La domanda prenotativa nel procedimento unitario
Federico Pani, Giudice delegato nel Tribunale di Arezzo
12 Giugno 2024
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Sommario:
1 . Alle origini della domanda prenotativa: la disciplina della legge fallimentare
2 . L’attuale disciplina dell’art. 44 CCII e le modifiche in previsione
2.3 . La decorrenza del termine
2.4 . Varie conferme e prassi “positivizzate”
2.5 . Gli atti di straordinaria amministrazione
2.7 . Qualche nodo irrisolto? La scomparsa del limite biennale e l’abuso del diritto
Come a tutti noto, la disciplina della domanda prenotativa veniva innestata all'interno dell'art. 161 L. fall., disposizione in origine dedicata al contenuto del solo concordato preventivo (e non, si badi bene, anche dell'accordo di ristrutturazione, disciplinato dai successivi artt. 182 bis e seguenti L. fall.). Sul piano della tecnica legislativa non può certo dirsi che si trattò di una scelta felicissima dal momento che, già allora, il ricorso prenotativo si atteggiava con riserva di depositare, entro il termine assegnato dal Tribunale, o un concordato o un accordo di ristrutturazione. Decisamente più opportuno sarebbe stato, a ben vedere, introdurre un articolo ad hoc; scelta che del tutto opportunamente ha compiuto recentemente il legislatore del Codice.
Ma vediamo, per sommi capi, quali erano le regole di ingaggio della domanda prenotativa:
- anzitutto, il ricorso doveva essere accompagnato da una serie di documenti, ossia i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e l'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti;
- secondo l'interpretazione della Corte di cassazione, ai fini della presentazione della domanda di concordato con riserva era sufficiente che il ricorso fosse sottoscritto dal difensore munito di procura, non occorrendo la personale sottoscrizione anche del debitore (cfr. Cass. 20725/2017) e in ogni caso non era necessaria la delibera di cui all’art. 152 L. fall. (cfr. Cass. 598/2017);
- il termine veniva determinato dal Tribunale entro un range piuttosto ampio (da 60 a 120 giorni), salvo che non fosse pendente una domanda di fallimento, nel qual caso all'imprenditore potevano essere concessi al massimo 60 giorni; in entrambi i casi, in presenza di giustificati motivi, poteva essere concessa una proroga di non oltre 60 giorni;
- secondo l'unanime interpretazione giurisprudenziale, il termine assegnato dal Tribunale iniziava a decorrere dalla data di deposito della domanda, indipendentemente, quindi, dal tempo occorso al giudice per la fissazione in concreto del termine (cfr. Cass. 29740/2018);
- la nomina del commissario giudiziale era meramente facoltativa, sebbene per prassi il Tribunale era solito procedere fin da subito alla nomina;
- il decreto di concessione del termine doveva prevedere a carico dell'imprenditore ricorrente anche degli obblighi informativi periodici, soprattutto riguardanti l'attività compiuta per la predisposizione della proposta e del piano, e prevedere che, con periodicità mensile, il debitore depositasse una situazione finanziaria; la loro violazione implicava una declaratoria di inammissibilità della domanda;
- l’utilità per l’imprenditore di presentare il ricorso “in bianco” risiedeva nell’apertura in suo favore dell’ombrello protettivo assicurato dall’art. 168 L. fall., vale a dire principalmente l’inibizione o improdedibilità delle azioni esecutive e cautelari; effetti che, sotto il vigore della legge fallimentare, erano automatici (c.d. automatic stay);
- di contro, però, l’imprenditore doveva accettare che tutti gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione dovessero essere autorizzati dal Tribunale, ai sensi dell'art. 161, comma 7, L. fall.;
- non era previsto un obbligo di versamento di una cauzione (contemplato dall’art. 163 L. fall. per l’ipotesi dell’apertura), sebbene per prassi i Tribunali, per saggiare la serietà dell’iniziativa, ne prevedessero il pagamento fin da subito;
- infine, il penultimo comma dell’art. 161 L. fall. prevedeva che, nel caso in cui il concordato non fosse stato ammesso o l’accordo di ristrutturazione non fosse stato omologato, per due anni l’imprenditore non avrebbe potuto ripresentare un ricorso in bianco, ma solo un ricorso pieno.
Già sul piano della tecnica legislativa la disposizione non può essere che salutata con favore, possedendo un’organicità e coerenza invece sconosciute all’art. 161 L. fall. Ma quel che più conta è che tale disposizione, unitamente ad altre norme del Codice che presto vedremo, ha mutato non poco le regole d’ingaggio della domanda prenotativa.
