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La disciplina della Liquidazione Coatta Amministrativa nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza - II. Rinvio alle norme speciali (art. 294 CCII)*

Sido Bonfatti, Professore di Diritto della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza nell’Università di Modena e Reggio Emilia, già Ordinario di Diritto Commerciale nel medesimo Ateneo

6 Settembre 2024

*Il presente contributo è destinato a confluire - come “Commento all’articolo 294” -, con gli eventuali aggiornamenti ed integrazioni del caso, nel Commentario al Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, diretto da S. Bonfatti e coordinato da G. Falcone, di prossima pubblicazione per i tipi di Giappichelli Editore.
L’A. prende in esame l’evoluzione che la disciplina delle procedure di Liquidazione Coatta Amministrativa ha registrato nel tempo, ed il rapporto con il quale essa è stata coordinata con la disciplina del “fallimento” ieri, e con quella del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza oggi. Viene altresì approfondita la “disciplina concorsuale” degli enti pubblici. 
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1 . La evoluzione della disciplina delle procedure di L.C.A.
In occasione dell’approvazione della legge fallimentare del 1942 il legislatore si trovava di fronte ad un panorama normativo nel quale erano già presenti, oltre alla procedura concorsuale di diritto comune del fallimento, anche “procedure speciali” denominate “liquidazione coatta amministrativa”, introdotte per la gestione delle situazioni di crisi di imprese operanti in specifici settori dell’economia. In particolare il legislatore si trovava di fronte ad una disciplina sufficientemente compiuta della procedura di liquidazione coatta amministrativa delle imprese bancarie (espressa dalla “legge bancaria” formatasi nel biennio 1936-1938).
In linea di massima le esigenze di delineare procedure “di crisi” idonee a prevenire o superare anche situazioni di crisi “di legalità”, nonché di consentire interventi connotati da discrezionalità amministrativa delle Autorità amministrative di vigilanza di settore, avevano trovato risposte normative contingenti, e non coordinate tra di loro.
A ciò pose rimedio la legge fallimentare fissando alcuni fondamentali principi concernenti:
a)  le regole di coordinamento tra le procedure concorsuali di diritto comune (fallimento; amministrazione controllata; Concordato preventivo), e le procedure speciali delle liquidazioni coatte amministrative;
b)  un nucleo di disposizioni normative (artt. 194-215 L. fall.) comuni a tutte le procedure di l.c.a., variamente delineate o delineabili per le singole categorie di imprese giudicate meritevoli di una disciplina delle crisi di diritto speciale [1];
c)  l’affermazione del necessario adeguamento delle disposizioni in vigore ad una serie di norme imperative (artt. 195, 196, 200, 201, 202, 203, 209, 211 e 213 L. fall.), dotate di efficacia abrogatrice delle disposizioni previgenti di contenuto incompatibile (art. 194, comma 2, L. fall.).
Successivamente la disciplina delle procedure di l.c.a. è stata interessata da alcuni fenomeni di carattere generale. 
Principalmente si è andata affermando la tendenza a dettare, per ogni singola categoria di imprese appartenenti al novero di quelle sottratte al fallimento, un corpus autonomo di disposizioni speciali aventi ad oggetto la disciplina delle situazioni di “crisi”, in larga parte autosufficiente. Questa tendenza, già manifestatasi con la disciplina delle situazioni di crisi delle società fiduciarie, delle società fiduciarie e di revisione e degli enti di gestione fiduciaria (D.L. 5 giugno 1986, n. 233, convertito con modificazioni nella legge 1° agosto 1986, n. 430), ha trovato la sua più completa espressione nella disciplina delle crisi delle banche (artt. 70 ss. D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, “Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”), e nella disciplina delle crisi delle imprese abilitate alla prestazione di servizi di investimento (artt. 51 ss. D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, “Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”): ed ha poi registrato una significativa conferma con l’approvazione di una articolata “disciplina delle crisi” delle imprese di assicurazione (D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 205, “Codice delle Assicurazioni”).
