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Saggio

La frode nel sovraindebitamento dopo la Legge n. 176/2020

Alessandro Farolfi, Giudice nel Tribunale di Ravenna

17 Giugno 2021

Il contributo si propone di ricostruire il concetto di frode nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento, distinguendolo in primo luogo dalla valutazione di meritevolezza ed affrontando i riflessi della recente riforma operata con Legge n. 176/2020.  L’introduzione espressa della legittimazione del liquidatore all’esercizio di azioni revocatorie porta con sé alcuni riflessi sulla ricostruzione del tema affrontato, non soltanto rispetto alla procedura liquidatoria ma, si crede, anche per le altre procedure in cui, con maggiore evidenza, oggi si propone l’applicazione degli orientamenti che su questa problematica sono stati espressi nel concordato preventivo. Anche da questo punto di vista, perciò, anticipando talune soluzioni del Codice della crisi, si rinvengono maggiori analogie fra procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e procedure concorsuali previste per le imprese di maggiori dimensioni, non potendosi perciò definitivamente più dubitare della natura concorsuale anche delle prime.
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1 . Il riferimento alla frode nella legge n. 3/2012
Un primo dato che occorre prendere in considerazione, con riferimento alla formulazione della legge 27 gennaio 2012, n. 3 – nel testo antecedente la recente riforma avvenuta in sede di conversione del decreto “ristori”, entrata in vigore lo scorso 25 dicembre - è che il concetto di “frode” è ripetuto quasi “ossessivamente” nelle disposizioni che disciplinano le tre procedure previste per il superamento della situazione di sovraindebitamento del debitore non fallibile[1]. 
In primo luogo, troviamo nell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento una disposizione, contenuta all’art. 10, che richiede che il giudice, in sede di udienza di omologazione, accertata la presenza di iniziative o di atti di frode ai creditori, possa revocare il decreto iniziale di ammissione. Quindi sostanzialmente, rispetto all’accordo, abbiamo una previsione che in qualche modo sembra rieccheggiare l’art. 173 della legge fallimentare oggi vigente, con riguardo al concordato preventivo. Non è un caso, del resto, che l’accordo sia destinato a divenire in futuro un concordato “minore”, proprio perché il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza vuole anche lessicalmente sottolineare la medesima natura concordataria di queste figure di composizione della crisi: l’una per l’impresa minore, l’altra per l’imprenditore “sopra soglia”. Qualche cenno in più al disposto dell’art. 173 L. fall., appena richiamato, va preliminarmente compiuto prima di proseguire.
E’noto che l’art. 173 L. fall. stigmatizza il contegno del debitore che, in sede concordataria, “ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode”. Di particolare rilievo proprio quest’ultima parte della disposizione, che consente di attribuire rilievo a comportamenti frodatori atipici, fungendo da previsione di “chiusura” che permette di attribuire rilevanza a qualunque comportamento decettivo che abbia l’effetto di incidere sulla rappresentazione della realtà fornita ai creditori, in modo da falsarne il processo decisionale e carpirne in qualche modo il voto.
Perché ciò abbia rilievo ai fini della revoca dell’ammissione alla procedura concordataria, tuttavia, si richiede che la frode sia “scoperta” dal commissario, occorrendo cioè che la falsità, l’omissione o anche la semplice “mezza verità” serbata dal debitore siano riscontrate dal Commissario, essendo contegni in precedenza ignorati. Ciò avvicina di molto la frode ai creditori di cui all’art. 173 L. fall., almeno nella elaborazione che la giurisprudenza prevalente ne ha dato, alla frode processuale, tanto che neppure il consenso dei creditori dato dopo l’eventuale scoperta della natura decettiva della proposta potrebbe assumere un valore sanante[2].
Quello che appare evidente, tuttavia, sia pure limitandosi ad un primo sommario confronto, è che la nozione dell’art. 10 della L. 3/2012, parlando di iniziative e atti di frode, sembra inizialmente introdurre un concetto più ampio di quello dell’art. 173 L. fall. E’ben vero che manca la enucleazione di singoli casi di mendacio invece contenuta in quest’ultima disposizione, ma l’espressione “iniziative” appare abbastanza ampia da comprendere casi di frode procedimentale purchè causalmente rilevanti nel processo decisionale dei creditori, mentre l’espressione “atti di frode” parrebbe potersi riferire – almeno nell’impianto originario della legge n. 3/2012 – ai casi di atti depauperativi in frode ai creditori, con un contenuto quindi più ampio di quello della legge fallimentare. Vedremo che in questa direzione, del resto, andava anche la norma dell’art. 14 quinquies L. 3/2012.    
All’art. 12 bis, con riferimento al piano del consumatore, nuovamente ritroviamo una frase che fa riferimento al tema assegnato; nel comma 1 si dice infatti che: “il giudice, se la proposta soddisfa i requisiti […] verificata l’assenza di atti di frode…”. Quindi, la presenza di eventuali atti di frode viene ricercata addirittura in fase di verifica iniziale, prescindendo dalla successiva ed ulteriore verifica di meritevolezza richiesta al comma 3. 
Infine, con riguardo alla liquidazione del patrimonio, abbiamo il combinato disposto degli artt. 14 ter e quinquies, i quali condizionano nuovamente l’apertura della procedura al superamento positivo di questo tipo di indagine, posto che la seconda disposizione rimarca nuovamente: “verificata l’assenza di atti di frode ai creditori negli ultimi cinque anni”.
Troviamo, quindi, tre norme distinte che in ciascuna delle tre procedure previste in questo ambito compiono un riferimento alla commissione di atti di frode e, tuttavia, utilizzano una terminologia non esattamente identica, tale da suscitare incertezza negli operatori. Nel caso dell’accordo si prevede “in positivo” che la presenza di “iniziative o atti” di frode ai creditori comporti la revoca dell’ammissione alla procedura. In riferimento al piano del consumatore si parla semplicemente degli “atti” di frode, ma troviamo poi una valutazione ulteriore che attiene alla meritevolezza soggettiva ed alla consapevolezza o meno da parte del debitore della capacità di far fronte verosimilmente alle obbligazioni che si vanno assumendo (questo almeno sino alla recente riforma di cui subito si dirà al par. seguente). Nell’ambito della liquidazione del patrimonio, invece, abbiamo nuovamente un riferimento ai soli “atti” di frode e – caso unico – una delimitazione temporale dell’indagine giudiziale al quinquennio anteriore. Quindi si può certamente ritenere di essere in presenza di norme che fanno tutte riferimento ad un presupposto ostativo all’ammissione a queste procedure, ma definito in modo non perfettamente identico, il che appare peraltro una sorta di “peccato originale” della legge sul sovraindebitamento, che contiene alcune altre sviste[3].
Peraltro, non sono mancate in passato delle decisioni giurisprudenziali che hanno cercato di dare – sia pure con riguardo al testo all’epoca vigente - una lettura “unificante” di queste disposizioni, rilevando come non sia ragionevole attribuire alla “frode” un significato diverso in ciascuna delle tre diverse procedure di soluzione della crisi da sovraindebitamento[4].
2 . La riforma della legge sul sovraindebitamento
Con il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, entrata in vigore il 25 dicembre 2020 ed applicabile anche ai procedimenti in corso, l’intero impianto della legge n. 3/2012 è stato profondamente rivisto[5]. La relazione di accompagnamento parla genericamente di semplificare ed agevolare l’accesso alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, finalità certamente condivisibile, soprattutto in un periodo storico caratterizzato dalla crisi sanitaria dovuta alla diffusione pandemica del Covid-19, i cui riflessi economici molto probabilmente sono destinati a ripercuotersi proprio con particolare virulenza sulle imprese minori e sulle famiglie e consumatori, non appena la legislazione di sostegno emergenziale cesserà la sua vigenza[6].
