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La composizione negoziata della crisi fra misure premiali e transazione fiscale

Francesco Pistolesi, Professore ordinario di diritto tributario presso l’Università di Siena e Avvocato in Firenze
Lorenzo Gambi, Dottore commercialista in Firenze

28 Luglio 2025

Gli A. si soffermano sul complesso dei profili e delle correlate implicazioni fiscali in ambito di composizione negoziata. 
Riproduzione riservata
1 . Quadro generale
La composizione negoziata della crisi (anche, “CNC”) mira al risanamento delle imprese che si trovino in condizioni di squilibrio patrimoniale e/o economico-finanziario le quali tuttavia abbiano le potenzialità necessarie per “restare sul mercato”, avendo, cioè, ragionevoli - e concrete - prospettive di risanamento. 
Sotto quest’ultimo profilo, è dunque condizione necessaria ai fini dell’accesso alla CNC che la situazione di difficoltà aziendale - foss’anche, la stessa, d’insolvenza – sia “reversibile”: il percorso di composizione negoziata è, così, precluso alle imprese che si trovino in una situazione di irreversibile squilibrio patrimoniale e/o economico-finanziario (v. art. 12, comma 1, Codice della crisi, in seguito anche CCII).
La composizione negoziata della crisi è stata introdotta – in un contesto emergenziale legato alla diffusione del virus “Covid 19” – dal D.L. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con L. 21 ottobre 2021, n. 147. 
Il legislatore della riforma ha poi trasfuso la disciplina della CNC all’interno del CCII, come da ultimo integrato e modificato dal D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (anche, “Correttivo-ter”). 
Il Codice della crisi, sotto un profilo generale, mira a favorire il recupero della capacità produttiva dell’impresa, nell’interesse di tutti i soggetti coinvolti, attraverso meccanismi di prevenzione e diagnosi tempestiva delle diverse situazioni di difficoltà aziendali, e rapido accesso a soluzioni - giudiziali ovvero stragiudiziali - di risanamento, modulabili in base ai casi concreti. 
La composizione negoziata della crisi rientra fra gli strumenti “stragiudiziali”: la stessa ha natura volontaria e negoziale, e vi si accede mediante una fase preliminare di autodiagnosi aziendale. 
Non si tratta di una procedura concorsuale (si parla, in senso atecnico, di “percorso”). 
L’istanza di nomina dell’esperto non determina, infatti, l’apertura del “concorso” dei creditori, e non determina – al pari - alcun effetto di spossessamento in capo all’imprenditore. 
Egli continua ad amministrare il patrimonio d’impresa, in relazione sia all’amministrazione ordinaria, sia all’amministrazione straordinaria, con possibilità - fra l’altro - di effettuare i pagamenti spontaneamente, prescindendo dai criteri che regolano la gradazione dei crediti. 
Quanto sopra, salvo l’intervento dell’esperto nei casi in cui i pagamenti non appaiano funzionali agli obiettivi di risanamento. 
Per quanto la composizione negoziata, come detto, si presenti come un percorso “stragiudiziale”, il Codice della crisi prevede, tuttavia, alcuni, rilevanti “passaggi” giurisdizionali. 
E ciò allorquando l’imprenditore intenda raggiungere i seguenti obiettivi: 
- conferma delle misure protettive e/o cautelari 
- riconoscimento della prededucibilità dei finanziamenti 
- rideterminazione dei contratti ad esecuzione continuata, differita e/o periodica 
- disapplicazione degli effetti ex art. 2560, comma 2, c.c., in caso di vendita dell’azienda. 
Si porrà, in tali casi, la necessità di una vera e propria disclosure al fine di consentire al foro concorsuale di esprimersi in modo compiuto sulle richieste di protezione/autorizzazione formulate dall’imprenditore. 
Durante il percorso di composizione negoziata della crisi non deve (recte, non dovrebbe) mai venir meno l’obiettivo/condizione della “ragionevole perseguibilità” del risanamento. 
Qualora l’esperto ritenga insussistente tale requisito, negherà all’imprenditore la possibilità di intraprendere (nella fase iniziale) e/o proseguire (a percorso avviato) la composizione negoziata, attivandosi presso la competente CCIAA ai fini dell’archiviazione della domanda di accesso (art. 17, comma 5, CCII). 
Al contrario, ove sussistano le ragionevoli prospettive di risanamento, le trattative fra l’imprenditore, i creditori ed ogni altra parte interessata potranno portare all’adozione di uno dei seguenti strumenti ex art. 23, commi 1 - 2, CCII: 
- contratto, con uno o più creditori oppure con una o più parti interessate al risanamento che produca gli effetti ex art. 25 bis, comma 1, CCII, qualora secondo l'esperto lo stesso sia idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni 
- convenzione di moratoria ex art. 62 CCII 
- accordo sottoscritto dall'imprenditore, dai creditori aderenti e dalle altre parti interessate al risanamento che vi abbiano aderito e dall'esperto, con gli effetti ex artt. 166, comma 3, lett. d), e 324, CCII 
- piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII 
- domanda di omologazione di un ADR, con percentuale ridotta al 60% (anziché 75%) in caso di accordo ad efficacia estesa ove ciò risulti dalla relazione finale dell'esperto o se la domanda di omologazione è proposta nei sessanta giorni dal deposito della relazione finale dell’esperto 
- domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio ex art. 25 sexies, CCII 
- uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza disciplinati dal CCII, dal D.Lgs. n. 270/1999 (amministrazione straordinaria grandi imprese in stato d’insolvenza crisi) o dal D.L. n. 347/2003 (ristrutturazione industriale grandi imprese in stato di insolvenza. 
2 . Gli istituti “tributari” nella CNC
Nel quadro sopra delineato, si innestano due norme del Codice della crisi aventi natura e/o effetti di carattere tributario: entrambe le norme sono finalizzate ad incentivare l’imprenditore a far ricorso, sussistendone i presupposti, al percorso di composizione negoziata della crisi. 
La prima norma di riferimento è l’art. 25 bis, CCI, rubricato “Misure premiali”. 
Dette misure costituiscono un sistema incentivante, rappresentato dalle seguenti agevolazioni fiscali e/o deroghe alle ordinarie norme in tema di riscossione ovvero di applicazione dei tributi: 
- riduzione degli interessi alla misura legale con riferimento alle obbligazioni tributarie che maturino durante lo svolgimento della CNC (comma 1) 
- riduzione delle sanzioni alla misura minima, in caso di pagamento del debito tributario entro il termine assegnato dalla comunicazione che le irroghi (comma 2) 
- riduzione alla metà degli interessi e delle sanzioni sui debiti fiscali pregressi (comma 3) 
- possibilità di rateizzare, fino ad un massimo di centoventi rate mensili, i debiti tributari non ancora iscritti a ruolo (comma 4) 
- applicazione anche all’ambito della CNC delle norme agevolative in materia di tributi diretti ed IVA previste in caso di procedure concorsuali (comma 5). 
Le prime tre misure determinano benefici in termini di riduzione delle sanzioni e degli interessi; la quarta, consente all’imprenditore di avvalersi della possibilità di usufruire della rateizzazione prevista (solo) per i carichi iscritti a ruolo anche con riferimento ai tributi non iscritti a ruolo o non ancora affidati all’agente della riscossione; l’ultima, permette di avvalersi delle norme previste per le procedure concorsuale in tema di non imponibilità delle sopravvenienze da esdebitazione e deducibilità delle perdite su crediti, in ambito IIDD, ed anticipazione dei termini ai fini della emissione delle note di variazione, in ambito IVA. 
Le misure premiali non consentono all’imprenditore di “falcidiare” il debito erariale legato all’imposta. 