In secondo luogo si è andata accentuando l’attenzione al fenomeno del “gruppo” di imprese, che la disciplina della procedura di fallimento, invece, praticamente ignorava (ed ha continuato ad ignorare nel tempo). Sulla scia di quanto già previsto dalla disciplina della amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (art. 3 D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito con modificazioni dalla legge 3 aprile 1979, n. 95 – c.d. “legge Prodi” -), le disposizioni sulla l.c.a. delle società fiduciarie (e delle società fiduciarie e di revisione, nonché degli enti di gestione fiduciaria) assoggettarono alla procedura concorsuale di diritto speciale della l.c.a. non soltanto le società fiduciarie (e assimilate) propriamente dette, ma anche le società (in stato di insolvenza) che, pur esercitando una attività economica “di diritto comune” - che come tale ne avrebbe comportato la soggezione al fallimento -, presentassero dei rapporti di collegamento con la società fiduciaria (così da appartenere a quello che può essere definito il “gruppo fiduciario”).
Successivamente, le disposizioni sull’amministrazione straordinaria e sulla liquidazione coatta amministrativa delle imprese esercitanti l’attività creditizia hanno assoggettato a tali procedure di crisi di diritto speciale non solamente le banche propriamente dette, ma anche le società (in stato di insolvenza) “di diritto comune” – che in quanto tali sarebbero state soggette al fallimento – presentanti dei rapporti di collegamento con la società bancaria (così da appartenere a quello che è normativamente definito “gruppo bancario”).  Nello stesso modo gli artt. 275 ss. del d. lg. n. 209/2005 hanno dettato una disciplina compiuta “sul risanamento e sulla liquidazione del gruppo assicurativo”.
La considerazione del corpus normativo rappresentato dalla “rivisitazione” della disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi (D.Lgs. n. 270/1999 – c.d. “legge Prodi-bis” -, che prese il posto del menzionato D.Lgs. n. 95/1979) aveva indotto a cogliere i sintomi di una terza, possibile tendenza di fondo nella evoluzione della disciplina delle procedure concorsuali “amministrativistiche”: un rafforzamento delle funzioni dell’Autorità giudiziaria, sia pure in un contesto caratterizzato da una forte “ingerenza” dell’autorità amministrativa, anche in funzione della garanzia di un più adeguato equilibrio tra l’esigenza del soddisfacimento degli interessi generali di settore, e l’esigenza del soddisfacimento degli interessi individuali delle controparti dei rapporti giuridici posti in essere dall’imprenditore assoggettato ad A.S. (primi tra tutti i suoi creditori). 
Tale tendenza, peraltro, è stata rapidamente corretta dalla successiva disciplina della procedura della “Amministrazione straordinaria delle imprese di rilevanti dimensioni in stato di insolvenza” (c.d. “legge Marzano”, o “legge Parmalat”: D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, e successive modificazioni e integrazioni), e dalla integrazione da essa ricevuto da parte del c.d. “decreto Alitalia” (D.L. 28 agosto 2008, n. 134, convertito nella legge 27 ottobre 2008, n. 166), volto a disciplinare le situazioni di crisi delle grandi imprese “operanti nei servizi pubblici essenziali” [2].
Successivamente, nel momento di mettere mano alla prima “riforma organica” della legge fallimentare, dopo oltre 60 anni dalla sua approvazione, per espressa (e non è dato di sapere quanto consapevole) volontà del legislatore delegante, la “riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali”, avviata con l’approvazione della legge n. 80/2005, fu specificamente circoscritta a quelle [“procedure concorsuali”] “di cui al regio decreto 16 maggio 1942, n. 267”, cioè le procedure disciplinare dalla c.d. “legge fallimentare” (cfr. art. 1, comma 5, L. 14 maggio 2005, n. 80), vale a dire le procedure rivolte a disciplinare le situazioni di crisi delle imprese “di diritto comune”.