Si è inoltre parlato di una riforma che “anticipa” il nuovo Codice della crisi, considerato che molte soluzioni normative ivi contenute in tema di sovraindebitamento sono state di fatto “trapiantate” ed “innestate” sul corpus normativo della legge n. 3/2012. Anche quest’ultima affermazione è certamente vera, pure se – ad avviso dello scrivente non coglie completamente tutte le sfaccettature della riforma e della disciplina attualmente vigente che ne è derivata.
Le norme non sono “isole” fra loro distanti e separate da un mare insondabile, ma vivono di interrelazioni, formando “atolli” ed “arcipelaghi” in cui ciascuna disposizione influenza l’altra, di modo che l’interpretazione complessiva che ne deriva non può non risentire del fatto che – contemporaneamente – altrettanto numerose soluzioni contenute nel nuovo Codice non sono entrate in vigore e non saranno vigenti ancora per un certo tempo.
E’ sufficiente una elencazione esemplificativa delle distonie che si rinvengono nella disciplina attuale del sovraindebitamento, pur riformata, ed il nuovo Codice della crisi per convincersene:
a) in primo luogo, se da un lato è vero che con l’inserimento dell’art. 14 quaterdecies è stato anticipato il nuovo istituto della esdebitazione del debitore incapiente, dall’altro non è men vero che l’esdebitazione “ordinaria” resta affidata ad un successivo ed eventuale procedimento giudiziario da porre in essere una volta conclusa la procedura di liquidazione dei beni del soggetto sovraindebitato, senza che si sia realizzato quell’automatismo che invece caratterizza la riforma del nuovo Codice della crisi, laddove l’art. 282 CCI consentirà alla stessa di operare “di diritto”, al momento della chiusura della procedura liquidatoria o, se anteriore, con il decorso di un triennio dalla sua apertura;
b) in secondo luogo, sempre con riferimento alla liquidazione, la legge n. 3/2012 riformata continua a prevede che l’unico soggetto legittimato a richiedere la sua apertura (con l’eccezione della conversione) sia rappresentato dal debitore, quasi si trattasse di una procedura di risanamento alternativa, mentre nel nuovo Codice l’apertura della liquidazione controllata potrà avvenire anche su istanza di un creditore o – nel caso di insolvenza riguardante un imprenditore – dello stesso P.M., avvicinando ancor più questa procedura alla liquidazione giudiziale prevista per le imprese “maggiori” (cfr. artt. 268 e ss. CCI); non si tratta di una differenza puramente processuale, ma di una diversa filosofia di fondo – che probabilmente darà luogo ad un contenzioso simile a quello che caratterizza l’odierna fase prefallimentare – che allo stato non può ritenersi ancora realizzata, in quanto il dominus di queste procedure resta allo stato il solo debitore;
c) ancora, se pure è vero che il nuovo Codice riserva alla cognizione di un giudice monocratico sia il piano del consumatore che la procedura di concordato minore (artt. 70 e 80 CCI), la futura procedura di liquidazione controllata del sovraindebitato sarà invece attribuita alla cognizione del tribunale in composizione collegiale (cfr. art. 270 CCI); si tratta di una differenza processuale di non poco momento che è in grado di incidere – ancor più della forma dei provvedimenti, destinati a divenire sentenze invece che decreti in caso di provvedimento di omologazione o di apertura della liquidazione – anche sul profilo delle impugnazioni, considerato che nella disciplina attuale si applicano gli artt. 737 e ss. c.p.c. con un reclamo al collegio dello stesso tribunale di cui non può far parte il giudice il cui atto sia impugnato, mentre in futuro si avrà un reclamo che, in forza del richiamo all’art. 50 CCI, chiamerà in causa quale giudice del gravame la Corte d’Appello, con una certa maggiore macchinosità delle impugnazioni ed un allungamento probabile della tempistica necessaria per pervenire ad una definizione della fase introduttiva della procedura liquidatoria;
d) la novella riconosce esplicitamente la prededuzione ai professionisti che assistono il debitore al novellato art. 13 co. 4 bis, il che se da un lato viene indirettamente a legittimare la presenza di advisors del debitore anche oltre l’intervento necessario del gestore nominato dall’Organismo di composizione crisi, dall’altro rappresenta una scelta in qualche modo distonica rispetto al nuovo Codice della crisi, che con più disposizioni mira a calmierare il proliferare delle prededuzioni, se non a disconoscerle completamente (nel primo senso vds. per tutti l’art. 6 co. 1 CCI, nel secondo si consideri quanto previsto dall’ultimo comma della stessa disposizione); non si tratta evidentemente di incoraggiare meccanismi di assorbimento inefficiente delle (spesso poche) risorse che il debitore può mettere a disposizione dei creditori, quanto di prendere atto che la riforma di Natale valuta positivamente l’intervento di un professionista che sia in grado di collaborare alla elaborazione di un piano fattibile ed in grado di migliorare le aspettative di soddisfacimento dei creditori rispetto alla pura e semplice liquidazione del patrimonio; 
e) resta nell’accordo di composizione della crisi la necessità che lo stesso sia approvato dal 60% dei creditori, mentre nel futuro Codice la procedura di concordato minore sarà da questo punto di vista equiparata alla procedura maggiore di concordato preventivo, risultando perciò sufficiente la maggioranza semplice per l’approvazione della proposta di concordato (vds. art. 79 CCI); si tratta di una discrasia che a parere dello scrivente poteva già essere emendata immediatamente, considerato che la maggioranza qualificata del 60% deriva dall’origine ibrida di questa procedura minore così come inizialmente disegnata dal legislatore della legge n. 3/2012, che non è stata toccata in sede di modifiche operate con la legge n. 221/2012 allorchè ci si accorse che l’iniziale procedura – molto simile ad un accordo di ristrutturazione vero e proprio – rischiava di non trovare applicazione; peraltro questa discrasia appare incongrua anche rispetto alla finalità della riforma di Natale 2020, se si considera che una soglia di maggioranza più elevata non agevola e neppure semplifica l’accesso a questa procedura, come invece auspicato nella ratio legis dell’intervento di novellazione della legge n. 3/2012 recentemente operato;
f) ancora, nella legge n. 3/2012 non si rinviene una definizione di piano in continuità, che potrebbe invece rilevare ad alcuni fini (ad esempio per avvalersi della possibilità di conservare uno o più beni strumentali all’esercizio dell’attività di impresa, ex art. 8 co. 1 quater della legge n. 3/2012 novellata), mentre nel nuovo Codice della crisi tale tipologia concordataria è oggetto di una minuziosa disciplina, contenuta essenzialmente all’art. 84 CCI; questo rende applicabile, in questa fase per così dire “intermedia”, la nozione di continuità che la giurisprudenza di legittimità ha elaborato a partire dall’art. 186 bis L. fall., nella quale in particolare si è negato che abbia valore il criterio della prevalenza dei flussi; pur se questo profilo meriterebbe un ben maggiore approfondimento, in questa sede non si può almeno non ricordare come  la giurisprudenza di legittimità abbia già alla fine del 2018 affermato la compatibilità delle soluzioni di restructuring con prosecuzione dell’attività di impresa e contratto d’affitto d’azienda, riconoscendo pertanto piena dignità alla c.d. “continuità indiretta”[7]; agli inizi del 2020 il S.C. ha inoltre avuto modo di rilevare che ai fini della qualificazione del concordato come in continuità non rileva la circostanza che i flussi prodotti dalla prosecuzione dell’attività aziendale siano prevalenti rispetto a quelli generati dalla vendita di beni non strategici, dovendosi dare rilievo ad un concetto qualitativo di going concern, con il limite dell’utilizzo abusivo o meramente apparente della prosecuzione dell’attività[8]. E’evidente, pertanto, già da questi brevi accenni, che la combinazione di questi due arresti giurisprudenziali può nell’attualità rendere praticabile uno spettro applicativo delle ristrutturazioni in continuità aziendale ben più ampio di quello consentito dal futuro nuovo Codice della crisi.   