Tale possibilità è invece prevista dalla seconda norma di riferimento, ovvero l’art. 23, comma 2 bis, CCII, come introdotta dal legislatore all’interno del Codice della Crisi, con il Correttivo-ter
In base a tale disposizione, l’imprenditore, avviate le trattative, può formulare all’Amministrazione finanziaria una proposta di accordo che preveda il pagamento, parziale o dilazionato, del debito erariale e dei relativi accessori, esclusi i tributi costituenti risorse proprie dell'UE. 
L’imprenditore, assieme alla proposta, deve produrre: 
- una relazione di un professionista indipendente che attesti la convenienza della proposta medesima rispetto all'alternativa liquidazione giudiziale, nella prospettiva dell’ente erariale 
- una relazione sulla completezza e veridicità dei dati aziendali redatta dal soggetto incaricato della revisione legale, se esistente, ovvero, in mancanza, da un revisore legale iscritto nell'apposito registro. 
L'accordo sottoscritto dalle parti è comunicato all'esperto e produce i propri effetti con il deposito presso il tribunale competente ex art. 27 CCII. 
L’autorità giudiziaria verifica la regolarità dell’accordo e della relativa e, all’esito dell’istruttoria, autorizza l'esecuzione dell’accordo, con decreto, ovvero, in alternativa, lo dichiara privo di effetti. 
La transazione, ove autorizzata, si risolve di diritto: 
- in caso di apertura della liquidazione giudiziale o controllata, nonché di accertamento dello stato di insolvenza 
- se l'imprenditore non esegue integralmente, entro sessanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti. 
3.1 . Premessa
Preliminarmente, va evidenziata la legittimità delle descritte misure premiali: la finalità di favorire il tempestivo ricorso alla CNC e con esso la possibilità di risanare l’impresa rende ragionevole l’adozione di specifiche norme agevolative, che oltretutto incidono solo sull’entità delle sanzioni e degli interessi. 
Infatti, come anticipato, nessuno dei primi tre benefici sopra indicati consente l’abbattimento dei tributi dovuti dall’impresa. La quarta misura premiale attiene solo alle modalità temporali di assolvimento dei debiti fiscali. E la quinta si risolve nell’estensione alla CNC delle disposizioni – pacificamente legittime siccome volte, per un verso, a preservare l’attività d’impresa del debitore e, per l’altro, a temperare per le imprese creditrici gli effetti discendenti dalla crisi del debitore stesso – già esistenti in tema di non imponibilità delle sopravvenienze derivanti dalla falcidia dei debiti, di immediata deducibilità delle perdite su crediti e di anticipazione dell’emissione delle note di variazione in materia di IVA. 
3.2 . La riduzione degli interessi alla “misura legale”
Questo beneficio opera per un periodo massimo di 360 giorni – pari al limite di durata dell’incarico dell’esperto, ai sensi dell’art. 17, comma 7, del CCII – e solo qualora la CNC sfoci: 
1) in una soluzione negoziale tra quelle indicate dal comma 1 dell’art. 23 cit., ossia: a) il contratto con uno o più creditori oppure con una o più parti interessate all’operazione di risanamento, che assicura la continuità aziendale per almeno due anni [lett. a)]; b) la convenzione di moratoria ex art. 62 CCII [lett. b)]; c) l’accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori aderenti, dalle altre parti interessate all’operazione di risanamento che vi hanno acconsentito e dall’esperto, che produce gli effetti di cui agli artt. 166, comma 3, lett. d) e 324 CCII [lett. c)]; 
2) oppure nella domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli artt. 57, 60 e 61 CCII [art. 23, comma 2, lett. b), cit.]. 
V’è, anzitutto, da chiedersi se l’agevolazione sia circoscritta ai soli interessi che maturano – nel periodo compreso tra l’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto e la conclusione delle trattative che conducono a uno degli esiti sopra richiamati – sui debiti fiscali preesistenti. Oppure se il beneficio operi pure per gli interessi relativi ai debiti fiscali che sorgono nell’indicato periodo di riferimento. 
Quest’ultima soluzione è preferibile. 
Vero è che le norme agevolative vanno interpretate restrittivamente, ma nel caso la formulazione letterale della norma non esclude l’applicabilità di questa misura agli interessi relativi alle passività tributarie originatesi in detto periodo di riferimento. Non solo, le difficoltà dell’impresa che ricorre alla CNC rendono fisiologico il mancato assolvimento dei debiti fiscali sorti nel periodo in esame, di modo che è comprensibile che, alla luce dell’impegno profuso dall’imprenditore per sanare le criticità manifestatesi, tutti gli interessi fiscali siano ridotti “alla misura legale”, ossia attualmente al 2% per anno. 
Quindi, tanto la dizione letterale dell’art. 25 bis, comma 1 cit. quanto la sua ratio inducono a estenderne l’ambito di operatività a tutti gli interessi tributari. 
3.3 . La riduzione delle sanzioni “alla misura minima”
Stando all’art. 25 bis, comma 2, CCII, “Le sanzioni tributarie per le quali è prevista l’applicazione in misura ridotta in caso di pagamento entro un determinato termine dalla comunicazione dell’ufficio che le irroga, sono ridotte alla misura minima se il termine per il pagamento scade dopo la presentazione della istanza di cui all’articolo 17”. 
Perché questa norma possa operare occorre trovarsi in presenza di una sanzione che preveda una riduzione in caso di pagamento entro un determinato termine e occorre altresì che detto termine spiri dopo la proposizione dell’istanza per la nomina dell’esperto. 
In sostanza, grazie a tale istanza, l’impresa – per il sol fatto di aver dato corso alla CNC – può beneficiare della menzionata riduzione qualora il termine per fruirne venga a scadere dopo la presentazione dell’istanza medesima. 
Il beneficio spetta a condizione che il debitore versi tanto l’imposta e gli interessi quanto la sanzione, ancorché tardivamente ma prima che il procedimento avviato con detta istanza giunga a termine. 
Quindi, finché pende la CNC, l’impresa gode di una sorta di remissione in termini, che le permette di assolvere il proprio debito fiscale corrispondendo la sanzione ridotta. 
Ne discende che, durante il periodo di svolgimento della CNC, l’ente impositore non può formare l’iscrizione a ruolo e l’agente della riscossione non può adottare misure cautelari poiché il debitore può saldare, beneficiando appunto dell’abbattimento della sanzione, fino a quando il procedimento avviato con l’istanza ex art. 17 CCII non si sia concluso. 
Leggendo l’art. 25 bis, comma 2, cit., si pone un significativo dubbio interpretativo. 
Ivi è impiegata l’espressione “comunicazione dell’ufficio”. Può sostenersi che il legislatore abbia impiegato un lessico atecnico e abbia inteso riconoscere l’agevolazione in presenza di ogni atto espressivo di una pretesa tributaria indipendentemente dallo strumento – comunicazione o notificazione – con cui viene immesso nella sfera di cognizione del relativo destinatario? 
Ѐ ragionevole sostenere che l’utilizzo della locuzione “comunicazione dell’ufficio” risponde al deliberato intento di limitare l’ambito dell’agevolazione alle sanzioni correlate ai recuperi dei tributi effettuati in esito ai controlli “automatici” e “formali” delle dichiarazioni, ossia ai c.d. “avvisi bonari” che, appunto, sono “comunicati” ai contribuenti. E se ne può ben afferrare la ragione: il legislatore ha voluto favorire l’impresa che, trovandosi in una situazione di momentanea difficoltà, non è riuscita a versare le imposte dichiarate o è comunque incorsa in altri illeciti, per così dire, “minori” suscettibili di emergere grazie alle ricordate verifiche “automatiche” e “formali”. 
La riduzione di ogni sanzione non corrisposta tempestivamente non sarebbe, infatti, coerente con la finalità, sottesa alla CNC, di facilitare il risanamento dell’impresa in temporanea crisi ma ragionevolmente capace di poterla superare. Solo le misure afflittive correlate ai menzionati illeciti “minori”, tali cioè da non pregiudicare la complessiva attendibilità delle dichiarazioni fiscali, appaiono meritevoli dell’abbattimento ex lege seppure non versate nel termine stabilito. 
