La conservazione degli effetti esdebitativi del piano del consumatore nella legge sul sovraindebitamento e nel codice della crisi e dell’insolvenza
Fernando Platania, Magistrato in Verona
19 Aprile 2021
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Ma l’esdebitazione, intesa come cessazione dell’obbligo del debitore di adempiere alle obbligazioni (non soddisfatte), può legittimamente conseguire, altresì, anche (e soprattutto) all’omologazione del piano del consumatore o dell’accordo del debitore ancorchè tale effetto possa considerarsi definitivo solo a seguito del completo rispetto degli impegni assunti.
Per favorire la formazione e l’esecuzione del piano, la Legge 3/12 predispone (a far tempo dall’omologazione) una piuttosto completa rete di protezione del patrimonio del debitore; infatti, gli artt. 12, per l’accordo del debitore, e 14, per il piano del consumatore, prevedono che dalla data dell'omologazione i creditori con causa o titolo anteriore non possano iniziare o proseguire azioni esecutive individuali[8].
E’ poi disposto espressamente che il piano omologato sia obbligatorio per tutti i creditori le cui ragioni siano sorte anteriormente al momento in cui è stata eseguita la pubblicità di cui all'articolo 12 bis, comma 3, e, soprattutto ( art. 12 comma 3 per l’accordo, e art. 12 ter comma 2 per il piano del consumatore), che i creditori con causa o titolo posteriore non possano procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano che acquisiscono per tale via, uno statuto paragonabile a quello dei patrimoni separati.
La Legge 3/12, anche dopo la modifica, conserva, però, il piuttosto farraginoso sistema di cessazione degli effetti dell’omologazione articolato su molte ipotesi.
Ai sensi dell’art. 11, comma 5, l’accordo cessa di diritto di produrre i suoi effetti se entro novanta giorni il debitore non esegue integralmente i pagamenti dovuti, secondo il piano, alle amministrazioni pubbliche ed agli enti gestori di forma di previdenza; ai sensi dell’art. 12 la cessazione degli effetti consegue, altresì, al mancato pagamento dei crediti impignorabili nonché dei crediti di cui all’art. 7 comma 1 terzo periodo (tra i quali si annoverano i crediti iva, il cui mancato pagamento nei termini previsti, ancorchè non debba essere più integrale – per effetto delle pronunce della Corte Europea e della Corte Costituzionale recepite dal codice della crisi ed anche dalla riforma della legge sul sovraindebitamento - produce, pur sempre, l’effetto della cessazione degli effetti dell’accordo). E’, anche, previsto l’annullamento se la proposta sia frutto di azioni dolose ai danni dei creditori.
Infine, ed è l’aspetto più rilevante ai fini di questo scritto, la cessazione degli effetti consegue alla risoluzione dell’accordo per inadempimento, ancorchè incolpevole, delle obbligazioni assunte dal debitore.
Per il consumatore, invece, gli effetti dell’omologazione del piano vengono meno per il mancato pagamento dei crediti impignorabili (ed anche dei crediti di cui all’art. 7 comma 1 terzo periodo prima ricordati) e, come per l’accordo, per inadempimento, seppur incolpevole.
Come emerge dal sistema, sebbene la cessazione degli effetti del piano o dell’accordo possa, quindi, dipendere principalmente da inadempimenti del debitore causati anche da fattori esterni, tuttavia la regolare esecuzione del piano risulta certamente favorita dalla segregazione patrimoniale dei beni destinati al soddisfacimento dei creditori anteriori che impedisce azioni esecutive su tali beni da parte dei creditori le cui ragioni di credito siano sorte successivamente alla presentazione della domanda[9]. Viene, quindi, garantito che il soddisfacimento dei creditori contemplati nel piano non possa essere ostacolato da eventuali azioni esecutive promosse sui beni destinati all’adempimento della proposta.
Il complessivo sistema emergente dalla Legge 3/12, nella sostanza tutela in modo adeguato sia i creditori, che possono contare in via esclusiva sul patrimonio destinato al loro soddisfacimento, sia i debitori che, in forza della relativa intangibilità dei beni da cui deve essere ricavato l’attivo da distribuire, possono ragionevolmente confidare di adempiere al piano senza interferenze di soggetti non vincolati agli effetti della omologazione.
In primo luogo, il codice della crisi interviene sulle cause di cessazione degli effetti dell’accordo semplificando (opportunamente) il sistema, molto macchinoso della Legge 3/12.