In conseguenza di ciò la “riforma organica” della legge fallimentare degli anni 2005 e 2006 (e seguenti) non riguardò, in linea di principio:
(i) né le procedure di liquidazione coatta amministrativa disciplinate in testi normativi diversi dalla c.d. “legge fallimentare” - per es.: le procedure di l.c.a. delle banche, delle imprese autorizzate a prestare servizi di investimento, delle assicurazioni, che sono rimaste disciplinate, rispettivamente, nel “Testo Unico Bancario” (D.Lgs. n. 386/1993); nel “Testo Unico della Finanza” (D.Lgs. n. 58/1998); e nel “Codice delle Assicurazioni” (D.Lgs. n. 209/2005) -;
(ii) né la procedura concorsuale di Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (c.d. “Prodi-bis”), disciplinata dal D.Lgs. n. 270/1999;
(iii) né la procedura concorsuale di Amministrazione Straordinaria delle imprese insolventi di rilevanti dimensioni (c.d. “legge Marzano” o anche “legge Parmalat”, disciplinata dal D.L. n. 347/2003);
(iv) né la procedura concorsuale di Amministrazione Straordinaria delle imprese di rilevanti dimensioni “operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali” (c.d. “decreto Alitalia”: d. L. n. 134/2008).
Si è precisato che a tali procedure la “riforma organica” della legge fallimentare degli anni 2005 e 2006 (e seguenti) non si sarebbe applicata in linea di principio: ma non va trascurata la circostanza che una parte rilevante della disciplina delle procedure di L.C.A. regolate al di fuori del fallimento era costituita da disposizioni di rinvio alla “legge fallimentare” propriamente detta. In conseguenza di ciò, molte disposizioni modificate dagli interventi di riforma che si sono succeduti dal 2005 sino alla approvazione del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza si sono trovate ad essere applicate anche alle procedure concorsuali amministrative delle L.C.A. “speciali”, nella versione riformata, pur essendo tali procedure - come detto - di per sé non interessate dagli interventi riformatori.
Occorre infine dare conto dei dubbi di legittimità costituzionale che in passato hanno investito l’istituto. È proprio la ricorrenza dei ricordati interessi di carattere, per così dire, “generale”, che ha consentito alla disciplina in materia di liquidazione coatta amministrativa di sottrarsi alla censura di incostituzionalità (C. Cost., 26 giugno 1975, n. 159, in Foro.it., 1975, I, 1592, che ha escluso la illegittimità costituzionale dell’art. 2 L. fall. sotto il profilo degli artt. 3 e 24 Cost.), agitata, anche in dottrina, soprattutto partendo dalla constatazione dell’affievolimento dei poteri e dei diritti dei creditori (tanto sotto il profilo del loro potere di iniziativa; quanto sotto quello della sottrazione della loro tutela all’autorità giudiziaria[3]).
Al conseguimento di tale risultato interpretativo non è estraneo il fenomeno rappresentato dalla circostanza che la Corte Costituzionale, attraverso la propria attività “correttiva”, ha sovente introdotto nella liquidazione coatta alcuni principi propri della procedura fallimentare[4]; e alla dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 209 L. fall. nella parte in cui prevedeva che l’opposizione dei creditori in tutto o in parte esclusi decorresse dalla data del deposito dell’elenco dei crediti e non da quella di ricezione delle raccomandate a.r. con cui il Commissario liquidatore dà notizia dell’avvenuto deposito). 
 In questo senso può anche dirsi che la Corte Costituzionale abbia “precorso i tempi” rispetto a quello che sarebbe stato l’indirizzo perseguito dal legislatore del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 18: deve infatti tenersi in considerazione la circostanza che gli interventi modificativi della disciplina della liquidazione coatta amministrativa ad opera dell’art. 18 del c.d. “decreto correttivo” [del 2007] furono giustificati proprio alla luce dell’esigenza di una armonizzazione con la disciplina dettata per istituti della procedura fallimentare, ovvero proprio per adeguare la normativa vigente agli interventi “correttivi” della Corte Costituzionale cui si è fatto cenno[5].