D’altronde, questa interpretazione rispetta anche il principio di proporzionalità, sancito dall’art. 10-ter della L. 27 luglio 2000, n. 212. La riduzione delle sole sanzioni per le violazioni “minori” rappresenta un equo bilanciamento fra l’interesse erariale all’efficace repressione degli illeciti tributari e alla percezione delle relative sanzioni in misura piena se non versate puntualmente in misura inferiore, da un lato, e il superamento della contingente crisi dell’impresa, che l’avvio della CNC mira a realizzare, dal lato opposto. 
3.4 . Il dimezzamento delle sanzioni e degli interessi
L’art. 25 bis, comma 3, CCII si applica alle sanzioni e agli interessi relativi ai debiti tributari dell’impresa venuti ad esistenza anteriormente al deposito dell’istanza introduttiva della CNC. 
Interessa, dunque, pure le misure afflittive che dovessero essere contestate successivamente purché il fatto illecito che le giustifica sia antecedente alla presentazione di tale istanza. 
Perché il dimezzamento degli interessi e delle sanzioni opera solo nelle fattispecie contemplate dal comma 2 dell’art. 23 cit. e non anche in quelle disciplinate dal precedente comma 1? 
Nel trovare una composizione fra l’interesse all’acquisizione piena degli interessi e delle sanzioni fiscali e l’incentivazione al ricorso alla CNC, il legislatore ha riservato questo beneficio ai casi nei quali il risanamento dell’impresa non si realizzi con il contratto, la moratoria o l’accordo previsti dal comma 1 ma richieda il piano attestato o l’accordo di ristrutturazione dei debiti oppure quando si debba ricorrere agli istituti liquidatori del patrimonio aziendale, ossia alle fattispecie menzionate dal comma secondo. 
In altri termini, l’esperimento della CNC merita, comunque, di essere premiato quando la crisi dell’impresa non si riesca a risolvere attraverso le soluzioni negoziali e, per così dire, “fisiologiche” previste dal comma 1. 
Emerge, pertanto, un ragionevole – e, quindi, legittimo – favor per l’impresa che tempestivamente avvii – nell’interesse proprio, dei propri creditori e, più in generale, della collettività – un percorso di soluzione degli squilibri finanziari e patrimoniali in cui si dibatte, ancorché essa non riesca poi a pervenire alla definizione del contratto, della moratoria o dell’accordo sopra menzionati. 
Oltretutto, adesso, grazie alla transazione fiscale, il dimezzamento degli interessi e delle sanzioni può conseguirsi anche quando si realizzino i rammentati esiti “fisiologici”. 
Insomma, il dimezzamento di interessi e sanzioni non riguarda, “a regime” – ossia prescindendo dalla transazione fiscale –, dette soluzioni “fisiologiche”: in tali contesti, le agevolazioni fiscali si risolvono, in sostanza, nella riduzione degli interessi e delle sanzioni disciplinata dai commi 1 e 2 dell’art. 25 bis cit. 
La norma in esame pone, inoltre, l’ulteriore requisito per cui i debiti fiscali, ai quali si riferiscono gli interessi e le sanzioni destinati al dimezzamento, costituiscano “oggetto della composizione negoziata”. 
Come intendere questo presupposto? La risposta preferibile è nel senso di ritenerlo integrato quando tali debiti tributari siano “interessati” dalla CNC. Siano, cioè, parte delle passività di cui è gravata l’impresa che intraprende la CNC. Dunque, non occorre che detti debiti costituiscano “oggetto” della transazione fiscale. Difatti, se il legislatore avesse inteso correlare il beneficio al ricorso a siffatta transazione, lo avrebbe affermato in termini espliciti. 
In sintesi, la dimidiazione degli interessi e delle sanzioni sui debiti tributari spetta in tutti i casi nei quali la CNC porti a una qualsiasi delle soluzioni previste dall’art. 23, comma 2, cit., compresi gli “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”, di cui si legge nella lett. d), consistenti nella liquidazione giudiziale o controllata. E se ne ha conferma leggendo il comma 6 dell’art. 25 bis cit., il quale prevede, in tali circostanze, la decadenza delle sole misure premiali contemplate dai precedenti commi 1 e 2, nulla disponendo circa le sorti di quella recata dal comma 3. 
Infine, va osservato come la misura in esame interessi tutte le sanzioni. 
Stante quanto osservato nel paragrafo precedente circa la riduzione delle sanzioni ai sensi del comma 2 dell’art. 25 bis cit., va condivisa l’estensione del beneficio introdotto dal comma 3 a ogni sanzione, ivi comprese quelle per le omissioni e/o le infedeltà dichiarative? 
La risposta positiva pare corretta. La riduzione alla “misura minima” di cui al comma 2 spetta per la mera pendenza della CNC, è riferibile – come si è visto – alle sole sanzioni per gli illeciti “minori” e presuppone il pagamento – seppur tardivo – del debito per tributi, interessi e sanzioni. L’abbattimento alla metà riguarda, invece, tutte le misure afflittive perché il risanamento “fisiologico” dell’impresa attraverso gli strumenti declinati dal comma 1 dell’art. 23 cit. non è riuscito, ma l’avvio della CNC ha comunque condotto all’apprezzabile risultato di indirizzare la crisi in uno degli esiti contemplati dal comma 2. 
3.5 . La “speciale” rateazione dei debiti fiscali non iscritti a ruolo
L’art. 25 bis, comma 4, CCII introduce un precetto di cui è agevole cogliere la ratio: la rateazione “speciale” dei debiti tributari non iscritti a ruolo è consentita poiché la CNC ha condotto a una delle soluzioni negoziali disciplinate dal comma 1 dell’art. 23 cit. e, più precisamente, dalle relative lett. a) e c). Ossia alle soluzioni di risanamento aziendale sopra definite come “fisiologiche”. 
Ben si comprende anche come la stipula di una convenzione di moratoria ex art. 62 CCI, menzionata alla lett. b) dell’art. 23, comma 1, cit., non consenta di fruire del beneficio. Detta convenzione è un istituto transitorio, diretto a “a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi e avente ad oggetto la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito”, come si legge nel comma 1 dell’art. 62 cit. 
Questa misura premiale abbraccia tutti i debiti per tributi, sanzioni e interessi nei confronti dell’Agenzia delle Entrate a titolo di imposte sui redditi, ritenute alla fonte, IVA e IRAP – maturati alla “data di riferimento” del piano prodromico e funzionale al perfezionamento del contratto o dell’accordo ex art. 23, comma 1, lett. a) e c) –, a condizione che non siano stati già iscritti a ruolo. 
Il motivo per cui sono interessati i soli debiti fiscali non iscritti a ruolo è presto detto: se esiste il ruolo, il debitore può avvalersi della rateazione ex art. 19 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. 
Quando, viceversa, vi sia consapevolezza dell’esistenza di detti debiti ma essi non siano ancora stati iscritti a ruolo, il comma 4 dell’art. 25 bis cit. consente, qualora si pervenga agli esiti di cui alle lett. a) e c) del comma 1 dell’art. 23 cit., di addivenire alla descritta dilazione di pagamento, che può favorire l’attuazione del contratto o dell’accordo. 
Si tratta, perciò, di una rateazione “speciale” siccome concernente, diversamente da quanto ordinariamente accade, i carichi fiscali non iscritti a ruolo e siccome consentita nelle sole ipotesi di pubblicazione nel registro delle imprese del contratto e dell’accordo sopra menzionati. 
Esaminando i profili applicativi, occorre anzitutto domandarsi quale sia la misura delle sanzioni in caso di attivazione della dilazione in commento. Sono quelle previste allorché si provvede all’iscrizione a ruolo oppure sono quelle ridotte dovute in caso di tempestivo pagamento di quanto richiesto con gli “avvisi bonari”? Posto che l’impresa si ripromette di saldare i propri debiti fiscali anticipando l’iscrizione a ruolo e all’esito della positiva definizione della CNC, pare ragionevole affermare la debenza delle sanzioni nella ricordata misura ridotta. 