Come si può ben vedere da questa elencazione, peraltro non esaustiva[9], restano molteplici le differenze rispetto al (futuro) Codice della crisi, sì che solo in modo atecnico o descrittivo è possibile parlare della riforma come di “anticipazione” del nuovo Codice per quanto riguarda il sovraindebitamento; in realtà, senza voler minimamente sminuire l’importanza della novella, che anzi va senza dubbio salutata positivamente, l’attuale disciplina normativa finisce per costituire un corpus “intermedio” che non è più la originaria L. n. 3/2012, ma neppure può essere forse sbrigativamente assimilata al nuovo Codice, di cui senza dubbio sono accolte fin da ora molte novità, ma restano anche delle differenze di non poco momento che, come si è tentato di dimostrare sommariamente, pongono una esigenza di ricostruzione sistematica del sistema e di individuazione di una disciplina in alcuni punti “originale” tanto rispetto al passato che al futuro (prossimo) di questi istituti.
In questa opera di ricostruzione ermeneutica non può mancarsi di notare, ancora, come la riforma abbia proceduto alla novellazione anche dell’art. 7 co. 2, ove si individuano profili di inammissibilità di queste procedure. In particolare, il recente intervento riformatore, oltre ad impedire l’accesso alla composizione della crisi da sovraindebitamento da parte di chi abbia già beneficiato dell’esdebitazione per due volte (nuova lettera d-bis) ha previsto che la proposta non sia ammissibile quando il debitore, quanto al piano del consumatore, “ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode” (nuova lett. d-ter) e – con riferimento all’accordo – quando risulta che il debitore “abbia commesso atti diretti a frodare le ragioni dei creditori”.
Tale inserimento non ha tuttavia portato ad una razionalizzazione complessiva delle disposizioni, se è vero – come è vero – che all’art. 10 si continua a prevedere una verifica circa “l’assenza di iniziative o atti in frode ai creditori” per l’accordo, che all’art. 12 bis si dispone ancora che il giudice – nel fissare l’udienza per la omologazione del piano del consumatore – debba verificare “l’assenza di atti in frode ai creditori” e che per l’ammissione alla liquidazione dei beni l’art. 14 quinquies continua testualmente a prevedere che  tale provvedimento ammissivo possa adottarsi solo una volta verificata “l’assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni”.
Quindi la riforma, da questo punto di vista, non sembra affatto – salvo quanto si dirà in seguito sulla necessaria ridefinizione complessiva del concetto – rinunciare ad una verifica in ordine alla frode del debitore, che anzi – molto probabilmente – con la integrazione dell’art. 7 si è voluto ulteriormente sottolineare essere una condizione di inammissibilità che ben potrà rilevarsi in qualunque stato del procedimento, non solo in sede di omologazione, così da consentire nei casi più gravi una immediata definizione in rito della procedura alternativa alla liquidazione.
Se così è, tuttavia, ci si deve chiedere se non sia lo stesso concetto di frode a dover essere reinterpretato alla luce complessiva della riforma. 
3 . Frode e meritevolezza con uno sguardo al futuro Codice della Crisi
Andando per ordine, occorre subito precisare che solo in senso atecnico si suole a volte parlare di verifica di meritevolezza del debitore, intendendo in realtà discorrere circa l’assenza di atti o comportamenti frodatori da parte sua. Si tratta invece di due valutazioni in gran parte diverse, se si considera che una valutazione in positivo della meritevolezza del debitore si pone soltanto nella procedura di piano del consumatore, il che è anche facilmente spiegabile se si osserva che in essa i creditori non sono chiamati tecnicamente a votare, ad esprimere un gradimento, che risulta invece indirettamente dalla mancata proposizione di opposizioni alla omologazione (ciò che è tanto vero che una condivisibile dottrina ha equiparato questa forma di ristrutturazione ai c.d. concordati coattivi). A ciò deve oggi aggiungersi anche l’esdebitazione del debitore incapiente, che è riservata al debitore persona fisica meritevole, ma anche qui per il particolare beneficio che – per una sola volta – questo procedimento consente al debitore.
Meritevolezza ed assenza di frode non sono però, tecnicamente, la stessa cosa.
Come si è visto, il nuovo art. 7 co. 2 lett. d ter) della L. 3/2012 riformata dispone che “la proposta non è ammissibile quando il debitore…limitatamente al piano del consumatore, ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode”.
A sua volta l’art. 69 CCI prevede che “il consumatore non può accedere alla procedura disciplinata in questa sezione se … ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode”. Nella relazione di accompagnamento si legge che “il particolare regime di favore accordato al consumatore trova il suo contrappeso nella necessaria ricorrenza del requisito della meritevolezza, che deve qualificare la sua condotta; quest’ultima deve connotarsi per l’assenza di colpa in relazione alla situazione di sovraindebitamento nella quale il debitore si è venuto a trovare. …non solo sono ostative all’accesso alla procedura l’avere già ottenuto l’esdebitazione nei cinque anni precedenti o comunque per due volte …ma anche l’avere determinato con grave colpa il sovraindebitamento e quindi, ad esempio, aver assunto obbligazioni sproporzionate alla capacità di adempimento, oppure aver omesso di svolgere una possibile attività lavorativa idonea all’adempimento degli obblighi assunti; a maggior ragione, sono ostative le condotte improntate alla frode dei  creditori o comunque in malafede”.
Mentre il successivo art. 77 CCI, sotto la rubrica “inammissibilità della domanda di concordato minore”, prevede quale causa ostativa all’accesso alla ristrutturazione concordataria del sovraindebitato la circostanza che “risultano commessi atti diretti a frodare le ragioni dei creditori”.
Nessun accenno alle condizioni soggettive di colpevolezza o meno che hanno determinato il sovraindebitamento viene quindi compiuto per la procedura riservata ai soggetti sovraindebitati diversi dal consumatore.
Infine, va evidenziato che il futuro art. 270 CCI in tema di apertura della liquidazione controllata, a differenza dell’attuale art. 14 quinquies della L. n. 3/2012, non richiede alcuna verifica circa la sussistenza di un contegno frodatorio o circa la presenza di atti in frode ai creditori, mentre la rilevanza delle condizioni soggettive del debitore – ivi compresa la verifica circa la presenza o meno di frode – è stata recuperata in sede di modifiche del testo del Codice operate con il c.d. “correttivo”, laddove all’art. 282 CCI si è riformulato il comma 2, prevedendo che “l'esdebitazione non opera nelle ipotesi previste dall'articolo 280 nonchè nelle ipotesi in cui il debitore ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode”. La formulazione della norma lascia intendere che tale verifica possa essere compiuta sia su segnalazione/opposizione da parte di uno dei creditori o del pubblico ministero, portando ad esempio alla revoca di un provvedimento concessivo inizialmente adottato inaudita altera parte, ma anche rilevata d’ufficio dal tribunale in sede di valutazione circa la sussistenza delle condizioni per la concessione del beneficio, potendo sul punto richiedere anche informazioni al liquidatore o – se diverso – al gestore che aveva compilato la relazione di accompagnamento alla domanda di ammissione alla procedura concorsuale liquidatoria.