La contrazione dei termini si spiega evidentemente in considerazione del mutato contesto nel quale si inseriscono gli strumenti di regolazione della crisi d’impresa. Ed infatti, una delle novità più salienti del Codice (per quanto anticipata dal D.L. n. 118/2021) è rappresentata dalla composizione negoziata, la quale è definibile come un viatico stragiudiziale cui l’imprenditore in crisi non irreversibile dovrebbe avviarsi per tentare di risolvere la propria situazione, con tanto di vantaggi sia nella conformazione degli strumenti stessi (si veda l’art. 23, in particolare), sia da un punto di vista fiscale. L’input ordinamentale all’emersione precoce della crisi ha spinto il legislatore a ridurre i tempi di elaborazione degli strumenti di regolazione della crisi, con l’auspicio di spingere così l’imprenditore a non attendere troppo prima di “prendere di petto” la propria crisi. La non prorogabilità del termine in pendenza di domande tese all’apertura della liquidazione giudiziale mira a prevenire un altro fenomeno piuttosto ricorrente, vale a dire l’attesa da parte dell’imprenditore dell’attacco da parte dei creditori prima di pensare all’opportunità di avvalersi di uno strumento di regolazione della crisi.
Per il vero il correttivo attualmente allo studio intende mitigare il rigore dei termini, in particolare eliminando il divieto di prorogabilità del termine in pendenza di un ricorso volto all’apertura della liquidazione giudiziale. Tale scelta si spiega con il fatto che, oggettivamente, soli 60 giorni per impostare piano e proposta sono davvero pochi, e quindi il divieto di proroga, nei fatti, il più delle volte oggi si traduce nell’impossibilità anche solo di approcciarsi a un percorso ristrutturativo.
Un’altra importante novità del correttivo è la subordinazione della proroga alla presentazione di un «progetto di regolazione della crisi e dell’insolvenza». Posto che ovviamente il “progetto” non può coincidere con il piano finale, poiché quest’ultimo è proprio del ricorso “pieno”, starà alla prassi dei vari Tribunali individuare le caratteristiche sostanziali che tale progetto dovrà possedere. Di certo esso deve avere caratteristiche tali da consentire al Tribunale e, prima ancora, al commissario giudiziale di verificare la verosimiglianza del percorso di risanamento che si intende imboccare. A mio avviso, non è scorretto affermare che il progetto debba anticipare non solo i profili inerenti al piano, e quindi al percorso ristrutturativo immaginato, ma anche un abbozzo della proposta; e ciò essenzialmente per far comprendere al giudicante se le prospettive di soddisfacimento immaginate siano realistiche e coerenti rispetto al percorso prospettato.
Confermato è anche il fatto che il ricorso può essere sottoscritto dal solo difensore munito di procura e che non è necessaria la delibera oggi prevista dall’art. 120 bis CCII.
La disposizione, inoltre, conferma gli obblighi informativi che, in sede di concessione del termine, il Tribunale deve esigere, così come l’obbligo mensile di deposto di una situazione non più solo finanziaria, ma anche patrimoniale ed economica, da iscrivere nel registro delle imprese. La violazione di tali obblighi comporta la revoca della concessione del termine.
Quanto al commissario giudiziale, si passa dalla mera facoltà all’obbligo di nominare il commissario. Il legislatore qui altro non ha fatto che positivizzare una prassi già ampiamente in uso nei Tribunali visto che, sovente, i ricorsi prenotativi celano abusi che solo l’occhio attento del commissario può aiutare l’organo giudicante a scovare.
A tale riguardo, la legge attribuisce al commissario poteri di indagine particolarmente profondi, essendo richiamato dall’art. 44 quanto previsto per il curatore nella liquidazione giudiziale dall’art. 49, comma 5, lettera f). Per la precisione, il commissario, con le modalità di cui agli articoli 155 quater, 155 quinquies e 155 sexies delle disposizioni di attuazione del c.p.c., può: 1) accedere alle banche dati dell'anagrafe tributaria e dell'archivio dei rapporti finanziari; 2) accedere alla banca dati degli atti assoggettati a imposta di registro e ad estrarre copia degli stessi; 3) acquisire l'elenco dei clienti e l'elenco dei fornitori di cui all'articolo 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni; 4) acquisire la documentazione contabile in possesso delle banche e degli altri intermediari finanziari relativa ai rapporti con l'impresa debitrice, anche se estinti; 5) infine, acquisire le schede contabili dei fornitori e dei clienti relative ai rapporti con l'impresa debitrice.