2 . Le linee guida della riforma della legge fallimentare: i principi dettati dalla legge-delega 19 ottobre 2017, n. 155
L’art. 15, comma 1, L. n. 155/2017 (“Delega al governo per la riforma della disciplina della crisi di impresa e dell’insolvenza”) aveva disposto: “Nell’esercizio della delega [conferitagli con la legge n. 155/2017], per la riforma della liquidazione coatta amministrativa, il governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi
a) applicare in via generale la disciplina concorsuale ordinaria anche alle imprese in stato di crisi o di insolvenza attualmente soggette alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, mantenendo fermo il relativo regime speciale solo nei casi previsti: 
1) dalle leggi speciali in materia di banche e imprese assimilate, intermediari finanziari, imprese assicurative e assimilate; 
2) dalle leggi speciali in materia di procedimenti amministrativi di competenza delle autorità amministrative di vigilanza, conseguenti all’accertamento di irregolarità e all’applicazione di sanzioni da parte delle medesime autorità; 
b) attribuire alle autorità amministrative di vigilanza le competenze in tema di segnalazione dell’allerta e di composizione assistita della crisi di cui all’articolo 4, anche al fine di individuare soluzioni di carattere conservativo, nonché la legittimazione alla domanda di apertura della procedura di liquidazione giudiziale di cui all’articolo 7”. 
A proposito di tale principio direttivo la Relazione illustrativa dello Schema di DDL, recante la suddetta delega al Governo, commentava: “al di fuori dei settori soggetti a particolare regime di vigilanza ad opera di autorità pubbliche a tal fine specificamente istituite, quali il settore bancario, quello assicurativo e dell’intermediazione finanziaria, nell’ambito dei quali l’istituto risponde anche ad esigenze sui generis che chiamano necessariamente in causa la peculiare competenza delle anzidette autorità di settore, non sembrano più sussistere ragioni che, per imprese diverse – tra cui segnatamente le cooperative – giustifichino una disciplina della crisi e dell’insolvenza dell’impresa divergente da quella tracciata in via generale dalle disposizioni che si sono andate fin qui illustrando. 
Lo sforzo di ricondurre ad unità sistematica la normativa concorsuale, della cui importanza s’è già detto ripetutamente, suggerisce quindi di riportare anche il fenomeno della crisi e dell’insolvenza delle imprese oggi soggette a liquidazione coatta nell’alveo della disciplina comune, circoscrivendo detto istituto speciale alle sole ipotesi in cui la necessità di liquidare l’impresa non discenda dall’insolvenza, ma costituisca lo sbocco di un procedimento amministrativo volto ad accertare e sanzionare gravi irregolarità intervenute nella gestione…[6]. 
È peraltro doveroso registrare, sul punto, un orientamento almeno in parte diverso manifestato nel corso dei lavori di elaborazione del testo, favorevole invece ad estendere le competenze del Commissario governativo in ipotesi di crisi delle imprese oggi soggette al regime della liquidazione coatta amministrativa”. 
Pareva evidente, quindi, l’intenzione di distinguere nettamente fra le cc.dd. “crisi economiche” e le cc.dd. “crisi di legalità”, riservando alle sole ipotesi riconducibili al secondo fenomeno l’esigenza di ricorrere ad una procedura concorsuale liquidativa di diritto speciale – la liquidazione (coatta) amministrativa –, anziché alla procedura concorsuale liquidativa di diritto comune – la liquidazione giudiziale –. 
Questa parte della legge delega è rimasta completamente inattuata: ciò in conseguenza del suggerimento proveniente dalla Commissione Giustizia del Senato, che ha ritenuto necessario confermare la (pre) vigente normativa in materia di L.C.A. (soprattutto) delle società cooperative (con oggetto commerciale)[7]. 