4 . Alcuni spunti casistici
Venendo ad alcune esemplificazioni e prima di trarre le conclusioni di queste brevi osservazioni, si può iniziare affermando di essere in sintonia con quanti hanno sostenuto l’inapplicabilità alla materia del sovraindebitamento dell’art. 9 L. fall., cioè della regola che in materia fallimentare consente di radicare la competenza nel nuovo foro soltanto con un consolidamento del trasferimento della sede almeno annuale[10]. Una simile norma non è attualmente prevista in materia di sovraindebitamento e, almeno ad avviso dello scrivente, neppure appare possibile ricostruirla analogicamente, perché in tanto è possibile applicare talune disposizioni della legge fallimentare soltanto secondo un principio di compatibilità al fine di colmare lacune e, poi, non si ritiene consentito desumere da norme applicate analogicamente delle decadenze o delle limitazioni processuali che non siano testualmente stabilite dal legislatore. Quindi, si deve ritenere che al variare della residenza o della sede debba variare anche la competenza del giudice chiamato a valutare il sovraindebitamento, ma anche, prima ancora, la competenza dell’OCC chiamato a presentare la domanda ed a redigere la relazione particolareggiata di accompagnamento[11]. Chiaramente, per ragioni di economicità processuale, questo non impedisce che il nuovo OCC utilizzi la documentazione che era già stata predisposta, un materiale sicuramente già in parte metabolizzato, così da poter procedere a un deposito più rapido presso il nuovo giudice, effettivamente competente. Ma se questo è vero, è anche agevole rilevare che questa problematica potrebbe indurre taluni “in tentazione”, cioè favorire dei comportamenti di scelta, magari non del tutto involontaria, di un foro più accondiscendente rispetto a questo tipo di procedure, secondo una tecnica di forum shopping che va certamente disincentivata. A tale riguardo, si deve aggiungere che gli spostamenti di competenza territoriale devono comunque essere reali, devono cioè corrispondere a uno spostamento effettivo del centro degli interessi del soggetto e non simulare una semplice variazione esteriore priva di radicamento concreto nel nuovo territorio.
Tanto premesso, volendo qui ricordare semplicemente alcuni esempi affrontati nella pratica giudiziaria  di (ritenuta) frode, naturalmente applicando la L. n. 3/2012 nel testo antecedente le recenti modifiche, si può partire da una fattispecie nella quale si è assistito contemporaneamente anche ad uno spostamento di competenza territoriale nel corso di un procedimento che si è svolto in due momenti e contesti diversi. Primo momento: un soggetto sovraindebitato, proprietario di un immobile ad uso abitativo di pregio architettonico sottoposto a esecuzione forzata, propone una richiesta di apertura della liquidazione del patrimonio presso un ufficio giudiziario emiliano, dove egli in quel momento risiede e si trova il bene pignorato. Nell’ambito delle verifiche preliminari il giudice individua, attraverso un controllo di quelle che erano state le perizie depositate in sede esecutiva, che esistono altri gravami sull’immobile che non erano stati dichiarati dal ricorrente, né erano stati indicati nella relazione di accompagnamento da parte del gestore nominato dall’OCC felsineo. Tale verifica porta ad una declaratoria di inammissibilità per incompletezza della documentazione. Va qui aggiunto, incidentalmente, che le questioni relative alla presenza di (fortunatamente rari) contegni frodatori, spesso si intersecano con la problematica della inammissibilità di cui al citato art. 7 della L. n. 3/2012, con riferimento particolare alla produzione di documentazione che non consente di ricostruire in modo compiuto la situazione economico/patrimoniale e reddituale del soggetto sovraindebitato, così come richiesto dal comma 2 lett. d) di tale disposizione.
Il provvedimento di rigetto adottato in quel procedimento poteva certo essere reclamato (benché, ad avviso di chi scrive, nulla vieti che la domanda di apertura della liquidazione possa essere riformulata, semplicemente aggiungendo il materiale documentale mancante). Invece il debitore ha preferito spostare domicilio presso una casa di vacanza di un conoscente, che ne ha concesso la disponibilità in comodato, e riproporre la stessa domanda, aggiungendo qualche documento, facendo venire così in considerazione la competenza del Tribunale di Ravenna. Secondo momento: pur se la precedente fase processuale non era stata narrata in atti, tale circostanza è emersa perché il creditore bancario esecutante è intervenuto in questo nuovo procedimento, presentando delle osservazioni contrarie. Quest’ultimo, infatti, era venuto a conoscenza del procedimento in quanto interpellato dal nuovo OCC per presentare la relazione di accompagnamento, posto che il professionista/gestore aveva correttamente effettuato una verifica dell’attivo e del passivo della procedura, anche attraverso un’operazione di circolarizzazione, con invio di comunicazioni ai potenziali creditori e debitori per capire se la documentazione fosse attendibile. Il creditore che è intervenuto ha chiaramente manifestato tutta la propria insoddisfazione per questa duplice iniziativa del debitore esecutato, ma soprattutto ha messo in evidenza delle circostanze che non erano state evidenziate in atti: intanto l’immobile era stato, poco prima del pignoramento, gravato dalla stipula di un contratto di locazione di durata pluriennale in cui si dava atto che il canone era già stato anticipatamente pagato per tutti gli anni futuri del rapporto locatizio; il locatore inoltre non collaborava con il custode della procedura esecutiva al fine di consentire le visite dei soggetti potenzialmente interessati all’acquisto ed il conduttore non occupava effettivamente l’immobile; in altri termini era emersa una serie di circostanze non riferite dal debitore. Venivano quindi in considerazione elementi ostativi all’apertura della liquidazione del patrimonio sotto il duplice profilo sia dell’incompletezza documentale ex art. 7, sia della presenza di atti di frode che si desumevano da questi comportamenti contrari all’interesse dei creditori, così portando ad una rappresentazione decettiva della realtà e delle possibilità di procedere ad una liquidazione efficiente nell’interesse dei creditori, ex art. 14 quinquies. Peraltro, si può aggiungere che questa richiesta di liquidazione si appoggiava inoltre su un’offerta di acquisto di questo immobile formulata da un terzo “chiavi in mano”, senza alcuna previsione di competitività, per un prezzo fondato sull’andamento negativo della vendita forzata il cui esito – come anticipato – non era certo indipendente dai contegni ostruzionistici posti in essere dal debitore. Questo coacervo di elementi ha portato ad una dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di apertura della procedura, con una decisione che non ha ricevuto alcun tipo di reclamo.
Un secondo caso che può essere opportuno ricordare in questa sede, è rappresentato da un’istanza nella quale ritornava il tema dell’incompletezza delle informazioni rese, sia di quelle date all’OCC, sia di quelle fornite al giudice al fine di consentire una valutazione corretta in sede di apertura della procedura. Anche in questa fattispecie, peraltro, l’elemento decettivo è stato scoperto non grazie alla relazione di accompagnamento all’OCC - perché anche in questo caso non si evidenziava formalmente nulla di anomalo - ma solo a fronte dell’intervento di un creditore (in questa ipotesi, si trattava dell’Agenzia delle Entrate). Era infatti accaduto che il padre del soggetto sovraindebitato (quest’ultimo a sua volta garante dei debiti del primo) avesse conferito in un trust tutto l’intero patrimonio, nominando come trustee un altro familiare e come beneficiario proprio il figlio, che aveva omesso di dichiarare questa situazione. Nella dotazione del trust era stato inoltre conferito l’usufrutto relativo ad un immobile di cui il figlio aveva mantenuto la sola nuda proprietà. In udienza si è provocato il contraddittorio su queste circostanze e, non essendo state fornite delle spiegazioni convincenti alle osservazioni avanzate del creditore, ciò ha portato ad un provvedimento – anche questo inedito - ostativo rispetto in questo caso all’omologazione di una proposta di accordo di composizione della crisi[12].