Altra prassi positivizzata è quella relativa al versamento della cauzione. Invero, l’obbligo di versare una somma per coprire le spese di procedura era previsto solo nell’art. 163 L. fall., e quindi nel decreto di apertura, e non anche nell’art. 161 L. fall.; era tuttavia prassi prevederne fin da subito il deposito, anche per saggiare la serietà e concretezza dell’impresa ricorrente. Sennonché, non era chiaro quale fosse il risvolto dell’inadempimento di tale obbligo posto che, per l’appunto, esso non era previsto normativamente. Oggi, invece, non solo è sancito che il Tribunale ordini il versamento della somma, ma viene aggiunto che l’omesso pagamento comporta la revoca del provvedimento di concessione del termine.
Invero, l’attuale art. 46 prevede che «dopo il deposito della domanda di accesso al concordato preventivo, anche ai sensi dell’art. 44» gli atti urgenti di straordinaria amministrazione devono essere autorizzati dal Tribunale. Sembrerebbe, dunque, che in caso di ricorso “in bianco” orientato all’apertura del concordato preventivo possa scattare il regime di cui all’art. 46, e non negli altri casi. Sennonché, nell’attuale assetto è perfettamente possibile che l’imprenditore depositi il ricorso ex art. 44 senza nulla dire in ordine a quale strumento intenda poi adottare, così come è perfettamente possibile (l’evenienza è espressamente contemplata dall’art. 54, comma 5, nell’ambito della disciplina delle misure protettive) che l’imprenditore anticipi la volontà di ricorrere a un certo strumento (in ipotesi, un accordo di ristrutturazione o un piano di ristrutturazione soggetto a omologazione) e poi, però, alla scadenza del termine “riempia” la domanda con un concordato. Viene da chiedersi allora, in queste ultime due ipotesi, e cioè in caso di aspirazione all’ADR o al PRO meramente (e genericamente) declamata o, più semplicemente, nel caso in cui l’imprenditore nulla dica nel ricorso, se il regime autorizzativo dettato dall’art. 46 trovi o meno applicazione.
Una parte della dottrina ha sostenuto un’interpretazione estensiva secondo la quale la norma troverebbe sempre applicazione, qualunque sia lo strumento che parrebbe essere stato “prenotato” ed anche quando l’imprenditore nulla abbia anticipato. Nell’attuale assetto normativo, però, a me pare che questa interpretazione non sia affatto percorribile.
Il correttivo ha però posto rimedio. Da un lato, infatti, viene eliminato il riferimento all’art. 44, di talché l’art. 46 disciplinerebbe solo gli effetti successivi alla presentazione della domanda di concordato preventivo “piena”. Dall’altro lato, il nuovo comma 1 bis dell’art. 44 sancisce che «dalla data del deposito della domanda e sino alla scadenza del termine di cui al comma 1, lettera a), si producono gli effetti di cui all’articolo 46». Sembrerebbe, allora, che nel futuro contesto normativo nella fase prenotativa sempre e comunque gli atti di straordinaria amministrazione vadano autorizzati, quantomeno se l’imprenditore nulla abbia anticipato in merito allo strumento cui intende aspirare o lo abbia individuato in maniera, per così dire, generica. Ciò lo si desume dal successivo comma 1-quater che verrebbe introdotto con il correttivo, giacché sarà previsto che «in deroga a quanto previsto dal comma 1-bis, primo periodo, il debitore può chiedere di giovarsi del regime dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza di cui intende avvalersi se, unitamente alla domanda di cui al comma 1 o anche successivamente, deposita un progetto di regolazione della crisi e dell’insolvenza redatto in conformità alle disposizioni che disciplinano lo strumento prescelto».
In buona sostanza, se l’imprenditore vuole evitare che si applichi il (più rigoroso) regime previsto dall’art. 46, relativo al concordato preventivo, deve fornire elementi concreti del fatto che intende percorrere una strada alternativa al concordato stesso, depositando quello stesso “progetto” che, secondo la logica del correttivo, risulta anche fondamentale per ottenere la proroga del termine in base al comma 1 dell’art. 44.