Inoltre, nell’attuazione di questa disposizione assume un ruolo centrale l’esperto. Costui, nel sottoscrivere l’istanza che consente di accedere alla dilazione sino a 72 rate mensili, fornisce la “prova dell’esistenza della temporanea situazione di obiettiva difficoltà”. 
Per come è formulata la norma, la rateazione sino a 72 rate mensili non può essere rifiutata dall’Agenzia delle Entrate. Per il sol fatto che l’esperto abbia sottoscritto l’istanza v’è la prova della “temporanea” criticità che impone la concessione di tale dilazione. 
Diverso è il discorso per la rateazione sino a 120 rate mensili. Anche in questo caso la sottoscrizione dell’esperto comprova la “grave” situazione di difficoltà dell’impresa, anche disgiunta dalla peculiare congiuntura economica, ma – sempre stando al tenore letterale della disposizione – l’Agenzia delle Entrate non è tenuta a concedere quanto richiesto. Essa, difatti, “può” disporre la dilazione sino a 120 rate: dunque, potrebbe anche ammetterla in numero di rate compreso fra un minimo di 72 e un massimo di 120, in base a una valutazione discrezionale correttamente eseguita e adeguatamente motivata. 
Infine, sono disciplinate alcune, tassative, ipotesi di decadenza automatica dal beneficio. 
In prima battuta, viene in rilievo il “mancato pagamento anche di una sola rata alla sua scadenza”: è un precetto contrassegnato da eccessivo rigore, se si pensa che l’art. 19, comma 3, del D.P.R. n. 602/1973 prevede la decadenza in caso di mancato pagamento di otto rate, anche non consecutive. 
Poi, l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza tramite l’attivazione del procedimento ex art. 40 CCII, nonché l’apertura di una liquidazione giudiziale o controllata o l’accertamento dello stato di insolvenza comportano tale decadenza. Fattispecie decadenziali, queste, che viceversa ben si comprendono poiché la dilazione “speciale” trova la propria giustificazione nell’attuazione del contratto e dell’accordo di cui all’art. 23, comma 1, lett. a) e c). 
Invece, la rateazione può permanere qualora l’impresa e i creditori si avvedano dell’inadeguatezza della soluzione raggiunta con il contratto o l’accordo e si perfezioni un piano attestato ex art. 56 CCII o un accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII in cui si preveda l’integrale soddisfazione dei crediti erariali attraverso, appunto, la dilazione di cui trattasi. 
Da ultimo, merita precisare che l’art. 25 bis, comma 4, cit. richiama, in quanto compatibili, le disposizioni recate dall’art. 19 del D.P.R. n. 602/1973 e, soprattutto, che opera per i soli debiti per imposte dirette, ritenute, IVA e IRAP. Non v’è dubbio che queste saranno, nella gran parte dei casi, le più significative passività fiscali dell’impresa, ma non può escludersi che ve ne siano di ulteriori per altri tributi erariali o per tributi locali o regionali. La rilevanza positiva rivestita dalle soluzioni “fisiologiche” della CNC, tradottesi nella pubblicazione nel registro delle imprese del contratto o dell’accordo, avrebbe potuto indurre a estendere la dilazione “speciale” a ogni debito fiscale non ancora iscritto a ruolo.
3.6 . L’estensione alla CNC delle norme, in senso lato, di favore contenute nel D.P.R. 22 ottobre 1986, n. 917 e nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633
Una volta avvenuta la pubblicazione nel registro delle imprese delle soluzioni “fisiologiche” ex art. 23, comma 1, lett. a) e c), cit. o degli accordi di cui al successivo comma 2, lett. b), il comma 5 dell’art. 25 bis CCII: (a) dal lato del debitore, prescrive la non imponibilità ex art. 88, comma 4 ter, D.P.R. n. 917/1986, delle sopravvenienze attive frutto della riduzione dei propri debiti, al fine di evitare che quest’ultima risulti parzialmente vanificata dalla tassazione delle connesse sopravvenienze; (b) dal lato dei creditori, determina, allo scopo di incentivarne l’intesa con il debitore, (b1) l’immediata deducibilità ex art. 101, comma 5, D.P.R. n. 917/1986 delle perdite su crediti e (b2) l’anticipazione dell’emissione della nota di variazione ai fini IVA ex art. 26, comma 3 bis, D.P.R. n. 633/1972. 
In particolare: 
1) quanto alle soluzioni ex art. 23, comma 1, lett. a) e c), cit., il comma 5 in parola opera purché il contratto o l’accordo siano pubblicati nel registro delle imprese. Ciò è comprensibile: in difetto di omologazione e di registrazione obbligatoria del contratto e dell’accordo, il legislatore ha ancorato l’applicabilità dei ricordati precetti in tema di imposte dirette e IVA alla pubblicazione di siffatti contratto e accordo, onde individuare un parametro temporale certo di riferimento. Tanto premesso, si applicano le regole (dalle medesime norme) previste per il piano attestato di risanamento, stante la sua maggiore affinità con gli strumenti indicati nell’art. 23, comma 1, lett. a) e c), cit., con la conseguenza che: (i) dal lato del debitore, ai fini del computo del reddito d’impresa del periodo d’imposta di iscrizione nel registro delle imprese del contratto o dell’accordo, le sopravvenienze attive da stralcio di debiti saranno detassate per la parte eccedente rispetto alle perdite fiscali pregresse e registrate nello stesso periodo d’imposta e agli interessi passivi indeducibili riportati ai sensi dell’art. 96, comma 5, D.P.R. n. 917/1986; (ii) dal lato dei creditori, per un verso, la perdita su crediti è deducibile a decorrere dal periodo d’imposta in cui è avvenuta la pubblicazione nel registro delle imprese del contratto o dell’accordo e, per l’altro verso, a fronte dell’IVA addebitata a titolo di rivalsa al debitore e da costui non corrisposta (in tutto o in parte), può essere emessa la nota di variazione in diminuzione a partire dalla medesima data di pubblicazione nel registro delle imprese del contratto o dell’accordo; 
2) con riferimento all’esito tratteggiato dall’art. 23, comma 2, lett. b) cit., ossia quando la CNC conduce alla richiesta di “omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli articoli 57, 60 e 61”, occorre considerare che: (i) le norme richiamate dall’art. 25 bis, comma 5 cit. già operano per gli atti attuativi ed esecutivi degli accordi di ristrutturazione di debiti omologati, sì che è dato ritenere – onde poter offrire una sensata interpretazione al suddetto comma 5 – che il legislatore abbia voluto riferirsi anche agli accordi ad efficacia estesa e a quelli agevolati, in quanto non menzionati nelle ricordate disposizioni; (ii) il richiamo solamente agli accordi di ristrutturazione e non al piano attestato di risanamento di cui all’art. 56 del CCII condurrebbe alla conseguenza che a quest’ultimo, se utilizzato in esito alla CNC, non si applicherebbero le disposizioni agevolative, operanti invece de plano in ipotesi di utilizzo “diretto” dell’istituto: una conseguenza siffatta sarebbe tanto asistematica quanto irragionevole, di modo che va decisamente esclusa, considerando pertanto pure il piano attestato ex art. 56 cit. interessato dal comma 5 in discussione; (iii) sempre il comma 5 assegna rilievo alla pubblicazione nel registro delle imprese dell’accordo di ristrutturazione, non – come previsto dalla disciplina cui lo stesso comma 5 rinvia – alla successiva omologazione; tuttavia, se così fosse, si introdurrebbe una disparità di regime rispetto all’art. 88, comma 4 ter cit. del tutto irragionevole; allora, è corretto assumere che la pubblicazione nel registro delle imprese non ha efficacia “costitutiva”, ma indica solo l’eventuale termine iniziale di godimento del beneficio, risultando comunque essenziale la ricordata omologazione. 