Ecco perché – volendo trarre una prima indicazione utile che va oltre la singola fattispecie - l’OCC non può “appiattirsi” sulle informazioni che gli vengono date dal debitore, anche se in alcuni casi assistito da proprio advisor o legale, ma deve svolgere una verifica critica e approfondita, deve accedere alle banche dati e deve controllare se ci sono pesi, controversie giudiziarie in corso, potenziali sopravvenienze passive, debiti fiscali o contributivi non dichiarati, ecc… (cfr. al riguardo l’importante disposizione di cui all’art. 15 co. 10 L. 3/2021). Inoltre, appare opportuno che l’OCC di un soggetto che ha cambiato recentemente residenza o sede compia una ricerca presso l’ufficio giudiziario e presso l’OCC del luogo provenienza: in tal caso potrebbero emergere certamente gli atti e documenti di un eventuale precedente “sfortunato” procedimento di esdebitazione, come pure eventuali procedimenti giudiziari non dichiarati dal debitore.
Con questa stessa metodologia di analisi è possibile affrontare un’ulteriore questione: quella della liquidazione senza beni, con soli redditi o crediti messi a disposizione dei creditori. Ora, pur essendoci stato un certo dibattito – per la verità più nella fase iniziale di applicazione delle disposizioni della L. 3/2021 – si deve certamente ritenere ammissibile questo tipo di procedura, anche se non si hanno beni da liquidare ma si hanno a disposizione soltanto flussi monetari da destinare ai creditori; questo perché, a parere dello scrivente, comunque in termini generali vi è una ratio più complessiva che è volta ad agevolare il ricorso a queste procedure piuttosto che ad impedirne l’utilizzo, sì che nei casi dubbi appare preferibile l’adozione di una interpretazione volta a favorire l’accesso a questi istituti piuttosto che ad escluderla[13]. Inoltre, la stessa lettera dell’art. 14 quinquies co. 2 lett. d) appare nel senso di ritenere non indispensabile la presenza di beni su cui eseguire le forme pubblicitarie legate all’ammissione alla procedura liquidatoria. Peraltro, la stessa introduzione dell’esdebitazione dell’incapiente (cfr. nuovo art. 14 quaterdecies) nel fondare la propria operatività sulla assenza di “utilità” dirette o indirette (e non certo sulla presenza o meno di beni liquidabili) appare un ulteriore e definitivo tassello nel senso dell’ammissione di procedure liquidatorio fondate esclusivamente su flussi monetari.
È chiaro che restano alcuni residui limiti all’accesso, che vanno tuttavia valorizzati nei soli casi strettamente necessari, e la presenza della “frode” è forse proprio il caso più importante, di cui occorre pertanto, in conclusione, cercare di tracciarne in confini.
5 . Conclusioni
Il concetto di frode, come si è già visto, è utilizzato in ciascuna di queste tre procedure, con una definizione che letteralmente non risulta mai perfettamente coincidente. Ciò ha reso possibile valutazioni spesso difformi da parte dei diversi tribunali. Un interessante provvedimento già citato del Tribunale di Milano, del 18 novembre 2016[14], ha cercato di ricostruire un concetto unitario di frode. Il caso affrontato faceva riferimento a una situazione nella quale il soggetto sovraindebitato, prima di rivolgersi all’OCC e di depositare la domanda in Tribunale - una domanda di apertura della procedura di accordo di composizione della crisi - aveva donato la nuda proprietà di un immobile prestigioso a Rapallo al proprio figlio, trattenendosi unicamente l’usufrutto. Chiaramente, i creditori si erano visti in qualche modo depauperati da questa proposta di composizione della crisi da sovraindebitamento in quanto la differenza di valore fra la proprietà intera dell’immobile ed il solo usufrutto era tale per cui nell’un caso si potevano soddisfare anche gli ipotecari di secondo grado, mentre nell’altro caso persino l’ipotecario di primo grado era invece destinato a una parziale incapienza. 
Provando a spostare questo esempio al caso della liquidazione, si era posto in dottrina più di qualche elemento di perplessità sulla possibilità di esercitare un’azione revocatoria ordinaria da parte del liquidatore
Del resto, nel nuovo Codice noi ritroviamo, quando si parla di azioni del liquidatore, sia la possibilità di esperire azioni recuperatorie volte a ottenere la disponibilità dei beni facenti parte dell’attivo della procedura, ma anche la innovativa possibilità di esercitare azioni di inefficacia di eventuali atti pregiudizievoli compiuti dal debitore. La relazione di accompagnamento sottolinea come questo sia un elemento di novità che fa chiarezza rispetto alla situazione pre-vigente[15], così confermando indirettamente come nella situazione originaria della legge n. 3/2012 fosse molto difficoltoso se non impossibile affermare la legittimazione processuale del liquidatore all’esercizio dell’actio pauliana, anche a fronte di uno spossessamento indubbiamente attenuato del debitore sovraindebitato rispetto al fallito. 
In un interessante contributo pubblicato su “il Fallimentarista” affronta proprio questa questione[16]. In particolare, il saggio si interroga su come mai la valutazione della frode venga richiesta sia in sede di ammissione alla procedura di liquidazione del patrimonio che, ulteriormente, anche in sede di esdebitazione. L’autore, nel cercare una motivazione, rilevava come l’unica giustificazione di questa disarmonia, di questa doppia verifica, consistesse proprio nel fatto che in qualche modo il liquidatore non poteva esercitare l’azione revocatoria ordinaria, imponendo ai creditori di iniziare, a loro rischio e pericolo, l’actio pauliana. In altri termini, nel disegno originario della legge n. 3/2012, secondo questa preferibile tesi si sarebbe delineata una legittimazione processuale del liquidatore “monca”, che da un lato giustificherebbe questa verifica della frode iniziale e, dall’altro, imporrebbe al singolo creditore di iniziare o proseguire autonomamente l’azione revocatoria, salvo poi chiedersi se il risultato positivo di questa domanda giudiziale ricada soltanto a suo vantaggio, in spregio alla natura comunque concorsuale della procedura, oppure a vantaggio di tutti i creditori.
Finalmente, su questo punto la nuova mini-riforma del dicembre 2020 elimina ogni disarmonia rispetto al futuro Codice della crisi, attribuendo al liquidatore una legittimazione processuale più ampia, tale da risolvere questa problematica. 
L’art. 14 decies della novellata l. n. 3/2012 afferma infatti, al secondo comma, che “il liquidatore, autorizzato dal giudice, esercita o, se pendenti, prosegue le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile”. La disposizione è estremamente rilevante in quanto parlando di azioni “dirette a far dichiarare l’inefficacia” di atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori finisce per compiere un indiretto ma certo riferimento alla possibilità di esercitare azioni revocatorie.  Inoltre, il richiamo alle sole norme del codice civile è qui ben giustificato: il sovraindebitato non è un fallito, anche quando sia sottoposto a liquidazione dei beni; pertanto, sono in questa sede inapplicabili le disposizioni in tema di azioni revocatorie fallimentari, risultando invece esperibile l’azione revocatoria c.d. ordinaria, di cui agli artt. 2901 e ss. c.c. Di rilievo anche la possibilità per il liquidatore di “proseguire” nell’azione revocatoria che fosse già stata promossa da un creditore e si trovasse ancora pendente al momento dell’apertura della procedura di liquidazione del patrimonio del debitore: si tratta del riconoscimento di una legittimazione processuale sostitutiva di carattere straordinario (vds. art. 81 c.p.c.) che, imitando per il liquidatore una soluzione da tempo riconosciuta in capo al curatore[17], vale altresì ad accentuare i caratteri della concorsualità di questa procedura.