La soluzione adottata dal correttivo a mio avviso è convincente, anche se, sul piano della tecnica legislativa, qualcosa andrebbe rivisto. Ed infatti, se l’art. 46 sarà destinato a regolare esclusivamente gli effetti successivi al deposito della domanda piena (e solo indirettamente quelli della domanda prenotativa, grazie al richiamo inserito nel comma 1 bis dell’art. 44), non si comprende perché non sia stata proposta l’abrogazione della prima parte del comma secondo, secondo la quale «la domanda di autorizzazione contiene idonee informazioni sul contenuto del piano». Ciò non ha evidentemente senso perché, se il piano è già stato presentato, non v’è motivo per il quale il debitore dovrebbe fornire questo genere di informazioni. A ben vedere, tale previsione dovrebbe essere spostata proprio nel nuovo comma 1 bis dell’art. 44.
Come visto, sotto il vigore della legge fallimentare gli effetti protettivi erano ben definiti e tipizzati, ed erano quelli disciplinati dall’art. 168, ossia: - divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari; - divieto di acquisizione di diritti di prelazione. Ma soprattutto, tali effetti si producevano automaticamente.
Nel nuovo regime, dettato dagli artt. 54 e seguenti del Codice, invece, anzitutto il legislatore ha distinto tra misure cautelari e misure protettive e, relativamente a quest’ultime, ha ulteriormente diviso quelle tipiche, che grossomodo equivalgono a quelle già contemplate dall’art. 168 L. fall., da quelle che possono definirsi atipiche (sebbene in dottrina non sia del tutto pacifica questa nomenclatura; per chiarezza, per “atipiche” si intendono qui tutte le misure protettive diverse da quelle un tempo dettate dall’art. 168 L. fall.).
Inoltre, è stata eliminata ogni forma di automatismo. Per meglio dire, le misure protettive tipiche devono essere richieste dall’imprenditore nel ricorso e producono subito il loro effetto protettivo, ma devono essere poi confermate dal giudice designato (da qui il concetto di semi-automaticità elaborato dalla dottrina). Negli altri casi, invece, non vi è alcuna forma di automaticità, nemmeno “semi”, e il collegio o il giudice relatore provvede nell’ambito di un modulo procedimentale che ricalca il procedimento cautelare uniforme. Peraltro – altri elementi di novità – tutte le misure, anche quelle protettive tipiche, possono essere selettive, e cioè riguardare alcuni creditori e non altri, e possono concernere tutti i beni e diritti tramite i quali viene esercitata l’impresa, anche se non di proprietà del debitore (si pensi, tipicamente, ai beni in locazione finanziaria).
Ora, secondo l'orientamento giurisprudenziale fin qui impostosi (Tribunale di Milano nel decreto del 30.3.2023, pubblicato su Dirittodellacrisi.it, ma anche il Tribunale di Arezzo si è espresso nello stesso senso con provvedimento del 1.2.2024), in caso di ricorso prenotativo l'imprenditore potrebbe aspirare alle sole misure protettive tipiche o semi-automatiche, e non anche alle misure cautelari o alle altre misure protettive (quelle che io ho definito "atipiche"). Si tratta di una conclusione necessitata dall'attuale diritto positivo dal momento che l'unica norma che richiama l'art. 44 è l'art. 55, comma 4, e fa riferimento esclusivamente alle misure protettive tipiche. Inoltre, l’attuale comma 1 dell’art. 54, che regolamenta le misure cautelari, consente la proposizione di un’istanza volta alla loro concessione solo «nel corso del procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale o della procedura di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione e del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione», e ciò pare per l’appunto non compatibile con la fase puramente prenotativa.
Il correttivo attualmente allo studio prende posizione sulle questioni succitate.
Da un lato, verrebbe confermata l’interpretazione giurisprudenziale richiamata nella parte in cui esclude che, prima della proposizione della domanda “piena”, possa farsi accesso alle misure protettive atipiche. In particolare, verrebbe modificato il terzo periodo del secondo comma dell'art. 54 e puntualizzato che le «ulteriori misure» protettive, cioè diverse e ulteriori rispetto a quelle tipiche, possono essere richieste solo «dopo il deposito della proposta, del piano o degli accordi».
Dall’altro lato, però, verrebbe modificato il primo comma dell’art. 54 e chiarito espressamente che fin dalla fase prenotativa l’imprenditore possa chiedere l’applicazione di misure cautelari. Più precisamente, l’incipit del comma sopra testualmente riportato verrebbe così modificato: «in pendenza del procedimento per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, anche nei casi di cui agli articoli 25-sexies e 44, e per l’accesso alla liquidazione giudiziale».