Per terminare sull’argomento, v’è da chiedersi, in ordine alla deduzione delle perdite su crediti, se possa applicarsi o meno il comma 5 bis dell’art. 101 cit., che ne individua il termine finale. Ancorché quest’ultima disposizione non sia stata richiamata per la CNC, è ragionevole postularne l’operatività per evitare lo stato di incertezza che ne ha suggerito l’introduzione. 
3.7 . La disposizione di chiusura in caso di successiva liquidazione giudiziale o controllata o di accertamento dell’insolvenza e gli altri incentivi all’impiego della CNC
In forza dell’art. 25 bis, comma 6, CCII, “Nel caso di successiva apertura della procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata o nel caso di accertamento dello stato di insolvenza, gli interessi e le sanzioni sono dovuti senza le riduzioni di cui ai commi 1 e 2”. 
Si tratta di una norma di chiusura volta a elidere gli effetti delle sole misure premiali disciplinate dal comma 1 e dal comma 2 dell’art. 25 bis, cit., non anche di quella prevista dal comma 3, la quale è perciò destinata a permanere. 
Chiara e condivisibile è la ratio di questo precetto: il dimezzamento degli interessi e delle sanzioni, sancito dal comma 3, compete poiché il risanamento “fisiologico” dell’impresa, grazie agli strumenti previsti dal comma 1 dell’art. 23 cit., non è riuscito, ma l’introduzione della CNC ha convogliato la crisi in uno degli esiti contemplati dal comma 2 – fra i quali si annoverano anche le procedure di liquidazione giudiziale e controllata – e ciò merita di essere apprezzato. 
Diverso, viceversa, è il discorso per le misure premiali delineate dai commi 1 e 2 dell’art. 25 bis cit. Esse sono funzionali a “traghettare” l’impresa che abbia avviato la CNC all’auspicato risanamento. Ove quest’ultimo non riesca, ne viene meno la ragion d’essere. 
Perciò, in tale evenienza, in sede di accertamento dello stato passivo della procedura concorsuale, l’ente impositore deve insinuare il proprio credito per intero, senza considerare le riduzioni di interessi e sanzioni regolate da tali commi 1 e 2. Naturalmente, quanto alla misura premiale di cui al comma 2, siccome l’agevolazione compete anche se il pagamento viene eseguito ratealmente, nella successiva procedura concorsuale l’ente impositore deve insinuare il credito per le sanzioni al netto di quanto effettivamente percepito in applicazione di siffatto beneficio. 
Ѐ opportuno, ancora, evidenziare come ulteriori incentivi all’utilizzo della CNC derivino dal nuovo comma 5 bis dell’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997, stando al quale “Salva l’applicazione del comma 4 [riguardante il caso di cessione fraudolenta], la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione quando la cessione avviene nell’ambito della composizione negoziata della crisi o di uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza giudiziale di cui al Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14”. 
Dunque, la responsabilità solidale del cessionario per i debiti tributari relativi all’azienda acquisita ex art. 14 cit. è esclusa allorché il trasferimento avvenga nell’ambito di uno degli strumenti di regolazione della crisi dell’insolvenza disciplinati dal CCII, nonché nel contesto della CNC. 
Inoltre, nel ricordato comma 5 bis dell’art. 14 cit. è stato inserito un ulteriore periodo, al fine di stabilire che l’esclusione della responsabilità di cui al comma 1 del medesimo art. 14 “si applica anche quando la cessione è effettuata nei confronti di terzi da una società controllata, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, dall’impresa o dalla società che ha fatto ricorso oppure è assoggettata a uno dei suddetti istituti [ossia degli istituti disciplinati dal CCII], a condizione che la cessione: a) sia autorizzata dall’autorità giudiziaria ovvero sia prevista in un piano omologato dalla medesima autorità; b) sia funzionale al risanamento dell’impresa o del soggetto controllante la società cedente o al soddisfacimento dei creditori di tali soggetti”. 
L’esclusione della responsabilità, quindi, opera anche con riferimento ai debiti tributari dell’azienda ceduta da una società che non si trova in uno stato di crisi, ma che è controllata da un’impresa o società che versa in tale stato e ha fatto ricorso o è assoggettata a uno degli istituti disciplinati dal CCII, purché la cessione sia autorizzata dal Tribunale oppure sia funzionale al risanamento dell’esposizione debitoria della controllante. 
Ѐ inutile dire quanto le descritte innovazioni siano apprezzabili poiché funzionali alla più spedita ed efficiente circolazione delle aziende interessate, direttamente o indirettamente, dalle misure regolate dal CCII, ivi compresa appunto la CNC. 
3.8 . Considerazioni conclusive sulle misure premiali
La disciplina delle misure premiali dimostra la consapevolezza del legislatore circa l’opportunità della procrastinazione del soddisfacimento dei crediti tributari e del parziale sacrificio delle pretese concernenti i relativi c.d. “accessori”, ossia interessi e sanzioni, al fine di promuovere il risanamento dell’impresa attraverso il ricorso a soluzioni negoziali e stragiudiziali e, al contempo, l’estrema prudenza nell’introdurre agevolazioni di diretta e automatica applicazione. 
Tuttavia, se si considera che alle misure premiali ora si affianca l’“accordo transattivo” di cui all’art. 23, comma 2 bis, cit., bisogna riconoscere che si è pervenuti a un assetto che coniuga, in termini equilibrati, il preminente interesse alla salvaguardia delle attività imprenditoriali attraverso il tempestivo ricorso alla CNC con l’esigenza di assicurare la percezione dei tributi e dei relativi interessi e sanzioni. 
Evidentemente, un ruolo cruciale compete all’amministrazione finanziaria nel sovrintendere all’attuazione delle misure premiali, prediligendo – nei rilevati casi dubbi – le soluzioni interpretative rispettose della ratio della CNC. E parimenti decisivo è il compito degli esperti e, più in generale, dei professionisti che affiancano le imprese nel delineare compiutamente e correttamente le reali prospettive di superamento del contingente stato di crisi. 
Infine, da parte del legislatore potrebbero auspicarsi interventi mirati volti a elidere le perplessità interpretative emerse e, soprattutto, a estendere la dilazione “speciale” a ogni tributo, coerentemente del resto alle altre misure premiali che non distinguono circa la natura delle prestazioni tributarie, e a mitigare il rigore della decadenza in caso di mancato pagamento anche di una sola rata. 
4.1 . Premessa
La transazione fiscale in ambito di composizione negoziata della crisi è stata introdotta dall'art. 5, comma 9, lett. a), n. 2), D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136, attraverso l’inserimento del comma 2 bis all’interno dell’art. 23 CCII, rubricato “Conclusione delle trattative”, con decorrenza dal 28 settembre 2024. 
Prima del Correttivo-ter, considerata la “immanenza” del principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, in mancanza di una norma ad hoc che consentisse all’imprenditore di formulare una proposta transattiva erariale, unica strada, per percorrere la “transazione” con l’amministrazione finanziaria, era veicolare l’uscita dalla CNC utilizzando uno degli strumenti previsti dall’art. 23, comma 2, CCII e/o art. 25 quater, comma 4, CCII che prevedessero tale possibilità. 
Ovvero, in sintesi: 
- concordato preventivo ex art. 84 CCII 
- ADR ex art. 57, 60 e 61 CCII 
- Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) ex art. 64 bis CCII 
- concordato minore ex art. 74 (per imprese “sotto-soglia”). 
In questo quadro, il Correttivo-ter è andato ad integrare l’art. 23 del Codice della crisi, inserendovi il comma 2 bis, così introducendo, all’interno della disciplina della composizione negoziata, quella norma derogatoria – rispetto al ricordato principio d’indisponibilità dell’obbligazione tributaria – sino ad allora mancante. 