Ma questa innovazione normativa porta con sé evidenti riflessi sistematici anche sul tema in questa sede trattato. Con una recente decisione, si è al riguardo affermato che il requisito della "assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni" non costituisce più requisito di accesso alla procedura di liquidazione del patrimonio, attesa l'abrogazione implicita dell'art. 14-quinquies, comma 1, della l. 3/2012 nella parte in cui prescriveva la verifica di tale presupposto, ad opera dell'art. 4-ter, comma 1, lett. l), del D.L. 2020/137, convertito con l. 2020/176, avendo quest'ultima disposizione sostituito l'articolo 14-decies della l. 3/2012 il cui comma 2 introduce ora espressamente la facoltà del liquidatore, autorizzato dal giudice, all'esercizio delle azioni revocatorie ai sensi dell'art. 2901 c.c., ciò che presuppone implicitamente l'irrilevanza, ai fini dell'accesso alla procedura, degli "atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori”[18].
Pur se chi scrive dubita del fatto che una simile volontà abrogatrice sia in realtà così agevolmente rinvenibile, resta fondato il rilievo – ben colto dalla decisione riportata - che la possibilità di esercitare l’azione revocatoria ordinaria da parte del liquidatore toglie, in effetti, un valore ostativo rispetto all’accesso alla procedura liquidatoria di composizione della crisi da sovraindebitamento per la semplice commissione di atti dispositivi nel quinquennio precedente, che possano o meno aver avuto un qualche effetto pregiudizievole per i creditori
Resta, tuttavia, un duplice ambito di operatività per la frode, sia pure estremamente ridotto rispetto al passato: a) quando l’atto dispositivo pregiudizievole per i creditori sia addirittura preordinato rispetto all’ingresso nella procedura concorsuale, sì che quest’ultima viene utilizzata in modo abusivo non tanto per risolvere la situazione di sovraindebitamento quanto per validare il precedente trasferimento patrimoniale, imponendo ai creditori una soluzione della crisi irragionevole e fortemente insoddisfacente[19];  b) quando la stessa si connoti, al pari di quanto da tempo affermato in tema di concordato preventivo, come una falsa rappresentazione della realtà fattuale – omissiva o commissiva - tale da alterare la percezione dei creditori, compiuta con dolo dal debitore, che venga successivamente “scoperta” (in questo caso in sede di ammissione alla procedura liquidatoria, ma nel caso dell’accordo in fase di ammissione o di omologazione, così come in fase di omologazione per il piano del consumatore).
In questo senso chi scrive ritiene che tale nuova rilevanza – certamente più limitata rispetto al passato – della frode rispetto all’apertura della procedura liquidatoria, ben possa esplicare i suoi effetti anche rispetto alle altre due procedure di composizione della crisi, accordo e piano del consumatore, ritenendosi cioè che la semplice commissione di un atto dispositivo antecedente, se correttamente evidenziato in ricorso e coerentemente illustrato nei suoi effetti, non sia di per sé causa di inammissibilità della procedura.  Una diversa lettura, pure astrattamente prospettabile[20], presenta evidenti margini di irragionevolezza; inoltre, la possibilità di conversione per la procedura di accordo o di piano del consumatore, ancora riconosciuta dall’art. 14 quater della legge n. 3/2012, va certamente nel senso di una unitarietà complessiva dei presupposti di accesso a tutte le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.
Condivisibile, pertanto, appare quanto affermato prima ancora della recente riforma dal Tribunale di Pescara[21], laddove aveva ritenuto che “il compimento di un atto di disposizione del patrimonio, ove disvelato dal debitore, non comporta che la proposta di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento debba essere necessariamente dichiarata inammissibile, dovendo il giudice, in tale caso, svolgere un’attività di accertamento analoga a quella di cui all’art. 173 L. fall. per il concordato preventivo”.
Tale conclusione va ribadita, a maggior ragione, dopo la riforma operata con la legge n. 176/2020, sia per l’accordo che per lo stesso piano del consumatore (rispetto al quale continua piuttosto ad operare il vaglio di meritevolezza, ma in forma ben più attenuata rispetto al passato, avuto riguardo alla nuova formulazione dell’art. 7, co. 2 lett. d ter che esclude ogni rilevanza per i casi di colpa non grave), ed è letteralmente imposta per la liquidazione del patrimonio, ove una situazione del genere, lungi da ostacolare l’ammissione alla procedura legittimerà, piuttosto, il liquidatore a verificare il possibile esercizio di un’azione revocatoria ordinaria a favore dell’intero ceto creditorio.
L’asse della tutela per i creditori ed il bilanciamento con le esigenze e i diritti alla successiva esdebitazione da parte del debitore pare perciò spostarsi, con indubbio effetto anche per il ruolo del giudice ed il vaglio che lo stesso è chiamato ad esercitare, non tanto su di un piano di astratta valutazione di ammissibilità rispetto alla semplice commissione di atti dispositivi anteriori, quando su di un profilo di correttezza e completezza informativa, oltre che di adeguatezza della documentazione fornita al fine di rappresentare in modo compiuto la situazione economica e patrimoniale del debitore. Da questo punto di vista si coglie, infine, una indubbia maggiore vicinanza di queste procedure rispetto a quelle previste per le imprese di maggiori dimensioni che può favorire, in caso di (invero non rare) lacune della disciplina specifica sul sovraindebitamento, un più agevole ricorso all’applicazione analogica di disposizioni dettate per le procedure “maggiori”.

Note:

[1] 
In questa sede, per un primo inquadramento, si può rinviare ai seguenti approfondimenti bibliografici: AA.VV., La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamento, DI MARZIO – MACARIO – TERRANOVA (a cura di), Milano, 2013; AA.VV., Le procedure di composizione negoziale delle crisi e del sovraindebitamento, BONFATTI – FALCONE (a cura di), Quaderni Giur. com., 2014; GIAVARRINI, La procedura di liquidazione del patrimonio nella legge n. 3/2021, Giur. com. 2016, 712; LEUZZI, La liquidazione del patrimonio dei soggetti sovraindebitati fra presente e futuro, In Executivis, 2018; MANENTE, Gli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili, Dir. Fall., 2013, 557; PANZANI, La composizione della crisi da sovraindebitamento, www.treccani.it; ROSSETTI, Il nuovo sovraindebitamento. Inquadramento e principi, in AA.VV., Commento al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Quaderni in Executivis, 2019, 337; TEDESCHI, Composizione delle crisi da sovraindebitamento, Digesto comm., Torino, 2012; TISCINI, I procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e liquidazione del patrimonio, Riv. dir. proc., 2013, 649; VATTERMOLI, La procedura di liquidazione del patrimonio del debitore alla luce del diritto “oggettivamente” concorsuale, Dir. fall., 2013, 762.