E’ prevista, infatti, solo l’ipotesi della revoca (art. 72, c.c.i.) dell’omologazione disposta dal giudice d’ufficio o su istanza di un creditore o di un qualsiasi altro interessato per atti di frode, simulazione di attività o passività inesistenti e per l’inadempimento degli obblighi previsti nel piano oppure, infine, quando il piano non sia più attuabile e non sia possibile modificarlo.
Nel codice della crisi, per tutti i sovraindebitati (consumatore o imprenditore minore), non è, invece, riprodotta la disposizione per la quale i beni oggetto del piano costituiscono un patrimonio separato.
Del resto, nella prospettiva legislativa, che contempla, per i soggetti diversi dal consumatore, il ricorso alla procedura del concordato minore con continuità aziendale, il pagamento dei crediti, anche privilegiati, deve avvenire in via prevalente per mezzo dei flussi di cassa garantiti dalla prosecuzione dell’attività e non dalla liquidazione degli assets strategici dell’impresa (eventualmente gravati di garanzia a favore di taluno dei creditori).
Rimane, invece, il divieto di azioni esecutive nella fase che precede l’omologazione, che si trasforma, successivamente, nell’obbligo del rispetto del piano concordatario per tutti i creditori anteriori i quali debbono necessariamente attendere lo sviluppo della procedura ed i tempi previsti nel piano omologato per ottenere i pagamenti nella misura promessa.
Invece[10], i creditori, le cui ragioni sono sorte successivamente all’inizio della procedura di concordato minore e che, pertanto, godono del regime della prededucibilità (art. 6 lett. d, c.c.i.), sono liberi di agire esecutivamente[11] su tutti i beni del debitore (potendo far valere la prededucibilità anche nella fase esecutiva individuale, art. 6 co. 3 c.c.i.), non essendo limitati in alcun modo dagli effetti della procedura concorsuale alla quale sono completamente estranei.
Conseguentemente, la necessaria continuazione dell’attività aziendale diretta (ma anche, in taluni casi, indiretta) espone il debitore al rischio che l’inadempimento delle obbligazioni contratte dopo la presentazione del ricorso si ripercuotano sulla procedura non ancora giunta al suo epilogo. La mancanza di una qualsiasi forma di segregazione del patrimonio del debitore, infatti, permette azioni esecutive dei creditori posteriori insoddisfatti, potenzialmente idonee ad ostacolare l’attività economica da cui ricavare i flussi di cassa destinati ai creditori.
A ben guardare, però, si tratta di una scelta obbligata, almeno per quanto riguarda l’imprenditore sovraindebitato, apparendo impossibile assicurare la continuità con la segregazione patrimoniale dei beni a favore dei creditori anteriori; verrebbe di fatto precluso all’imprenditore l’accesso alla nuova finanza ed in genere al credito (funzionale alla prosecuzione dell’attività)[12] e svuotata, altresì, di significato la prededucibilità attribuita ai nuovi crediti contratti in funzione della prosecuzione dell’impresa[13].
Né può costituire idoneo presidio a scongiurare ulteriori indebitamenti, il fatto che il piano debba necessariamente garantire la sufficienza dei mezzi per soddisfare le esigenze di vita del consumatore e della sua famiglia, non essendo previste nel codice, preclusioni al ricorso a nuovi debiti[14].
L’effetto dell’estensione (non adeguatamente valutata dal legislatore) della disciplina del concordato minore alla procedura riservata al consumatore (che, però, non è tenuto alla prosecuzione di una attività economica) crea certamente maggiori incertezze sulla tenuta e sostenibilità del piano anche per i creditori anteriori che per effetto di azioni (pienamente legittime) di estranei alla procedura possono vedere sottratte risorse, invece loro originariamente destinate, da soggetti che concorrerebbero anche nella successiva procedura di liquidazione controllata eventualmente disposta su iniziativa dello stesso debitore una volta revocata l’omologazione per l’accertata impossibilità di adempiere al piano (art. 73 c.c.i.)[15].
Il tempo che manca all’entrata in vigore del codice potrebbe essere utilizzato per eliminare questa non giustificabile incongruenza del sistema quanto meno introducendo, a tutela dell’interesse generale alla conclusione positiva della procedura, la possibilità di imporre al consumatore, anche d’ufficio, stringenti limitazioni all’accesso al credito idonee a limitare il rischio di ulteriori inadempienze.
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