4.2 . L’iter previsto dall’art. 23, comma 2 bis, CCII
Nel corso delle trattative avviate dopo l’accettazione della nomina da parte dell’esperto, l'imprenditore può formulare una proposta avente ad oggetto un accordo transattivo nei confronti delle agenzie fiscali, nonché – dispone la norma – dell’ente incaricato del servizio della riscossione.
La proposta transattiva può prevedere il pagamento - parziale e/o dilazionato - del debito erariale e dei relativi accessori, 
Sono espressamente esclusi dalla transazione fiscale i debiti relativi ai tributi che costituiscano risorse proprie dell'Unione europea. 
Alla proposta devono essere allegate, a cura dell’imprenditore: 
- una relazione di un professionista indipendente che attesti la convenienza della transazione per il creditore pubblico cui la proposta sia rivolta rispetto all'alternativa liquidazione giudiziale 
- una relazione sulla completezza e sulla veridicità dei dati aziendali, redatta: 
* dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti, qualora la società lo abbia nominato 
* in mancanza, da un revisore legale iscritto nell'apposito registro, designato dal proponente. 
L'accordo è, dapprima, sottoscritto dalle parti, successivamente, comunicato dalle stesse (o comunque dall’imprenditore) all'esperto. 
La transazione fiscale inizia a produrre effetti (solo) dopo il proprio deposito presso il tribunale competente, ex art. 27 CCII. 
Tale norma – si ricorda – prevede che per i procedimenti di accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza previsti dal CCII relativi alle imprese assoggettabili ad amministrazione straordinaria e ai gruppi di rilevante dimensione, è competente il tribunale presso cui hanno sede le sezioni specializzate in materia d’imprese, ex art. 1, D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168. 
Per tutti gli altri procedimenti di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza o a una procedura di insolvenza è competente il tribunale nel cui circondario il debitore ha il centro degli interessi principali (cd. “COMI”). 
Il centro degli interessi principale si presume coincidente: 
- per le persone fisiche che esercitino attività d'impresa, con la sede legale risultante dal Registro delle imprese o, in mancanza, con la sede effettiva dell'attività abituale 
- per le persone fisiche che non esercitino attività d'impresa, con la residenza o il domicilio e, se non conosciuti, con l'ultima dimora nota o, in mancanza, con il luogo di nascita (con competenza del Tribunale di Roma per chi non sia nato in Italia) 
- per le persone giuridiche e gli enti, anche se non esercenti attività d'impresa, con la sede legale risultante dal Registro delle imprese o, in mancanza, con la sede effettiva dell'attività abituale o, se sconosciuta, secondo quanto previsto al punto precedente con riguardo al proprio legale rappresentante. 
Proseguendo nell’esposizione, dal lato degli enti pubblici, l'accordo è sottoscritto: 
- per i tributi amministrati dall'Agenzia delle entrate, dal Direttore dell'ufficio, su parere conforme della competente Direzione regionale 
- per i tributi amministrati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, dal Direttore delle Direzioni territoriali, dal Direttore della Direzione territoriale interprovinciale e, per gli atti impositivi emessi dagli uffici delle Direzioni centrali, dal Direttore delle medesime Direzioni centrali. 
Una volta che le parti abbiano depositato presso il competente Tribunale l'accordo transattivo da loro sottoscritto (e poi comunicato all’esperto), il giudice designato – dispone la norma – “verificata la regolarità della documentazione allegata e dell'accordo, ne autorizza l'esecuzione con decreto o, in alternativa, dichiara che l'accordo è privo di effetti”. 
Per quanto il comma 2 bis in commento preveda che l'accordo sottoscritto produca i propri effetti con il deposito presso il tribunale competente, in realtà, gli effetti sostanziali dello stesso sono subordinati – e dunque condizionati - alla successiva (eventuale) autorizzazione da parte del giudice. 
Quest’ultimo, infatti, dichiara esecutiva la transazione fiscale solo dopo averne verificata la regolarità (sulla stessa: v. meglio infra). 
Ove l’autorità giudiziaria, all’esito della propria istruttoria, rilevi profili di irregolarità con riferimento all’iter di formazione dell’accordo transattivo, dichiara lo stesso privo di ogni effetto, dunque decretandone la caducità. 
L’ultimo periodo del comma 2 bis dell’art. 23 prevede che l’accordo transattivo si risolva di diritto: 
- in caso di apertura dei procedimenti di liquidazione giudiziale, di liquidazione controllata o di accertamento dello stato d’insolvenza, oppure 
- nel caso in cui l'imprenditore non esegua, integralmente, i pagamenti dovuti entro sessanta giorni dalle scadenze previste nell’accordo transattivo. 
4.3 . Approfondimenti su questioni particolari
Come detto in precedenza, l’art. 23, comma 2 bis, CCII prevede che l'imprenditore possa formulare una proposta transattiva nei confronti – oltreché degli enti erariali, Agenzia delle Entrate ed Agenzia delle dogane e dei monopoli - anche di Agenzia delle Entrate-Riscossione. 
Si ritiene che il suddetto richiamo all’agente della riscossione non possa riguardare i crediti di titolarità di quest’ultimo ente. 
Gli stessi, infatti, non hanno natura di “tributi”. 
Si tratta dei compensi previsti dall’art. 1, commi 15 - 19, L. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento ai ruoli affidati all’agente ai fini esattivi, a partire dal 1° gennaio 2022 (in precedenza, vigeva il sistema dell’aggio di riscossione, sotto l’egida dell’art. 17, D.Lgs. n. 112/1999). 
Detti compensi rappresentato, per l’agente, crediti di natura retributiva – e, dunque, non tributaria –, costituendo la remunerazione o, meglio, la copertura, degli oneri di funzionamento del servizio nazionale di riscossione. 
Il richiamo che l’art. 23, comma 2 bis, CCII fa all’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha dunque una funzione di informazione e coordinamento, nella prospettiva del rapporto fra gli enti titolari del diritto ai tributi oggetto della proposta e l’ente incaricato alla loro riscossione, con riferimento, cioè, a quei tributi oggetto della transazione che siano già stati iscritti a ruolo dall’ufficio erariale ed affidati all’agente ai fini esattivi. 
L’accordo transattivo, come visto, può prevedere il pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti erariali. 
Si tratta di tutti i tributi “statali”, amministrati – con formula mutuata dagli art. 63 - 88 CCII, in ambito di transazione fiscale negli ADR e nel concordato preventivo – dalle agenzie fiscali, ovvero dall’Agenzia delle entrate e dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli. 
L’art. 23, comma 2 bis, CCII prevede che non possano essere oggetto di accordo transattivo i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea. 
La formulazione in oggetto, inserita dal legislatore del Correttivo-ter in ambito di CNC – e non presente all’interno dei citati artt. 63 - 88 CCII –, rappresenta un retaggio delle prime versioni dell’art 182 ter L. fall, allorquando vivo era il dibattito se, all’interno delle risorse dell’UE, rientrasse anche il tributo IVA e, dunque, se lo stesso potesse essere oggetto di “falcidia”. 
Il citato art. 182 ter L. fall., nella versione originaria, disponeva che il debitore, con il piano di concordato, potesse proporre, a determinate condizioni di non “deteriorità” del trattamento, il pagamento, anche parziale, dei tributi erariali, ad eccezione di quelli costituenti risorse proprie dell'UE. 
L’originario art. 182 ter L. fall. non faceva alcun espresso riferimento al tributo IVA. 
L’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 40/E del 18 aprile 2008, ebbe a rilevare come il tributo IVA fosse da annoverare fra le risorse proprie dell’UE, escludendone, così, la possibilità di pagamento parziale. 
La querelle sulla falcidiabilità del tributo IVA, anche alla luce della direttiva 2006/112/CEE, dopo anni di acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinario, giunse, in sintesi, ad un punto di svolta con la sentenza della Corte di Giustizia dell’UE del 7 aprile 2016 (C-546/14). 