[2] 
In questa direzione l’ancora fondamentale Cass., sez. I, 26 giugno 2014, n. 14552, www.ilcaso.it, ha stabilito che “la rilevanza, ai fini e per gli effetti di cui all’articolo 173 LF, della natura fraudolenta degli atti posti in essere dal debitore e potenzialmente decettivi nei riguardi dei creditori, è ravvisabile anche nell’ipotesi in cui l’inganno effettivamente realizzato sia stato reso noto ai creditori prima del voto. Se, infatti, così non fosse, se cioè l’accertamento degli atti fraudolenti ad opera del commissario potesse essere superato dal voto dei creditori che, informati della frode, siano ugualmente disposti ad approvare la proposta concordataria, non si capirebbe perché il legislatore ricollega, invece, immediatamente alla scoperta degli atti in frode il potere-dovere del giudice di revocare l’ammissione al concordato e ciò senza la necessità di alcuna presa di posizione sul punto da parte dei creditori. Questo significa che il legislatore ha inteso sbarrare la via del concordato al debitore, il quale abbia posto dolosamente in essere gli atti contemplati dal citato articolo 173, individuando in essi una ragione di radicale non affidabilità del debitore medesimo e, quindi, nel loro accertamento, un ostacolo obiettivo ed insuperabile alla prosecuzione della procedura. Il fatto che l’accertamento da parte del commissario di atti di frode possa determinare la revoca dell’ammissione al concordato preventivo, a norma dell’articolo 173 L. FALL., indipendentemente dalla circostanza che i creditori, debitamente informati di tali atti di frode, abbiano espresso voto favorevole, non vale a reintrodurre il giudizio di meritevolezza che la riforma della legge fallimentare ha espunto dal novero dei presupposti per l’ammissione al concordato preventivo. La meritevolezza era, infatti, un requisito positivo di carattere generale, che implicava la necessità di un apprezzamento favorevole della pregressa condotta dell’imprenditore (sfortunato, ma onesto), nell’ottica di una procedura prevalentemente concepita come beneficio premiale. Era, quindi, nozione ben più ampia dell’assenza di atti di frode, non solo genericamente pregiudizievoli, ma che devono essere direttamente finalizzati, in esecuzione di un disegno preordinato, a trarre in inganno i creditori in vista dell’accesso alla procedura concordataria. Più recentemente cfr. anche Cass., 26 novembre 2018, n. 30537, in www.dejure.it: “gli atti di frode rilevanti ai fini della revoca rimangono integrati quando si riscontri l'esistenza di un dato di fatto occultato afferente il patrimonio del debitore, tale da alterare la percezione dei creditori, risultando una divergenza tra la situazione patrimoniale dell'impresa prospettata con la proposta di concordato e quella effettivamente riscontrata dal commissario giudiziale, ed il carattere doloso di detta divergenza”.
Per una prima ricostruzione, cfr. AMBROSINI, Gli atti di frode nel concordato preventivo: un tema sempre attuale (e scivoloso)www.ilcaso.it; con gli ulteriori riferimenti bibliografici ivi richiamati.
[3] 
Si pensi, per fare soltanto un ulteriore esempio, all’art. 14 quinquies co. 2 lett. b), ove si afferma che il decreto…”dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni cautelari o esecutive…”, quando è evidente che questa procedura non prevede alcuna omologazione, ma solo un’apertura ed un esaurimento della procedura, di modo che il riferimento sino al momento della definitività di un provvedimento di omologazione deve in realtà intendersi come riferito al decreto che dichiara la cessazione o chiusura della procedura liquidatoria.
[4] 
Trib. Milano, 18 novembre 2016, www.ilcaso.it, ha ritenuto che “la disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento è in controtendenza rispetto alle scelte operate dal legislatore in materia di concordato preventivo, essendo il tribunale chiamato a più riprese e sotto diversi profili a verificare la meritevolezza del soggetto sovraindebitato. Lo dimostra la previsione secondo cui l'O.C.C. deve indagare sulle cause dell'indebitamento, sulla diligenza del debitore nell'assunzione delle obbligazioni, sulle ragioni dell'incapacità del debitore di adempiere alle obbligazioni assunte, sull'attendibilità della documentazione allegata all'atto introduttivo delle procedure, sulla solvibilità del debitore negli ultimi cinque anni e dunque, in sintesi, sulla condotta tenuta dal debitore nel periodo antecedente l'accesso alla procedura. In questo contesto si colloca anche l'aver imposto al debitore di fornire l'elenco degli atti dispositivi degli ultimi cinque anni, si che l'O.C.C. possa valutarli e l'aver condizionato l'ammissibilità del piano del consumatore, dell'accordo di composizione della crisi e della liquidazione dei beni come prevista dall'art. 14 ter della legge, all'accertamento da parte del giudice, senza necessità di sollecitazione alcuna, della mancanza di atti di disposizione patrimoniale di natura fraudolenta posti in essere dal debitore, che, se esistenti, lo rendono immeritevole dei vantaggi che derivano dal buon esito della procedura indipendentemente dalla loro idoneità decettiva. Lo conferma il fatto che l'esistenza di atti di frode rende inammissibile sia l'accordo, che richiede una manifestazione di volontà da parte dei creditori, sia il piano del consumatore e la procedura di liquidazione dei beni, che non necessitano invece dell'adesione del ceto creditorio. Sarebbe infatti irragionevole ritenere che la medesima espressione — atti di frode - che ricorre sia nell'art.10 che negli artt. 12 bis e 14 quinquies della legge in esame vada interpretata diversamente a seconda che sia formulata una proposta di accordo o il debitore faccia ricorso ad una delle altre procedure previste dalla medesima legge.
[1] Vds. art. 4 ter della legge 18 dicembre 2020, n. 176, di conversione con modd. del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, pubblicata sulla G.U. n. 319 del 24 dicembre 2020, la cui rubrica è intitolata a “Semplificazioni in materia di accesso alle procedure di sovraindebitamento per le imprese e i consumatori di cui alla legge 27 gennaio 2012, n. 3, e norme relative alle procedure pendenti”.
[5] 
Vds. art. 4 ter della legge 18 dicembre 2020, n. 176, di conversione con modd. del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, pubblicata sulla G.U. n. 319 del 24 dicembre 2020, la cui rubrica è intitolata a “Semplificazioni in materia di accesso alle procedure di sovraindebitamento per le imprese e i consumatori di cui alla legge 27 gennaio 2012, n. 3, e norme relative alle procedure pendenti”.
[6] 
Sulla nuova riforma cfr, per un primo inquadramento, DE MARTINI, Commento a prima lettura delle modifiche alla legge n. 3/2012 sulla composizione della crisi da sovraindebitamento, www.ilcaso.it; LEUZZI, La riforma del sovraindebitamentowww.ildirittodellacrisi.it, sez. podcast.; ZANICHELLI, Il corposo restyling della legge sul sovraindebitamento, Fallimento, 2021, 441. Con riferimento all’elemento soggettivo dopo la riforma LIMITONE, La suggestione (e la trappola) della meritevolezza soggettiva nel sovraindebitamento e la legge n. 176/2020: la colpa per il debito e la responsabilità del sovraindebitamento, www.ilcaso.it
[7] 
Cass., 19 novembre 2018, n. 29742, www.ilcaso.it, ha ritenuto che “il concordato con continuità aziendale disciplinato dall'art. 186-bis L. FALL. è configurabile anche quando l'azienda sia già stata affittata o sia destinata ad esserlo, rivelandosi affatto indifferente la circostanza che, al momento dell'ammissione alla suddetta procedura concorsuale o del deposito della relativa domanda, l'azienda sia esercitata dal debitore o, come nell'ipotesi dell'affitto della stessa, da un terzo, in quanto il contratto d'affitto - recante, o meno, l'obbligo dell'affittuario di procedere, poi, all'acquisto dell'azienda (rispettivamente, affitto cd. ponte oppure cd. puro) - può costituire uno strumento per giungere alla cessione o al conferimento dell'azienda senza il rischio della perdita dei suoi valori intrinseci, primo tra tutti l'avviamento, che un suo arresto, anche momentaneo, rischierebbe di produrre in modo irreversibile”. 