Diversamente è a dirsi per la parte alla quale faceva riferimento la lettera b) del comma 1 dell’art. 15 L. n. 155/2017, in materia di attribuzione alle Autorità amministrative di vigilanza della competenza in tema di segnalazioni di “allerta” e di funzioni attribuite agli Organismi di Composizione della Crisi: infra
Sempre in argomento di interventi di riforma della legge fallimentare, culminati con la approvazione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, nelle procedure di liquidazione coatta amministrativa va tenuta presente l’innovazione apportata all’art. 369 CCII dall’art. 38 del D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 (c.d. “decreto correttivo”). La disposizione innovativa ha disciplinato il coordinamento del “Codice” con il T.U.B. e con il d. lgs. 16 novembre 2015, n. 180, che ha recepito la Direttiva Comunitaria 2014/59/UE in materia di risanamento e risoluzione degli enti creditizi (“BRRD”). All’art. 69-septiesdecies del T.U.B., che disciplina il beneficio della esenzione da revocatoria per gli atti posti in essere in esecuzione di un accordo di sostegno finanziario di gruppo tra imprese bancarie o finanziarie (come regolato dagli artt. 69-duodecies ss CCII), è stata apportata una integrazione che: (i) esclude la promuovibilità delle “azioni di inefficacia fra imprese del gruppo” altrimenti previste dall’art. 290 CCII.; (ii) esclude la applicabilità dell’art. 292 CCII in materia di “postergazione del rimborso dei crediti da finanziamento infragruppo”; e (iii) esclude l’applicabilità dell’art. 322 CCII in materia di bancarotta fraudolenta per distrazione e di bancarotta preferenziale, nonché l’applicabilità dell’art. 323 CCII in materia di bancarotta semplice.
3 . La permanente struttura della disciplina delle procedure di Liquidazione Coatta Amministrativa
Stante la mancata attuazione del principio della legge delega n. 155/2017, in forza del quale la disciplina concorsuale di diritto comune avrebbe dovuto essere applicata “in via generale… anche alle imprese in stato di crisi o di insolvenza attualmente soggette della procedura di liquidazione coatta amministrativa”, il legislatore che ha dato vita al Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza ha mantenuto l’impostazione che la disciplina della (o delle) L.C.A. registrava nella legge fallimentare previgente: disciplina caratterizzata da: 
(i)    l’affermazione del principio della applicabilità delle singole leggi speciali che regolano le procedure di L.C.A. rispettivamente delineate per le diverse categorie di imprese “di diritto speciale” che erano sottratte al fallimento (e che rimangono sottratte al Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza): e da 
(ii)  l’affermazione dell’applicabilità a tutte le imprese “di diritto speciale”, pur sottratte alla disciplina della procedura liquidativa di diritto comune (del fallimento prima, e successivamente) della liquidazione giudiziale, di una serie di norma della “legge fallimentare” (oggi del CCII), giudicate meritevoli di ricevere una applicazione generalizzata, per la insussistenza di ragioni giustificative di una regolamentazione diversificata dei relativi oggetti (D’Attorre, Manuale di diritto della crisi d’impresa e dell’insolvenza, 2 ed., Torino, Giappichelli, 2022, 391). 
In conseguenza di quanto sopra, il giudizio complessivo assegnabile alla riforma conseguente alla introduzione del CCII, per quanto concerne la disciplina della Liquidazione Coatta Amministrativa, può essere sintetizzato nella constatazione di “una sostanziale conferma della disciplina attualmente vigente” [8]. 
Il giudizio è condividibile, ma deve essere integrato da una precisazione. 
A prescindere dalla scelta “ideologica” di mantenere una procedura concorsuale liquidativa “di diritto speciale” per imprese (soprattutto le società cooperative, ma non solo) connotate da profili di “specialità” non particolarmente accentuati, rimane il fatto che la disciplina previgente originava numerose e gravi incertezze interpretative. Nulla questio sulla scelta “politica” (magari di “bassa politica”) di mantenere la disciplina della L.C.A. applicabile alle imprese che vi erano soggette nel passato: ma ciò non avrebbe dovuto impedire di cogliere l’occasione per sciogliere i dubbi interpretativi da tale disciplina originati, e per colmare le lacune che il suo esame aveva rilevato. La “sostanziale conferma” del pregresso tessuto normativo mantiene attuale il dibattito su una serie di questioni interpretative che trapassano dalla legge fallimentare al Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza[9].