Con tale provvedimento, la Corte unionale, da un lato, confermò che l’art. 4, par. 3, del Trattato UE, nonché gli artt. 2, 250, par. 1, e 273, della citata direttiva 2006/112/CEE impongono agli Stati membri di adottare misure idonee a garantire l’integrale prelievo del tributo IVA (il quale, per una frazione prelevata sulla base imponibile armonizzata, concorre alla formazione del bilancio comunitario). 
Dall’altro, tuttavia, riconobbe la legittimità delle norme interne che avessero consentito all’imprenditore insolvente di soddisfare non integralmente il credito IVA nell’ambito di una procedura concordataria – ciò non determinando, a priori, una rinunzia generale ed indiscriminata alla riscossione del tributo. 
Quanto sopra, a condizione che: 
- il patrimonio del debitore non fosse idoneo ad assicurare il soddisfacimento integrale del credito IVA 
- un esperto indipendente attestasse che la posizione creditoria erariale non avrebbe ricevuto un trattamento migliore in sede di successivo fallimento 
- all’Erario fosse assicurato l’esercizio del diritto di voto ai fini dell’approvazione della proposta di concordato e, ai relativi esiti, ogni azione di rimedio in termini di gravame. 
In questo contesto, intervenne il legislatore interno. 
L’art. 1, comma 81, L. n. 232/2016, recependo i sopra ricordati principi comunitari, andò a modificare l’art. 182 ter L. fall., con decorrenza dal 1° gennaio 2017, facendo, così, definitivamente, venir meno il divieto di falcidia del credito IVA. 
È pacifico, pertanto, che oggetto di transazione fiscale in ambito di composizione negoziata della crisi possa essere anche il tributo IVA. 
Restano, invece, esclusi dalla transazione fiscale nella composizione negoziata della crisi – come peraltro accade anche con riferimento agli ADR ex art. 63, il PRO ex art. 64-bised al concordato preventivo ex art. 88 – i tributi di titolarità degli enti locali. 
Sul punto, peraltro, si segnala che in ambito di revisione del sistema tributario, il principio direttivo previsto dall’art. 9, comma 1, lett. a), L. n. 111/2023 prevede la possibilità di introdurre all’interno della disciplina della composizione negoziata (ma non nelle procedure concorsuali), il trattamento, tramite falcidia e/o dilazione di pagamento, dei tributi di titolarità dei Comuni, Province e Regioni. 
Oltre ai tributi locali sono esclusi dalla transazione fiscale nella composizione negoziata della crisi – in modo invero “dissonante” rispetto alla disciplina della transazione erariale-contributiva in ambito di procedure concorsuali – i crediti di titolarità degli enti previdenziali e assicurativi. 
I suddetti crediti contributivi possono, infatti, essere oggetto di trattamento/transazione sia con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti, ex art. 63 CCII, sia con riferimento al PRO ex art. 64 bis CCII, sia, infine, con riferimento al concordato preventivo, ex art. 88 CCII, e tale difformità appare, invero, poco omogenea. 
Come ricordato, ai sensi dell’art. 23, comma 2 bis, CCII, l’imprenditore deve allegare alla proposta di accordo transattivo, in primo luogo, una relazione redatta da un professionista indipendente, il quale “attesti” la convenienza della proposta transattiva rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale, per il creditore pubblico cui la proposta sia rivolta. 
Il requisito di “indipendenza” è disciplinato dall’art. 2, lett. o), CCII. 
Tale norma prevede che il suddetto requisito sia integrato laddove il professionista abbia, congiuntamente, le seguenti caratteristiche: 
- sia iscritto all'elenco dei gestori della crisi e dell’insolvenza delle imprese 
- sia iscritto nel registro dei revisori legali 
- sia possesso dei requisiti ex art. 2399 c.c. (assenza di cause di ineleggibilità e/o di decadenza) 
- non sia legato all'impresa o alle altre parti interessate al risanamento da rapporti personali o professionali tali da potere comprometterne l'indipendenza di giudizio 
- non abbia prestato a favore del debitore, negli ultimi cinque anni, attività di lavoro subordinato o autonomo, e ciò anche con riferimento ai soggetti con i quali il professionista sia unito in associazione professionale 
- non sia stato membro degli organi di amministrazione o controllo dell’impresa debitrice, né abbia posseduto partecipazioni nella stessa, negli ultimi cinque anni, e ciò anche con riferimento ai soggetti con i quali il professionista sia unito in associazione professionale. 
L’art. 23, comma 2 bis, CCII, prevede che il professionista indipendente “attesti” la convenienza della proposta transattiva rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale, per il creditore pubblico cui la proposta sia rivolta. 
La chiara lettera della norma induce evidentemente a ritenere che il giudizio del professionista indipendente debba essere circoscritto alla valutazione di convenienza della proposta transattiva nella specifica – e sola – prospettiva dell’ente erariale. 
Ciò passerà attraverso una comparazione prognostica fra il grado di soddisfacimento del credito erariale così come previsto nella proposta transattiva ed il grado di soddisfacimento dello stesso sulla base di una prevedibile ripartizione dell’attivo disponibile in caso di apertura della liquidazione giudiziale, in conformità al criterio di absolute priority rule, dunque nel rispetto della gradazione dei crediti tenuto conto delle legittime cause di prelazione.          
Abbiamo visto che l’art. 23, comma 2 bis, CCII parla di “attestazione”. 
Si ritiene, sul punto, che non sia applicabile, con riferimento al professionista indipendente, la responsabilità penale prevista, in ambito di Codice della crisi, per la figura dell’”attestatore”. 
Ci si riferisce, in particolare, all’art. 342, comma 1, CCII. 
Tale norma, rubricata “Falso in attestazioni e relazioni”, dispone che il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui alle seguenti disposizioni: 
- art. 56 comma 4 
- art. 57, comma 4 
- art. 58, commi 1-2 
- art. 62, comma 2, lett. d) 
- art. 87, comma 3 
- art. 88, commi 1-2 
- art. 90, comma 5 
- art. 100, commi 1-2, 
esponga informazioni false ovvero ometta di riferire informazioni rilevanti in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 50.000 ad euro 100.000. 
Il citato art. 342, comma 1, CCII fa espresso riferimento alle attestazioni rese con riferimento ai seguenti strumenti di regolazione della crisi e/o alle singole fasi degli stessi: 
- piano di risanamento attestato (art. 56, comma 4) 
- accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57, comma 4) 
- convenzione di moratoria (art. 62, comma 2, lett. d) 
- concordato preventivo (artt. 87, comma 3, e 88, commi 1-2) 
- proposte concorrenti (art. 90, comma 5) 
- autorizzazione pagamento crediti pregressi (art. 100, commi 1-2). 
La disposizione in oggetto (la quale, peraltro, nel richiamare i vari strumenti di regolazione della crisi che prevedano attestazioni da parte del professionista indipendente, non fa cenno alla relazione resa dallo stesso in ambito di PRO, ex art. 64 bis CCII) non menziona la composizione negoziata della crisi la quale, come ricordato, non rappresenta uno strumento di regolazione della crisi, né, tantomeno, una procedura concorsuale. 
Ne consegue – attesa la specialità (ambito penale) dell’art. 342, comma 1, CCII – che la norma in oggetto non possa essere applicata, in via analogica e/o estensiva, con riferimento alla relazione di “attestazione” prevista, nel contesto del percorso di composizione negoziata della crisi, dall’art. 23, comma 2 bis, CCII. 
Proseguendo nell’esposizione, il richiamato art. 23, comma 2 bis, prevede che l’imprenditore alleghi alla proposta transattiva, una seconda relazione, questa avente ad oggetto la completezza e veridicità dei dati aziendali. 