[8] 
Cfr. Cass., 15 gennaio 2020, n. 734, www.ilcaso.it, secondo cui “il dato normativo di cui all'art. 186 bis L. FALL. non evoca alcun rapporto di prevalenza di una parte dei beni, quelli utilizzati per la continuità aziendale, rispetto all'altra, a cui è riservata una diversa sorte, quella rappresentata dai beni non funzionali all'esercizio dell'impresa, ma contempla solo la funzionalità di una porzione dei beni alla continuazione dell'impresa in uno scenario concordatario. Si tratta infatti di una clausola elastica, fondata su un criterio qualitativo piuttosto che quantitativo, che investe una parte dei beni aziendali, da apprezzarsi non nella loro mera materiale consistenza, ma in funzione della loro effettiva strumentalità alla prosecuzione dell'attività aziendale”. 
[9] 
Si pensi ad es. anche alla scarna disciplina della verifica del passivo contenuta nell’attuale testo dell’art. 14 sexies e octies della legge n. 3/2012 rispetto a quella, peraltro completamente ridefinita dal c.d. “correttivo”, prevista dai futuri artt. 270 e 273 CCI.
[10] 
Cfr. Tribunale Prato, 28 settembre 2016, www.ilcaso.it.
[11] 
Per un’applicazione problematica del principio cfr. Tribunale Rimini, 14 dicembre 2017, www.ilcaso.it. Si ritiene che in questa fase l’art. 28 del Codice della crisi, che introduce la necessità del consolidamento del trasferimento di sede o residenza per almeno un anno al fine di radicare la nuova competenza anche in tema di sovraindebitamento, in quanto in parte qua disposizione innovativa, non possa essere anticipata nella sua vigenza attraverso una operazione ermeneutica che non ha, de jure condito, una sicura base testuale.
[12] 
Cfr in argomento, anche Tribunale Reggio Emilia, 11 marzo 2015. Sulla verifica in caso di presentazione di una proposta di accordo vds. invece Tribunale Monza, 21 novembre 2018, secondo cui “a seguito di ricorso contente la proposta di accordo per la composizione della crisi da sovraindebitamento, il giudice non ha l’obbligo di fissare l’udienza di cui all’art. 10 della l. 3/2012 qualora, nell’ambito della valutazione di meritevolezza che gli compete, sulla base della lettura degli atti ravvisi l’esistenza di atti in frode”. Entrambi i provvedimenti sono consultabili su www.ilcaso.it
[13] 
In senso favorevole anche Tribunale Matera, 24 luglio 2019; Tribunale Verona, 21 dicembre 2018; Tribunale Milano, 22 aprile 2017. 
[14] 
In www.ilcaso.it
[15] 
Cfr. art. 274 CCI, nonché la nuova formulazione dell’art. 14 decies co. 2 della L. n. 3/2012, come oggi modificato dalla recentissima Legge n. 176/2020.
[16] 
VITIELLO, Atti in frode ai creditori e procedura di liquidazione del patrimonio del sovraindebitato, in www.ilfallimentarista.it, 2017.
[17] 
Sul dibattito che ha portato all’intervento in questo ambito di Cass., sez. un., 17 dicembre 2008, n. 29421, cfr. COSSIGNANI, Della sorte del creditore-attore nell’azione revocatoria pendente al momento della dichiarazione di fallimento, in Enc. Giur. Treccani, 2009. In questo ambito cfr. altresì Cass., Sez. I, 28 maggio 2018, n. 13306, secondo cui “qualora sia stata proposta un'azione revocatoria ordinaria per fare dichiarare inopponibile ad un singolo creditore un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore e, in pendenza del relativo giudizio, a seguito del sopravvenuto fallimento del debitore, il curatore subentri nell'azione in forza della legittimazione accordatagli dall'art. 66 legge fallimentare, accettando la causa nello stato in cui si trova, la legittimazione e l'interesse ad agire dell'attore originario vengono meno, onde la domanda da lui individualmente proposta diviene improcedibile ed egli non ha altro titolo per partecipare ulteriormente al giudizio (Cass., Sez. Un., n. 29420/2008, Cass. n. 12513/2009); e la sua connotazione, sotto il profilo dei requisiti sostanziali, è che sebbene l'azione ex art. 66 l.fall. sia pur sempre la medesima prevista dall'art. 2901 c.c., la stessa presenta talune peculiarità che la differenziano da quest'ultima - giova a tutti i creditori, e non solo a colui che agisce, con effetto sostanzialmente recuperatorio (Cass., Sez. Un., n. 10233/2017); tant'è che l'accettazione della causa nello stato in cui si trova importa che l'esercizio di tale facoltà non è soggetto ai limiti entro i quali le parti possono formulare nuove domande o eccezioni nel processo di primo grado, né, ove la lite già penda in appello, al termine previsto per la proposizione del gravame incidentale o alle preclusioni di cui all'art. 345, comma 1, c.p.c., poiché, al contrario, è sufficiente che egli si costituisca in giudizio, anche in appello, dichiarando di voler far propria la domanda proposta ex art. 2901 c.c., per investire il giudice del dovere di pronunciare sulla stessa nei confronti dell'intera massa dei creditori (Cass. n. 614/2016)”.
[18] 
Trib. Lecco, 16 gennaio 2021, in www.ilcaso.it.
[19] 
Cfr. l’ancora attuale Cass. 10 febbraio 2011, n. 3274, in Fallimento, 2011, 403, con nota di LO CASCIO, secondo cui “non è contestabile l’applicabilità anche allo strumento concordatario del concetto di abuso del diritto che ha già trovato nella giurisprudenza importanti applicazioni sia in ambito sostanziale … e processuale … e che trova fondamento nel principio generale secondo cui l’ordinamento tutela il ricorso agli strumenti che lo stesso predispone nei limiti in cui questi vengono impiegati per il fine per cui sono stati istituiti senza procurare a chi li utilizza un vantaggio ulteriore rispetto alla tutela del diritto presidiato dallo strumento e a chi li subisce un danno maggiore rispetto a quello strettamente necessario per la realizzazione del diritto dell’agente”. Affermazioni più recenti sull’utilizzo abusivo del c.d. pre-concordato si ritrovano in Cass. 12 marzo 2020, n. 7117, quando allo stesso si faccia ricorso non per regolare la crisi d’impresa quanto esclusivamente per differire la pronuncia di fallimento.
[20] 
Ne mette in evidenza in rischi NIGRO, Atti di frode nel sovraindebitamento con diverse declinazioni, in Eutekne.info, 13 maggio 2021.
[21] 
Decisione del 25 settembre 2020, richiamata da NIGRO, Atti di frode, cit.

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Questo tipo di servizi permette di visualizzare contenuti ospitati su piattaforme esterne direttamente dalle pagine di questa Applicazione e di interagire con essi.

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Google Maps è un servizio di visualizzazione di mappe gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine.

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Google Fonts (Google Inc.)

Google Fonts è un servizio di visualizzazione di stili di carattere gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine.

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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

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Il TITOLARE

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REV 02