4 . Il rinvio alle norme contenute nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza
Le leggi speciali che disciplinano le procedure di liquidazione coatta amministrativa delle imprese sottratte al “fallimento” (ovvero soggette anche alla liquidazione coatta amministrativa) contengono innumerevoli rinvii alla “legge fallimentare” – ed oggi al CCII -. Essendo stato ritenuto – evidentemente – particolarmente laborioso intervenire su tutti questi testi normativi, correggendone il riferimento con la sostituzione del numero dell’articolo della legge fallimentare richiamato con il corrispondente articolo del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, si è dettato il principio secondo il quale “i rinvii [alla legge fallimentare] contenuti in leggi speciali in materia di liquidazione coatta amministrativa si intendono fatti” alle corrispondenti disposizioni del Codice della Crisi d’Impresa e dell’insolvenza. 
5 . La disciplina concorsuale applicabile agli “enti pubblici”
La legge fallimentare previgente precisava, all’articolo 195, ultimo comma, che “le disposizioni di questo articolo non si applicano agli entri pubblici”: e ciò giustificava la congettura che agli enti pubblici fossero invece applicabili gli altri articoli (diversi da quello di cui si esclude la applicabilità), che disciplinavano i caratteri generali della procedura di l.c.a. La disposizione dichiarata inapplicabile (l’art. 195, L. fall., per l’appunto) disciplinava lo “accertamento giudiziario dello stato di insolvenza anteriore alla liquidazione coatta amministrativa”: e da ciò si sarebbe potuto desumere che la disposizione concernente invece l’“accertamento giudiziario dello stato d’insolvenza” successivo all’assoggettamento dell’ente pubblico alla l.c.a. (cioè l’art. 202 L. fall.), come anche le altre disposizioni generali sulla procedura di l.c.a. contenute nel titolo IV della legge fallimentare, rimanessero applicabili[10]. 
Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, con una delle poche disposizioni riconosciute come apportatrici di effetti innovativi[11], afferma ora (art. 294, comma 3) che “le disposizioni di questo titolo non si applicano agli enti pubblici”: escludendo pertanto tali enti da tutte le disposizioni del “Titolo VII. LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA” del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, quindi da tutte le disposizioni generali sulle procedure di l.c.a. regolate dalle diverse leggi speciali che riguardano l’assoggettamento a procedure concorsuali liquidatorie dei soggetti sottratti al “fallimento” (rectius: alla liquidazione giudiziale).
 Ferma restando la necessità di prendere atto della innovazione apportata dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, rimane da comprendere il senso della riproduzione della disposizione dell’art. 199, comma 8, L. fall., operata dall’art. 297, comma 9, CCII, che ripropone il principio secondo il quale “le disposizioni di questo articolo non si applicano agli enti pubblici”: essendo ovvio che se non si applicano “le disposizioni di questo titolo” (il titolo VII), non si applicano neppure le singole disposizioni che di quel “titolo” fanno parte, tra le quali – per l’appunto – l’art. 297.             
Una volta precisato che il “terzo correttivo” recentemente entrato in vigore modifica – inter alia – la disposizione dettata nell’art. 297 CCII, ma non con riguardo al comma che ci interessa in questa sede, si può solo congetturare che: 
(i)    il principio della inapplicabilità di “questo titolo” (il titolo VII) del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza riguardi gli “enti pubblici” non economici; e 
(ii)   per ciò che concerne gli “enti pubblici” economici, invece, debba essere soltanto esclusa – come nel vigore della legge fallimentare – l’applicabilità della disposizione riguardante gli effetti della dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza – allo scopo, si deve ritenere, di sottrarre l’autorità di vigilanza all’obbligo di disporre l’apertura della procedura di l.c.a., che rappresenta, come si dirà, una conseguenza ritenuta necessaria dell’intervenuta dichiarazione di insolvenza da parte dell’autorità giudiziaria -.

Note:

[1] 
Secondo A. Nigro e D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, IV^ ed., Bologna, Il Mulino, 461 ss., “Il legislatore fallimentare del 1942 ha ritenuto necessario regolare la l.c.a. accanto alle altre procedure concorsuali, ma non al costo dell’azzeramento totale delle discipline particolari preesistenti. Così, ha estrapolato dalle leggi anteriori (in particolare dalla l. banc. del 1936-1938) le linee di fondo della regolamentazione ed ha fatto di queste la disciplina generale dell’istituto”.
[2] 
In argomento v. S. Bonfatti, Amministrazione Straordinaria, in Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffrè, 2017.