Per completezza, va anche segnalato che il correttivo (a mio avviso opportunamente) intenderebbe anticipare già alla fase prenotativa l'esenzione dagli obblighi di riduzione del capitale sociale in caso di perdite o di ricapitalizzazione nel caso in cui sia intaccato il minimo legale. Ad oggi, invece, tale effetto era disciplinato solo in presenza di una domanda piena o di pendenza della composizione negoziata.
La questione della riproposizione del ricorso trova in realtà una qualche trattazione, e precisamente per il solo concordato preventivo all’interno dell’art. 47. È infatti stato stabilito che, qualora il Tribunale, anziché aprire il concordato, lo dichiara non ammissibile, l’imprenditore può riproporre la domanda solo «quando si verifichino mutamenti delle circostanze» (comma 6). Parrebbe, dunque, che, indipendentemente dal tempo trascorso dal precedente tentativo, un concordato possa essere riproposto, purché le “circostanze” (e cioè, viene da pensare, le basi della crisi e fors’anche gli asset attivi da porre nella disponibilità dei creditori) siano mutate. La “domanda” alla quale qui si fa riferimento, tuttavia, pare poter essere solo quella “piena”. E ciò in quanto, come già visto, la domanda con riserva è – o quantomeno può essere – “a vocazione aperta”, nel senso che l’imprenditore non è tenuto ad anticipare quale sia il percorso di ristrutturazione al quale intende accedere o comunque potrebbe farvi un riferimento generico e poi chiedere l’accesso a un diverso strumento.
Ma se le cose stanno così, e cioè se l’unica norma che pone un limite riguarda il concordato preventivo per l’ipotesi in cui non venga ammesso, in linea teorica nulla vieta a un imprenditore di ripresentare una domanda in bianco. Rimane tuttavia fermo che, se poi essa sfocia, in concreto, in un concordato preventivo, il Tribunale deve fare applicazione dell’ultimo comma dell’art. 47 e verificare se siano o meno mutate le circostanze; viceversa, se a essere presentato è un altro strumento, tale limite non può esservi.
Detto dunque che, in linea astratta, non vi è alcun limite quantitativo alla (ri)proposizione di una domanda prenotativa, vi è da capire come possano essere scongiurati abusi. Sul punto, pare agevole rispondere (e i due aspetti sono evidentemente correlati) che, da un lato, le misure protettive oggi non sono più automatiche, ma necessitanti di conferma e suscettibili di revoca e, dall’altro lato (e soprattutto), che il Tribunale può sempre far ricorso alla clausola generale di divieto di abuso del diritto.
Viene al riguardo in soccorso il chiaro disposto dell’art. 4, ai sensi del quale «nella composizione negoziata, nel corso delle trattative e dei procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, debitore e creditori devono comportarsi secondo buona fede e correttezza». E dunque, sebbene in linea teorica l’imprenditore possa presentare una domanda prenotativa anche dopo la mancata ammissione di un concordato preventivo o la mancata omologazione di un ADR o del PRO, l’obbligo di buona fede e correttezza impone allo stesso di chiarire quali mutamenti intende adottare rispetto al precedente piano o accordo per giustificare l’assegnazione di un termine (anche minimo) per un nuovo tentativo.
In questo senso, per certi versi, la verifica relativa al “mutamento delle circostanze”, pur prevista solo per il concordato preventivo pieno, finisce per essere recuperata proprio per il tramite della clausola generale della buona fede e correttezza. È infatti evidente che in tanto possa giustificarsi la concessione di un nuovo termine (con annesse misure protettive) in quanto l’imprenditore dimostri che qualcosa sia effettivamente cambiato rispetto a prima. È poi in ogni caso sicuro che, qualora l’imprenditore nel nuovo ricorso in bianco dovesse anticipare che avrebbe l’intenzione di replicare un concordato preventivo già non ammesso, è inevitabile che il Tribunale esiga comunque che il ricorrente espliciti fin da subito quali siano le “mutate circostanze”, non avendo evidentemente senso attendere la fine del termine eventualmente assegnato per vagliare un presupposto che, a mente dell’art. 47, ultimo comma, CCII poi si troverebbe comunque a dover valutare a valle.
Inutile dire, infine, che il vaglio giudiziale non potrà che essere estremamente rigoroso qualora, medio tempore, sia stato depositato un ricorso volto all’apertura della liquidazione giudiziale, essendo elevatissimo il rischio che il ricorso prenotativo si atteggi alla stregua di uno strenuo tentativo di procrastinare l’esito liquidatorio, già da tempo stigmatizzato dalla giurisprudenza (da ultimo, Cass. 13997/2023).