capriglione, Luci ed ombre nel salvataggio di quattro banche in crisi…, cit., p. 3.
[234] 
Nell’aumento di capitale deliberato dai commissari di Carige a settembre 2019 parteciparono sia il FITD, per complessivi 301 milioni, sia lo Schema volontario di intervento, per 318 milioni. Inoltre, per favorire il closing dell’operazione di cessione dell’istituto a BPER, nel giugno 2022 il FITD ha deliberato un ulteriore intervento per 530 milioni a titolo di versamento in conto capitale.
[235] 
Nel giugno 2020 il FITD deliberò un intervento di sostegno a BPB per 1,1 miliardi a titolo di capitale.
[236] 
Entrambe le banche sono state sottoposte ad amministrazione straordinaria, Carige dalla BCE, in quanto ente di maggiore dimensione, e BPB dalla Banca d’Italia; successivamente, sono state destinatarie di un intervento ad hoc da parte del Governo Conte I e II, con l’approvazione due provvedimenti: il decreto-legge 8 gennaio 2019, n. 1 recante “Misure urgenti a sostegno della Banca Carige S.p.a. - Cassa di risparmio di Genova e Imperia”, che ha concesso la garanzia statale sulle passività di nuova emissione per complessivi 3 miliardi; ed il decreto-legge 16 dicembre 2019, n. 142, recante “Misure urgenti per il sostegno al sistema creditizio del Mezzogiorno e per la realizzazione di una banca di investimento”, che ha potenziato le capacità d’intervento della Banca del Mezzogiorno – Mediocredito Centrale (MCC) fino a 900 milioni, consentendole così di ricapitalizzare BPB.
[237] 
Per  una  disamina  degli  interventi  effettuati,  cfr.  FITD,  Relazione  e  Bilancio  2022,  disponibile su https://www.fitd.it/Pubblicazioni/Relazioni_annuali_FITD, ultima visita 22/01/2024, pp. 21 sgg.
[238] 
L’espressione è di L. SCIPIONE, Crisi bancarie e disciplina degli aiuti di Stato…, cit., p. 302.
[239] 
Cfr. I. Visco, Intervento del Governatore della Banca d’Italia al Convegno organizzato dalla Consulenza legale della Banca d’Italia: “Le crisi bancarie: risoluzione, liquidazione e prospettive di riforma alla luce dell’esperienza spagnola e italiana”, Roma, 21 ottobre 2022, p. 2: “Il quadro normativo a oggi vigente, frutto della compresenza della disciplina sovranazionale della risoluzione e delle procedure nazionali di insolvenza, trova evidenti difficoltà nell’offerta di soluzioni soddisfacenti, in particolare riguardo agli intermediari medio-piccoli. A sei anni dall’avvio del MRU, l’esperienza dimostra che tali banche sono tendenzialmente escluse dal circuito dell’azione di risoluzione”.
[240] 
S. Maccarone, La gestione delle crisi…, cit., p. 18; cfr. anche I. Visco, ult. op. cit., p. 2: “Nella gran parte dei casi, l’efficacia del processo di gestione della crisi ancora dipende dalle procedure nazionali di insolvenza; queste non sono tuttavia armonizzate e risentono di differenze profonde, che riflettono le diverse tradizioni e sensibilità degli ordinamenti degli Stati membri. In buona sostanza tali differenze determinano l’assenza di una effettiva parità di condizioni”.
[241] 
Commissione europea, Unione bancaria: la Commissione propone una riforma del quadro per la gestione delle crisi bancarie e l'assicurazione dei depositi, Comunicato stampa, 18 aprile 2023, disponibile su https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_23_2250, ultima visita 22/01/2024.
[242] 
Il fallimento di SVB, una delle più importanti banche commerciali americane nel settore delle startup tecnologiche, è stato considerato il più rilevante dissesto bancario dalla crisi finanziaria del 2007. A seguito del rallentamento dell’economia delle startup della Silicon Valley, la SVB si vide ridurre il valore dei propri investimenti, dichiarando perdite per 2 miliardi. A seguito di questi avvenimenti, subì una corsa agli sportelli per oltre 40 miliardi, che ha imposto alle autorità americane di intervenire con la creazione di una bridge-bank e a tutela dei numerosi depositi oltre la soglia legale di assicurazione.
[243] 
O. Giannino, Cosa lega il fallimento di Silicon Valley Bank al crollo di Credit Suisse, in Il Foglio, 16 marzo 2023, disponibile su https://www.ilfoglio.it/economia/2023/03/16/news/cosa-lega-il-fallimento-di-silicon-valley-bank-al-crollo-di-credit-suisse-5068687/, ultima visita 22/01/2024. 
[244] 
Through banking union, we have made great strides towards transforming the European banking sector from a shock amplifier into a shock absorber”, A. Enria, The yin and yang of banking market integration – the case of cross-border banks, Intervento del Presidente del Consiglio di vigilanza bancaria della BCE, alla 7a conferenza annuale sull’Unione bancaria, 18 novembre 2020, disponibile su https://www.bankingsupervision.europa.eu/press/speeches/html/index.it.html, ultima visita 22/01/2024. 

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