[3] 
A. Bonsignori, Processi concorsuali minori, Padova, Cedam, 1997, 499, evidenzia come “la struttura del procedimento di liquidazione coatta amministrativa è ben lungi dal presentare le stesse garanzie che offre il fallimento”.
[4] 
G. Bavetta, La liquidazione coatta amministrativa, in Le procedure concorsuali. Procedure minori, diretto da G. Ragusa Maggiore e C. Costa, I, Torino, 2001, 399, che si riferisce essenzialmente al principio della necessaria audizione dell’imprenditore in camera di consiglio prima che il tribunale si pronunci sulla richiesta di accertamento dello stato di insolvenza (le considerazioni dell’A. sono riferite all’art. 195 l. fall. prima della sua riforma.
[5] 
Sul punto sia consentito rinviare a R. Falcone, La liquidazione coatta amministrativa, La riforma organica delle procedure concorsuali, a cura di S. Bonfatti e L. Panzani, Milano, Giuffrè, 2008, 799, ss.
[6] 
In argomento v. B. Armeli, Liquidazione coatta amministrativa, in Il Fallimentarista.it., 28 maggio 2020).; F. Tomasso, La liquidazione coatta amministrativa tra prospettive di sostanziale abrogazione e criticità odierne, in Fall., 2016, 1113.
[7] 
In senso critico, a tale proposito, R. Rordorf, Prime osservazioni sul codice della crisi e dell’insolvenza, in I contratti, 2019, secondo il quale “pare che qui il confine tra mancato esercizio della delega, che rientra nelle prerogative del Governo, ed esercizio della delega in difformità dai criteri enunciati nelle legge delega approvata dal Parlamento, con conseguente violazione costituzionale, sia piuttosto evanescente”; F. Lamanna, Il nuovo Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza (I), in Il Civilista, Milano, Giuffrè, 2019, 23 ss.; ID., Il nuovo Codice ecc., IV, ibidem, 2019, 77 ss.; G. Bonfante, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. La liquidazione coatta amministrativa, in Giur.it, 2019, 1943.
[8] 
F. Lamanna, Il nuovo Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza, (IV), cit., 77), che ha indotto a considerare “superfluo svolgere un commento delle singole norme che abbia anche solo modeste velleità interpretative”.
[9] 
Secondo R. Rordorf, Prime osservazioni sul codice della crisi e dell’insolvenza, in Contr., 2019 (2), 129 ss., “è allora legittimo supporre che abbia prevalso il desiderio di alcuni ambienti ministeriali di non perdere competenze, a scapito della razionalità e della completezza di un progetto di riforma nel cui ambito il mantenimento della singolare alternativa tra procedura amministrativa di liquidazione coatta e procedura di liquidazione giudiziale, in presenza dei medesimi presupposti, non trova più alcuna adeguata giustificazione quando si tratti di imprese operanti sul mercato in regime di concorrenza con altre per le quali un’analoga alternativa, ovviamente, non sussiste”. 
[10] 
In argomento A. Nigro e D. Vattermoli, Diritto della crisi d’impresa ecc., cit., 464, osservano che “dato il tenore letterale dell’art. 202, co. 2, che esclude dal rinvio il co. 8 dell’art. 195, e la ratio che giustifica la sottrazione degli enti pubblici all’accertamento anteriore dello stato di insolvenza, sembra potersi affermare – in contrasto con quanto sostenuto dalla giurisprudenza dominante – che anche per gli enti pubblici sia possibile procedere all’accertamento successivo dello stato di insolvenza, essendo la procedura concorsuale già aperta e non risultando motivi che possano giustificare una disparità di trattamento, sul punto, tra i diversi enti assoggettabili a l.c.a. D’altra parte, tale soluzione trova conferma nella disciplina specifica della l.c.a. delle banche, dove è previsto l’accertamento successivo dello stato di insolvenza anche nei confronti degli istituti di credito aventi natura pubblica (art. 82, co. 2, t.u.b.)”. 
[11] 
G. Bonfante, Il Codice della crisi d’impresa, ecc., cit., 1943 ss. 

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