Tale relazione deve essere redatta dal soggetto che svolga la funzione di revisione legale dei conti dell’impresa debitrice (il quale soddisfi anche le altre condizioni di indipendenza di cui sopra). 
Qualora l’impresa non sia tenuta alla nomina del revisore legale o, comunque, ove lo stesso non sia stato nominato, la relazione in oggetto può essere redatta da un qualsiasi professionista iscritto al registro dei revisori legali (e che pure sia in possesso dei sopra richiamati requisiti di indipendenza), designato dallo stesso debitore. 
In questo caso, l’art. 23, comma 2 bis, CCII non parla di “attestazione” (come con riguardo al profilo di convenienza), bensì di “relazione sulla completezza e veridicità dei dati aziendali”: valgano, in ogni caso, sul punto, le considerazioni sopra svolte con riferimento ai profili penali delle attestazioni, ex art. 342 CCII. 
Le due relazioni di cui all’art. 23, comma 2 bis (convenienza della proposta e veridicità dei dati aziendali) possono essere redatte da uno stesso professionista, purché munito dei relativi requisiti, a condizione che lo stesso non sia il soggetto incaricato della revisione legale dei conti della società debitrice: mancherebbe, in questo caso - può ritenersi -, il requisito di indipendenza. 
Una volta che sia stato positivamente “negoziato” fra le parti, l’accordo transattivo deve essere: 
- sottoscritto dalle parti medesime 
- comunicato all’esperto 
- depositato presso il tribunale competente. 
Come ricordato, per i tributi amministrati dall'Agenzia delle entrate, l'accordo è sottoscritto dal Direttore dell'ufficio, su parere conforme della competente Direzione regionale. 
Per i tributi amministrati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, l'accordo è sottoscritto dal Direttore delle Direzioni territoriali, dal Direttore della Direzione territoriale interprovinciale e, per gli atti impositivi emessi dagli uffici delle Direzioni centrali, dal Direttore delle medesime direzioni centrali. 
Per tributi amministrati da Agenzia Dogane e Monopoli: accordo sottoscritto da direttore direzioni territoriali, direttore direzione territoriale interprovinciale e, per gli atti impositivi emessi, da uffici direzioni centrali. 
In questo contesto, qual è il ruolo dell’esperto? 
Se, ad avviso dell’esperto, l’accordo transattivo arrechi - o possa, nel concreto, arrecare - pregiudizio ai creditori dell’imprenditore ovvero alle prospettive di risanamento aziendale, l’esperto medesimo lo segnala all’imprenditore ed all’organo di controllo, ove esistente, ex art. 21 CCII. 
Ai sensi del comma 4 di tale norma, se l’imprenditore, nonostante la segnalazione dell’esperto, decida di compiere comunque l’atto, ne informa immediatamente l'esperto il quale, nei successivi dieci giorni, può iscrivere il proprio dissenso presso il Registro delle imprese; quando l'atto compiuto pregiudichi gli interessi dei creditori, l'iscrizione in oggetto è obbligatoria. 
L’art. 23, comma 2 bis, CCII prevede che una volta che l’accordo sottoscritto sia depositato in tribunale, il giudice designato verifica la regolarità dell’accordo e dei suoi allegati e, in caso di rilevata regolarità, autorizza l’esecuzione dell’accordo transattivo, con decreto. 
Viceversa, laddove il giudice non ravvisi la regolarità dell’accordo transattivo, ne dichiara l’inefficacia. 
Si ritiene che il controllo giudiziale sulla regolarità dell’accordo transattivo non si estenda a valutazioni, nel merito, circa gli effetti generati dalla transazione rispetto all’interesse degli altri creditori e/o all’obiettivo del risanamento aziendale, vertendo, tale controllo, sulla verifica, formale e sostanziale, della conformità dell’accordo transattivo e dei relativi documenti (in particolare: le due relazioni su convenienza della proposta e veridicità dei dati), rispetto allo schema previsto della legge. 
Più nel dettaglio, circa il perimetro del controllo sulla “regolarità” dell’accordo, il giudice designato ha la visibilità - all’interno del fascicolo che si apre con il deposito dell’accordo, ex art. 23, comma 2 bis, CCII -, unicamente, sull’accordo medesimo e sulle correlate, prescritte relazioni, le quali - come ricordato - attengono ai (soli) profili di convenienza dell’accordo transattivo nella specifica prospettiva erariale e di veridicità dei dati aziendali, e non anche agli aspetti che attengono al profilo di strumentalità dell’accordo ai fini del più ampio obiettivo del risanamento aziendale. 
Sotto questo profilo, in caso di accordo che dovesse essere, da una parte, di soddisfacimento nella prospettiva degli interessi erariali, ma, dall’altra, potenzialmente non funzionale ai “supremi” interessi del riequilibrio della situazione di difficoltà aziendale, spetterebbe all’esperto procedere – come sopra ricordato – con le segnalazioni all’imprenditore ed all’organo di controllo, ove esistente, ed alla eventuale manifestazione del proprio dissenso, ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 CCII. 
Proseguendo nell’esposizione, a differenza di ciò che accade in ambito di ADR ex art. 63 CCII, di PRO ex art. 64 bis CCII e di concordato preventivo ex art. 88 CCII, la disciplina della transazione fiscale nella composizione negoziata della crisi non contempla la possibilità che, in caso di mancata accettazione della proposta transattiva da parte dell’ente erariale, l’autorità giudiziaria possa, sussistendone i presupposti, applicare la cd. ristrutturazione forzosa, “convertendo”, cioè, il diniego dell’ufficio, espresso o tacito che sia, in adesione alla proposta di accordo. 
L’esclusione del cram-down fiscale in ambito di CNC appare coerente, allo stato della normativa, rispetto alle seguenti proprie peculiarità: 
- natura “pienamente” pattizia della composizione negoziata della crisi, incompatibile con adesioni forzose rispetto alla volontà dei creditori 
- mancanza di un procedimento di omologazione degli accordi conclusi in ambito di composizione negoziata della crisi. 
In ogni caso, qualora a seguito delle trattative, una volta avviata la composizione negoziata della crisi, l’imprenditore non sia giunto a perfezionare alcun accordo transattivo con l’Amministrazione finanziaria, ex art. 23, comma 2 bis, CCII, lo stesso potrà comunque presentare altra proposta di transazione fiscale, in un contesto di procedure concorsuali che prevedano l’operatività dell’istituto in oggetto. 
Sotto altro profilo, l’imprenditore che abbia fatto ricorso alla composizione negoziata, può, in tal sede, anziché proporre all’Amministrazione finanziaria un accordo transattivo ex art. 23, comma 2 bis, CCII, determinarsi a formulare all’ente erariale una proposta transattiva adottando uno dei ricordati strumenti di regolazione della crisi che contemplino tale possibilità (ADR, PRO, concordato preventivo), con ciò potendosi avvalere della possibilità di beneficiare, sussistendone i presupposti, del cram-down fiscale. 
Fra l’altro, ai sensi del comma 2 ter dell’art. 23 CCII, introdotto dal legislatore con il Correttivo-ter, l’adozione di uno degli strumenti di regolazione della crisi che preveda la transazione fiscale (con possibilità di cram-down) può intervenire anche dopo la conclusione della composizione negoziata della crisi: in questo caso, la sottoscrizione dell'esperto, quando prevista, può essere apposta successivamente al deposito della propria relazione finale ex art. 17, comma 8, CCII. 
Da ultimo, quanto agli effetti transitori della novella prevista dall’art. 23, comma 2 bis, CCII, come introdotta all’interno del Codice della crisi da parte del legislatore del Correttivo-ter, la proposta di accordo transattivo nei confronti dell’Amministrazione finanziaria può essere presentata con riferimento ai percorsi di composizione negoziata della crisi avviati con istanza di nomina dell’esperto ex art. 17, comma 1, CCII, presentata dopo la data del 28 settembre 2024. 

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